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SERIE A - EUROPA OCCIDENTALE E UNIONE EUROPEA

INTRODUZIONE

1. Il fallimento della CED e della CPE e gli accordi di Parigi

Con la votazione dell’Assemblea Nazionale Francese, il 30 agosto 1954, che respingeva, con 319 voti contro 264, la proposta governativa di ratifica del trattato di Parigi istitutivo della Comunità Europea di Difesa – passinfatti la cosiddetta «motion préalable» per cui non si discusse neppure della ratifica –, si concludeva in un fallimento il lungo iter iniziato con la proposta Pleven. Il problema che doveva essere risolto con il Piano Pleven e con la CED tornava quindi al punto di partenza. La prima questione che si pose, fu, pertanto, quella di risolvere il problema della difesa della Germania Occidentale mediante il suo riarmo e il suo inserimento nel sistema militare occidentale, facendo essa già parte del sistema di cooperazione economica europea in organizzazioni quali l’OECE e la CECA; ma, poiché la soluzione impostata dal Piano Pleven e dal trattato istitutivo della CED era basata sull’istituzione di una organizzazione europea – appunto la CED – si pose anche la questione se e con quali modalità riprendere anche la formazione di un nuovo organismo europeo, sia pur non pifinalizzato alla difesa militare.

2. Criteri di edizione

Il volume si propone di pubblicare i documenti che consentono di ricostruire la politica del Governo italiano successiva al fallimento del trattato istitutivo della CED (1° settembre 1954) fino all’inizio dei negoziati per il cosiddetto «rilancio europeo» (1° aprile 1955), concernenti la soluzione del problema del contributo tedesco alla difesa occidentale e della posizione internazionale della Repubblica Federale Tedesca. I documenti pubblicati, quindi, sono essenzialmente i documenti interni del Ministero degli Affari Esteri italiano, sia la corrispondenza fra l’amministrazione centrale e le Ambasciate, sia i verbali degli incontri di carattere internazionale, sia i promemoria e gli studi predisposti dall’amministrazione centrale per preparare le decisioni e la posizione che il Governo italiano avrebbe assunto nelle riunioni internazionali, nonché i memoranda o le note verbali del Governo italiano ai Governi esteri ovvero quelli dei Governi esteri inviati al Governo italiano; inoltre, vengono pubblicati, in appendice, i verbali delle riunioni delle conferenze internazionali, a cui hanno partecipato i rappresentanti del Governo italiano, secondo il testo del verbale ufficiale, quando disponibile, oppure in quello degli appunti stilati da funzionari del Ministero degli Affari Esteri presenti alle riunioni stesse. Si sono invece esclusi i memoranda dei Governi esteri depositati nelle conferenze internazionali. La selezione è stata condotta privilegiando i documenti che consentono di ricostruire l’evoluzione della politica italiana; i rapporti e telegrammi che illustrano la posizione dei Governi esteri sono stati inclusi quando risulta che tali posizioni hanno influenzato la politica italiana.

In tutto il periodo considerato nel volume il Governo italiano fu presieduto dal democristiano Mario Scelba, che aveva assunto le funzioni il 10 febbraio 1954 e avrebbe rassegnato le dimissioni il 22 giugno 1955. Ministro degli Affari Esteri fu il democristiano Attilio Piccioni, fino al 19 settembre 1954; quindi, dopo le dimissioni di Piccioni, il liberale Gaetano Martino. Il Segretario Generale del Ministero era l’Ambasciatore Vittorio Zoppi, dal 1° giugno 1948, al quale il 6 dicembre 1954 successe l’Ambasciatore Alberto Rossi Longhi. Il funzionario competente per la politica europea era, ancora, fino al 1° dicembre 1954, l’Ambasciatore Massimo Magistrati, Direttore Generale della Cooperazione Internazionale, quindi Direttore Generale degli Affari Politici, incarico nel quale succedette all’Ambasciatore Giulio Del Balzo. Il 4 marzo 1955 le competenze della Direzione Generale per la Cooperazione Internazionale furono trasferite all’Ufficio Cooperazione Internazionale istituito presso la Direzione Generale degli Affari Politici, quindi sempre alle dipendenze di Magistrati.

2.1. Le reazioni al fallimento della CED

La fase immediatamente successiva alla notizia della decisione dell’Assemblea Nazionale francese è caratterizzata dall’elaborazione di una proposta italiana per risolvere la situazione derivante dal fallimento della CED. La posizione del Governo venne esposta nelle istruzioni inviate da Piccioni alle Ambasciate a Parigi, Washington, Londra, Bruxelles, Bonn, L’Aja, alla Legazione a Lussemburgo e alla Rappresentanza presso il Consiglio Atlantico a Parigi, il 2 settembre 1954 (D. 6)1, a seguito della prima indicazione ufficiosa circa le intenzioni del Governo britannico di convocare una conferenza a otto. Il Ministro degli Esteri dichiarava che l’Italia era favorevole alla «restituzione [della] sovranità alla Germania» e, per risolvere tale problema, escludeva sia l’ipotesi di una CED a cinque, senza quindi la Francia, sia quella dell’associazione della Germania in una «piccola NATO», costituita dai sei paesi della CED «con o senza l’Inghilterra», e quindi proponeva l’inserimento della Germania nella NATO a parità di condizioni.

La proposta ufficiale della conferenza venne presentata il 6 settembre, in un colloquio con Piccioni, dall’incaricato d’affari del Regno Unito, Ross, non senza rilevare con rincrescimento che la stampa italiana aveva annunciato il contenuto del passo prima ancora che venisse effettuato (D. 30). Il rappresentante britannico rilevò anche che «attraverso la riunione degli otto si terrebbe conto della legittima aspirazione dei Paesi che hanno ratificato la CED o erano in procinto di ratificarla», includendo quindi anche l’Italia, che non aveva ratificato la convenzione, ma aveva iniziato il processo di approvazione; agli otto paesi il Governo britannico proponeva peraltro di aggiungere anche il Canada, che aveva forze militari dislocate in Germania, portando quindi la conferenza a nove partecipanti.

La posizione italiana era favorevole alla proposta inglese per varie ragioni. Anzitutto, la riunione di una conferenza a Londra (divenuta nel frattempo a nove) era preferibile rispetto a una discussione del problema in seno al Consiglio Atlantico, al quale non avrebbe potuto partecipare il Governo tedesco, come rilevavano le istruzioni inviate da Piccioni il 5 settembre alle Ambasciate e Legazioni (D. 27); inoltre Il contenuto delle istruzioni venne comunicato il 4 settembre da Magistrati alle Ambasciate ad Ankara, Atene, Mosca, Ottawa, alle Legazioni a Copenaghen, Lisbona, Oslo (D. 24). assicurava un ruolo all’Italia. Tuttavia appariva evidente che la decisione negativa francese dava al Governo britannico, rimasto estraneo alla CED, la possibilità di riprendere in mano l’iniziativa «per approfondire la propria leadership europea» e faceva sì che divenisse possibile una convergenza franco-britannica sull’associazione della Germania alla NATO «i cui limiti siano stabiliti in una alleanza a sette (i sei della CED pil’Inghilterra) nella quale i partecipanti stabiliscano un controllo sugli armamenti ecc. ovvero che il controllo sui limiti del riarmo tedesco sia rimesso allo Standing Group, nel caso di ammissione della Germania al NATO»; inoltre, era essenziale per l’Italia «di non abbandonare del tutto la carta europeistica, anche in considerazione del fatto che è proprio in qualità di membri della Comunità a sei che siamo invitati, a preferenza di altri, a discutere il problema dell’utilizzazione del fattore tedesco nel sistema difensivo occidentale» (D. 31). Pertanto, accanto alla soluzione del problema tedesco, l’Italia avrebbe dovuto non trascurare l’obiettivo di «perseguire attivamente la politica europeistica. La linea direttiva italiana è stata infatti di cercare di inserire il fattore italiano in un circuito politico, militare ed economico piampio di quello che sarebbe stato consentito da una serie anche vasta di accordi bilaterali». Tale obiettivo mirava infatti alla soluzione di un problema di ordine diverso da quello della sicurezza: «quello di creare un nucleo politico economico e militare che permettesse di affrontare la soluzione dei problemi militari politici ed economici su di una base piampia di quella strettamente nazionale, dando così respiro anche al problema sociale italiano. Il raggiungimento di una intima integrazione fra i Sei Paesi avrebbe certamente avuto benefiche influenze anche sul gravoso problema della politica interna italiana, quello del comunismo» (D. 35). In questo quadro, Magistrati formulava la proposta di una soluzione diversa da quella dell’inserimento della Germania nella NATO, quella di un allargamento del Patto di Bruxelles, mediante l’accessione della Germania e dell’Italia: «A tale proposito», egli scriveva a Piccioni, «occorre tenere presente come una posizione mediana – e tale da “salvare il salvabile” in tema di europeismo – potrebbe essere costituita da una “alleanza a sette” tra gli antichi sei Paesi CED e l’Inghilterra: in altre parole un allargamento del Patto di Bruxelles all’Italia e alla Germania con una maggiore e diretta “compromissione” del Regno Unito con l’Europa occidentale» (D. 39).

Un ulteriore punto elaborato nella preparazione alla conferenza a nove fu la questione dei limiti alla produzione bellica della Germania, a proposito della quale il capo della rappresentanza italiana presso il Consiglio Atlantico, Alessandrini, esaminava la proposta francese sulla creazione di un «pool degli armamenti», «la istituzione di una specie di Commissariato Europeo della Produzione bellica, largamente ispirato all’Alta Autorità della CECA» (D. 40).

Infine, una chiara indicazione circa le intenzioni del Governo britannico venne fornita nel corso di un colloquio fra il Ministro della Difesa, Taviani, e Eden, a Londra, il 9 settembre, nel corso del quale il Ministro britannico spiegche, «se alla fine, malgrado le assicurazioni e le garanzie loro offerte o l’opera di convinzione esercitata i francesi dimostrassero di non voler accettare una soluzione accolta dagli altri 13 e da questi ritenuta accettabile anche per la Francia», la Gran Bretagna era «fermamente decisa a procedere oltre insieme agli Stati Uniti» (DD. 41, 46, Allegato, 55 e 56). Il colloquio fra Taviani e Eden fu al centro di una riunione ministeriale, svoltasi il 10 settembre, nel corso della quale il Prof. Toscano propose di cercare di ottenere un impegno «a data fissa» per rimettere in moto il processo europeistico, in particolare «un piano di riarmo quinquennale della Germania: se allo scadere del quinquennio non vi fosse una ripresa del processo di integrazione europea, dovrebbero cadere i controlli stabiliti sulla Germania. Sarebbe questo un metodo efficace di pressione sulla Francia

per indurre a riprendere il suo posto nella politica europeistica» (D. 50).

In questo quadro si inserì la dichiarazione del Governo americano, in occasione del consiglio NATO del 7 settembre, secondo la quale «il Governo degli Stati Uniti chiede formalmente una riunione del Consiglio Atlantico, a livello Ministri, per esame situazione derivante dal rifiuto dell’Assemblea francese di ratificare la CED, in qualsiasi luogo ed a qualsiasi data dopo il primo ottobre prossimo. Il Governo degli Stati Uniti chiede inoltre che, dopo determinazione località e data, sia fatto al pipresto un annunzio ufficiale relativo alla riunione stessa. Nessuna previa agenda» (D. 33). Alla dichiarazione americana Piccioni diede istruzioni di rispondere che l’Italia era favorevole a una «riunione del Consiglio Atlantico, a livello Ministri, per esame situazione derivante da mancata ratifica CED», che si poteva svolgere in ottobre in una capitale diversa da quelle dei paesi firmatari del trattato CED, proponendo Ottawa (D. 37).

2.2. Le reazioni degli Stati Uniti: la «agonizing reappraisal»

Sin dalla fine del 1953 il Governo americano aveva manifestato la propria preoccupazione per la lentezza e per gli ostacoli che l’attuazione della soluzione del problema tedesco attraverso la CED andava manifestando. Il 14 dicembre 1953, alla riunione del Consiglio Atlantico, il segretario Foster Dulles aveva indicato la profonda insoddisfazione del Congresso per il ritardo nell’entrata in vigore del trattato e aveva anticipato che se la CED non fosse divenuta effettiva, se la Francia e la Germania fossero rimaste separate, in modo tale che avrebbero potuto nuovamente essere potenziali nemiche, in tal caso vi sarebbe stato un grave dubbio che l’Europa avrebbe potuto essere reso un luogo sicuro. Ciavrebbe reso inevitabile una «agonizing reappraisal» della politica fondamentale degli Stati Uniti(2).

Dopo la decisione dell’Assemblea Nazionale francese, che metteva la parola fine sulla soluzione della CED, il Congresso degli Stati Uniti e l’amministrazione Eisenhower effettuarono la prevista «penosa rivalutazione» della loro politica, il che riguardanche l’Italia, in quanto non aveva ratificato il trattato istitutivo della CED. La principale conseguenza fu rappresentata dall’Emendamento Richards al Mutual Aid Act del 1954, introdotto nell’atto come sezione 105 (b) 2, che autorizzava gli aiuti solo ai paesi che avevano ratificato il trattato istitutivo della CED(3). Pertanto, come

2 Dichiarazioni del Segretario di Stato al Consiglio del Nord Atlantico, Parigi, 14 dicembre 1953, FRUS, 1952-1954, Western European Security, vol. V, Part. I, p. 463.

3 Il testo dell’emendamento affermava: «In order to promote an integrated defense of the North Atlantic area and to support concrete measures for political federation, military integration, and economic unification in Europe, equipment and materials of the value programed for fiscal years 1954 and 1955 for nations signing the treaty constituting the European Defense Community shall, pending the coming into force of the treaty, be delivered only to such of these nations as have ratified the treaty, and have joined together in or are developing collective defense programs in a manner satisfactory to the United States as determined by the President»: vedi Handbook of Mutual Security Legislation and Related Documents (With Explanatory Notes, Index and Cross References), December 1954, Printed for the use of the ForeignOperations Administration, p. 5.

spiegl’Ambasciatore italiano a Washington, Tarchiani, si pose il problema di portare a conclusione la ratifica, quando ormai era palesemente inutile, oppure di individuare un’iniziativa che potesse costituire un «surrogato, il pivicino possibile, a quell’impegno di solidarietà europea da parte del Parlamento italiano che la ratifica della CED

avrebbe costituito» (D. 57). Secondo l’Ambasciatrice Signora Luce, l’Italia avrebbe dovuto, quanto meno, mostrare di aderire ai concetti del trattato CED con una dichiarazione solenne del Parlamento (D. 70).

Negli Stati Uniti le ripercussioni negative del fallimento della CED proseguirono anche durante la prima fase delle proposte Eden. L’idea di un ingresso della Germania nel Patto di Bruxelles diede, infatti, agli ambienti del Congresso l’impressione di essere un «escamotage» per ritardare il riarmo della Germania (D. 70). Le difficoltà conseguenti all’emendamento Richards vennero illustrate dall’Ambasciatrice Luce in un incontro con Piccioni il 16 settembre (D. 75). Il 23 settembre Martino fece sapere a Tarchiani che, nel corso del dibattito al Parlamento sull’approvazione del bilancio del Ministero, il Governo avrebbe proposto una mozione o un ordine del giorno atto a «soddisfare all’esigenza politica» del Congresso (D. 103).

2.3. La missione Eden

I tentativi di elaborare una proposta italiana giunsero sostanzialmente a una conclusione con le prime notizie sulla proposta britannica, che il Segretario agli Esteri britannico, Anthony Eden, avrebbe portato a conoscenza dei Governi europei.

Il 9 settembre l’incaricato d’affari britannico a Roma, Ross, comunical Capo di Gabinetto di Piccioni, Prato, il programma di Eden di un giro di visite nelle capitali europee, che lo avrebbe portato, dopo Bruxelles e Bonn, a Roma (D. 42). Il colloquio fra Piccioni e Eden ebbe luogo il 14 settembre a Villa Madama (D. 63) e ad esso seguì il colloquio al Viminale con il Presidente Scelba (D. 64). Da parte italiana, come comunicPiccioni nelle istruzioni alle Ambasciate e Legazioni del 15 settembre, venne data «adesione di massima» alle idee di Eden, sottolineando l’esigenza di un «ingresso simultaneo della Germania nel Trattato di Bruxelles ed in quello Nord Atlantico» (D. 66). Quindi, il 16 settembre, ebbe luogo il Consiglio Atlantico nel quale Eden espose i risultati del viaggio a Bruxelles, Bonn, Roma e Parigi. Secondo le dichiarazioni di Eden, oltre alla fine dell’occupazione militare in Germania e all’avvio di una «contribuzione militare tedesca alla difesa dell’occidente (erroneamente definita riarmo tedesco), mediante l’inclusione della Germania nella NATO», senza alcuna discriminazione, l’unità europea non doveva «essere espressa solo militarmente, ma anche politicamente e psicologicamente»: a tale scopo il Governo inglese aveva proposto l’inclusione della Germania e dell’Italia nel Patto di Bruxelles (D. 73).

Il 18 settembre il Governo francese consegnun aide-mémoire nel quale poneva le proprie condizioni sulle modifiche che avrebbero dovuto essere apportate al Patto di Bruxelles in materia di limitazione e di controllo degli effettivi e degli armamenti: per quanto riguarda le limitazioni, i livelli fissati dalla NATO come minimi avrebbero dovuto essere considerati dal Patto di Bruxelles come livelli massimi che i membri si sarebbero dovuti impegnare a non oltrepassare (D. 82). L’Ambasciatore francese, Fouques-Duparc, spieginoltre a Scelba che il progetto contenuto nell’aide-mémoire avrebbe dovuto essere completato da ulteriori garanzie supplementari che il Governo tedesco occidentale avrebbe dovuto fornire. Con queste precisazioni, tuttavia, Duparc confermava che il Governo francese sarebbe stato favorevole all’ingresso della Germania nella NATO (DD. 81 e 88).

2.4. La Conferenza di Londra (28 settembre-3 ottobre 1954)

Il 20 settembre l’Ambasciatore del Regno Unito a Roma, Clarke, propose con una lettera a Martino – che aveva appena assunto la carica di Ministro degli Affari Esteri – una conferenza che si sarebbe dovuta aprire a Londra il 28 settembre per portare avanti le discussioni «sull’associazione della Germania all’Occidente e su una contribuzione tedesca alla difesa» (D. 90), proposta che Martino accettò con lettera del 22 settembre (D. 98).

La posizione che il Governo italiano intendeva assumere durante la conferenza è indicata dal colloquio fra Martino e l’Ambasciatore britannico Clarke del 23 settembre: il Ministro degli Affari Esteri dichiarinfatti di considerare, come il Regno Unito, che l’aide-mémoire francese potesse «costituire una base di discussione» e che l’Italia avrebbe collaborato con gli inglesi «perché la Conferenza abbia il successo da tutti auspicato»: «oltre alle sue disastrose ripercussioni in campo internazionale, un fallimento della Conferenza di Londra avrebbe anche serie e gravi conseguenze sulla situazione politica interna in Italia». Un problema particolare che il Governo italiano prevedeva che si sarebbe presentato riguardava la questione delle «discriminazioni»: il memorandum francese, infatti, pur non prevedendo formalmente discriminazioni a danno di un particolare paese, tuttavia parlava di «zone esposte», intendendosi con tale espressione senza dubbio la Germania, ma forse anche l’Italia (D. 102).

La posizione di Martino riguardo al problema tedesco, inoltre, risulta dal colloquio fra il Ministro degli Affari Esteri e l’Ambasciatore tedesco von Brentano, del 24 settembre: in tale occasione, Martino dichiarche era «interesse dell’Occidente rafforzare la posizione di Adenauer» e che era «particolarmente importante di escogitare una formula che non dia l’impressione che vengano adottati criteri di discriminazione nei confronti della Germania» (D. 109).

Martino ebbe una serie di colloqui a Londra nel pomeriggio del 27 settembre con Mendès France (D. 120), Eden (D. 123), Dulles (D. 124) e Pearson (D. 125) e il 28 mattina con Adenauer, prima dell’apertura della conferenza (D. 126). Dal 28 settembre al 3 ottobre si svolse quindi la conferenza dei Nove, a Lancaster House. Si pubblicano sia i telegrammi in cui Martino riassunse lo sviluppo dei negoziati (DD. 127, 130, 132, 134, 135), sia i resoconti delle sedute (Appendice II). Questi ultimi consistono nei due verbali ufficiali delle due prime sedute, il 28 settembre (prima seduta antimeridiana e seconda seduta pomeridiana); venne quindi deciso di non tenere un verbale ufficiale per le successive sedute, per le quali si pubblicano gli appunti redatti dalla delegazione italiana, in parte in forma dattiloscritta sulla base delle annotazioni manoscritte, e in parte invece rimasti in forma di annotazioni manoscritte, di conseguenza a volte di non agevole interpretazione. Non si pubblicano i documenti presentati dalle varie delegazioni nel corso della conferenza. La conferenza si concluse con la firma di un Atto finale(4).

Final Act of the Nine-Power Conference Held in London Between the Twenty-Eighth of September and the Third of October, Nineteenth Hundred and Fifty-Four, in FRUS, 1952–1954, Western European Security, Volume V, Part 2, pp. 1345-1365.

Al termine della conferenza vennero redatti due appunti, uno da parte della Direzione generale della Cooperazione Internazionale e un secondo da Magistrati, nei quali veniva tracciato un bilancio dei risultati (DD. 137 e 138). Tali risultati, nelle considerazioni di Magistrati, si incentravano, soprattutto, nella valutazione che la conferenza aveva «segnato una tappa significativa, per non dire una vera pietra di partenza, di una indubbia evoluzione del significato, del contenuto e della forma della cooperazione tra i Paesi occidentali europei. La sostituzione del concetto «associativo» quale quello informatore del Trattato di Bruxelles, a quello «comunitario» dell’antico Trattato CED», aggiungeva il Direttore Generale della Cooperazione Internazionale, «è evidente ed indiscutibile, anche se i Paesi membri della nuova Organizzazione possano già intravedere forme di maggiore unità che non quelle classiche delle alleanze nell’antico senso della parola. L’Inghilterra, a tale proposito, ha già fatto un passo avanti nell’immaginare possibile un ritiro delle sue forze dall’Europa soltanto attraverso una dimostrazione della volontà “maggioritaria” dei suoi consociati. Ma evidentemente siamo non poco lontani da quelle forme di integrazione politica ed economica su base sopranazionale che formarono il punto di partenza e l’intendimento dei Trattati per la CECA e per la CED. Situazione, questa, che non impedirà perche si possano, con prudenza e con calma, studiare domani, in seno all’Organizzazione di Bruxelles, maggiori accorgimenti atti a consolidare un qualche processo integrativo dell’Europa». Inoltre, un appunto della Direzione Generale della Cooperazione Internazionale sintetizza il resoconto dello stesso Ministro, il quale sottolineava due elementi di particolare importanza della conferenza: l’impegno assunto dalla Gran Bretagna di mantenere sul continente in tempo di pace le forze che vi si trovavano in quel momento, e cioè quattro divisioni e un grande reparto aereo, e l’impegno assunto dalla Germania di non fabbricare sul proprio territorio armi atomiche, biologiche e chimiche nonché altre armi principali (D. 140). Dal 7 al 19 ottobre 1954 si svolsero quindi le sedute del «Gruppo di lavoro» (WG) di Londra della Commissione permanente del Trattato di Bruxelles, per la preparazione del Protocollo di modifica del Patto di Bruxelles e quelle della Commissione di Parigi per le questioni relative alla NATO. Anche dei lavori del Gruppo di Lavoro di Londra si pubblicano i verbali delle sedute e i documenti finali (Appendice II) nonché i telegrammi e i telespressi sullo svolgimento delle riunioni di Londra (DD. 148, 152, 155, 158, 163) e di Parigi (D. 164). Alla fine dei lavori un appunto della Direzione generale della Cooperazione Internazionale ne riassunse lo svolgimento (D. 161) e una riunione ministeriale, il 17 ottobre, esaminò i risultati dei due comitati (D. 162).

2.5. Le Conferenze di Parigi (20-23 ottobre 1954) Dal 20 al 23 ottobre si svolsero le sedute delle Conferenze di Parigi, la Conferenza dei Quattro sullo status della Germania (20-22 ottobre), la Conferenza dei Nove sull’adesione della Germania e dell’Italia al Patto di Bruxelles (21 ottobre) e la Conferenza straordinaria atlantica per l’invito rivolto alla Repubblica Federale tedesca (22 ottobre). Si pubblicano il testo dell’intervento di Martino alla conferenza, il 22 ottobre (D.167) e il telegramma di Martino a Scelba in cui sono riassunte le sedute della Conferenza dei Nove e del Consiglio Atlantico (DD. 168) nonché un appunto di Magistrati sui risultati della conferenza (D. 171).

Il 23 ottobre gli accordi di Parigi vennero firmati nella sala dell’orologio del Quai d’Orsay(5). Dopo la cerimonia della firma, nella stessa sala, i Ministri degli Affari Esteri del Regno Unito, della Francia, del Belgio, dell’Olanda e del Lussemburgo firmarono la dichiarazione di invito all’Italia e alla Germania ad accedere al Patto di Bruxelles e ai protocolli. Lo stesso giorno, nel pomeriggio, i Ministri degli Affari Esteri dei quattordici membri della NATO si riunirono a Palais de Chaillot per la cerimonia della firma dell’atto di accessione della Germania al trattato dell’Atlantico del Nord (DD. 168 e 171).

Il 29 ottobre 1954 Martino presentalla Camera dei Deputati il disegno di legge per la ratifica e l’esecuzione degli Atti internazionali firmati a Parigi il 23 ottobre 19546. Il Ministro degli Affari Esteri sottolinela necessità, «dopo la mancata realizzazione della CED e il conseguente vuoto politico determinatosi nell’Europa Occidentale», di agire per porre fine a «quella che poteva essere interpretata come una specie di paralisi della Comunità occidentale». Inoltre, a dieci anni dalla fine della guerra, non era pipossibile «lasciare la Germania in uno stato di permanente inferiorità, costretta ad affidare la propria difesa ad eserciti stranieri». Quindi «si trattava, ancora una volta, di cercare di dare al problema tedesco una soluzione veramente europea, evitando in tal modo di provocare nell’Europa Occidentale una nuova e profonda crisi». La conclusione degli accordi aveva dimostrato la capacità dei Governi dell’Europa Occidentale di saper raggiungere una soluzione europea di profondo significato che rappresentava la «migliore soluzione possibile». Da un lato, infatti, l’esperienza degli ultimi anni aveva dimostrato che «senza l’attiva partecipazione dell’Inghilterra, non [era] possibile proseguire sulla strada dell’unificazione europea», e, dall’altro, che tale unificazione era realizzabile «soltanto attraverso un accordo tra Francia e Germania che, superando i reciproci, tradizionali antagonismi, crei e metta a beneficio dell’intera Europa, le premesse di una fattiva collaborazione». Pertanto gli accordi di Parigi, mentre assicuravano l’integrazione militare sul territorio della Repubblica Federale di Germania, lasciavano aperta la strada «per la politica di unificazione di tutta l’Europa Occidentale».

2.6. Gli incontri italo-francese di Roma (11-12 gennaio 1955) e italo-britannico di Londra (15-17 febbraio 1955)

Nel periodo successivo alla conferenza di Parigi si svolsero due importanti incontri: la visita a Roma di Mendès France e la visita a Londra di Scelba e di Martino. La preparazione dell’incontro italo-francese ebbe inizio ai primi di novembre 1954 (DD. 180, 185, 189, 191). Al centro dei colloqui dovevano essere i problemi riguardanti il funzionamento dell’organizzazione dell’Unione dell’Europa Occidentale e la questione dell’eventuale allargamento di essa alla Turchia e agli Stati scandinavi, gli accordi speciali fra Italia e Francia e la questione del «pool degli armamenti», cioè della

5 Treaty Between: Belgium, France, Luxembourg, The Netherlands and The United Kingdom of Great Britain and Northern Ireland. For Collaboration in Economic, Social and Cultural Matters and for Collective Self-Defence, Signed at Brussels, on 17 March 1948, UNTS, vol. 211, n. 304, pp. 342-387.

6 Atti Parlamentari, Camera dei Deputati, legislatura II, Documenti -Disegni di Legge e relazioni, seduta del 29 ottobre 1954, n. 1211.

standardizzazione della produzione degli armamenti nei paesi membri dell’UEO, che stava particolarmente a cuore alla Francia e sulla quale si decise di riunire una apposita conferenza a Parigi dal 17 gennaio 1955. Il 3 dicembre Martino invia Quaroni le istruzioni per la preparazione dei colloqui, sottolineando soprattutto l’importanza che avevano per l’Italia il Patto Atlantico e lo «stretto accordo» con gli Stati Uniti e, riguardo a questi due punti, la preoccupazione italiana che si intensificasse il sistema delle consultazioni e di evitare la possibilità che, con l’ingresso della Germania, si allargasse lo «Standing Group» dai tre paesi iniziali a quattro, con l’esclusione dell’Italia. Il Governo italiano inoltre intendeva discutere il tema dell’organizzazione dell’UEO e lo sviluppo del «contenuto europeistico dell’Unione», dato che l’interesse dell’Italia per

l’Unione era appunto in funzione di tale sviluppo (D. 209). Nel successivo colloquio

con Mendès France, Quaroni poté trovare senza troppe difficoltà un terreno comune sia sul «pool degli armamenti», sia sulla contrarietà ad ulteriori allargamenti dell’UEO (D. 218). Il 31 dicembre si svolse quindi una riunione interministeriale per la preparazione dell’incontro (D. 247). L’11 e il 12 gennaio 1955 ebbe quindi luogo l’incontro a Villa Madama fra Martino, Scelba e Mendès France (D. 260 e D. 263).

Il 1° novembre 1954 l’Ambasciatore britannico Clarke rivolse a Martino l’invito a recarsi in visitain Gran Bretagna alla fine di gennaio o all’inizio di febbraio (D. 178). La visita di Scelba e Martino a Londra si svolse quindi dal 15 al 17 febbraio 1955 (DD. 298, 299, 300 e 302). In relazione alle difficoltà di un’approvazione degli accordi di Parigi istitutivi dell’UEO da parte francese sia Churchill che Eden formularono l’ipotesi che, in attesa di un’approvazione francese, nel frattempo si sarebbe potuta attuare la soluzione transitoria di attuare gli accordi, procedendo all’organizzazione della comunità europea, lasciando una «sedia vuota» per la Francia.

Il 28 e 29 marzo 1955, inoltre, si svolse la visita di Scelba e Martino a Washington con l’incontro con Foster Dulles (D. 320).

2.7. La Commissione ad interim per l’organizzazione dell’Unione Europea Occidentale (28 ottobre-24 marzo 1955)

A partire dal 28-29 ottobre si svolsero a Londra le riunioni della «Commissione ad interim dell’Unione Europea Occidentale» («Interim Working Group» o IWG) fra i delegati delle sette potenze aderenti al Patto di Bruxelles per discutere le questioni relative all’organizzazione permanente della UEO (DD. 174 e 186). Il funzionario incaricato di partecipare alle riunioni fu l’incaricato d’affari a Londra, Theodoli. I problemi principali che vennero affrontati furono quello del possibile allargamento dell’UEO e quello dei rapporti fra la UEO e la NATO nonché le altre organizzazioni europee. Riguardo al primo problema Martino indicsin dalle istruzioni del 2 novembre la contrarietà dell’Italia ad incoraggiare l’ipotesi di un allargamento ai paesi scandinavi, che «diluirebbe, almeno in questa fase, [la] consistenza [dell’]attuale associazione e non favorirebbe auspicabili concreti sviluppi europeistici nei settori civili che ci interessano mentre accrescerebbe [il] peso [di] considerazioni politico-militari estranee a[l] settore geografico che pidirettamente ci riguarda», e, sia pur in minor misura, quella di un allargamento alla Turchia, piinteressante da un punto di vista militare, ma che non era da incoraggiare «anche per lasciarci maggiore libertà di manovra nei confronti Alleanza Balcanica» (D. 179). Per quanto riguarda gli aspetti organizzativi, le istruzioni di Martino furono inviate il 18 novembre (D. 193): il Governo italiano era favorevole, per la struttura del Consiglio dell’Unione, a designare, in un primo momento, un funzionario competente nell’ambito della missione diplomatica, mentre se successivamente l’Unione avesse presentato, come auspicato, «concrete possibilità di interessanti sviluppi in senso europeistico», il Governo italiano sarebbe stato favorevole a creare delle delegazioni permanenti distinte dalle missioni diplomatiche. Il Governo inoltre era favorevole ad «ogni possibile sviluppo dell’attività nei settori civili» e avrebbe esaminato da tal punto di vista «a suo tempo l’opportunità di sollecitare modificazioni nell’attuale struttura dei Comitati e nella loro attività»; per l’Assemblea il Governo era favorevole ad adottare il precedente della CECA, quindi un segretariato autonomo, ma utilizzando i servizi del Consiglio d’Europa.

Tab. 1: Comitato ad interim dell’Unione Europea Occidentale
Seduta Data Documento D.
1a seduta 28 ottobre 1954 T. 13908/346, Londra, 29 ottobre 1954; T. segreto 10423/219, Roma, 2 novembre 1954; Appunto DGCI, Ufficio I, Roma 8 novembre 1954. 174, 179 e 186
2a seduta 4 novembre 1954 Telespr. 4697/2408, Londra, 5 novembre 1954. 193, nota 3
3a seduta 22 novembre 1954 L. 5066, Theodoli a Magistrati, Londra, 26 novembre 1954. 201 (e istruzioni al 206)
4a seduta 2 dicembre 1954 Telespr. 5279/2686 , Londra, 9 dicembre 1954. 214
5a seduta 8 dicembre 1954 Telespr. 5279/2686 , Londra, 9 dicembre 1954. 214
6a seduta 13 dicembre 1954 T. s.n.d. 16291/383, Londra, 13 dicembre 1954. 224
Riunione dei Ministri degli Esteri dell’UEO 18 dicembre 1954 Appunto Magistrati del 20 dicembre 1954; L. 20/3023, Magistrati a Theodoli, Roma, 23 dicembre 1954. 231, 235
7a seduta 22 dicembre 1954 Telespr. 5566/2788, Londra, 23 dicembre 1954. 236
[8a seduta] 24 marzo 1955 Ritrasmissione di comunicazione da Londra sulla seduta del 24 marzo della Commissione ad interim. 317
[9a seduta] 2 maggio 1955 DPII, Ser. A, Rilancio, D. 20

Nelle riunioni della Comissione ad interim del 2 e dell’8 dicembre venne deciso sostanzialmente di mantenere la struttura esistente della Unione Occidentale: nella UEO non si sarebbe creato nessun organismo militare permanente, al di fuori dell’Agenzia per il controllo degli Armamenti; il Consiglio dell’Unione sarebbe stato costituito dai Ministri degli Esteri; per quanto riguarda l’organismo permanente non si sarebbe apportato nessun cambiamento rispetto al funzionamento della Unione Occidentale; anche riguardo ai compiti del Consiglio dell’UEO in campo sociale ed economico non vi sarebbe stata alcuna modifica rispetto al funzionamento dell’organizzazione del Trattato di Bruxelles. Anche per quanto riguardava i rapporti con l’OECE, con il Consiglio d’Europa e con la CECA tutto sarebbe proseguito come sino ad allora (D. 214). Dunque, le preoccupazioni di uno «svuotamento» del Consiglio d’Europa, espresse durante la XV sessione del suo Comitato dei Ministri (D. 234), risultarono infondate: il Consiglio dell’UEO fu subordinato alla NATO per quanto concerneva le competenze militari e non ne ebbe in materia economica. La prevista riunione dei Ministri dei sette membri del Consiglio dell’UEO, che doveva aver luogo a Parigi, il 18 dicembre, in occasione della XV riunione del Consiglio Atlantico (D. 231), si risolse in effetti in «una simpatica riunione conviviale», presso la Legazione del Lussemburgo e in «una vera e propria piccola conferenza», prive di contenuto politico.

2.8. Le riunioni del Gruppo di lavoro per il «pool degli armamenti» (17 gennaio-25 marzo 1955)

Su richiesta del Governo francese il Protocollo n. 4 degli accordi di Parigi prevedeva l’istituzione di un’«Agenzia dell’Unione dell’Europa Occidentale per il controllo degli armamenti» e venne deciso di convocare a Parigi, il 17 gennaio, un’apposita riunione di un «Gruppo di lavoro» sul c.d. «pool degli armamenti». In vista della riunione il Governo francese il 3 gennaio 1955 sottopose agli altri Governi un memorandum «sulla produzione e standardizzazione degli armamenti» (D. 252 e DD. 255 e 256). Il 15 gennaio Martino invia Parigi le proprie istruzioni in vista della riunione del 17, sulla base del contenuto dell’incontro italo-francese dell’11-12 gennaio (D. 267). Il Governo italiano era bensì favorevole a un’intesa sulla produzione degli armamenti in quanto da un punto di vista politico poteva promuovere obiettivi «europeistici», ma avanzava invece delle riserve esplicite in ordine alla possibilità che non venisse assicurata l’utilizzazione di manodopera italiana e alla eventuale mancanza di sviluppo industriale in territorio italiano nonché a qualsiasi riduzione degli aiuti americani.

Il 17, il 18 e il 21 gennaio 1955 (DD. 272, 274, 275, 279, 284 e 285), ebbero luogo, come previsto, le riunioni del «Gruppo di lavoro» nel corso delle quali la delegazione italiana presentil proprio memorandum, redatto secondo le linee indicate nelle istruzioni di Martino (D. 277). Dopo la presentazione del memorandum tedesco, che frapponeva varie obiezioni alle proposte francesi, le riunioni del Gruppo di lavoro vennero aggiornate. Martino invinuove istruzioni il 29 gennaio, nel senso di evitare che la conferenza entrasse in crisi e di far sì che continuasse comunque i propri lavori (D. 287). Ebbero quindi luogo le riunioni dal 31 gennaio al 3 febbraio (D. 294), durante le quali (il 2 febbraio) venne presentato e discusso il memorandum inglese, sostanzialmente sfavorevole alle tesi del memorandum francese e corrispondente alle considerazioni svolte da Erhard in quello tedesco. Il 16 marzo si svolse una nuova seduta del «Gruppo di lavoro», nella quale il rappresentante francese, prendendo atto delle posizioni espresse dagli altri delegati, dichiarche il Governo era pronto ad adottare una soluzione di compromesso basata sul memorandum inglese e venne quindi decisa la costituzione di un Comitato degli Aggiunti (o Sostituti), incaricato di studiare delle possibili forme di collaborazione (D. 313). La riunione dei Sostituti dei Capi delegazione si svolse, quindi, il 25 marzo (D. 321, nota 3).

3. Uffici del Ministero degli Affari Esteri

Nel periodo trattato nel volume, come si è detto, si alternano due Ministri degli Affari Esteri: Attilio Piccioni, fino al 19 settembre 1954, e Gaetano Martino, che avrebbe continuato a tenere il dicastero anche nel periodo successivo. A capo del Gabinetto del Ministro, era Eugenio Prato, sostituito da Bartolomeo Migone dal 7 marzo 1955. I Sottosegretari furono Francesco Maria Domined Lodovico Benvenuti e Vittorio Badini Confalonieri.

Nel periodo qui considerato il Ministero era strutturato, essenzialmente in base all’Ordinamento Sforza, così come modificato con i provvedimenti successivi, con una ripartizione «verticale» per materia anziché geografica. La struttura dell’amministrazione centrale del Ministero era, quindi, articolata in una Segreteria Generale, diretta dall’Ambasciatore Vittorio Zoppi e, dal 6 dicembre 1954, dall’Ambasciatore Alberto Rossi Longhi, in una Direzione Generale degli Affari Politici (DGAP), in una Direzione Generale degli Affari Economici (DGAE), in una Direzione Generale della Cooperazione Internazionale (DGCI) e in una Direzione Generale dell’Emigrazione (DGE). La DGCI, istituita con ordine di servizio

n. 5 del 29 febbraio 1952, diretta da Massimo Magistrati, era organizzata in tre uffici: un Ufficio I per la NATO, la CED e la CPE, diretto da Eugenio Plaja, un Ufficio II per gli Istituti Internazionali per la Cooperazione Economica (l’OECE)

e le questioni economiche e un Ufficio III per il Consiglio d’Europa e quindi competente per l’integrazione europea. Pertanto Magistrati fu il funzionario che coordinle trattative, delegate dal Ministro da un punto di vista politico, come si è detto, al Sottosegretario Benvenuti. Nel 1955, con ordine di servizio n. 8 del 4 marzo, la DGCI venne unificata con la DGAP e le competenze dell’Ufficio II della

DGCI (Istituti Internazionali per la Cooperazione Economica) furono trasferite

alla DGAE, mentre quelle dell’Ufficio I, per i rapporti politici multilaterali tra i Paesi aderenti al Patto Atlantico, all’UEO e al Consiglio d’Europa nonché per le Nazioni Unite, furono trasferite a un ufficio di nuova costituzione, l’Ufficio Cooperazione Internazionale, all’interno della DGAP, di cui Magistrati era divenuto Direttore Generale. Tale ufficio venne soppresso con l’ordine di servizio n. 10 del 31 maggio 1956, quando fu sostituito da due distinti uffici: l’Ufficio Cooperazione Europea, per la trattazione delle questioni relative all’UEO e al Consiglio d’Europa, e l’Ufficio NATO.

Per i dettagli dell’Amministrazione centrale e delle rappresentanze diplomatiche si rinvia all’Appendice I.

4. Fondi utilizzati Le ricerche sono state effettuate essenzialmente presso l’Archivio Storico del Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale.

Fonte principale è l’archivio della DGCI, Ufficio I, poi Ufficio Cooperazione Internazionale, competente per materia, pervenuto attraverso i versamenti degli uffici che ne hanno acquisito successivamente le competenze: Ufficio I (versamento 1952-1954), e, dal 1967, Ufficio IV(versamento CED, 1950-1954) e Ufficio V(UEO, 1946-1960) della DGAP. Oggetto di consultazione e ricognizioni sono stati anche gli altri fondi potenzialmente utili che hanno permesso di integrare il materiale rinvenuto nel fondo citato: Raccolta dei telegrammi della Cifra, Gabinetto del Ministro, DGAP e Rappresentanze diplomatiche.

Le ricerche sono state integrate con la documentazione depositata negli Archivi Storici dell’Unione Europea, ASUE, presso l’Istituto Universitario Europeo di Firenze, consultabile digitalmente, con particolare riguardo per il fondo Conseil spécial de ministres de la CECA, 1952-1967. Le ricerche hanno anche interessato la documentazione consultabile on-line dei NATO archives e il fondo digitalizzato Gaetano Martino dell’Archivio Storico del Senato.

La presenza dell’archivio dell’ufficio ‘capofila’, DGCI, Ufficio I, ha favorito il reperimento di documentazione particolarmente ricca e significativa, attestata abbondantemente in tutte le sue tipologie (appunti e verbali, rapporti, lettere, telegrammi) e a tutti i livelli di interlocuzione (Ministro degli Esteri, Sottosegretari, Segretario Generale, Ambasciatori e Direttori Generali).

Nell’Appendice II sono stati pubblicati i verbali e l’atto finale della Conferenza delle Nove Potenze a Londra (28 settembre-3 ottobre 1954) e i verbali e il rapporto finale del Gruppo di lavoro di Londra (7-19 ottobre 1954). Per quel che concerne la Conferenza dei Nove, occorre tener presente che si procedette alla verbalizzazione ufficiale soltanto delle prime due sedute; all’apertura del terzo incontro si ritenne piopportuno astenersene per facilitare il proseguimento di una franca discussione (Appendice II, Conferenza dei Nove, D. 3). Per le sedute successive, sono stati pertanto pubblicati i verbali e gli appunti redatti verosimilmente dalla Delegazione italiana ad uso interno.

I fondi consultati sono stati pertanto i seguenti:

A. Uffici centrali:

- - - - - - - -

B. Rappresentanze diplomatiche:

- - - -

Firenze, Istituto Universitario Europeo, Archivi Storici dell’Unione Europea

(ASUE):

A) Istituzioni europee:

- CM1 CECA, Conseil spécial de ministres de la CECA, 1952-1957.

5. Riconoscimenti

Il volume che presentiamo è stato realizzato dalla Direzione Generale per la Diplomazia Pubblica e Culturale, diretta dall’Ambasciatore Pasquale Terracciano, ed in particolare dall’Unità di Analisi, Programmazione, Statistica e Documentazione Storica, condotta dalla Consigliera Giuliana Del Papa, coadiuvata dal Dott. Lorenzo Vai, responsabile del coordinamento del settore storico-diplomatico. Esso completa la pubblicazione dei documenti relativi all’integrazione europea nel periodo dal luglio 1953 alla firma dei trattati di Roma del 25 marzo 1957, dunque in tutta la fase decisiva dell’edificazione della struttura politica europea. La decisione del Ministero di dare avvio alla pubblicazione della collana tematica ha reso possibile rendere disponibile agli studiosi una documentazione fondamentale per la ricostruzione di un capitolo essenziale della storia europea.

La preparazione del volume è stata realizzata dalle archiviste di Stato Dott.ssa Rita Luisa De Palma, capo della Sezione Pubblicazione Documenti Diplomatici, e Dott.ssa Ersilia Fabbricatore, le quali hanno effettuato le ricerche in archivio, la selezione dei documenti, la collazione dei testi, la redazione delle intestazioni e delle note critiche e le ricerche storiche e bibliografiche necessarie. Al lavoro di preparazione ha collaborato anche la Sig.ra Andreina Marcocci. Ha inoltre offerto un prezioso contribuito alle trascrizioni dei documenti la signora Alessandra Morelli. Le dott.sse De Palma e Fabbricatore hanno altresì redatto i regesti dei documenti, la descrizione dei fondi utilizzati e degli uffici del Ministero e hanno dato un contributo essenziale alla redazione dell’introduzione. Come negli altri volumi della collana, la loro competenza, la straordinaria dedizione e la passione sono state un elemento indispensabile per poter portare a termine la pubblicazione in un difficile periodo, fra l’agosto 2020 e l’ottobre 2021.

Si ringraziano inoltre il MEF, Dipartimento dell’Amministrazione Generale, del Personale e dei Servizi, e l’Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato, in persona del Dott. Luca Fornara, del Dott. Francesco Greco e della Sig.ra Ersilia Santi Amantini per l’allestimento e la stampa del volume, con la consueta cura e perfezione tecnica.

I curatori hanno l’esclusiva responsabilità dell’impostazione del volume, della scelta dei documenti pubblicati e dei criteri dell’edizione, nonché della redazione dell’apparato critico e dell’Avvertenza. Le ricerche e la scelta del materiale sono state effettuate con criteri esclusivamente scientifici da parte dei curatori e con assoluta indipendenza.

Prof. Francesco Lefebvre D’Ovidio Prof. Antonio Varsori


DOCUMENTI
1

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI AFFARI ESTERI, ZOPPI, ALL’AMBASCIATA A BONN(1)

T. s.n.d. 8151/115. Roma, 1° settembre 1954, ore 23. Ansa ha diramato ieri comunicazione ufficiosa(2) che riassume nostro pensiero in conseguenza decisione Parlamento francese. Pregola darne visione a codesta Cancelleria chiedendo nel contempo se essa concorda in tale nostra valutazione. Interesserebbe con l’occasione conoscere ogni possibile dettaglio circa presa di posizione di codesto Governo, e in particolare se, nel pensiero del Cancelliere, restituzione sovranità alla Germania e sua partecipazione difesa occidentale (ossia riarmo), siano concepite come atti simultanei o se sia contemplata una certa progressività sia pure entro breve spazio tempo(3).

1 Telegrammi segreti originali 1954, partenza, vol. I.

2 Vedi D. 3, allegato.

3 Babuscio Rizzo rispose con T. s.n.d. 11007/125 del 2 settembre (DGAP, Uff. IV, Versamento CED, 1950-1954, b. 28, fasc. 98) nei seguenti termini: «La posizione del Governo federale, fissata in linea di principio nei cinque punti diramati ieri sera, non si è delineata ancora nei suoi dettagli e particolarmente non è stato ancora definito l’atteggiamento nei confronti della contemporaneità o meno del ripristino della sovranità tedesca e del diritto al riarmo. Per ora la tendenza del Governo federale appare quella di richiedere il diritto al riarmo senza discriminazioni congiuntamente alla sovranità: ma non credo per o almeno non è ancora possibile affermare, che questa presa di posizione rimanga così rigida. Gli alti commissari americano e inglese trovansi appunto oggi a Blerhe per conoscere il definitivo atteggiamento tedesco su questi punti. Circa il ripristino della sovranità, dai contatti ad alto livello avuti oggi presso gli alleati, mi risulta che tanto gli inglesi che gli americani sarebbero orientati verso l’applicazione integrale degli accordi contrattuali di Bonn, stralciandovi soltanto le clausole riferentisi alla CED. È dubbio perche una tale soluzione venga accettata da Adenauer e una riserva infatti è già contenuta al punto quarto contemplante la revisione delle convenzioni sullo stazionamento delle truppe straniere sul territorio della Repubblica federale.

Per quanto concerne il problema del riarmo tedesco viene considerata decisiva la conferenza a otto proposta da Londra che trova pieno favore qui. […]».

2

L’AMBASCIATORE A BRUXELLES, GRAZZI, AL MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI(1)

T. s.n.d. 10954/163-164. Bruxelles, 1° settembre 1954, ore 19,55 (perv. ore 7,15 del 2).

Ho trovato Spaak molto montato contro i francesi ed anche per questo deciso a continuare l’azione italofila per mantenere per quanto possibile l’iniziativa nelle proprie mani. Egli mi prega sottoporre a V.E. le seguenti sue idee preliminari:

1) occorre evitare che Mendès-France giocando la carta inglese tenti di opporre la Gran Bretagna agli altri alleati;

2) è necessario respingere con ogni sforzo l’eventuale tentativo di discutere il problema tedesco al di fuori del Benelux e dell’Italia;

3) per l’integrazione politica ed economica dell’Europa occorrerebbe che il Benelux e l’Italia continuino a mantenerla, per quanto è possibile, viva proponendo il riesame collettivo della nuova situazione creatasi: la questione è grave ma non è urgente;

4) è invece urgente il riarmo tedesco anche per non scoraggiare la coscienza degli altri Paesi i quali già sostengono gravi spese militari nel presupposto finora proclamato che l’apporto tedesco sia indispensabile.

A tale riguardo la sua idea è di chiedere la convocazione della sessione della NATO o di proporre un termine (eventualmente 3 mesi) in cui la Francia dovrebbe scegliere o la formulazione addolcita della CED oppure il riarmo tedesco controllato con immediata ammissione della Germania nella NATO. Spaak esclude che si possa accettare una CED senza un qualche elemento di supernazionalità e quindi non conta su eventuale partecipazione in essa dell’Inghilterra; ma esclude d’altra parte un’alleanza continentale di cui gli inglesi potrebbero far parte, non vede la necessità di far in seno alleanza atlantica distinzioni che non avrebbero contropartita utile.

Il Ministro prega fargli conoscere le prime reazioni del Governo italiano a tali idee, osservando che è urgente battere in velocità un’eventuale azione francese. Pregasi telegrafare(2).

Circa gli altri punti del colloquio riferisco per corriere(3).

1 DGAP, Uff. IV, Versamento CED, 1950-1954, b. 28, fasc. 98. 2 Per la risposta vedi D. 8. 3 Vedi D. 11.

3

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI AFFARI ESTERI, ZOPPI, ALLE AMBASCIATE(1)

Telespr. urgente 21/22302. Roma, 1° settembre 1954.

Oggetto: Posizione dell’Italia di fronte al rigetto francese della CED.

Si trasmette, qui, unito, il testo del documento ufficioso diffuso, per orientamento sopratutto dell’opinione pubblica interna, sulla posizione del Governo italiano all’indomani del voto francese contro la CED: indissolubilità del problema della sicurezza e della pace da quello del rafforzamento della politica atlantica attraverso la consolidazione di un sistema occidentale europeo che veda la Germania inserita a parità di diritti e di doveri.

Ad analoghe considerazioni sono stati intonati i colloqui avuti con i rappresentanti diplomatici e ad esse anche V.E. potrà uniformare il Suo linguaggio cogliendo l’occasione per chiarire il nostro atteggiamento nella presente situazione e chiedere se la valutazione da noi fatta della situazione stessa concordi o meno con quella di codesto Governo.

L’E.V. vorrà al tempo stesso esprimere la nostra opinione secondo cui ogni eventuale riunione di conferenza dovrebbe essere preceduta da un congruo esame per normale via diplomatica del problema di cui trattasi, anche per assicurare a tale problema le maggiori possibilità di favorevole soluzione.

Allegato

Comunicato. [Roma, 31 agosto 1954].

Nei circoli responsabili romani la decisione del Parlamento francese di respingere la CED è oggetto di considerazione seria. Tale decisione annulla infatti gli sforzi che erano stati compiuti in questi anni per dar vita, attraverso la Comunità Difensiva, ad una organizzazione ed integrazione militare e politica dell’Europa, e che avevano condotto alla stipulazione del Trattato di Parigi.

Negli stessi circoli si considera che tale fatto, pur per sé stesso grave, debba tuttavia venire circoscritto entro i suoi limiti effettivi onde meglio definirne la portata e trarne le conseguenze per l’azione da svolgere.

Una prima constatazione s’impone. La crisi aperta dal voto del Parlamento francese non è la crisi dell’atlantismo – come l’opposizione, coerentemente tenace nel perseguire i suoi fini, vorrebbe far credere. È anzi di tutta evidenza che, venendo a mancare, almeno per ora, quelle particolari forme di associazione che la CED aveva previsto, si rafforzi l’esigenza di un pistretto ed operante collegamento atlantico.

E non è neppure la crisi dell’europeismo se non nella misura in cui questo viene ora a subire una sosta nel suo storico e necessario sviluppo come conseguenza della caduta di una delle formule attraverso le quali era stato avviato.

Per quanto riguarda l’atteggiamento italiano, si puritenere per certo che i principi che hanno guidato l’azione governativa in tutti questi anni e che trovano la loro salda base nell’Alleanza atlantica, non saranno in alcun modo abbandonati. Essi sono stati riaffermati anche nella dichiarazione comune concordata fra i sei a Bruxelles. Negli ambienti responsabili si esprime la persuasione che questa dichiarazione offra tuttora la base per una azione intesa ad esplorare realisticamente in unione con gli altri alleati, le possibilità attuali di realizzare concretamente le enunciazioni in essa contenute: rafforzare la cooperazione europea per proteggere l’Europa occidentale contro le forze che la minacciano; evitare ogni neutralizzazione della Germania; contribuire alla unificazione di questa e alla sua partecipazione alla difesa comune; prefigurare una formula politica ed economica dell’integrazione occidentale.

In sostanza si condivide l’avviso che il problema della sicurezza e della pace resta il problema centrale dell’Europa libera e che la migliore via per risolverlo è quella che conduce ad assicurare la presenza di una Germania democratica *inserita*3 in condizioni di parità in un efficiente sistema occidentale.

Si puanche aggiungere che scambi di idee per le normali vie diplomatiche, già in corso, verranno certamente intensificati nei prossimi giorni.

1 DGAP, Uff. IV, Versamento CED, 1950-1954, b. 28, fasc. 98. 2 Indirizzato alle Ambasciate a Bonn, Bruxelles, L’Aja, Londra, Parigi e Washington. 3 Correzione manoscritta, sovrascritta su «integrata».

4

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI AFFARI ESTERI, ZOPPI, AL MINISTRO DEGLI AFFARI ESTERI, PICCIONI(1)

Appunto. Roma, 1° settembre 1954.

L’Ambasciatore di Olanda mi ha comunicato per incarico del suo Governo il punto di vista olandese in merito ai prossimi sviluppi della questione derivante dalla caduta della CED:

1) Il Governo olandese, che non è firmatario degli Accordi di Bonn, considera che è compito dei Governi francese, americano e britannico decidere di restituire la sovranità alla Germania. Tuttavia poiché gli accordi di Bonn collegavano la restituzione della sovranità alla Germania con l’entrata in vigore del Trattato CED, il Governo olandese ritiene che gli altri Paesi firmatari della CED debbano venire tenuti al corrente delle discussioni che si apriranno al riguardo fra Parigi, Londra e Washington e non esserne informati a decisioni raggiunte.

2) Poiché il riarmo della Germania era stato contemplato nel quadro della CED, il Governo olandese ritiene che tutti i Paesi firmatari del Trattato della CED, compresa la Germania, debbano discutere insieme il problema del riarmo tedesco. Il Governo olandese ritiene pertanto che una conferenza a otto potrebbe essere riunita a questo scopo dopo una congrua preparazione per via diplomatica.

Ho chiesto al Signor Boon se a parte queste questioni procedurali il suo Governo fosse favorevole sostanzialmente al ripristino della sovranità tedesca e al riarmo della Germania: mi ha risposto affermativamente.

Gli ho poi chiesto se riteneva che la Germania avrebbe acconsentito a scindere le due questioni: riacquisto della sovranità e riacquisto del diritto al riarmo, accettando una soluzione di esse in due tempi diversi e successivi. Mi ha risposto che il suo Governo propende a credere che la Germania accetterebbe e ciin quanto una volta riacquistata la sovranità, la Germania avrebbe il diritto di chiedere che qualsiasi discussione sul problema del suo riarmo venisse condotta con la sua partecipazione a parità di diritti e con facoltà per essa di non sottostare in materia ad alcuna imposizione ma di avere la libertà di accettare o meno quanto venisse da altri proposto.

DGAP, Uff. IV, Versamento CED, 1950-1954, b. 28, fasc. 98.

5

IL DIRETTORE GENERALE DEGLI AFFARI POLITICI, DEL BALZO, AL DIRETTORE GENERALE DELLA COOPERAZIONE INTERNAZIONALE, MAGISTRATI(1)

Appunto segreto(2). Roma, 1° settembre 1954.

L’Incaricato d’Affari di Francia, Sebilleau, è venuto stamane a vedermi. Egli mi ha informato di aver ricevuto un telegramma circolare a firma di Mendès-France con il quale si invitano le Rappresentanze presso i Governi atlantici a sottolineare i seguenti due punti, in relazione al voto avutosi nei giorni scorsi al Parlamento francese sulla CED:

1) La grande maggioranza dell’Assemblea (esclusi beninteso i comunisti) si è dimostrata favorevole al Patto Atlantico;

2) il Governo francese ha confermato l’intendimento di ricercare i mezzi idonei ad assicurare la collaborazione della Germania alla difesa dall’Occidente, con determinate salvaguardie.

Nel farmi la comunicazione prescrittagli, Sebilleau ha francamente riconosciuto che non gli riesce chiaro che cosa abbia in mente l’attuale Governo francese quando parla di «salvaguardie».

1 DGAP, Uff. IV, Versamento CED, 1950-1954, b. 28, fasc. 98. 2 Sottoscrizione autografa.

6

IL MINISTRO DEGLI AFFARI ESTERI, PICCIONI, AD AMBASCIATE, RAPPRESENTANZE E LEGAZIONI(1)

T. s.n.d. 8181-8182/c.2. Roma, 2 settembre 1954, ore 18,15.

Governo Italiano ha appreso con soddisfazione prime notizie ufficiose secondo le quali Governo britannico si orienterebbe verso convocazione a Londra di una Conferenza a Otto per esame problemi conseguenti al voto dell’Assemblea Nazionale francese sulla CED.

Saremmo del parere che Conferenza venisse preceduta da un congruo scambio di idee per via diplomatica su essenza del problema che Conferenza dovrà discutere.

A tale riguardo riteniamo poter precisare come segue nostro punto di vista:

1) Governo italiano, come aveva già avuto occasione far conoscere nelle more ratifica CED, è favorevole restituzione sovranità alla Germania. Trattasi di una decisione che, specie nella fase attuale, deve essere presa direttamente dalle Tre Potenze occupanti.

2) Nella questione del riarmo, che dovrebbe formare oggetto principale Conferenza a Otto, sono concepibili – una volta messa da parte la formula che consideravamo la pisoddisfacente (CED) – altre possibilità come accennato da piparti a Bruxelles dallo stesso Mendès-France.

Fra queste riteniamo vada esclusa, nella situazione attuale, l’ipotesi di una CED a Cinque in quanto il Governo italiano considera che un organismo mirante alla difesa dell’Europa occidentale è altrettanto inconcepibile senza la Francia come senza la Germania.

Anche l’ipotesi di una associazione indiretta della Germania al Patto Atlantico attraverso una piccola NATO con quello collegato e costituita dai sei paesi CED con o senza Inghilterra ci sembra sia da scartare.

Almeno a prima vista appare quindi al Governo italiano piconveniente esplorare ed approfondire possibilità di inserimento della Germania nel NATO a parità condizioni, ma secondo modalità accettabili anche ai francesi. Secondo noi sia nel campo armamenti, sia nel campo effettivi, non (dico non) dovrebbe essere impossibile, eventualmente ricorrendo a risultati studi già compiuti per Trattato CED e a sistema pianificazione NATO, trovare formule adeguate.

3) Ci domandiamo poi se non converrebbe che, nel farsi promotore Conferenza, Governo britannico si facesse confermare da tutti partecipanti impegno astenersi, anche dopo restituzione sovranità alla Germania, da tentativi dialogo Est-Ovest sino a quando non si siagiunti ad Accordo su problema partecipazione tedesca difesa Occidente. È infatti evidente che in un momento di debolezza ed apparente disorientamento nel campo Occidentale simili tentativi potrebbero avere gravi conseguenze sulla coesione del mondo libero.

Gradiremmo conoscere telegraficamente sui punti esposti espressioni codesto Governo(3).

1 Telegrammi segreti originali 1954, partenza, vol. I.

2 Indirizzato alle Ambasciate a Parigi, Washington, Londra, Bruxelles, Bonn, L’Aja, alla Legazione a Lussemburgo e alla Rappresentanza presso il Consiglio Atlantico a Parigi.

3 Per le risposte vedi rispettivamente DD. 25 (Parigi), 19 e 26 (Washington), 34 (Londra), 28 e 29 (Bruxelles), 32 (Bonn), 23 (L’Aja). Con T. s.n.d. 11318/431 del 9 settembre dalla Legazione a Lussemburgo, Bobba rispose nei seguenti termini: «Ho potuto vedere Bech, tuttora in vacanza, solo oggi. Egli concorda con le vedute di V.E., pur non nascondendosi le difficoltà di ottenere dalla Germania limitazioni al riarmo, che peraltro egli desidera. Reputo particolarmente interessante ed opportuna l’idea di chiedere l’impegno ad astenersi da tentativi dialogo Est-Ovest, anche perché potrebbe essere un “test” delle vere intenzioni di Mendès-France».

Non risulta risposta dalla Rappresentanza presso il Consiglio Atlantico.

7

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI AFFARI ESTERI, ZOPPI, AD AMBASCIATE E LEGAZIONI(1)

T. s.n.d. 8204/c.2. Roma, 2 settembre 1954, ore 22,25.

È stato telegrafato Italnato quanto segue:

«Pur non avendo in linea di principio obiezioni circa eventuale convocazione anticipata Consiglio Atlantico, riteniamo che decisioni in proposito debbano raggiungersi dopo che si disponga di tutti gli elementi di giudizio che emergeranno nelle prossime settimane particolarmente a seguito sviluppi iniziativa britannica convocazione Conferenza ad otto. Codesto Rappresentante olandese, con cui preghiamo V.E. mantenersi contatto, ha ricevuto analoghe istruzioni da suo Governo».

1 Telegrammi segreti originali 1954, partenza, vol. I.

2 Indirizzato alle Ambasciate a Londra, Washington, Parigi, Bruxelles, L’Aja, Bonn e alla Legazione a Lussemburgo.

8

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI AFFARI ESTERI, ZOPPI, ALL’AMBASCIATA A BRUXELLES(1)

T. s.n.d. 8206/115. Bruxelles, 2 settembre 1954, ore 22,30.

Suoi 163-1642.

Proposta inglese Conferenza confermata ufficiosamente dovrebbe attenuare preoccupazione di cui al punto 1. Comunque condividiamo pensiero Spaak di cui a punto 2 per quanto riguarda riarmo Germania.

Circa punto 3 si fa riferimento nostra nota ufficiosa 31 agosto(3). Concordiamo circa punto 4 per il quale si rinvia a telegramma odierno(4).

Confermasi che senza naturalmente escludere successiva convocazione NATO, preferiremmo come prima istanza Conferenza ad otto.

1 Telegrammi segreti originali 1954, partenza, vol. I. 2 Vedi D. 2. 3 Vedi D. 3, allegato. 4 Vedi D. 7.

9

L’AMBASCIATORE A LONDRA, BROSIO, AL MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI(1)

T. segreto 10986/266. Londra, 2 settembre 1954, ore 14,45 (perv. ore 20,15).

Caccia ci ha detto che in seguito al fallimento della CED il Governo inglese considera tre successive linee d’azione.

Anzitutto occorre ridare la sovranità alla Germania secondo il procedimento concordato il mese scorso a Londra con gli Stati Uniti. A tal fine non si pensa a una riunione a quattro bensì a sondaggi anglo-americani da iniziare subito: prima con Adenauer per accertare le sue intenzioni e conoscere fino a che punto egli sia oggi disposto ad accettare l’applicazione del trattato di Bonn; poi con Parigi per ottenere l’adesione francese.

La seconda tappa dovrebbe essere la conferenza a otto col compito di studiare le modalità per un limitato armamento germanico entro il quadro dell’intesa dei sei Paesi pil’Inghilterra. A questo proposito l’odierna nota diplomatica del «Times» accenna alla possibilità che la conferenza abbia luogo fra quindici giorni e che la Germania e le altre potenze assumano l’impegno di limitare le proprie forze ed i propri armamenti nonché le industrie relative. Qualche forma di limitazione al riarmo tedesco, è comunque, secondo Caccia, la condizione indispensabile affinché i francesi non si oppongano all’ingresso della Germania nella NATO. Infine si dovrebbe arrivare alla convocazione del Consiglio della NATO per l’ammissione della Germania.

Dopo il Consiglio di Gabinetto avvenuto ieri Hoyer Millar e Jebb sono ripartiti per le rispettive sedi con istruzioni di iniziare subito i sondaggi.

1 DGAP, Uff. IV, Versamento CED, 1950-1954, b. 28, fasc. 98.

10

L’AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI, AL MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI(1)

T. segreto 10997/824. Parigi, 2 settembre 1954, ore 24 (perv. ore 2 del 3).

Per incarico del Presidente del Consiglio, Guérin de Beaumont mi ha fatto chiamare oggi. Dopo avermi dato spiegazioni ufficiali di come erano andate le cose al Parlamento, ha tenuto a riaffermare la volontà di Mendès-France di mantenersi fermo alla politica atlantica ed alla collaborazione europea. Pregava quindi di non credere alle insinuazioni sulle sue intenzioni che venivano emesse da ogni parte e credere invece alle sue precise, ripetute dichiarazioni. Gli ho detto che adesso quello che importava era l’avvenire: gli sarei stato quindi grato se poteva illuminarmi su quelle che erano le intenzioni di Mendès. Gli ho chiesto in particolare:

1) se la Francia avesse già risposto affermativamente all’invito inglese: mi ha detto che riteneva che la risposta sarebbe stata positiva ma che non poteva dirmi niente dato che proprio allo stesso tempo l’Ambasciatore d’Inghilterra era a Marly per rimettere la nota inglese;

2) se il Governo francese fosse almeno favorevole all’ammissione Germania nella NATO. Mi ha risposto che logicamente, essendo stata respinta la CED, non restava altra alternativa che l’ingresso della Germania nella NATO. Sarebbe stato necessario probabilmente rivedere alcune assicurazioni: era da vedere anche se non fosse preferibile di fare entrare la Germania, prima, in organizzazione europea di altra forma, e fare entrare poi questa al NATO. Ma su tutto questo non poteva dirmi niente di preciso perché non conosceva ancora il pensiero del Presidente del Consiglio il quale era chiuso a Marly per lavorare. A titolo personale gli ho detto che da parte nostra pur essendo molto addolorati dell’insuccesso della CED, si era adesso, ritenevo, sopratutto desiderosi di ricostruire e che quindi proposte realmente costruttive da parte della Francia avrebbero avuta tutta la nostra attenzione. Ho pregato perdi dire al Presidente del Consiglio, insieme al mio desiderio di vederlo appena possibile, che non era consigliabile ripetere quello che era stato fatto per Bruxelles ossia mettere altri Paesi all’ultimo momento di fronte al progetto interamente nuovo e da accettarsi quasi senza discussione. Se la Francia aveva le sue suscettibilità e difficoltà con il suo Parlamento, doveva tener conto che lo stesso valeva anche per gli altri Paesi. Gli ho poi anche espresso il mio dubbio sulle possibilità che il nuovo progetto quale che sia abbia la maggioranza al Parlamento francese. In questo caso – mi ha detto Beaumont – bisognerà andare alle elezioni.

DGAP, Uff. IV, Versamento CED, 1950-1954, b. 28, fasc. 98.

11

L’AMBASCIATORE A BRUXELLES, GRAZZI, AL MINISTRO DEGLI AFFARI ESTERI, PICCIONI(1)

T. s.n.d. 11003/165-166. Bruxelles, 2 settembre 1954, ore 19,50 (perv. ore 24).

Mio telegramma n. 1632.

Per fornire a V.E. ulteriori elementi di giudizio circa le idee di Spaak aggiungo alcune considerazioni.

Come V.E. avrà notato, Spaak, pur conservando orientamento in fondo anti-francese, lascerebbe in definitiva alla Francia ogni possibilità di scelta.

Mi sembra si dovrebbe tentare che una volta tanto la scelta rimanga se possibile nelle mani degli altri cinque Paesi e non scartando affatto, come vorrebbe Spaak, anche l’alleanza continentale purché con la partecipazione britannica.

La conseguenza pigrave dei recenti avvenimenti è, piche l’incognita del metodo con cui il riarmo tedesco finirà con l’aggiustarsi, il siluramento dell’idea europeista. Ora ulteriori modificazioni alla CED per essere ammessa dalla Francia non potrebbero che ridurre al minimo il concetto supernazionale: e in tali condizioni i progetti anche di semplice Confederazione sarebbero da considerare tramontati. Quanto all’entrata della Germania nella NATO non si vede come faciliterebbe in generale le idee europeiste, mentre è probabile che desterebbe nella Francia reazioni ad essa contrarie perché i timori verso la Germania non potrebbero che aumentare. È da chiedersi percise non convenga considerare l’opportunità di un’alleanza continentale insieme alla Gran Bretagna, dato che di fronte allo zero in cui ci troviamo e rimarremmo in fatto di europeismo, essa rappresenterebbe forse la sola maniera di riaprire con qualche possibilità in materia.

La presenza infatti della Gran Bretagna nell’alleanza militare calmerebbe l’apprensione della Francia e potrebbe quindi contribuire a risospingerla verso l’idea integrativa: inoltre quando i britannici fossero entrati anche solo militarmente nell’ingranaggio, non è da escludere che con il loro temperamento pragmatico essi non pervengano ad una progressiva formula di pistretta collaborazione: il che, specialmente in materia di economia, attenuerebbe quella precarietà da cui la piccola Europa sarebbe stata necessariamente caratterizzata.

1 DGAP, Uff. IV, Versamento CED, 1950-1954, b. 28, fasc. 98. 2 Vedi D. 2.

12

L’AMBASCIATORE A LONDRA, BROSIO, AL MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI(1)

T. segreto 11011/268. Londra, 2 settembre 1954, ore 20,10 (perv. ore 7,30 del 3).

Mio 2662.

Oggi Kirkpatrick mi ha dato chiarimenti sulla progettata Conferenza ad otto. Mi ha detto che alla Conferenza stampa di ieri il pensiero di Eden è stato alquanto ampliato dai giornalisti attribuendo al progetto di tale Conferenza un carattere definitivo ed urgente che nella situazione attuale non puancora avere. Anzitutto bisogna superare le difficoltà coi tedeschi e non è detto che questo sia facile. Hoyer Millar era oggi a colloquio con Adenauer e si attendevano i risultati ma senza dubbio il Cancelliere era in gravi difficoltà interne e di pessimo umore in conseguenza del fallimento della CED. Inoltre non è detto che la Conferenza debba essere a otto perché essa potrebbe essere allargata a dieci includendo cioè tutti gli Stati della CED e tutti gli Stati aventi truppe in Germania con aggiunta cioè del Canada e della Danimarca. Il Canada ha già fatto sapere che gradirebbe partecipare e naturalmente la Gran Bretagna lo appoggia.

La Danimarca finora non si è mossa.

Circa la Conferenza Kirkpatrick ha precisato che essa avrebbe un’agenda piampia dovendo necessariamente cominciare col definire il modo e i limiti della restituzione della sovranità alla Germania nonché lo Statuto delle truppe straniere non pioccupanti; per poi passare ai problemi del riarmo tedesco e limitazioni relative connesse alle analoghe obbligazioni degli altri Paesi europei in vista della inclusione finale della Germania nel NATO.

Kirkpatrick non era comunque in grado di dirmi quando la Conferenza poteva essere convocata dovendosi prima conoscere le reazioni di Berlino da lui previste assai difficili.

Per quanto riguarda gli impegni che la Gran Bretagna sarebbe disposta ad assumere Kirkpatrick mi ha detto che gli inglesi non sarebbero alieni dal considerare una loro partecipazione all’accordo europeo per il riarmo della Germania ed anche ad assumere al riguardo obbligazioni verso l’Europa pistrette di quelle americane e da esse indipendenti. Londra teme tuttavia che i francesi vogliano qualcosa di pie cioè un impegno britannico a non ritirare le truppe dalla Germania mentre essi non sarebbero disposti ad assumere impegni corrispondenti. Ancora recentemente Mendès-France ha accettato l’intenzione di vincolare le truppe britanniche alla Germania e Kirkpatrik temeva che questo significasse un ritorno alle precedenti richieste di impegno unilaterale britannico. Soprattutto in linea generale Kirkpatrick ha continuato a manifestarmi il pigrande scetticismo su quello che si puattendere sia da Mendès-France sia soprattutto dal Parlamento francese. Mendès-France aveva dimostrato finora uno strano concetto della non discriminazione e una strana idea della negoziazione nella quale egli praticamente non consentiva alcun compromesso.

Dall’altra parte qualsiasi ragionevole piano per il riarmo della Germania e l’Associazione di essa all’Europa avrebbe facilmente trovato di nuovo una forte opposizione alla Camera francese.

In queste condizioni Kirkpatrick mi diceva di essere assolutamente necessario di predisporsi fin d’ora a delle alternative per sapere cosa si farà se non si riuscisse ad avere il consenso francese su di un progetto ragionevole oppure venisse meno la ratifica di quel Parlamento. Bisognerebbe allora essere in condizioni di procedere oltre anche senza la Francia.

1 DGAP, Uff. IV, Versamento CED, 1950-1954, b. 28, fasc. 98. 2 Vedi D. 9.

13

IL DIRETTORE GENERALE AGGIUNTO DEGLI AFFARI POLITICI STRANEO(1)

Appunto(2). Roma, 2 settembre 1954.

Il fallimento della Conferenza di Bruxelles e il conseguente rigetto da parte francese del Trattato per la CED, hanno provocato un po’ di incertezza circa le varie possibili soluzioni di ricambio.

L’ingresso della Germania al NATO si presenta a prima vista come la soluzione pisemplice. Senonché, mentre è piche probabile che una siffatta proposta vedrebbe riapparire il veto da parte francese o, quanto meno, un assenso da parte di Mendès-France condizionato a forme limitative di riarmo e all’approvazione del Parlamento francese (il che equivarrebbe in pratica al rinvio «sine die»), non sembra che si possa affermare a priori che tale soluzione sia ben vista da Adenauer in quanto essa cristallizza la posizione della Repubblica federale Tedesca rendendo pidifficile una sua futura unificazione con la Germania orientale. Vero è che si potrebbe escogitare una clausola in virtdella quale la Germania potrebbe svincolarsi dal NATO in caso di unificazione, ma detta clausola non mi sembra né logica né pratica, sovvertendo essa l’essenza stessa del Patto.

Sorge così il problema del come inserire o aggregare la Germania al NATO con l’assenso francese e senza attuare discriminazioni dirette nei confronti del popolo tedesco. Senza entrare in troppi particolari e vedendo il problema anche da un punto di vista soggettivo italiano, sembra che si potrebbe pensare ad una alleanza con la Repubblica Federale Tedesca dell’Inghilterra, Francia, Benelux e Italia. Tale alleanza dovrebbe esser basata su di un planning board per gli armamenti, in modo da poter controllare il riarmo tedesco.

Caduta ormai la CED, l’Italia, anche se parte dell’alleanza surriferita, potrebbe in seguito far parte dell’Alleanza balcanica e divenire l’anello di congiunzione dei due sistemi; senza contare che, se si attuasse in seguito un agganciamento della Spagna al Patto Atlantico mediante un’alleanza del tipo delle due precedenti (Spagna, Portogallo, USA, Francia), l’Italia potrebbe aspirare a divenirvene parte e con ciessere il luogo geometrico dei tre sistemi sopraddetti.

1 DGAP, Uff. IV, Versamento CED, 1950-1954, b. 28, fasc. 98. 2 Sottoscrizione autografa.

14

L’AMBASCIATORE A BONN, BABUSCIO RIZZO, AL MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI(1)

Telespr. urgente 022. Bonn, 2 settembre 1954.

Oggetto: Presa di posizione del Governo federale dopo il rigetto della CED da parte dell’Assemblea Nazionale francese. Dichiarazioni interpretative sui cinque punti del comunicato di Blerhe.

Non univoca, come era da attendersi è stata l’interpretazione in questi circoli politici e di stampa dei noti cinque punti del comunicato emanato a conclusione della seduta straordinaria del Gabinetto Federale tenuta a Blerhe il 1° settembre u.s., nei quali sono stati fissati gli obiettivi della politica estera del Governo Federale dopo il rigetto della CED da parte dell’Assemblea Nazionale francese. Civalga in particolare per quel che riguarda sia la portata delle singole enunciazioni e, correlativamente, l’ampiezza delle rivendicazioni tedesche in esse espresse (problema dalla sovranità tedesca), che la connessione esistente fra gli obiettivi stessi.

La conferenza stampa tenuta oggi dal Capo dell’Ufficio stampa ed Informazioni della Cancelleria Federale, von Eckardt, venuto espressamente da Blerhe e subito dopo ripartito per la stessa località, ha voluto rappresentare un’interpretazione autentica dei cinque punti del comunicato suddetto mirante ad eliminare le incertezze che a tal proposito si erano manifestate. In essa è evidente il proposito di attenuare l’impressione di un’intenzionale presa di posizione antifrancese da parte del Governo Federale, che il testo del comunicato poteva suscitare –data l’assenza nello stesso testo di ogni riferimento alla Francia – ed aveva infatti suscitato, provocando critiche e riserve non solo negli ambienti socialdemocratici, ma anche in circoli politici e di stampa dei partiti della coalizione governativa, incluso quello di maggioranza.

Circa il punto relativo al proseguimento della politica di unificazione europea con tutti i Paesi disposti a tale unificazione, è interessante rilevare che a piriprese vi è ripetuta la formula escogitata per includere fra i Paesi suddetti l’Italia (Paesi che hanno ratificato o che sono in procinto di ratificare); anzi ad un certo punto von Eckardt, volendo sottolineare la distinzione fra gli Stati della CED che si schierano dietro questa forma di collaborazione militare e la Francia, che questa collaborazione militare ha rigettato, ha rilevato che fanno parte del primo gruppo «non solo gli Stati che hanno ratificato l’accordo, ma anche l’Italia che a Bruxelles dichiarespressamente che per quanto la riguardava si dovrebbe considerare la ratifica come se fosse già stata effettuata».

Alla domanda se il Governo Federale ritenga possibile una soluzione di surrogato per la CED senza la Francia, il portavoce governativo ha fatto presente che un «torso della CED» costituito dalla Repubblica Federale tedesca, dall’Italia e dai tre Stati del Benelux, dovrebbe essere considerato come la peggiore soluzione per la sicurezza europea; che il Governo Federale continua a ritenere che non potrebbe essere realizzata un’ efficiente difesa dell’Occidente senza la Francia, ma che dovrebbe giungersi ad una esclusione della Francia se essa desiderasse: «se Parigi dovesse rigettare qualsiasi forma di contributo tedesco alla difesa non si potrebbe lasciare che tutto venisse bloccato da tale atteggiamento». Il portavoce governativo ha voluto inoltre spiegare l’iniziativa per consultazioni fra gli altri membri della CED, anche prima della conferenza a otto, con la necessità di accertare quale debba considerarsi la sorte del Trattato CED dopo il voto dell’Assemblea Nazionale francese. D’altra parte egli ha tenuto precisare che l’omissione di ogni mansione della Francia al punto quinto del comunicato suddetto (trattative immediate con gli Stati Uniti d’America e con la Gran Bretagna) trova la sua ragion d’essere nel fatto che soltanto Stati Uniti e Gran Bretagna hanno fino ad ora, insieme con la Repubblica Federale, ratificato la Convenzione generale tedesco-alleata.

Rispondendo ad altri quesiti relativi alle soluzioni di surrogato alla CED, il portavoce governativo ha sottolineato come, allo stato dei fatti, nessuna possibilità sia da escludersi. Egli ha ammesso l’eventualità di un ingresso della Germania alla NATO senza discriminazioni. Quanto alla Francia, dopo il voto dell’Assemblea francese, sta ora a questo Paese di prendere l’iniziativa e di precisare il suo punto di vista sul riarmo tedesco e su di una partecipazione della Repubblica Federale alla difesa comune.

Egli ha aggiunto che il Governo Federale si è profondamente compiaciuto delle nuove dichiarazioni di Mendès-France tendenti ad escludere un’eventuale neutralizzazione della Germania, ma ha rilevato che queste dichiarazioni non consentirebbero ancora concrete deduzioni in merito alle idee francesi circa una nuova soluzione.

Affrontando il problema della sovranità tedesca il portavoce governativo si è espresso molto esplicitamente nel senso che il Governo Federale si attende che venga restituita la piena ed intera sovranità alla Repubblica Federale preferibilmente per via di accordi e non attraverso dichiarazioni unilaterali delle Potenze di Occupazione. Il Governo Federale sarebbe contrario ad una sovranità limitata in partenza da riserve: esso stimerebbe necessario invece di ottenere la sovranità nella completezza dei suoi attributi, salvo poi a riconoscere delle limitazioni attraverso libere trattative, nell’interesse comune ed a beneficio di istituzioni supernazionali. Il suddetto Governo propenderebbe, in altre parole, per una formula diversa da quella adottata per la Convenzione generale tedesco-alleata di Bonn.

Le trattative in merito alla restituzione della sovranità integrale alla Repubblica Federale sono state presentate dal portavoce come la prima tappa della prossima attività politica, cui seguirebbero trattative in merito alle nuove forme che potrebbe assumere il contributo tedesco alla difesa.

La commissione di Londra secondo cui sarebbe preferibile discutere contemporaneamente le due questioni non verrebbe almeno fino ad ora condivisa dal Governo Federale.

Il portavoce ha inoltre dichiarato che il Consiglio dei Ministri si è unanimemente espresso contro ogni progetto di conferenza a quattro della Germania nelle circostanze politiche attuali.

È interessante per noi rilevare come ancora una volta nel corso di una conferenza stampa sia tornato alla ribalta il Patto balcanico. È stato infatti richiesto al portavoce se da parte del Governo Federale venisse ravvisata la possibilità di un’estensione della Comunità di difesa ai tre Paesi balcanici e la risposta, questa volta (mi riferisco al mio rapporto n. 14854/1812 del 13 agosto u.s.) è stata che il Governo Federale non pensava affatto ad una tale cooperazione.

DGAP, Uff. I, Serie Affari politici, 1951-1957, b. 331, fasc. 1-14 settembre 1954.

15

L’AMBASCIATORE A BONN, BABUSCIO RIZZO, AL MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI(1)

Telespr. 15335/1917. Bonn, 2 settembre 1954.

Oggetto: Reazioni di Bonn al voto del Parlamento francese sulla CED.

La prima reazione degli ambienti politici di Bonn alla votazione sulla CED del Parlamento francese è stata piuttosto aspra. Nella costernazione provocata dal crollo di una costruzione politica su cui si era da tre anni imperniata tutta la politica estera tedesca e su cui era personalmente impegnato il prestigio del Cancelliere Adenauer, c’è stato un moto istintivo di inficiare la legittimità morale di un rigetto della CED reso possibile solo dal concorso dei voti comunisti, e di appellarsi direttamente al popolo e alla gioventfrancese affinché l’ideale europeo che pure in mezzo ad essi avrebbe trovato tanto largo seguito fosse, senza ed oltre il Parlamento, da essi difeso e perseguito; questo era il senso delle dichiarazioni fatte dal Presidente della Commissione degli Affari Esteri del Bundestag, europeo convinto, von Brentano. E le diffidenze sin dal primo momento nutrite contro Mendès-France, sospettato di segrete tendenze filo-sovietiche e di calcolato siluramento della CED hanno condotto, in un primo momento, ad attacchi personali contro Mendès-France.

I consigli di moderazione hanno persubito prevalso. E questa è stata anche l’impressione dell’Alta Commissione francese, dove si temeva una reazione tedesca – e americana, mi è stato aggiunto, piviolenta.

Il Governo, pur non nascondendo la gravità del colpo inferto alla sua politica, ne ha subito dato l’esempio; e la stampa governativa si è allineata sul suo linguaggio. La parola d’ordine è stata quindi di evitare nei limiti del possibile qualsiasi accenno polemico contro la Francia, nella consapevolezza che ciin questo momento avrebbe servito solo a versare olio sul fuoco del nazionalismo francese e a dare a posteriori un argomento di piagli avversari della CED. Si preferisce invece dire, e far dire, che il voto del Parlamento di Parigi apre un problema non già tra la Francia e la Germania, bensì tra la Francia e tutti gli altri Stati dell’Europa occidentale, cui si aggiungono tutti i Paesi interessati all’assistenza del mondo libero e, in primo luogo, gli Stati Uniti o la Gran Bretagna. In questa impostazione si rivela la tendenza già affermatasi qui durante e dopo Bruxelles, a far leva sulla solidarietà di tutti i Paesi che già avevano ratificato o stavano per ratificare la CED. Si tratta perdi una leva che viene manovrata con molta discrezione, nella convinzione che qualsiasi aperto tentativo per isolare la Francia sarebbe un’arma a doppio taglio; si afferma quindi che soluzioni e alternative, se ci dovranno essere – e come si sa l’iniziativa non partirà dalla Germania – dovranno essere ricercate d’accordo con tutti questi Stati europei ed extra europei ma, anche, e in prima linea, d’accordo con la Francia.

La prospettiva di ottenere al pipresto la sovranità, come un premio di consolazione dopo il fallimento della CED, non entusiasma troppo ora i tedeschi e per ovvie ragioni. Se anche tempo addietro la scissione dell’abbinamento fra trattati di Bonn e trattati di Parigi era stata lanciata e propugnata da Adenauer per dare qualche soddisfazione ad una opinione pubblica irrequieta, ci si era accorti ben presto a Bonn che questa scissione minacciava di fare il gioco degli avversari della CED e di fornire un comodo strumento tattico per procrastinare, nessuno sa per quanto tempo ancora, il riarmo tedesco e inserirvi manovre diplomatiche internazionali rivolte verso oriente; la fretta con cui il Governo francese si è dichiarato disposto a concedere la sovranità non ha fatto che confermare questo timore. E che la cosa qui lasci assai freddi lo provano anche le difficoltà giuridiche che si adducono e che osterebbero, data la stretta interpenetrazione che li lega, a far entrare in vigore gli accordi di Bonn indipendentemente dalla CED. Il grosso problema che si profila all’orizzonte politico di Bonn è quindi se convenga a Bonn accettare dalle mani degli Alleati una sovranità ridotta e decurtata della sua parte pipreziosa e, allo stato attuale delle cose, di rilevanza pratica, e cioè il potere del riarmo, e correre i rischi di insabbiamento politico che a tale accettazione sono connessi. Il Governo non ha ancora ben chiarito il suo pensiero su questo grosso problema. L’unica cosa sicura è che considera oramai insufficiente la sovranità che i trattati di Bonn gli conferivano e che conterrebbero troppe riserve, la cui ragione di essere sarebbe in gran parte venuta meno insieme alla CED. La tendenza, come ho riferito col mio telegramma n. 125 del 2 corrente2, è di chiedere la sovranità integrale, compreso quindi anche il potere di riarmo; ma bisognerà vedere se non si tratti qui di una posizione tattica di partenza, suscettibile quindi di un margine pio meno ampio di compromesso.

Per quanto concerne poi l’opposizione, essa ha proclamato morta la CED, ma non ha voluto abusare della sua vittoria, il che del resto anche se essa lo avesse voluto le sarebbe stato piuttosto difficile per il fatto che non ha potuto proporre, di nuovo, nulla di meglio che la convocazione di una nuova conferenza a quattro che dovrebbe raggiungere l’unificazione tedesca prima che sia troppo tardi e cioè prima che i quattro Grandi si mettano esplicitamente o tacitamente d’accordo per il mantenimento dello status quo nella situazione tedesca. E per quanto buoni tedeschi, i socialisti non vogliono sentir parlare di sovranità giacché ai loro orecchi questa parola suona tuttora come una sanzione giuridica della divisione della Germania ed essi preferiscono quindi parlare di piena autonomia della Repubblica Federale nella gestione dei propri affari esteri ed interni come obiettivo da raggiungere. I liberali poi non hanno nascosto che il fallimento della CED non è affatto dispiaciuto al loro nazionalismo. Essi, che già in passato si erano fatti esponenti della tesi di un esercito nazionale tedesco, non rimpiangono il crollo di «chimere sovranazionali» ma riaffermano la loro piena fiducia in un contributo nazionale della Germania alla difesa del mondo libero.

1 DGAP, Uff. I, Serie Affari politici, 1951-1957, b. 331, fasc. 1-14 settembre 1954. 2 Vedi D. 1, nota 3.

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L’AMBASCIATORE A BRUXELLES, GRAZZI, AL MINISTRO DEGLI AFFARI ESTERI, PICCIONI(1)

R. 3673/1763. Bruxelles, 2 settembre 1954.

Signor Ministro,

come ho riferito nei miei telegrammi n. 163 e n. 1642, ho trovato Spaak ancora molto irritato contro la Francia e specialmente contro Mendès-France. Al riguardo il Ministro mi ha dato copia della Nota che egli fece illustrare a suo tempo al Presidente francese, perché (a quanto Spaak mi ha raccontato) allorché venne fatto osservare a quest’ultimo che la parola «unanimità» (pag. 2 ultimo capoverso) che il Presidente francese avrebbe voluto introdurvi, oltre che essere controproducente, rischiava di impedire ogni funzionamento della CED, Mendès-France avrebbe risposto che «questo era proprio quanto cercava».

Spaak mi ha anche detto che nel colloquio Adenauer-Mendès-France, il primo, per vincere le resistenze del secondo, avrebbe offerta la promessa che in seno alla CED la Germania avrebbe votato sempre con la Francia. Sarebbe stato lo stesso Spaak, secondo le sue parole, a silurare questa pericolosa alleanza, persuadendo Mendès-France a ricercare piuttosto analoghe garanzie in maniera e forma pigenerale: donde nacque l’idea della nota formula.

Infine, a titolo di «boutade» riferisco queste parole del Ministro: «Non è ammissibile che un’idea così rivoluzionaria come la CED sia stata strangolata da Herriot e dal Generale Aumeran, i quali in due sommano 160 anni!»”

Comunque, piche questi dettagli passati, quel che interesserà è conoscere le idee di Spaak per l’avvenire.

Il ministro belga è evidentemente maggiormente favorevole ad una nuova forma di CED che non a qualsiasi altro metodo tendente a raggiungere il riarmo tedesco.

Egli teme soprattutto (almeno così suppongo) le conseguenze politiche di un ingresso della Germania con piena parità di diritti nella NATO mentre da un rifacimento della CED anche se questa conserverebbe ben poche qualità supernazionali, la posizione della Germania dovrebbe risultare maggiormente controllata o controllabile. Quanto all’alleanza continentale – secondo Spaak – essa non avrebbe senso se l’Inghilterra non ne facesse parte, poiché pio meno corrisponderebbe o alla CED alleggerita o ad un parziale doppione della NATO, mentre ciche il Ministro vuol evitare è un dialogo diretto fra Francia e Gran-Bretagna, il quale dialogo, con la parvenza di ricercare l’entrata di quest’ultima nell’alleanza continentale, potrebbe portare di fatto a sviluppi non prevedibili e certo non piacevoli per il resto dell’Europa.

Circa l’alleanza continentale con l’inclusione della Gran Bretagna, ho espresso talune considerazioni personali con mio telegramma n. 164, con speciale riguardo alle probabilità che forse potrebbero in tal caso essere maggiori che non in qualsiasi altra forma di riarmo tedesco, in vista di possibili sviluppi di un movimento confederativo europeo altrimenti oggi ridotti a zero.

Infine, desidero fare osservare che l’accenno fatto da Spaak circa la necessità che Italia e Benelux continuino a mantenere viva per quanto possibile e pur rinviandola ad un secondo momento l’idea europeista, mi è parso rispondere piuttosto al temperamento dell’uomo che non alla fiducia del Ministro. Il quale pernel criticare vivamente la Francia per tutta l’azione ritardatrice e passatista esercitata in questi ultimi anni, si è espresso con queste parole: «La Francia avrebbe ottenuta una posizione ben diversa se invece di accodarsi ai grandi avesse presa la testa delle nazioni pipiccole. È tale funzione che io sarei lieto oggi di offrire all’Italia se l’Italia volesse accettarla».

Non ho bisogno di rammentare quante volte ho espresso in passato un tale concetto, il quale avrebbe oggi una possibilità di maggiore applicazione nel complesso giuoco che puderivarci da una situazione così confusa, qualora da un lato non volessimo o non potessimo riprendere le pistrette relazioni bilaterali con la Francia e dall’altro volessimo invece avere parte piattiva nella trattazione delle grandi questioni internazionali.

Voglia gradire, Signor Ministro, gli atti del mio ossequio.

Grazzi

Allegato

Nota.

De quoi s’agit-il?

La France craignant qu’un de ses intérêts vitaux puisse être mis en danger par une décision du Commissariat, désire se prémunir contre ce danger.

À cet effet, la France a proposé un système qui lui donne, comme d’ailleurs aux autres pays, un véritable droit de veto pour empêcher qu’une telle mesure soit exécutée.

Au système français, j’ai trois objections à présenter:

1) ce système étant un système provisoire, en réalité, il consacre une suspension du Traité dans une de ces parties essentielles pour huit ans. Cela oblige tous les partenaires à retourner devant leur parlement;

2) pour des raisons d’ordre général, expliquées à de multiples reprises, le droit de veto paralyse les Assemblées internationales. Nous n’en avons eu que trop d’exemples;

3) dans le système français, l’arbitraire le plus complet règne, puisque chaque état est libre de décider à tout moment devant n’importe quelle décision du Commissariat que son intérêt vital est en cause.

Ne pouvant accepter le système français, je me suis demandé s’il n’y avait pas cependant un moyen de donner satisfaction à la France, c’est-à-dire d’empêcher qu’une décision du Commissariat violant l’intérêt vital d’un pays soit exécutée.

Je crois avoir trouvé la solution du problème et je propose, non un droit de veto accordé à chaque pays, mais qu’une décision politique soit prise dès maintenant affirmant que si un des droits vitaux de l’un des signataires est mis en péril, jamais la décision du Commissariat ne peut être appliquée.

Cette solution présente pour moi les avantages suivants:

1) elle est définitive. C’est une interprétation permanente des articles du Traité;

2) il n’y a pas de droit de veto;

3) cette décision me paraît conforme à l’article 124;

4) le recours possible à la Cour garantit chacun des signataires contre l’arbitraire de l’un d’entre-eux.

Le texte proposé est le suivant:

«Si l’un des États membres estime que l’un de ses intérêts vitaux est mis en péril par une décision du Commissariat, il peut porter la question devant le Conseil des Ministres. Celui-ci doit prendre immédiatement les mesures nécessaires pour mettre fin à cet état de choses. L’exécution de la mesure prise par le Commissariat est dans tous les cas suspendue jusqu’au règlement définitif de la question. L’un des États membres peut toujours demander à la Cour si l’intérêt invoqué par l’État demandeur est bien un intérêt vital. La Cour tranche souverainement ce point».

Dans ce texte, il n’y a aucune raison, au contraire, de dire que la décision prise par le Comité des Ministres doit être prise à l’unanimité. Cela n’ajoute rien comme garanties puisqu’il est acquis qu’en aucun cas la décision du Commissariat ne peut être exécutée. Ce que le Conseil des Ministres doit faire, c’est prendre les mesures pour forcer le Commissariat à revoir sa décision. Si ce texte était adopté, il pourrait être ajouté aux décisions prises à Bruxelles et l’on pourrait en plus (cette proposition pourrait d’ailleurs s’appliquer également à d’autres décisions prises à Bruxelles) déclarer dès maintenant, que lors de la révision du Traité promise au § 12 de la déclaration de Bruxelles, cette disposition sera insérée dans le Traité. Il n’y a aucune urgence à le faire puisque pendant la période de deux ans, oaucune intégration militaire n’aura réellement lieu, il n’y a pas une chance sur un million pour qu’un intérêt vital de l’un ou de l’autre signataire soit mis en péril.

1 DGAP, Uff. I, Serie Affari politici, 1951-1957, b. 331, fasc. 1-14 settembre 1954. 2 Vedi D. 2.

17

L’AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI, AL MINISTRO DEGLI AFFARI ESTERI, PICCIONI(1)

R. segreto 12893. Washington, 2 settembre 1954.

Oggetto: Fallimento e alternative CED.

Signor Ministro,

non è facile ricostruire sul momento le linee essenziali dell’atteggiamento americano in vista del fallimento della CED. È in certo senso strano che tanta confusione si sia venuta a creare, se si pensa che da molto tempo l’ipotesi di un voto francese negativo era un avvenimento assai probabile e che esso era divenuto ormai certo dopo la Conferenza di Bruxelles.

Il Governo americano si era a lungo irrigidito in una politica unilinea rifiutando di prendere in considerazione eventuali «alternative», anche quando a cilo spingevano i suggerimenti di Londra. L’unica decisione convenuta, ma in via assai generica, fra Inglesi ed Americani, era stata quella concernente lo sganciamento del Trattato CED dalle Convenzioni Contrattuali di Bonn e la restituzione della sovranità formale alla Repubblica Federale Tedesca.

Per mettere un po’ d’ordine nel confuso panorama politico di questi giorni, è da registrare anzitutto che la prevedibile reazione vivacemente negativa nei confronti della Francia è stata accompagnata dalla frequente constatazione che l’atteggiamento francese risale in buona parte alla mancata partecipazione diretta della Gran Bretagna alla CED.

Per quanto ci concerne, come ho segnalato anche col rapporto circa il mio colloquio con la Signora Luce2, il Dipartimento di Stato ha preso atto, apprezzandolo, della nostra posizione e della nostra azione in questi ultimi tempi (votazioni delle varie Commissioni Parlamentari, atteggiamento a Bruxelles, manifestazioni pubbliche e confidenziali dopo quest’ultima, in particolare modo colloquio del Presidente del Consiglio con la Signora Luce e lettera al Segretario di Stato).

La nuova situazione apertasi ci offre ora delle possibilità di azione che meritano di essere seriamente e rapidamente sfruttate. Iniziative immediate sono necessarie per evitare che il vuoto o la confusione lasciati dal fallimento del progetto CED non diano luogo a qualche falla incolmabile nella compagine atlantica. Gli americani paventano molto questo pericolo e sono volti oggi pia ricercare con calma le eventuali vie di uscita che a sfogare il loro risentimento con mosse inconsulte.

Cispiega la cautela e la lentezza con cui il Dipartimento si sta muovendo. Mancano pertanto per ora elementi di giudizio concreti su quelli che saranno i futuri sviluppi della politica americana. Tuttavia si pufin d’ora ritenere che le linee essenziali di quest’ultima (riflesse già nelle dichiarazioni fatte dal Segretario di Stato l’altro ieri) sono grosso modo le seguenti: desiderio di evitare «il peggio» cioè uno scompagina-mento del blocco atlantico come conseguenza del fallimento della CED (e a tal fine sono state smentite tutte le notizie relative ad un nuovo orientamento americano verso le alleanze «periferiche», il ritiro delle truppe dall’Europa ecc.); constatazione che, nonostante tutto, a ben riflettere, occorre evitare ogni mossa che possa spingere la Francia sulla via dell’isolamento e del neutralismo e quindi ogni consultazione e ogni progetto che lasci fuori la Francia: necessità di dare una pronta soddisfazione alla Germania e di trovare al pipresto una via per renderne possibile il riarmo; collaborazione quanto pistretta possibile con la Gran Bretagna o i cinque della CED.

Mettere insieme i vari punti sottoposti puapparire un’impresa non molto lontana dalla quadratura del circolo, ma è chiaro che la calma apparente di cui dà prova il Governo americano ed il suo evidente proposito di sdrammatizzare la situazione non sono altro che un sintomo della consapevolezza dalla gravità delle decisioni che dovranno essere prese dalla suprema autorità americana (National Security Council e Presidente).

L’iniziativa di proporre la convocazione del Consiglio Atlantico al livello Ministri degli Esteri non sembra risponda per ora a fini piconcreti di quelli suaccennati; essa rispecchia tuttavia la convinzione che alla fine di settembre sarà stato possibile alle Cancellerie pidirettamente interessate concordare la loro linea di condotta. Per quanto la sede di New York sia evidentemente quella preferita dagli americani, qui si tiene a sottolineare che non si è inteso proporla e tanto meno imporla.

Si è intanto preso atto con soddisfazione dell’accoglienza favorevole che la proposta di convocazione ha avuto da parte di tutti i Governi membri.

Viva e a quanto pare, non piacevole sorpresa ha invece destato l’iniziativa britannica di una Conferenza a otto a Londra. In questa fase le intenzioni britanniche non appaiono ancora qui del tutto chiare, mentre già risulta che da Londra si esercita un’azione di freno nei confronti delle disposizioni americane a favore della Germania.

Non si dimentica inoltre che il fallimento della CED risale, all’origine, alla mancata partecipazione diretta della Gran Bretagna ad essa.

Accoglienza non certo entusiastica ha poi avuto al Dipartimento di Stato l’azione tedesca di questi ultimi giorni, che è apparsa qui intempestiva e poco realistica.

L’applicazione del «Contractual Agreements» sembrava agli americani un primo ottimo passo sulla via dell’integrazione della Germania nella Comunità Europea e del riacquisto della piena sovranità da parte della stessa Germania, come premessa per una soluzione che consentisse la sua partecipazione alla difesa dell’Europa Occidentale su un piede di uguaglianza.

Le maggiori richieste tedesche sono ora venute a creare difficoltà a questa impostazione. L’apparente tentativo di Adenauer di lasciare da parte la Francia è venuto inoltre a cozzare con l’opposto orientamento di alcune correnti del Governo americano.

Infine permane il sospetto che Mendès-France «abbia in tasca» qualche altro progetto che potrebbe intralciare la futura azione americana.

Sul fondo della questione si resta qui fermissimi: il riarmo della Germania è indispensabile e deve essere reso possibile a qualsiasi costo e per qualsiasi via. È a questo riguardo sintomatico che proprio oggi il Pentagono abbia fatto sapere pubblicamente che gli armamenti accumulati per il futuro esercito tedesco ammontano a un valore di mezzo miliardo di dollari e che basta un ordine del Presidente per iniziare le spedizioni in Germania.

Evidentemente, sul terreno diplomatico si è lontani da una soluzione così semplicistica. Il problema non è solo riarmare la Germania, ma anche assicurare la sua collaborazione militare con i Paesi NATO. Il fatto che si ricorra alla convocazione del Consiglio Atlantico, da cui partì nel 1950 l’iniziativa della creazione dalla CED, è un indice che solo attraverso una qualsiasi forma di agganciamento NATO-Germania si potrà arrivare ad una soluzione dell’arduo problema.

Voglia gradire, Signor Ministro, l’espressione del mio devoto ossequio.

[Alberto Tarchiani]

1 DGAP, Uff. I, Serie Affari politici, 1951-1957, b. 331, fasc. 1-14 settembre 1954.

2 Vedi DPII, Serie A, Europa Occidentale e Unione Europea, Il fallimento della CED e della CPE: dalla riunione di Baden-Baden alla Conferenza di Bruxelles (25 giugno 1953-31 agosto 1954), D. 299.

18

L’AMBASCIATORE A BONN, BABUSCIO RIZZO, AL DIRETTORE GENERALE DELLA COOPERAZIONE INTERNAZIONALE, MAGISTRATI(1)

L. segreta 15333. Bad Godesberg, 2 settembre 1954.

Caro Massimo,

grazie intanto, ancora una volta, per la premura con la quale mi hai inviato tutta la documentazione concernente la Conferenza di Bruxelles.

Desidero ora, in via privata, aggiungere alcune informazioni al telegramma inviato stamani(2). Dai miei contatti con gli alleati e dall’ultima conversazione avuta particolarmente con il Vice Alto Commissario americano Dowling, mi è apparso che in linea generale esisterebbe una concordanza di vedute fra gli inglesi e gli americani non solo sulla esigenza di restituire alla Germania la piena sovranità, ma anche su quella di procedere al suo riarmo a scadenza non lontana. Non so se la concezione americana della improrogabilità del riarmo tedesco possa ancora una volta divenire pielastica e prestarsi a compromessi. C’è di mezzo questa volta peril voto negativo dell’Assemblea Nazionale francese. Ad ogni modo mi ha detto Dowling – immagino che siano idee di Washington – che questo nuovo periodo di attesa non dovrebbe estendersi al di là di tre mesi. Qualora, egli mi ha aggiunto, nelle negoziazioni che stanno per iniziarsi dovesse apparire evidente che nessuna alternativa al riarmo, per opposizione francese, o per inconciliabilità delle tesi in conflitto, puessere raggiunta, l’America potrebbe decidersi anche al riarmo unilaterale tedesco (relata refero), o anche a qualsiasi altra soluzione che esclude la Francia, e cinella convinzione che essa a pio meno breve scadenza finirebbe coll’aderirvi.

I francesi, da parte loro, non cessano di diffidare di un possibile diretto tête-à-tête tedesco-americano, e Bérard mi ha detto constargli che una missione capeggiata dal Generale Heusinger trovasi già al Pentagono.

Cari saluti dal sempre tuo aff.

Franco

1 DGAP, Uff. IV, Versamento CED, 1950-1954, b. 28, fasc. 98. 2 Vedi D. 1, nota 3.

19

L’AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI, AL MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI(1)

T. s.n.d. 11073/497. Washington, 3 settembre 1954, ore 18,40 (perv. ore 8,10 del 4).

Ho comunicato al Sottosegretario Murphy i punti di vista italiani sugli sviluppi della crisi della CED risultanti dai telegrammi ministeriali 8181/c., 8182/c., 8204/c.2, lasciandogli un promemoria. Murphy mi ha detto di apprezzare l’atteggiamento nostro molto vicino a quello degli Stati Uniti e le nostre considerazioni sul contributo allo svolgimento di una soluzione di interesse comune. Ha aggiunto che la visione americana è ancora fluida per la lontananza di Dulles e per mancanza di una reazione alla volontà tedesca vivamente attesa circa la Conferenza ed i negoziati. Riconosce che la riunione del NATO ha il grave inconveniente dell’assenza della Germania; la riunione ad otto, che Washington non esclude, elimina tale difficoltà ma non ha veste per ammettere la Germania al NATO.

Murphy è d’accordissimo sulla preferenza alla unificazione della difesa occidentale sulle trattative dell’unità tedesca. Ha promesso di tenerci al corrente dei progressi di fissazione del programma americano. Ho colto l’occasione per interessare fortemente il Sottosegretario per una onorevole soluzione per Trieste prima dell’otto ottobre. Mi ha detto che il Dipartimento lavora attivamente in tale senso.

1 DGAP, Uff. IV, Versamento CED, 1950-1954, b. 28, fasc. 98. 2 Vedi DD. 6 e 7.

20

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI AFFARI ESTERI BENVENUTI(1)

Appunto(2). Roma, 3 settembre 1954.

APPUNTO CIRCA IL PASSO COMPIUTO OGGI DALL’AMBASCIATORE DEL CANADÀ (3 settembre 1954)

L’Ambasciatore canadese a nome del suo Governo mi ha pregato di portare a conoscenza del Ministro quanto segue:

1) Il Governo canadese ha avuto conoscenza di varie voci ufficiose o di stampa, secondo le quali sarebbe in corso una iniziativa britannica per una Conferenza di Potenze interessate a risolvere la situazione formatasi a seguito del voto negativo dell’Assemblea Nazionale francese.

Fatte le opportune indagini il Governo canadese tiene anzitutto a precisare che una tale iniziativa britannica non ha ancora preso né corpo né forma e deve considerarsi tuttora come ipotetica.

2) Per quanto concerne il contenuto delle voci che corrono, il Governo canadese tiene a precisare che ritiene in ogni caso preferibile che il problema della difesa occidentale (europea) sia anzitutto discusso in una riunione della NATO: sia a livello Ministri sia a livello Delegati Permanenti.

Se la riunione immediata a livello Ministri appare impossibile, il Canadà propone che si proceda immediatamente ad un esame da parte dei Delegati permanenti alla NATO di tutti gli aspetti della questione: in modo che tale materiale di studio possa fornire una adeguata base per la riunione dei Ministri che dovrebbe subito dopo venire convocata.

3) Il Governo canadese non è favorevole a che il problema, della partecipazione germanica alla difesa occidentale sia risolto nel quadro di otto sole Potenze e tanto meno nel quadro di una Conferenza di tre soli Paesi.

La soluzione deve essere fin dall’inizio studiata nel quadro della NATO che è già stata investita della questione e che si è già pronunciata dal 1950 sino al 1952 (Lisbona) a favore della partecipazione germanica.

4) Se fosse messo davanti alla scelta di accettare una riunione NATO ovvero una riunione degli otto Paesi piil Canadà, – il Governo canadese nonostante la particolare posizione che sarebbe fatta al suo Paese, non accetterebbe volentieri la seconda soluzione, ma darebbe senz’altro la preferenza alla prima.

5) Il Governo canadese invece sarebbe favorevole a che una volta che la NATO fosse stata investita della questione il negoziato con la Germania fosse condotto dalle tre Nazioni occupanti pii Paesi del Benelux, l’Italia e il Canadà.

Tale gruppo ristretto dovrebbe naturalmente presentare i propri rapporti all’Organizzazione della NATO.

1 DGAP, Uff. IV, Versamento CED, 1950-1954, b. 28, fasc. 98. 2 Sottoscrizione autografa.

21

IL CAPO DELL’UFFICIO I DELLA DIREZIONE GENERALE DELLA COOPERAZIONE INTERNAZIONALE PLAJA(1)

Appunto(2). Roma, 3 settembre 1954.

Atteggiamento dei vari Paesi in relazione al problema dell’inserimento della Germania nel sistema difensivo occidentale dopo il respingimento francese del Trattato CED.

STATI UNITI

Non sono finora pervenute comunicazioni dirette circa l’atteggiamento americano. Le reazioni del Dipartimento di Stato si riassumono per ora nelle dichiarazioni di Foster Dulles circa la necessità di convocare sollecitamente il Consiglio Atlantico in Sessione straordinaria per l’esame del problema. Secondo previsioni delle agenzie stampe, il Governo americano accetterebbe la proposta britannica della Conferenza ad otto.

GRAN BRETAGNA

Il Foreign Office ha lasciato intendere all’Ambasciatore Brosio(3) che alla convocazione del Consiglio Atlantico preferirebbe anteporre una Conferenza ad otto da tenersi a Londra entro breve termine. Alla riunione sarebbero invitati oltre agli Stati Uniti i Sei Paesi della Comunità Europea.

Secondo quanto comunicato dall’Ambasciatore Brosio il Governo britannico procederebbe immediatamente, insieme agli americani, a sondaggi presso Adenauer e presso il Governo francese per il ripristino della sovranità tedesca partendo dalla base degli accordi contrattuali di Bonn.

La Conferenza ad otto dovrebbe successivamente studiare le modalità di un riarmo tedesco «nel quadro dell’intesa dei Sei Paesi pil’Inghilterra». Al riguardo si accennerebbe all’eventualità che la Germania e le altre potenze assumono l’impegno di limitare le proprie forze, gli armamenti e relative industrie. Il Foreign Office prevede comunque la necessità di qualche limitazione al riarmo tedesco per ottenere l’assenso francese all’ammissione della Germania nel NATO.

Il Consiglio Atlantico successivamente dovrebbe sanzionare tale ammissione.

Secondo l’ultima comunicazione dell’Ambasciatore in Londra (in data 2 settembre)4, Kirkpatrick ha lasciato intravedere la possibilità che la conferenza non sia a Otto ma bensì a dieci e comprenda cioè oltre ai paesi CED gli Stati aventi truppe in Germania cioè Canadà e Danimarca. Il Canadà avrebbe chiesto di parteciparvi mentre la Danimarca non si è mossa. L’Agenda della Conferenza dovrebbe essere assai ampia e definire il modo e i limiti della restituzione della sovranità, lo statuto delle truppe non pioccupanti, per essere successivamente ai problemi del riarmo e «limitazioni connesse alle analoghe obbligazioni degli altri Paesi europei in vista dell’inclusione finale della Germania nel NATO».

La Gran Bretagna sarebbe disposta a partecipare all’accordo europeo e ad assumere al riguardo obbligazioni verso l’Europa pistrette di quelle americane e da esse indipendenti. Londra teme perche la Francia voglia un impegno inglese a non ritirare le truppe mentre essa non sarebbe disposta ad assumere impegni corrispondenti.

Kirkpatrick oltre a manifestare all’Ambasciatore Brosio il suo scetticismo verso il Governo e Parlamento francese, ha manifestato l’avviso sull’assoluta necessità di predisporre fin d’ora possibili alternative per l’eventualità che la Francia respinga un «progetto ragionevole»; ha concluso esprimendo l’opinione che bisognerebbe in tal caso essere in condizioni di procedere anche senza la Francia.

GERMANIA

La reazione tedesca è contenuta in cinque punti concordati dal Governo di Bonn in armonia con i Capi Gruppo parlamentari dei partiti governativi:

1) Proseguimento della politica di unione europea con tutti i popoli pronti ad accettarla ed in ogni settore possibile. Consultazioni per ulteriori trattative nel campo dell’integrazione militare con i Paesi che hanno già ratificato la CED o stanno per ratificarla;

2) Restaurazione della sovranità;

3) Partecipazione alla difesa occidentale senza discriminazioni;

4) Stipulazione di speciali accordi per lo stazionamento di truppe straniere sul territorio occidentale tedesco;

5) Urgenti trattative con gli Stati Uniti e la Gran Bretagna.

L’Ambasciatore Babuscio Rizzo ha comunicato che non è ancora stato definito l’atteggiamento nei confronti della contemporaneità o meno del ripristino della sovranità e del riarmo(5). La tendenza sarebbe di richiedere il diritto al riarmo senza discriminazioni congiuntamente alla sovranità.

Dai contatti con gli ambienti alleati risulta che inglesi e americani sarebbero orientati verso l’applicazione integrale degli accordi di Bonn stralciandovi le clausole CED.

La proposta di Conferenza ad otto trova pieno favore a Bonn.

L’Ambasciatore Babuscio ha inoltre segnalato di aver osservato che mentre all’Alto

Commissariato inglese si tenderebbe all’ammissione della Germania al NATO, all’Alto Commissariato americano non si sarebbe completamente rinunziato ad utilizzare in qualche modo la CED, non si scarterebbe infatti neppure l’idea di una CED a cinque.

FRANCIA

Il Sottosegretario Guérin De Beaumont ha confermato all’Ambasciatore Quaroni l’intenzione del Governo di mantenersi fermo alla politica atlantica e alla collaborazione europea(6). Ritiene che il Governo francese accetterà l’invito alla Conferenza ad otto. Data la caduta della CED non resta altra alternativa che l’ingresso nel NATO. Occorre perrivedere alcune assicurazioni ed esaminare se non sia preferibile fare entrare la Germania «prima in un’organizzazione europea di altra forma e poi questa nel NATO».

BELGIO

Spaak ha espresso all’Ambasciatore Grazzi(7) la preoccupazione che Mendès-France giuocando la carta inglese tenti di opporre la Gran Bretagna agli altri alleati; si preoccupa che il problema tedesco possa discutersi al di fuori del Benelux e dell’Italia; propone che il Benelux e l’Italia continuino a mantenere vivo il problema dell’integrazione politica ed economica dell’Europa e riesaminino collettivamente la nuova situazione; ritiene urgente il riarmo tedesco; intenderebbe chiedere la convocazione del Consiglio Atlantico e proporre un termine (tre mesi) entro cui la Francia dovrebbe scegliere fra una formulazione addolcita della CED ed il riarmo tedesco controllato con l’immediata ammissione tedesca nel NATO; esclude la possibilità di una CED senza qualche elemento di sovranazionalità (e quindi la possibilità di una adesione inglese); esclude un’alleanza continentale con la partecipazione inglese e non vede la necessità di fare distinzioni in seno all’Alleanza Atlantica.

L’Ambasciatore Grazzi commentando le parole di Spaak consiglia di non scartare l’ipotesi dell’alleanza continentale, purché ci si possa assicurare la partecipazione inglese; egli esprime inoltre la preoccupazione che la soluzione che verrà data al riarmo tedesco possa risolversi in un siluramento definitivo dell’idea europeista.

OLANDA

Il Governo olandese ci ha fatto comunicare dall’Ambasciatore in Roma che il problema della restituzione della sovranità è compito dei Governi francese-inglese e americano(8). Dato il sistema degli accordi di Bonn e della CED, è d’avviso che i firmatari della CED debbano essere tenuti al corrente delle discussioni tra i tre e non di essere semplicemente informati delle decisioni raggiunte.

Il riarmo tedesco dovrebbe essere ridiscusso con tutti i Paesi firmatari della CED. Cipotrebbe avvenire in seno ad una Conferenza ad otto.

A parte le questioni procedurali il Governo olandese è sostanzialmente favorevole al ripristino della sovranità e del riarmo tedesco.

CANADA

Il Ministro degli Esteri ha dichiarato all’Ambasciatore Baldoni che il Governo canadese, che mantiene truppe ed aerei in Germania, è contrario all’iniziativa inglese di una conferenza ad otto ed è invece favorevole ad una riunione del Consiglio Atlantico ai primi di ottobre. Il Consiglio potrebbe successivamente delegare le tre Potenze occupanti a negoziare con la Germania il riarmo ed il collegamento con il NATO.

CONSIGLIO DEI RAPPRESENTANTI PERMANENTI DEL NATO

Nella riunione tenuta a Parigi il lo settembre i Rappresentanti Permanenti si sono unanimemente espressi a favore dell’iniziativa americana di convocare il Consiglio Atlantico in Sessione speciale.

1 DGAP, Uff. IV, Versamento CED, 1950-1954, b. 28, fasc. 98.

2 Trasmesso con Telespr. segreto 21/2248 del 4 settembre alle Ambasciate ad Ankara, Atene, Bruxelles, Bonn, L’Aja, Londra, Ottawa, Parigi, Washington, alle Legazioni a Copenaghen, Lisbona, Lussemburgo, Oslo, alle Rappresentanze presso il Consiglio Atlantico e presso la CED a Parigi e per conoscenza alla Direzione Generale degli Affari Politici.

3 Vedi D. 9.

4 Vedi D. 12.

5 Vedi D. 1, nota 3.

6 Vedi D. 10.

7 Vedi D. 2.

8 Vedi D. 4.

22

L’AMBASCIATORE A BONN, BABUSCIO RIZZO, AL MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI(1)

Telespr. urgente 023. Bonn, 3 settembre 1954.

Oggetto: Reazioni di Bonn all’iniziativa britannica.

Non credo che si possa affermare che l’iniziativa britannica, accolta qui con molto favore, abbia per ora fatto sorgere molte speranze per una rapida soluzione del problema del riarmo tedesco. L’impressione diffusasi stamattina è che la progettata Conferenza di Londra sia non imminente e forse addirittura ipotetica. Questo Vice Alto Commissario inglese mi ha detto oggi che, per evitare una nuova Bruxelles, è necessario far precedere l’eventuale Conferenza da un accurato lavoro di preparazione. Evidentemente è questo il risultato dei primi contatti avuti in questi due giorni da inglesi e americani a Bonn e a Parigi dove le difficoltà da superaresono apparse gravi. È opinione generale ad ogni modo che l’iniziativa britannica comunque essa possa svilupparsi, abbia già reso un notevole servizio col riempire senza perdita di tempo il vuoto creato dal voto negativo dell’Assemblea Nazionale francese, vuoto considerato pericoloso per le opinioni pubbliche dei Paesi europei e in ispecie per quella tedesca.

Le divergenze franco-tedesche, almeno a giudicare da Bonn, sembrano acuite da stati d’animo personali, cui non sembrano essere estranei né Mendès-France né Adenauer. Potrebbe essere questo un motivo di piper gli inglesi di non affrettare i tempi. Cimi è apparso pure confermato dal fatto che gli inglesi sembrano sconsigliare Parigi dal prendere subito iniziative dirette verso i tedeschi, come pare Mendès-France avesse l’intenzione, ritenendo probabile una accoglienza negativa perfino secca da parte di questi ultimi.

1 DGAP, Uff. I, Serie Affari politici, 1951-1957, b. 331, fasc. 1-14 settembre 1954.

23

L’AMBASCIATORE A L’AJA, BENZONI, AL MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI(1)

T. s.n.d. 11125/84. L’Aja, 4 settembre 1954, ore 20,25 (perv. ore 24).

Telegramma di V.E. 8181/c.2.

Questo Segretario Generale del Ministero degli Affari Esteri col quale ho conferito, in assenza del Ministro, mi ha detto che il punto di vista del suo Governo è perfettamente d’accordo con il nostro circa l’esclusione dell’ipotesi CED a cinque nonché l’associazione della Germania al Patto Atlantico a mezzo piccola NATO anche perché secondo l’opinione dell’Olanda la Germania stessa non l’accetterebbe.

Questo Governo concorda pertanto sulla possibilità d’inclusione senza discriminazioni della Germania nella NATO nonché sulle modalità da esplorarsi via diplomatica fra gli otto Paesi nel senso esposto dal telegramma ministeriale.

Studi al riguardo sono già stati iniziati. Per quanto concerne il punto tre il Segretario Generale per quanto abbia trovato la cosa interessante non è in grado di rispondere prima di conoscere il testo della nota occidentale all’URSS cui portata potrebbe rendere l’iniziativa non attuale.

Mi ha aggiunto che sembra che il Governo britannico contemplerebbe di estendere invito della Conferenza al Canadà ed alla Danimarca in qualità di Paesi aventi truppe in Germania. L’Olanda in linea di principio è contraria in quanto la progettata conferenza deve essere intesa come avente formale punto partenza CED ed associazione a questa Stati Uniti e Gran Bretagna.

1 DGAP, Uff. IV, Versamento CED, 1950-1954, b. 28, fasc. 98. 2 Vedi D. 6.

24

IL DIRETTORE GENERALE DELLA COOPERAZIONE INTERNAZIONALE, MAGISTRATI, AD AMBASCIATE E LEGAZIONI(1)

Telespr. segreto 21/22532. Roma, 4 settembre 1954.

Oggetto: Sviluppi successivi alla Conferenza di Bruxelles. Orientamento italiano.

Per riservata conoscenza della E.V. (S.V. Ill/ma) si comunicano alcuni elementi informativi sull’orientamento italiano nei riguardi dei problemi posti dall’andamento della Conferenza di Bruxelles e dalla decisione del Parlamento francese di respingere gli accordi CED. Tale orientamento, nell’attuale fase della situazione, dovrà precisarsi in base agli ulteriori sviluppi ed ai contatti in corso.

Abbiamo accolto con favore le prime notizie ufficiose, secondo cui il Governo britannico sarebbe orientato verso la convocazione a Londra di una Conferenza preliminare. Tale Conferenza dovrebbe, secondo noi, essere preceduta da un adeguato scambio di idee per via diplomatica sulla sostanza del problema e sulle possibilità di soluzione.

Per quanto riguarda la eventuale convocazione anticipata del Consiglio Atlantico a livello Ministri, ventilata ufficiosamente da parte degli Stati Uniti e dal Canadà, pur non avendo evidentemente obiezioni in linea di principio, pensiamo che le decisioni in proposito debbano essere raggiunte in base agli elementi di giudizio che emergeranno nelle prossime settimane particolarmente a seguito degli sviluppi dell’iniziativa britannica per la Conferenza di cui sopra. Circa la sostanza del problema il nostro punto di vista va precisandosi come segue:

1) come aveva già avuto occasione di far conoscere nelle more della ratifica CED, il Governo italiano è favorevole alla restituzione della sovranità alla Germania. Specie nella fase attuale tale decisione dovrebbe essere presa direttamente dalle tre potenze occupanti.

2) Per ciche riguarda la questione del riarmo che dovrebbe formare oggetto principale della Conferenza, una volta messa da parte la formula che noi riteniamo essere pisoddisfacente (CED) – sono concepibili, come accennato da piparti a Bruxelles e dallo stesso Mendès-France, altre possibilità.

Tra queste riteniamo che nella situazione attuale debba essere esclusa l’ipotesi di una CED a cinque: ciperché il Governo italiano considera che un organismo tendente alla difesa dell’Europa Occidentale sia altrettanto inconcepibile senza la Francia quanto senza la Germania.

Quanto all’associazione indiretta della Germania al NATO mediante una alleanza ristretta, collegata con quella e costituita dai sei paesi CED con o senza l’Inghilterra, è una soluzione che ci sembra porre molti interrogativi e che tutto sommato appare presentare piaspetti negativi che non positivi.

Al Governo italiano appare quindi, a prima vista, piconveniente esplorare ed approfondire la possibilità che la Germania venga inserita nel NATO a parità di condizioni ma con delle modalità accettabili anche da parte francese. Sia per la parte relativa agli armamenti che per la parte relativa agli effettivi, a nostro avviso, non dovrebbe essere impossibile trovare formule adeguate, facendo eventualmente ricorso ai risultati degli studi già compiuti per il Trattato CED.

3) Inoltre ci domandiamo se non sia opportuno che il Governo britannico, nel farsi promotore della Conferenza, si faccia dare conferma da tutti i partecipanti di non compiere tentativi di avviare il dialogo fra est e ovest, anche dopo la restituzione della sovranità alla Germania e fino a quando, sul problema della partecipazione tedesca alla difesa dell’Occidente, non si sia raggiunto un accordo. Simili tentativi potrebbero infatti, evidentemente, avere gravi conseguenze sulla coesione del mondo libero in un momento di debolezza e di apparente disorientamento.

Si fa riserva di comunicare a codesta Rappresentanza, per suo orientamento, ulteriori elementi non appena possibile.

1 DGAP, Uff. I, Serie Affari politici, 1951-1957, b. 331, fasc. 1-14 settembre 1954.

2 Indirizzato alle Ambasciate ad Ankara, Atene, Mosca, Ottawa, alle Legazioni a Copenaghen, Lisbona, Oslo e per conoscenza alla Direzione Generale degli Affari Politici. Sottoscrizione autografa.

25

L’AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI, AL MINISTRO DEGLI AFFARI ESTERI, PICCIONI(1)

R. riservato 12662. Parigi, 4 settembre 1954.

Signor Ministro,

non vorrei che persistessero ancora da noi degli equivoci o delle illusioni sul significato del voto CED alla Camera francese: la CED è stata respinta, perché non c’era maggioranza. Del resto, il numero di voti che ha avuto la CED, 264, corrisponde, quasi esattamente, alle previsioni di tutte le persone che ci hanno dato, sul Parlamento francese, delle informazioni esatte. L’azione di Guy Mollet è fallita, perché i deputati socialisti contrari, nella loro quasi totalità, si sono infischiati dei fulmini della direzione del Partito: e non si è riusciti a trovare altrove quei 40 o 50 voti che sarebbero stati necessari per farla passare ad una debole maggioranza. Non è un fatto nuovo, nemmeno: se tutti i Governi, favorevoli alla CED, che si sono succeduti in Francia fino a poco tempo addietro, non hanno mai osato sottoporla alla ratifica del Parlamento, ciè stato soltanto perché, nonostante tutto quello che hanno detto a noi, ed agli americani, essi sapevano benissimo che questa maggioranza non c’era. E anche all’ultima seduta, malgrado l’errore tattico commesso dai partigiani della CED (sopratutto Pleven), se ci fosse stata una maggioranza, anche lieve, favorevole, il risultato del voto sarebbe stato differente. Non concentriamo quindi su Mendès-France la responsabilità del fallimento: Mendès-France non ha fatto niente per salvare la CED, questo è il minimo che si possa dire di lui: ma non è perché Mendès-France era Presidente del Consiglio che la CED non ha trovato una maggioranza: è perché non c’era maggioranza per la CED che Mendès-France è diventato Presidente del Consiglio. Si potrebbe forse anche aggiungere che è perché questa maggioranza non c’era, che Mendès-France, una volta diventato Presidente, non ha cambiato di opinione.

Non c’era quindi da farsi illusioni: la CED, quella che è stata firmata due anni addietro, è sepolta: e con essa, temo, è sepolta l’idea dell’Europa realizzata attraverso le agenzie supranazionali specializzate. Si potrà forse tentare qualche cosa d’altro (e su questo mi riservo di riferire a V.E. con un prossimo rapporto); questa CED non la si pufar risuscitare pi Mendès-France un giorno cadrà anche lui: è anche possibile che gli succeda un Presidente del Consiglio favorevole alla CED: ma nemmeno lui riuscirà a farla passare al Parlamento. Forse solo delle nuove elezioni potrebbero portare alla Camera una maggioranza favorevole: ma anche questo non è sicuro e certo non è per domani.

Si tratta adesso di vedere che cosa si pufare, per limitare e circoscrivere i danni, se ed in quanto ciè ancora possibile.

Mendès-France ha dichiarato a Bruxelles e a Parigi – piin via diplomatica che in pubblico – che riconosce la necessità del riarmo della Germania, e del miglioramento dei rapporti franco-tedeschi e pidi una volta, in tutti gli ambienti, la sua fedeltà alla politica atlantica.

Su come si deve intendere la sua fedeltà alla politica atlantica, come del resto su tutta la sua politica estera, Mendès-France continua ad essere sibillino. Chi non è stato sibillino, è invece Jules Moch.

La politica atlantica è stata ed è necessaria, perché senza la protezione americana noi saremmo senza difesa di fronte agli attacchi della Russia: ma il suo scopo deve essere quello di negoziare colla Russia il disarmo generale contemporaneo e controllato. Riarmando la Germania, si toglie di mezzo ogni possibilità di successo per questo negoziato. Abbiamo fatto delle pessime esperienze colla Russia, è vero: ma in questi ultimi tempi abbiamo avuti alcuni segni che ci possono far sperare in un cambiamento di animus. Prima di prendere degli impegni irrevocabili, proviamo: se i fatti ci mostreranno che ci siamo sbagliati, ci rassegneremo anche noi al riarmo intensivo e quindi anche al riarmo della Germania. Questo è in riassunto il pensiero di Jules Moch, quale egli lo ha esposto alla Camera francese. Debbo aggiungere che, quasi parola per parola, le stesse cose me le ha dette Vincent Auriol, qualche settimana addietro.

Quello che è accaduto per la CED dovrebbe almeno portarci a fare piattenzione a quello che dice il Parlamento francese che a quello che dice il Governo: noi italiani, con questa, è la terza esperienza grossa che facciamo di questa verità e dovrebbe servire. Ora quello che ha detto Jules Moch è, grosso modo, l’opinione di quelli che hanno votato contro la CED.

In altre parole, quelli che hanno votato per la CED sono tutte persone conscie o rassegnate all’idea che con i russi non c’è niente da fare: e che quindi conviene, prima, mettersi in condizioni di forza e poi, dopo, forse, si potrà trattare. Quelli che hanno votato contro la CED sono tutti gente che ritiene invece che si debba, prima, provare a trattare colla Russia, e fare di tutto per riuscirci.

Naturalmente non si tratta di una maggioranza omogenea: ci sono, oltre naturalmente i comunisti, alcuni fra questi i quali sono disposti ad accettare per buone tutte le proposte o promesse dei russi: ce ne sono invece di quelli che si ricordano ancora delle esperienze passate e mettono quindi dei limiti alla loro credulità. Per esempio, sempre per restare nel campo Moch-Auriol, per tutti e due i limiti sono decisamente: elezioni veramente libere in Germania occidentale, ed accettazione di un disarmo controllato. Ora persono appunto questi convincibili, che mi permetterei di stimare ad un centinaio di deputati, quelli che mancano ad una maggioranza atlantica nel senso in cui noi intendiamo questo vocabolo. Nel 1950, quando si è cominciato a parlare di CED, tutti questi erano convinti che con la Russia non c’era niente da fare: adesso molti la pensano diversamente.

Quindi, quando si tratta di interpretare il valore delle affermazioni concernenti la politica atlantica e di [sic] riarmo tedesco, bisogna non dimenticare che il Governo francese, quando dovrà passare dalle parole agli atti, dovrà tener conto di quella che è la situazione parlamentare. E, se Mendès-France vuole restare al potere, deve tener conto di questi umori del Parlamento: e se non ne tiene conto, cadrà, ma sarà sostituito da una persona che sarà ancora peggio di lui, in questo senso.

È probabile che Mendès-France, personalmente, sia anche lui per il dialogo: ma è inutile perdere del tempo ad interpretare le sue parole: abbiamo i fatti: e questi fatti sono la situazione al Parlamento francese: e prego V.E. di credermi, il voto non è stato truccato: esso rappresenta veramente l’opinione dei singoli e dei gruppi.

La Francia è devastata da un’ondata di neutralismo intellettuale, che accomuna sullo stesso piano gli intellettuali di sinistra ed i grandi interessi. I francesi sentono che una guerra fra Russia e America è possibile, che qualche mese fa essa è stata terribilmente vicina e che puesserlo di nuovo.

I francesi sono convinti che la Francia non pu fare la guerra: non la pufare, perché i francesi non hanno nessuna, ma proprio nessuna voglia di battersi, ma solo quella di godersi la vita e di essere lasciati in pace: perché sono convinti che la loro fabbrica economica, politica e sociale è talmente fragile che non reggerebbe al minimo urto. I neutralisti di sinistra (parlo dei non comunisti), che sono poi anche i neonazionalisti, vogliono la pace ad ogni costo, perché la considerano il solo mezzo di poter procedere a quelle riforme interne profonde di struttura che sole permetterebbero alla Francia di essere di nuovo una grande potenza: sono tutti ipnotizzati dall’esperienza laburista nel Nord Europa, e sono convinti che per la Francia non c’è salvezza se non si passa per la stessa strada. I neutralisti di destra vogliono la pace ad ogni costo perché la considerano come il solo mezzo per ottenere che i comunisti interni li lascino godere, almeno fino alla loro morte, i loro agi: e credono anche sia questo il solo mezzo di evitare l’esperienza laburista.

Forse è soltanto una crisi: la Francia è un paese complesso, turbato, travagliato da reazioni profonde ed oscure: è possibile una ripresa in senso contrario. Come è stato il voler forzare la Francia verso una politica europea che essa non sentiva, che ci ha condotti alla situazione attuale, così è possibile che gli eccessi della tendenza attuale portino ad una reazione in senso contrario: tanto pipossibile che la predominanza ebraica nei fautori di questa dottrina puanche portare a delle reazioni di altro genere: il fondo antisemita qui è ancora molto forte, specie nel popolo. Ma questo non è certo per un domani immediato. Oggi, e almeno per i prossimi mesi, dobbiamo tener conto della Francia politica quale essa è: e finché questa dura, non possiamo e non dobbiamo credere ad un Governo francese che ci venga a parlare di fedeltà atlantica e di riarmo della Germania, se non colle riserve di cui sopra.

Mi permetto di ripetere, non è esatto che contro la CED la Francia è stata guidata dalla paura della Germania: la Francia è stata guidata dalla paura della guerra. I francesi sono convinti che in America c’è una forte tendenza, ancora, verso la guerra preventiva – il che fra parentesi è innegabile – : sono convinti che i tedeschi, sopra ogni altra cosa, vorranno l’unificazione della Germania: e che i tedeschi, se si persuadono che questa unificazione della Germania è impossibile con mezzi pacifici, cercheranno anch’essi la guerra: ed hanno paura della collusione fra la guerra preventiva americana e la guerra unificatrice tedesca.

In altre parole, i francesi non hanno realmente paura che i tedeschi vogliano fare adesso la guerra alla Francia; hanno paura che i tedeschi trascinino la Francia in una guerra contro la Russia.

Questa preoccupazione c’è sempre stata, qui in Francia, e l’ho segnalata a V.E. da parecchi anni: essa è diventata piforte come conseguenza della politica di Dulles e della ripresa tedesca. Ed è sopratutto questa preoccupazione che ha battuto la CED: l’argomento vero contro la CED, è stato che essa non lega sufficientemente la Germania per impedirle di fare la guerra alla Russia: e non lascia la Francia sufficientemente libera di non seguire la Germania in una sua eventuale guerra di rivendicazione.

Quindi, la Francia intende, sì, essere fedele al Patto Atlantico, in quanto il Patto Atlantico obbliga l’America a venire in aiuto alla Francia se essa sarà attaccata, ma intende che il funzionamento del Patto Atlantico sia tale da impedire agli Stati Uniti di fare una guerra preventiva e comunque di obbligare la Francia a seguirli (mi domando se, in realtà, l’atteggiamento inglese sia molto distante da quello francese). E, per quello che concerne il riarmo tedesco, essa è disposta a sopportarlo a condizione che esso sia mantenuto in limiti tali da non permettere ai tedeschi di pensare ad avventure nei riguardi della Russia: e da non permettere agli americani di far realmente conto sull’esercito tedesco per una guerra preventiva.

Questi i limiti da cui, oggi, un Presidente del Consiglio francese non puuscire se non vuole essere smentito dal Parlamento.

La Francia quindi andrà alle prossime conferenze, se ce ne saranno: riaffermando la sua fedeltà Atlantica, e riconoscendo, in principio, la necessità del riarmo della Germania, in realtà ci metterà tutti i se ed i ma: e l’intenzione vera sarà una sola: negoziare con la Russia.

Fra le righe di tutte le dichiarazioni fatte in Parlamento e fuori dagli avversari della CED, c’è l’invito alla Russia di venir fuori con delle proposte costruttive. Se la Russia ripeterà il suo invito a discutere della Germania, non sarà certo Mendès-France che si rifiuterà al colloquio.

Noi non possiamo far niente, per impedirlo: è anche molto dubbio, se la Conferenza sulla Germania sarà indetta dalla Russia, se noi saremo invitati a prendervi parte.

Non so se, e fino a quale punto, l’articolo di Schuman sul «Figaro», e le informazioni erronee sulla situazione al Parlamento francese, abbiano veramente influito sull’atteggiamento dei Cinque a Bruxelles. Del resto, non è questo l’ultimo atto che ha importanza: gli europeisti francesi, consci di non essere capaci – loro – di imporre la loro volontà al Parlamento francese, hanno cercato di portarci tutti, gli americani in primo luogo, a forzare la mano al Parlamento francese: la prova è stata fatta, il risultato è stato negativo, non ci cadiamo ancora. Da noi l’argomento, «l’hanno fatto tutti, non possiamo restare fuori e restare isolati» è un argomento che, in molti casi, taglia la testa al toro: in Francia non è la stessa cosa. Non ci dimentichiamo poi che la popolarità e la forza di Mendès-France, che sono indiscutibili – si guardi la maggioranza che ha avuto per il rinvio del dibattito sulla politica estera: nemmeno i partigiani della CED hanno avuto il coraggio di votargli contro tutti, – sono dovute a due cause: è l’uomo che ha avuto il coraggio di liquidare il conflitto in Indocina; è l’uomo che ha il coraggio di dire no all’America, ed ai suoi satelliti europei.

È proprio quindi in queste circostanze e contro questo stato d’animo, che vorremmo esercitare la pressione dal di fuori? Mendès-France non lo si farà cadere sulla politica estera: bisogna aver pazienza ed aspettare che all’interno, la sua politica economica e la sua politica nord africana dividano la sua maggioranza di oggi. Ma più lo si attacca e lo si critica dal di fuori, più lo si rende forte.

Mendès-France cadrà certamente, come deve cadere qualsiasi Presidente del Consiglio francese, ma perché cada, bisogna che egli esca dall’equivoco in politica interna: è cioè sulla sua politica finanziaria e sulla sua politica nord africana che la sua attuale maggioranza si dislocherà, perché verrà un momento in cui o dovrà abbandonare la sinistra o la destra non potrà piseguirlo, e non potrà nemmeno piseguirlo quella finta sinistra che è il Partito Radicale: dovrà quindi, pio meno, seguire le sorti del Fronte Popolare di Léon Blum di buona memoria. Non è sul piano della politica estera che lo si potrà far cadere, per lo meno prendendolo di punta: si puottenere qualche cosa, forse soltanto rendendogli difficile di continuare il suo ermetismo.

La chiave l’ha nelle mani l’Inghilterra: non per nulla è lei che ha presa l’iniziativa di riunire la conferenza post rifiuto della CED. L’Inghilterra è il grande atout nelle mani di Mendès-France, che è il Presidente del Consiglio francese che piè stato accarezzato dagli inglesi da quando mi trovo in Francia: e indiscutibilmente la visita di Mendès-France a Churchill, dopo Bruxelles, è stata una manovra abile e per lui utilissima: e siamo proprio sicuri che a Londra si sia veramente così dispiaciuti dello scacco della CED? Lo so che le dichiarazioni di Londra sono impeccabili, ma sono sincere?

Comunque Mendès-France, a mia impressione naturalmente, farà delle nuove proposte – o le farà Churchill – che saranno presentate come una «solution de rechange», una delle tante che sono state proposte qui dagli antifederalisti, la proposta Lapie, o la proposta Billotte, o magari quella Weygand. Ma egli aspetta che Mosca si faccia viva: sicuro come è, che Mosca si farà viva, nel frattempo pupromettere tutto quello che si vuole, sul Patto Atlantico ed anche sul riarmo tedesco.

Ma quando Mosca si farà viva? Il limite di quello che farà o potrà fare la Francia e Mendès-France è il limite che metteranno gli inglesi: oggi il broncio di Washington non impressiona qui nessuno: forse rinforza Mendès-France: il fronte unico degli altri cinque, liquidato facilmente sotto il nome di fronte dei satelliti di Washington. L’isolamento della Francia, quello che pufare impressione e dislocare, in parte, la sua maggioranza, lo si avrà soltanto quando anche l’Inghilterra si sia schierata contro la politica francese. Ma quello che vuole realmente l’Inghilterra non è perfacile ad indovinare.

Per me c’è un punto fermo, e da un pezzo, nella politica inglese: gli inglesi vogliono la riforma del Patto Atlantico nel senso di togliere all’America il diritto che essa ha attualmente di fatto, di dichiarare la guerra a nome dell’Alleanza Atlantica, e di fare, sempre a nome dell’Alleanza Atlantica, una politica estera che possa condurre alla guerra: adesso sono in due a volere la stessa cosa: anche i francesi. Non mi meraviglierei affatto del resto che gli inglesi siano soddisfatti che Mendès-France sia venuto al potere – e forse anche del rigetto della CED – per avere, in Europa, qualcuno che vada pilontano di loro, e poter assumere così una posizione intermedia fra gli americani ed i francesi.

Ma come possono gli inglesi perdire di no al dialogo colla Russia? Dopo tutto è discutibile se, in Francia, saremmo oggi dove siamo, in materia di neutralismo, se Churchill non avesse parlato per primo di dialogo, e se Attlee & Co non fossero andati a spasso fra Mosca e Pechino. La nota che sta per essere inviata, a nome dei Tre, in risposta alla Russia, è in fondo un invito alla Russia a venir fuori con delle proposte: non difende pila CED – e questo è soltanto logico – e riafferma tre punti: trattato con l’Austria, elezioni libere in Germania Occidentale, e disarmo controllato.

Se questi punti fermi fossero mantenuti seriamente, non c’è un grande pericolo nel dialogo: perché i russi non possono accettare delle elezioni veramente libere in Germania Orientale e non possono accettare il controllo straniero, a casa loro, del disarmo: il pericolo è nel considerare come accettabili delle formule equivoche, alla russa, e quindi perdere ancora degli anni di tempo, come dopo il 1945, per convincersi della malafede fondamentale dei russi. Per quello che concerne la Francia, dati gli umori della maggioranza parlamentare, certo prima che i primi anticedisti comincino a rendersi conto che con i russi non c’è realmente niente da fare, del tempo ce ne vorrà molto: se gli inglesi sono nello stesso ordine di idee, allora la situazione è assai grave, perché non saremo certo noi che potremo impedire che si vada per questa strada: la speranza è solo che gli inglesi abbiano la testa sulle spalle e vogliano evitare la rottura con gli americani e quindi che ad un certo punto, dopo aver tirata la corda americana al massimo possibile, si decidano a dire: adesso basta perché è su questo «adesso basta» e solamente su questo che si fermeranno anche i francesi.

Al momento attuale il punto di vista esposto nel telegramma circolare di V.E. n. 8181/c.3, nel suo complesso non mi sembra distaccarsi molto da quello che, apparentemente, dicono tutti oggi, anche la Francia. Francamente considero molto dubbio il punto 3, almeno nella forma drastica e chiara in cui lo concepiamo noi: perché non penso che gli inglesi siano così decisi a mettere delle remore al colloquio: mi auguro naturalmente di sbagliarmi. È pifacile, credo, chiedere agli inglesi di fermarsi ad un certo momento del colloquio che accumulare le condizioni preventive.

I punti difficili sono, come trovare, nell’armamentario della NATO, delle condizioni di controllo delle forze tedesche, e quindi di limitazione, anche temporanee, che siano accettabili dai tedeschi ed accettabili dai francesi: perché allora dovremo tener conto, temo, anche del neo-nazionalismo tedesco e del neo-nazionalismo di Adenauer.

L’altra difficoltà, del resto a questa connessa, è che, se il Governo francese accetta l’ingresso della Germania nella NATO, puro e semplice, dubito molto che questa sua decisione abbia l’approvazione del Parlamento francese: e se il Governo francese propone una specie di sostituto all’attuale CED, nemmeno per questo troverà maggioranza al Parlamento, perché molti dei fautori della CED, per dispetto, voteranno contro.

E si rischia di ripetere lo stesso giuoco che a Bruxelles: ossia i francesi presenteranno dei progetti, dicendoci che questi sono forse accettabili al Parlamento: gli altri li considereranno inaccettabili e domanderanno delle modifiche, e poi si finirà per rendere queste modifiche responsabili del fallimento al Parlamento francese, facilitando così, in quanto c’è, l’equivoco attuale. Quindi, nella ricerca e nella discussione della formula sarebbe, secondo me, bene lasciar fare gli inglesi ed appoggiare gli inglesi, perché, lo ripeto, l’avallo inglese è l’unico che abbia un certo peso al Parlamento francese.

Noi non sappiamo, in realtà, alla vigilia di questa Conferenza quale è il vero pensiero degli inglesi, e nemmeno quale è il piano d’azione degli americani. È una svolta estremamente pericolosa di tutta la situazione politica, perché rischiamo alla fine di questo ciclo di trovarci non solo senza CED ma senza nemmeno il Patto Atlantico. Se si arriverà a questo, a noi non resta evidentemente altra alternativa che rinserrare ancor di pii nostri legami coll’America, anche se essi diventeranno, invece che bilaterali, plurilaterali. Ma per fare questo, se l’Europa scivola verso il dialogo, e verso l’appianamento, ci vorrà tutta un’azione di politica interna a cui il Governo deve prepararsi.

In una situazione come questa in cui non sappiamo cosa puavvenire domani, come evolverà la situazione, quando ignoriamo quale è il pensiero dei principali protagonisti (e lo ignoriamo perché probabilmente anche loro stanno brancolando nel vago), mi permetterei di raccomandare al Governo italiano di stare molto tranquillo e prudente. Capisco che potrebbe essere molto attraente di prendere delle iniziative: ma se poi queste iniziative cadono nel vuoto, o peggio? Stiamo tranquilli, stiamo a vedere come si mettono le cose, non cerchiamo di tirar fuori le castagne dal fuoco per paesi, partiti o persone che non ce ne saranno grati o che poco possono fare per mostrarci la loro gratitudine. Cerchiamo di lasciar venire le cose, e non ci dimentichiamo che la situazione è in mano agli inglesi.

E intanto prepariamoci all’interno, anche al peggio.

La prego di gradire, Signor Ministro, gli atti del mio devoto ossequio.

P. Quaroni

1 DGAP, Uff. I, Serie Affari politici, 1951-1957, b. 331, fasc. 1-14 settembre 1954.

2 Il documento reca il timbro: «Inviato in copia al Presidente della Repubblica; inviato in copia ai Sottosegretari»

3 Vedi D. 6.

26

L’AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI,

AL MINISTRO DEGLI AFFARI ESTERI, PICCIONI(1)

R. segreto 13095. Washington, 4 settembre 1954.

Oggetto: Alternative CED.

Riferimento: Mio telegramma del 3 corrente. Mio rapporto n. 12893 del 2 corrente(2).

Signor Ministro,

la conversazione che ho avuto il 3 corrente con il sottosegretario Murphy ed i contatti mantenuti in questi ultimi giorni con gli Uffici del Dipartimento confermano che, pur restando nel quadro d’insieme illustrato col mio rapporto del 2 corrente, il Governo americano non è giunto ancora ad una specifica decisione sulle vie da seguire per trovare una soluzione ai problemi aperti dal fallimento della CED.

La situazione si va tuttavia lentamente chiarendo, almeno nel senso che si va operando una selezione delle possibili soluzioni e dei metodi da usare, sicché i problemi da affrontare vanno assumendo piprecisi contorni.

Il nostro passo ha dato un notevole contributo a questo processo di chiarificazione e di cici è stato dato atto al Dipartimento.

Da parte americana si è inoltre constatato che esiste in via di massima concordanza di idee tra i due Governi, sia sui tre punti specifici da noi sollevati sia sull’impostazione politica generale che essi suppongono.

Il progressivo chiarimento della situazione dipende anche dalle consultazioni in corso tra Londra e Washington nonché fra questi due Governi e quello di Bonn.

La molteplicità di iniziative o di manifestazioni verificatasi subito dopo il voto del Parlamento francese aveva determinato una notevole confusione ed aveva creato una certa incomprensione reciproca. La prima notizia di una proposta britannica per una conferenza a otto aveva percilasciato alquanto perplesso il Dipartimento che aveva proprio allora lanciato l’idea di una sessione straordinaria del Consiglio Atlantico. Inoltre le prime prese di posizione da parte tedesca avevano creato qui un senso di disappunto e di preoccupazione.

Si riconosce ora al Dipartimento l’utilità di una Conferenza a Otto come mezzo per agganciare contemporaneamente tedeschi e francesi. Da parte americana mancano tuttavia finora orientamenti precisi (oltre tutto fino a ieri non era pervenuto alcun invito ufficiale da parte britannica) e non si sono ancora fissate le idee sulla distribuzione nel tempo delle varie riunioni previste. Fra l’altro, secondo informazioni stampa, vi sarebbe da qualche parte l’intenzione di rinviare la sessione NATO ad un secondo tempo, dato che vari Ministri degli Esteri avranno occasione d’incontrarsi informalmente alle Nazioni Unite. Secondo altre informazioni si tenderebbe inoltre a rinviare la Conferenza ad Otto a dopo la riunione del Consiglio Atlantico.

Osservo ad ogni buon fine che tali due ipotesi non mi sembrano offrire per noi prospettive favorevoli. La prima ci lascerebbe fuori dai contatti diretti in un momento forse decisivo: la seconda ci priverebbe di un’ottima occasione per svolgere un’azione preparatoria nel ristretto quadro dei Paesi pidirettamente interessati alla CED. Anche per tale ragione il nostro passo è stato dunque assai opportuno o tempestivo.

Comunque, per ora, sulla questione dei tempi, l’unico punto fermo è quello dell’urgenza dei contatti che le Potenze occupanti dovranno avere col Governo tedesco sul problema della messa in atto degli Accordi Contrattuali e, in genere, sul ripristino della sovranità della Germania.

Circa il problema del riarmo, si è ormai generalizzato il concetto che l’unica soluzione possibile sia l’inserimento della Germania nella NATO. Altre soluzioni, come quelle da noi citate, avrebbero accoglienza assai fredda se venissero avanzate da parte francese. Il punto da risolvere, agli occhi degli Americani, è come limitare o controllare il riarmo tedesco in modo da dare ai Francesi sufficienti garanzie.

Da parte tedesca si è già fatto intendere qui, che non esistono difficoltà insuperabili, a un’eventuale formula diretta a tale scopo, ma si è anche escluso di poter accettare discriminazioni o condizioni che pongano la Germania in una posizione di inferiorità rispetto agli altri membri.

È pertanto ancora presto per poter giudicare se esistono le premesse per entrare in un esame di dettaglio delle modalità di un inserimento della Germania nella NATO. L’esito delle consultazioni in corso fra Anglo-Americani e Tedeschi e una migliore conoscenza dell’atteggiamento francese dovrà perfornirci prossimamente i necessari elementi di giudizio.

Voglia gradire, Signor Ministro, l’espressione del mio devoto ossequio.

[Alberto Tarchiani]

1 DGAP, Uff. I, Serie Affari politici, 1951-1957, b. 331, fasc. 1-14 settembre 1954. 2 Vedi rispettivamente DD. 19 e 17.

27

IL MINISTRO DEGLI AFFARI ESTERI, PICCIONI, AD AMBASCIATE, RAPPRESENTANZE E LEGAZIONI(1)

T. 8292/c.2. Roma, 5 settembre 1954, ore 2.

Allo scopo di chiarire i motivi che consigliano orientamento italiano a favore progetto britannico di conferenza preliminare da riunirsi a Londra, si deve tener presente quanto segue:

1) Opportunità che l’esame del problema dell’inserimento della Germania nel sistema difensivo occidentale abbia luogo attraverso discussioni cui possano partecipare direttamente anche i Rappresentanti tedeschi. Ciche non sarebbe possibile in sede di Consiglio Atlantico;

2) Opportunità che approfondita preparazione della soluzione sia svolta in sede diversa da quella Atlantica. Infatti se soluzione potrà essere raggiunta in sede Conferenza preliminare, Consiglio Atlantico sarebbe chiamato a sanzionarla. Qualora invece non si raggiungesse accordo, sarebbe preferibile ciavvenisse in sede Conferenza Londra anziché in sede Atlantica. Riteniamo infatti che non debba corrersi rischio insuccesso che potrebbe influire su compattezza Alleanza Atlantica, che costituisce pilastro difesa Occidentale;

3) A Consiglio Atlantico sarebbe comunque riservata, a nostro avviso, sanzione definitiva ovvero giudizio d’appello;

4) Nostro favore progetto britannico deriva infine dal fatto che, essendo indispensabile previo accordo con Repubblica Federale tedesca, opposizione a detto progetto potrebbe sfociare in convocazione Conferenza a quattro ciche per ovvi motivi sarebbe preferibile evitare;

5) Di fronte insistenze canadesi ci consta Governo britannico è disposto estendere invito conferenza Londra anche a Canada e Danimarca in qualità occupanti Germania(3).

1 DGAP, Uff. IV, Versamento CED, 1950-1954, b. 28, fasc. 98.

2 Indirizzato alle Ambasciate ad Ankara, Atene, Bonn, Bruxelles, L’Aja, Londra, Ottawa, Parigi, Washington, alle Legazioni a Copenaghen, Lisbona, Lussemburgo, Oslo ed alla Rappresentanza presso il Consiglio Atlantico a Parigi.

3 Per la risposta da Bonn vedi D. 32.

28

L’AMBASCIATORE A BRUXELLES, GRAZZI, AL MINISTRO DEGLI AFFARI ESTERI, PICCIONI(1)

R. 3699/1784. Bruxelles, 5 settembre 1954.

Signor Ministro,

mi richiamo al telegramma odierno n. 1682 con il quale ho riferito le reazioni del Ministro Spaak alle considerazioni e proposte formulate nei telegrammi ministeriali relativamente alle prospettive che si aprono all’Europa dopo il fallimento della CED.

Il ragionamento, o meglio la nuova formula che Spaak ha per ora elaborata (dico per ora poiché la fantasia del Ministro è corrispondente alla mutevolezza del suo animo passionale), si fonda sulle seguenti considerazioni:

Secondo le informazioni giunte al Ministero belga sino a questa mattina, né francesi né britannici avrebbero ancora pronta una formula da sottoporre alla Conferenza dei Nove. Il fatto, del resto, che malgrado le accettazioni di massima da parte di tutte le Potenze, il Governo britannico non abbia ancora comunicato l’invito ufficiale alla Conferenza, sta a dimostrare – secondo il Ministro – che esistono in seno al Gabinetto di Londra delle serie divergenze circa l’atteggiamento da assumere.

Giusta le informazioni pervenute al signor Spaak, il progetto di una pistretta collaborazione con il Continente, la quale collaborazione per essere davvero tale dovrebbe arrivare a comprendere la inclusione di divisioni britanniche nella eventuale alleanza continentale sotto un’autorità almeno in parte sopranazionale, non avrebbe molta probabilità di essere accolta dai dirigenti inglesi o dall’opinione britannica nel suo insieme. Pertanto, pensa Spaak, l’idea dell’alleanza continentale è senz’altro da abbandonare, visto che essa o non comprenderebbe l’entrata degli inglesi nell’ingranaggio o non sottostarebbe a veruna istituzione sopranazionale, anche se diluita.

D’altro canto, in una conversazione durata due ore con l’Ambasciatore del Belgio a Parigi, il signor Mendès-France non ha emesso nessuna idea costruttiva, limitandosi a respingere le polemiche circa la Conferenza di Bruxelles e dilungandosi sulla difficoltà che presenta per il Gabinetto francese la presentazione al Parlamento di una qualsiasi forma di riarmo autonomo della Germania. Nel corso di tale colloquio, il signor Mendès-France ha accennato ad un suo intendimento di recarsi in visita a Bonn; ma il signor Spaak pensa che tale intendimento sia destinato a rimanere tale.

Tenendo percipresente la duplice circostanza della estrema difficoltà da un lato di far accettare dal Parlamento francese un riarmo tedesco autonomo, che per il fatto di essere tale implicherebbe necessariamente la rinascita del tradizionale spirito militarista, e, dall’altro, di far accogliere ai britannici l’idea di sottostare ad una qualsiasi anche se lieve autorità supernazionale, il signor Spaak è giunto nella persuasione che invece di proporre alla Francia l’alternativa fra CED diminuita ed entrata della Germania nella NATO convenga porla di fronte alla proposta di ammettere la Germania nel NATO, ma contemporaneamente accogliere la sostanza delle richieste francesi in materia di CED e resuscitare quindi una nuova forma di quest’ultima. Ciin quanto, se si ammette che una CED in cui esista il diritto di veto ed in cui si stabilisca un periodo di prova come i francesi desideravano a Bruxelles, potrebbe essere pifacilmente accetta al Parlamento francese, al quale del resto non è stato ancora chiaramente posto il dilemma o CED o riarmo autonomo, si giunge alla conseguenza che i freni ed i controlli che la superstite autorità supernazionale continuerebbe ad esercitare potrebbero essere tali da far accogliere a molti dei deputati francesi l’idea dell’ammissione della Germania nel NATO.

In altre parole, la nuova CED servirebbe da paracadute o meglio da antidoto all’entrata della Germania nel NATO ed al pericolo di rinascita dello spirito militare tedesco il quale, con tale entrata in piena parità di diritti, non avrebbe presumibilmente nessun freno.

Quanto ai controlli che si possono escogitare per limitare i pericoli conseguenti alla sola ammissione tedesca nel NATO, il signor Spaak da un lato li crede contrari al carattere della Istituzione e, dall’altro, li ritiene non sufficienti a calmare le apprensioni francesi.

È evidente che nell’escogitare questa nuova formula il Ministro belga risente del timore, forte qui come in Francia, per la rinascita del militarismo prussiano; ma è peranche probabile che il suo ragionamento non sia del tutto destituito di logica. Se posso del resto aggiungere una considerazione personale, osservo che se dobbiamo dare per perduta la speranza di veder la Gran Bretagna mettere le dita nell’ingranaggio della cooperazione europea, la nuova formula Spaak consente per lo meno di tenere ancora accesa una piccola fiamma di europeismo, che, con la semplice inclusione tedesca, nel NATO, rischiamo di vedere spengere totalmente e per sempre.

Aggiungo infine che il signor Spaak quando è stato interrogato dall’Ambasciatore degli Stati Uniti circa la capitale dove potrebbe aver luogo la riunione del NATO che seguisse quella che sarà indetta a Londra fra i nove Paesi, ha proposto Roma, sostenendo doversi scartare, per ovvie se pur opposte ragioni, tanto Parigi quanto Washington quanto Bruxelles.

Voglia gradire, Signor Ministro, gli atti del mio ossequio.

Grazzi

1 DGAP, Ufficio I, Serie Affari Politici, 1951-1957, b. 331, fasc. 1-14 settembre 1954. 2 Il telegramma risulta in realtà datato 6 settembre. Vedi D. 29

29

L’AMBASCIATORE A BRUXELLES, GRAZZI, AL MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI(1)

T. s.n.d. 11189/168-169. Bruxelles, 6 settembre 1954, ore 20,15 (perv. ore 23,14).

Telegramma di V.E. n. 8182 e 1152.

La prontezza con la quale V.E. ha fatto pervenire a Spaak le sue osservazioni è stata da lui molto apprezzata.

Il Ministro osserva:

1) Fino ad oggi non risulta che il Governo britannico abbia stabilito un piano; sembrerebbe anzi che una piintima e concreta collaborazione inglese con continentali non abbia purtroppo molta probabilità. D’altro canto Mendès-France ha dichiarato ieri all’Ambasciatore del Belgio di non avere nessun preciso piano di azione, accennando soltanto al progetto di una sua eventuale visita a Bonn;

2) è probabile che allo stato delle cose il Parlamento francese come già ha rifiutato la CED respingerebbe l’entrata della Germania nel NATO;

3) i controlli cui la Germania potrebbe sottostare NATO di cui al punto due del telegramma 8182 non risultano a Spaak chiari né gli sembrano presentare molte probabilità pratiche poiché la Francia temerebbe (piche le numerose divisioni) la rinascita dello spirito militarista tedesco favorito da un esercito autonomo.

4) Il ministro si domanda perché l’Italia scarta senz’altro possibilità riprendere CED sotto forma piaddolcita;

5) Cipremesso, e tenendo presente la probabilità di cui al punto due, Spaak sottopone a V.E. una modifica alla sua precedente formulazione secondo cui la Francia avrebbe dovuto scegliere fra CED addolcita o (ripeto) Germania nel NATO. La sua nuova formula sarebbe: proporre alla Francia l’entrata della Germania nel NATO e (ripeto e) CED modificata;

6) Infatti Spaak pensa da un lato che accettando il diritto di veto per un certo periodo e dando già per acquisito ciche francesi hanno ottenuto a Bruxelles, la Francia potrebbe riesaminare la questione CED, e dall’altro che quest’ultima, a motivo determinato controllo che essa prevede e sopratutto mantenimento di certa autorità super-nazionale, contribuirebbe a favorire l’accettazione da parte del Parlamento francese della entrata della Germania nel NATO, tecnicamente le due cose comunque dovrebbero essere contemporanee o abbinate;

7) Circa l’impegno di non concludere il trattato est-ovest Spaak riterrebbe che la richiesta per quanto giusta in sé potrebbe apparire o superflua o spiacevole per i francesi.

1 DGAP, Uff. IV, Versamento CED, 1950-1954, b. 28, fasc. 98. 2 Vedi rispettivamente DD. 6 e 1.

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COLLOQUIO DEL MINISTRO DEGLI AFFARI ESTERI, PICCIONI, CON L’INCARICATO D’AFFARI DEL REGNO UNITO A ROMA, ROSS (Roma, 6 settembre 1954)1

Appunto(2).

Il Ministro Ross esprime anzitutto al Ministro Piccioni il proprio rincrescimento per il fatto che non sia stato possibile di evitare che la stampa annunziasse il contenuto del suo passo prima ancora che il passo stesso venisse effettuato.

Egli ha avuto istruzioni dal Governo di Sua Maestà britannica di richiedere al Ministro l’appoggio e l’adesione del Governo Italiano all’iniziativa inglese di convocare una riunione delle Potenze pidirettamente interessate, per esaminare la questione dell’integrazione della Germania nei piani di difesa occidentale. Da sondaggi effettuati nelle varie capitali, il Governo di Londra ha tratto la sensazione che tale riunione è non solo considerata opportuna ma anche molto urgente.

Ross rileva che è stato suggerito di tenere una riunione del Consiglio Atlantico. Il Governo britannico, a tale proposito, non avrebbe nulla da obiettare a che i Rappresentanti permanenti presso il NATO si riuniscano in seduta segreta per esaminare il problema per il quale viene proposta la riunione di Londra. Ma considera che sarebbe invece imprudente di tenere una riunione del Consiglio Atlantico al livello dei Ministri.

Ciperché occorre anzitutto consultare in argomento la Germania, ma sarebbe inopportuno di fare partecipare ora la Germania ad una vera e propria riunione del Consiglio Atlantico.

Inoltre, attraverso la riunione degli otto, si terrebbe conto della legittima aspirazione dei Paesi che hanno ratificato la CED o erano in procinto di ratificarla, di partecipare sin dall’inizio alle discussioni sul riarmo tedesco. Si presenta, è vero, il problema del Canada: a tale riguardo il Governo britannico è d’avviso che la partecipazione del Canada alla riunione di Londra sia opportuna e trovi la sua giustificazione nel fatto che il Canada è una Potenza che ha forze militari di una certa entità dislocate in Germania.

La località proposta per la riunione è Londra; quanto alla data, secondo il Governo britannico, essa dovrebbe essere fissata non oltre il 14 settembre. Numerose ragioni suggeriscono infatti una urgente convocazione della riunione; non ultima fra queste, l’opportunità che la conferenza preceda l’inizio dell’Assemblea Generale dell’ONU che avrà luogo il 21 settembre.

Quanto all’oggetto della riunione, Ross fa presente che secondo il Governo britannico si è parlato molto, troppo, e per due anni, di principi generali; ora si tratta di pensare alle misure concrete e non ai soli principi generali. La riunione di Londra naturalmente non potrà adottare decisioni di carattere definitivo, ma dovrà preparare le decisioni stesse. Dopo di che un gruppo di esperti si occuperà di tradurre in proposte concrete le conclusioni a cui la riunione londinese sarà pervenuta. Tali proposte poi dovranno essere sottoposte, per la decisione finale, ad una speciale riunione del Consiglio Atlantico.

L’Incaricato d’Affari conclude dichiarando che il suo Governo sarebbe assai lieto di poter inoltrare al pipresto gli inviti per la riunione di Londra.

Il Ministro risponde ringraziando Ross per la sua comunicazione. In linea di massima egli prosegue, noi abbiamo molto apprezzato l’iniziativa britannica, iniziativa che si è rivelata necessaria ed utile per rompere gli indugi dopo il fallimento della CED e per porre il problema dal punto di vista pratico.

Egli si riserva di sottoporre la questione al Presidente del Consiglio e pertanto, per il momento, si limita a dare all’Incaricato d’Affari la nostra accettazione preliminare in linea di massima.

Il Ministro si dichiara d’accordo sulla necessità che vengano prospettate soluzioni pratiche, sull’opportunità dei tre tempi (e cioè riunione a nove, riunione esperti, Consiglio Atlantico), nonché sulla presenza della Germania. Quanto alla località, Londra appare anche a lui come la piindicata. Circa la data, il Ministro non nasconde che essa è molto ravvicinata e lascia scarso tempo per la preparazione; d’altra parte si rende conto dei motivi che ne suggeriscono l’urgenza e della validità dell’argomento relativo alla necessità di precedere l’apertura dell’Assemblea dell’ONU. Quanto al Canada, il Ministro non vede sostanziali obiezioni da parte nostra alla sua partecipazione. Forse essa darà luogo a difficoltà da parte di altri, ma non dovrebbero essercene invece da parte nostra.

Ross ringrazia il Ministro della accoglienza riservata alla sua comunicazione. Egli informerà il proprio Governo del nostro orientamento in linea di massima riservandosi di confermare l’accettazione italiana dopo che il Ministro avrà conferito con il Presidente del Consiglio.

1 DGAP, Uff. I, Serie Affari Politici, 1951-1957, b. 331, fasc. 1-14 settembre 1954.

2 Trasmesso da Prato con Appunto 2836 dell’8 settembre alle Direzioni Generali degli Affari Politici e della Cooperazione Internazionale con la seguente annotazione. «Si trasmette, qui unito, un resoconto del colloquio avuto, il giorno 6 settembre, da S.E. il Ministro con l’Incaricato d’Affari Britannico, Ministro

A. Ross, in merito alla proposta di convocare una riunione per esaminare la questione dell’integrazione della Germania nei piani di difesa occidentale».

31

LA DIREZIONE GENERALE DELLA COOPERAZIONE INTERNAZIONALE(1)

Appunto. Roma, 6 settembre 1954.

L’iniziativa britannica di convocare una Conferenza preliminare a Londra per la discussione del problema dell’inserimento della Germania nel sistema difensivo Occidentale suggerisce le seguenti considerazioni:

Il fallimento di Bruxelles ed il seppellimento da parte della Francia del Trattato CED, hanno offerto il destro alla Gran Bretagna di riprendere in mano l’iniziativa per approfondire la propria leadership europea, che gli sviluppi della politica europeistica le avevano in qualche modo attenuata.

La scarsa simpatia inglese per il sistema CED era stata messa nel frigidaire solo per la spinta americana e per la politica dei sei Paesi che parevano voler fare sul serio in materia di unificazione.

Il problema del riarmo tedesco è un problema che preoccupa altrettanto la Gran Bretagna quanto la Francia, con la differenza che tale preoccupazione a Londra non è messa sulla piazza come a Parigi.

La posizione americana non è per ora sufficientemente chiarita, salvo che nell’obbiettivo: assicurare e legalizzare in qualche modo l’apporto militare tedesco alla difesa dell’Occidente europeo. È perda notare un permanere di simpatie europeistiche a Washington, nel senso che probabilmente si spera che il rigetto francese della CED non abbia compromesso definitivamente la possibilità di utilizzare quanto di positivo, sopratutto nelle idee, vi è stato nella politica europeista.

Alla preferenza iniziale per una discussione del problema tedesco in sede Atlantica, è subentrata l’accettazione della procedura inglese che antepone la conferenza preliminare.

La posizione tedesca accusa l’evidente disappunto di Bonn per la politica francese: tuttavia forse non solo per ragioni tattiche la Germania ha riaffermato il proprio attaccamento all’ideale europeistico, giungendo quasi all’offerta di realizzare una CED a cinque.

Per quanto riguarda il riarmo, mentre in una prima fase (quella dei cinque punti) si è parlato perentoriamente di partecipazione alla difesa occidentale senza discriminazioni, in una fase successiva Adenauer ha fatto intendere che del diritto al riarmo Bonn farebbe un uso non illimitato, e cioè che sarebbero forse accettabili dei controlli.

Occorre perchiedersi se tali limiti, nel programma tedesco, non debbano intendersi come applicabili anche agli altri partecipanti alla difesa Occidentale.

La posizione del Benelux deve tener conto dei timori di quelle Nazioni per l’eventualità di un riarmo incontrollato della Germania, quale avverrebbe con una ammissione pura e semplice nel NATO. Ecco perché è da prevedere che a Londra difficilmente il Benelux lascerà cadere completamente la linea europeistica.

La posizione francese è tutt’altro che chiara: respinta la CED, Parigi dovrà riconoscere la sovranità tedesca, ma è inconcepibile che accetti un’entrata tedesca nella difesa occidentale senza una serie di freni e di limiti che siano inferiori a quelli che si realizzavano con gli accordi CED.

È peraltro possibile che si verifichi una convergenza di interessi franco-inglesi su di un piano di associazione dalla Germania al NATO, i cui limiti siano stabiliti in una alleanza a sette (i sei della CED pil’Inghilterra) nella quale i partecipanti stabiliscano un controllo sugli armamenti ecc. ovvero che il controllo sui limiti del riarmo tedesco sia rimesso allo Standing Group, nel caso di ammissione della Germania al NATO.

È da prevedere che Londra abbia già predisposto fin d’ora un preciso progetto da sottoporsi ai nove il 14 corrente. Le sole indicazioni finora pervenute in argomento sono contenute nelle dichiarazioni di Caccia e Kirkpatrik a Brosio.

È essenziale che noi ci presentiamo con idee molto chiare sui nostri obbiettivi, per non trovarci impreparati di fronte ai progetti che saranno discussi. Occorre al riguardo osservare che probabilmente ci converrà di non abbandonare del tutto la carta europeistica, anche in considerazione del fatto che è proprio in qualità di membri della Comunità a sei che siamo invitati, a preferenza di altri, a discutere il problema dell’utilizzazione del fattore tedesco nel sistema difensivo occidentale.

DGAP, Uff. IV, Versamento CED, 1950-1954, b. 25, fasc. 91.

32

L’AMBASCIATORE A BONN, BABUSCIO RIZZO, AL MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI(1)

T. s.n.d. 11208/126-127-128-129. Bonn, 7 settembre 1954, ore 4,10 (perv. ore 11,30).

Suoi 115, 8181 e 82922.

Il Governo Federale ha ricevuto ieri dall’Alto Commissario britannico la comunicazione ufficiale dell’iniziativa britannica con la proposta di convocazione per il giorno 14. Hoyer Millar ha aggiunto che secondo Londra si sarebbe potuto in linea di massima limitare la riunione dei Ministri alla redazione delle linee generali dell’accordo, lasciando poi sul posto gli esperti per definire i particolari. Nell’illustrare la proposta Hoyer Millar ha fatto presente che a giudizio britannico si offrivano due alternative:

1) diluire la CED sopprimendo il principio della sopranazionalità con la possibile partecipazione britannica. Questa idea perè stata subito abbandonata da Londra perché, egli mi ha detto, occorrerebbe troppo tempo.

2) Partecipazione tedesca alla NATO. È questo punto di vista adottato dagli inglesi e di cui Churchill ha dato comunicazione ad Adenauer in messaggio personale non privo di patos redatto, mi ha detto Hallstein, nello stile caratteristico di Churchill. Questi propone che la restituzione della sovranità, che verrebbe concessa completa, venga limitata da una decisione dello stesso Governo tedesco il quale dovrebbe dichiarare di non intendere il diritto di riarmo come illimitato, ma contenuto invece nella misura già prevista CED.

Il Governo Federale ha già accettato ed in questo senso Adenauer si è espresso con messaggio personale di risposta inviato a Churchill. Sulla questione non è stata detta ancora l’ultima parola.

Avendo infatti l’Alto Commissario britannico fatto un fugace accenno ad una NATO «leggermente modificata» e pronunziato senza troppe precisazioni la parola «salvaguardie» gli è stato chiesto dai tedeschi come cisi accordava col concetto di non discriminazione prima affermato o se non si trattasse a volte della resurrezione del piano Parodi concernente in particolare la produzione di armi in Germania. L’Alto Commissario britannico non ha saputo chiarire la cosa ed ha promesso una urgente risposta.

Sulla proposta britannica della Conferenza, divenuta a nove, Hallstein mi ha detto di non avere ancora potuto discutere a fondo con Adenauer la posizione tedesca. Tuttavia, in base al primo scambio di vedute avuto col Cancelliere, e per ora – ha precisato – solo in via personale, egli ha già dichiarato stasera ad Hoyer Millar che la proposta della Conferenza di Londra non gli sembrava la via migliore per raggiungere la soluzione. Si tratta a mio giudizio di una posizione tattica intesa a mantenere aperte tutte le porte ma nella speranza di veder fallire il progetto della Conferenza. Hallstein mi ha detto che gli americani non vi sono favorevoli e Spaak vi è decisamente contrario.

Dalla conversazione avuta oggi col Sottosegretario di Stato cui era presente anche Blankenhorn mi è apparso infatti che i tedeschi sono orientati decisamente verso l’impostazione del problema dell’ammissione Germania alla NATO direttamente al Consiglio Atlantico, naturalmente dopo un’accurata preparazione per via diplomatica, che potrebbe anche essere svolta con la mediazione inglese.

Ho esposto ad Hallstein il punto di vista italiano che ha trovato qui il pieno apprezzamento e riferisco partitamente sui vari argomenti, annotando quando necessario eventuali differenze nostro punto vista e quello tedesco.

1) Restituzione sovranità alla Germania. Per pervenirvi sarebbe sufficiente nella concezione tedesca una dichiarazione emessa singolarmente da ciascuno dei tre Governi occupanti, che affermi semplicemente non voler piesercitare i diritti di occupazione. Procedura questa che non comporterebbe alcuna ratifica parlamentare. Hallstein mi ha detto che la richiesta tedesca verte sulla concessione completa della sovranità incluso il diritto al riarmo, non soggetto a sospensive, suscettibile tuttavia di autolimitazioni nel senso suindicato;

2) Ricerca formule alternative riarmo tedesco con riferimento alle conversazioni di Bruxelles ed alle dichiarazioni di Mendès-France viene considerata come base ormai troppo generica tuttavia utile, specie per quanto riguarda quest’ultimo;

3) Iniziativa CED a cinque non troverebbe opposizione tedesca di principio ma considerata irrealistica;

4) L’inserimento della Germania nel NATO a parità di condizioni. Hallstein si è mostrato molto grato di questa nostra esplicita presa posizione come pure dell’esclusione di ogni formula di associazione indiretta Germania, organizzazione Atlantica;

5) Ricerca formula riarmo ricorrendo a studi già compiuti per CED e pianificazione NATO. Hallstein mostratosi in principio d’accordo. Diversamente dal passato egli mi è ora apparso diretto verso formula che affronti il problema dell’ammissione della Germania nell’Organizzazione Atlantica radicalmente ed in forma pisemplicistica;

6) Governo tedesco apprezza e naturalmente condivide nostro atteggiamento su impegno che inglesi dovrebbero del tutto astenersi anche dopo conferimento sovranità e fino ad accordo riarmo tentativi dialogo est-ovest;

7) Atteggiamento italiano verso Conferenza a nove. Hallstein ha pienamente riconosciuto ed apprezzato nostro intento vedere assicurata diretta partecipazione tedesca discussione, ma obiettato che tramiti diplomatici cui Germania naturalmente partecipa sembrano qui metodo migliore che una conferenza nella quale si inseriscono pure pericoli derivanti da inevitabili interviste, comunicati ecc.. Circa mia obiezione che sia preferibile rischiare insuccesso conferenza a nove piuttosto che al Consiglio Atlantico egli mi ha risposto con una sottigliezza logica, quella cioè che considerato il motivo fondamentale dell’associazione tedesca difesa non vi è differenza che rifiuto venga opposto alla Conferenza a nove o al Consiglio NATO; le conseguenze anche psicologiche sarebbero ugualmente gravi;

8) La possibilità che il fallimento dell’iniziativa britannica sbocchi in convocazione della Conferenza a quattro. Hallstein non lo ritiene probabile anche e forse soprattutto per l’opposizione americana.

Per concludere l’impressione ricevuta dai miei contatti oggi alla Cancelleria Federale è che i tedeschi stanno adoperandosi per far fallire l’iniziativa britannica puntando verso l’impostazione del problema direttamente al Consiglio NATO che potrebbe essere convocato dopo il ritorno di Foster Dulles e quindi dopo i lavori delle Nazioni Unite. Che si vedrebbe volentieri la continuazione della mediazione britannica a ciincoraggiati da una opinione espressa in via personale anche da Hoyer Millar – non so su che basi e che non mi risulta condivisa dagli americani – che la Francia cioè finirà, e in condizioni non discriminatorie, ad accettare l’ammissione della Germania alla Organizzazione Atlantica. Si spera in altri termini che il metodo diretto di affrontare la questione alla NATO possa costituire il mezzo di maggiore pressione sui francesi nella convinzione che Mendès-France difficilmente vorrà esporsi in riunione di tanta portata ad un rinnovarsi della situazione determinatasi a Bruxelles.

1 DGAP, Uff. IV, Versamento CED, 1950-1954, b. 24, fasc. 89. 2 Vedi rispettivamente DD. 1, 6 e 27.

33

IL CAPO DELLA RAPPRESENTANZA PRESSO IL CONSIGLIO ATLANTICO, ALESSANDRINI, AL MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI(1)

T. s.n.d. urgentissimo 399-400. Parigi, 7 settembre 1954, ore 22,45 (perv. stessa ora).

All’inizio della odierna riunione del Consiglio, il rappresentante americano ha informato di aver ricevuto istruzioni dal suo Governo di fare una comunicazione ufficiale ed ha chiesto che per tale comunicazione, e susseguente eventuale discussione, la seduta non fosse considerata come privata e «off the record» ma come «formal restricted», cioè con processo verbale. Hughes ha quindi dichiarato che «il Governo degli Stati Uniti chiede formalmente una riunione del Consiglio Atlantico, a livello Ministri, per esame situazione derivante dal rifiuto dell’Assemblea francese di ratificare la CED, in qualsiasi luogo ed a qualsiasi data dopo il primo ottobre prossimo. Il Governo degli Stati Uniti chiede inoltre che, dopo determinazione località e data, sia fatto al pipresto un annunzio ufficiale relativo alla riunione stessa. Nessuna previa agenda».

Il Rappresentante belga ha fatto presente che è progettata una previa Conferenza a nove a Londra ed ha chiesto di conoscere i propositi americani a tale riguardo. Hughes ha risposto che la data del primo ottobre è stata proposta dal Governo di Washington appunto per consentire tale «riunione preparatoria» a Londra. I Delegati portoghese, norvegese e greco hanno dato loro piena approvazione alla proposta americana per la riunione della NATO, esprimendo invece la loro contrarietà a previa conferenza Londra. Essi hanno poi specialmente chiesto al Rappresentante britannico quali sono i criteri in base ai quali il Governo inglese intende rivolgere l’invito alla Conferenza di Londra. Il Rappresentante britannico si è riservato di rispondere affermando comunque «carattere preparatorio ed introduttivo alla futura riunione della NATO che la conferenza di Londra sarebbe destinata ad assumere».

I Rappresentanti della Norvegia, del Portogallo e della Grecia hanno molto insistito sull’interesse di tutti i membri della NATO alla questione affermando che comunque la riunione della NATO abbia precedenza su quella di Londra.

I Rappresentanti olandese e belga hanno fatto presente la convenienza di una previa conferenza a Londra per permettere la partecipazione della Germania. Essi hanno aggiunto essere già in grado di dare l’adesione dei loro Governi alla proposta americana ma che tali Governi intendono prima consultare Germania e Londra.

Sono intervenuto due volte per affermare la necessità di un’adeguata preparazione, a Londra, della futura riunione NATO in modo da evitare ogni, anche lontano, pericolo di fallimento in sede NATO, che sarebbe pregiudizievole alla stessa organizzazione atlantica. Ho aggiunto essere altresì necessario, dopo quanto è avvenuto, non urtare i tedeschi iniziando esame situazione con riunione dalla quale essi siano esclusi. Premesso ci ho aggiunto essere, come colleghi olandese e belga, in grado di assicurare che il Governo italiano vede con favore futura riunione NATO da tenersi dopo Londra.

Il Rappresentante canadese, appoggiato dal danese, ha avanzato infine la seguente proposta, che ha accolto l’approvazione del Consiglio:

1) la questione del rigetto CED dovrebbe formare oggetto di consultazione immediata da parte del Consiglio, a livello rappresentanti permanenti, a Parigi, in modo da consentire ai membri della NATO non invitati a Londra di conoscere gli esatti termini della questione stessa ed il pensiero dei Governi invitati nonché di esprimere le loro raccomandazioni.

2) Tale riunione dovrebbe essere seguita da Conferenza a Londra, alla quale dovrebbero partecipare i sei firmatari del progetto CED pila Gran Bretagna, gli Stati Uniti ed il Canadà. Gli altri Paesi membri della NATO non invitati a Londra potrebbero inviare osservatori.

3) Dopo tale conferenza avrebbe infine luogo riunione del Consiglio a livello Ministri, destinato a prendere le decisioni definitive, in località ed a data da destinarsi. Il Rappresentante americano ha insistito, Lord Ismay ha invitato il Consiglio, affinché la risposta a richiesta americana, insieme con le indicazioni relative a località e data, venga comunicata dai vari rappresentanti in riunione di dopo domani mattina, giovedì 9 corrente.

Telegrammi segreti originali 1954, arrivo, vol. I.

34

L’AMBASCIATORE A LONDRA, BROSIO, AL MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI(1)

T. s.n.d. 11246/275. Londra, 7 settembre 1954, ore 21,18 (perv. ore 7 dell’8).

Mio 2682.

Ieri nella conversazione con Roberts abbiamo illustrato il punto di vista italiano circa la progettata Conferenza a nove ed ho ricevuto chiarimenti che completano la comunicazione fatta a V.E. dall’Incaricato d’Affari britannico. In particolare è risultato quanto segue:

1) Il Governo inglese attende la risposta di Adenauer dopo l’odierno Consiglio dei Ministri tedesco. Si spera quindi di poter inviare l’invito formale entro i prossimi giorni. Comunque le prime reazioni di Adenauer sono state favorevoli.

2) Da Washington invece non si è avuta finora alcuna risposta né circa la procedura né circa la sostanza. Ciè dovuto dalla lontananza Dulles, dall’imminente sostituzione di Bedell Smith e dall’assenza di Eisenhower da Washington. D’altra parte qui si desidererebbe la partecipazione alla Conferenza di Dulles il quale non potrebbe certo arrivare per il 14; è già scontato quindi il rinvio di alcuni giorni.

La riunione avrà carattere di gruppo di lavoro a livello di Ministri degli Esteri che dovrebbero preparare le linee del progetto da sottoporre al Consiglio del NATO. La presenza del Canadà è giustificata dal fatto che le sue forze terrestri stazionate in Germania sono quasi equivalenti a quelle francesi coll’aggiunta di importanti contingenti di aerei; e la Gran Bretagna si augura che esse possano continuare a far parte dell’Organizzazione della difesa dell’occidentale [sic]. Si è deciso invece di rinunciare di invitare la Danimarca che non avrebbe espresso il desiderio e le cui truppe d’occupazione sono minime. Per quanto riguarda la restituzione della sovranità alla Germania è dubbio che una dichiarazione in proposito possa avere luogo prima della Conferenza data l’esistenza di complesse questioni giuridiche che potranno probabilmente essere risolte solo nella Conferenza. Circa il riarmo tedesco Foreign Office continua a ritenere che esso possa avvenire soltanto mediante l’ingresso della Germania al NATO. A tale riguardo per venire incontro alle preoccupazioni francesi si sta esaminando le varie possibilità di soluzione in analogia a quanto prospettato al punto secondo del telegramma di V.E. 8181/c. e sarà ben lieto di ricevere progetti che da parte nostra potrebbero essere avanzati in proposito.

Circa il suggerimento di cui al punto terzo dello stesso telegramma Roberts ha detto che esso corrisponderebbe pienamente ai propositi britannici. Gli pare perdi assai difficile attuazione sia perché creerebbe nuove difficoltà ad Adenauer che i socialisti tedeschi accusano di non preoccuparsi della riunificazione della Germania: sia soprattutto perché sembrerebbe ispirato troppo apertamente dalle diffidenze verso Mendès-France. Comunque la risposta anglo-franco-americana alle ultime due note sovietiche che già è stata sottoposta all’esame del NATO dovrebbe, secondo Roberts, togliere lo spunto per nuovi tentativi di dialogo fra Est e Ovest(3). Le due condizioni preventive riaffermate dagli alleati e che Londra come Washington intende mantenere seriamente, ossia il Trattato con Austria e le elezioni libere nella Germania Orientale sarebbero tali da rendere assai ipotetico il pericolo che noi giustamente prospettiamo.

Roberts ha aggiunto che da Parigi non vi era ancora nessuna risposta concreta. La Francia sarebbe certamente venuta alla Conferenza ma Roberts preferiva non pronunciarsi circa l’atteggiamento che essa avrebbe finito per prendere né circa l’esito della Conferenza. Tutto dipenderà quindi dalla fermezza che gli Stati Uniti saranno in grado di manifestare.

1 DGAP, Uff. IV, Versamento CED, 1950-1954, b. 24, fasc. 89. 2 Vedi D. 12. 3 Annotazione marginale: «Quaroni pensa il contrario».

35

LA DIREZIONE GENERALE DELLA COOPERAZIONE INTERNAZIONALE(1)

Appunto. Roma, 7 settembre 1954.

Allo scopo di impostare nel modo piopportuno l’orientamento politico italiano alla Conferenza di Londra ed alla prossima sessione del Consiglio Atlantico, sono da tener presenti le seguenti considerazioni:

1) Il rigetto francese degli Accordi CED pone termine alla seconda fase della politica europeistica. Questa puinfatti suddividersi in una fase ascendente, che dall’impostazione dei progetti di unificazione europea dei federalisti è passata attraverso le tappe di Strasburgo (che sopratutto per l’opposizione britannica prese l’aspetto di un organo con funzioni puramente consultive), dell’OECE, della CECA (che creil primo organo sovranazionale) e raggiunse il suo limite massimo con la firma degli Accordi CED, che svilupparono l’idea basilare dell’integrazione europea fra i Sei della piccola Europa. Il Trattato CED impostinfatti con l’art. 38 il programma piambizioso della CPE. Con la presentazione del progetto dell’Assemblea ad hoc ebbe inizio la fase discendente della politica di integrazione che si è conclusa con il fallimento degli Accordi CED.

All’attivo del bilancio della politica europeista rimangono comunque tuttora il Consiglio d’Europa di Strasburgo, l’OECE e la CECA. Il comunicato di Bruxelles richiama inoltre dei seppur vaghi obiettivi europeistici comuni ai Sei: intensificare la cooperazione europea per la protezione dell’Europa dalle forze che la minacciano; contribuire all’unificazione della Germania ed alla sua partecipazione alla difesa comune (ambedue obiettivi CED); ed infine prefigurare una formula politica ed economica dell’integrazione occidentale (obiettivo CPE).

Non è molto, dopo gli ambiziosi programmi CED e CPE, ma è sempre un minimo denominatore comune che, almeno apparentemente, dovrebbe comprendere anche la Francia.

2) Caduta la formula CED nella forma in cui era stata concepita (come soluzione del duplice problema dell’inserimento tedesco nel sistema difensivo dell’occidente e come strumento di una progressiva integrazione anche politica dei Sei) rimane anzitutto il problema del vacuum tedesco nell’Europa, che richiede una soluzione non pidilazionabile sia agli effetti della ripresa del dialogo est ovest, che per i rischi che comporterebbe un prolungarsi nel tempo dell’attuale situazione della Germania occidentale anche nei suoi aspetti di politica interna.

3) Mentre è ovvio sottolineare il fondamentale interesse italiano alla soluzione sia del problema della sicurezza europea con l’inclusione dell’apporto militare tedesco, sia della soluzione del problema politico della Germania, non occorre trascurare l’altro aspetto del problema che aveva indotto il Governo italiano ad impostare e perseguire attivamente la politica europeista.

La linea direttiva italiana è stata infatti di cercare di inserire il fattore italiano in un circuito politico, militare ed economico piampio di quello che sarebbe stato consentito da una serie anche vasta di accordi bilaterali.

Risolto il problema immediato della sicurezza attraverso il NATO, con la propria partecipazione a Strasburgo, all’OECE e sopratutto con l’accettazione della politica della comunità a Sei, il Governo italiano puntchiaramente sull’obiettivo della progressiva integrazione nell’ambito di quel circuito europeo minore ma che mostrava la volontà di accelerare le tappe del processo di unificazione.

Attraverso tale obiettivo da parte italiana si mirava alla soluzione di problemi di ordine diverso, che sarà opportuno richiamare brevemente: quello di creare un nucleo politico economico e militare che permettesse di affrontare la soluzione dei problemi militari politici ed economici su di una base piampia di quella strettamente nazionale, dando così respiro anche al problema sociale italiano. Il raggiungimento di una intima integrazione fra i Sei Paesi avrebbe certamente avuto benefiche influenze anche sul gravoso problema della politica interna italiana, quello del comunismo.

4) Quanto sopra esposto suggerisce l’opportunità che il «mezzo europeistico» non sia lasciato cadere da parte italiana almeno finché non si raggiunga una contro-prova (oltre a quella del fallimento CED avvenuto per sola volontà francese) che esso non è piutilizzabile come strumento dei nostri obiettivi, tanto piche dallo svolgimento della Conferenza di Bruxelles è risultato chiaramente che cinque Paesi non intendevano mettere la parola fine ai programmi di integrazione, senza contare l’appoggio di cui essa ha goduto finora presso il Governo di Washington.

5) Nell’ignoranza che [sic]i precisi progetti che verranno avanzati a Londra ed eventualmente in sede di Consiglio Atlantico, per la soluzione del problema del riarmo controllato della Germania, occorre esaminare partitamente tutta una serie di possibilità, che potranno presentare lati negativi per gli interessi italiani: per ora si puaccennare soltanto ai due progetti seguenti:

a) Progetto inglese dell’alleanza europea a sette (Sei CED piGran Bretagna) da collegarsi col NATO: con tale alleanza, da quanto è dato intendere dalle quasi sibilline indicazioni inglesi, la Germania e le altre potenze europee assumerebbero impegno di limitare le proprie forze, gli armamenti e relative industrie. Non è chiaro cioè se la Francia sarebbe compresa nel novero di queste «altre» potenze europee, perché – dato l’aggettivo qualificativo – sembra potersi infatti escludere che la Gran Bretagna vi sarebbe compresa. Ma se oltre alla Gran Bretagna, anche la Francia fosse esclusa da queste limitazioni, in pratica si tratterebbe di far accettare le limitazioni ed i controlli alla Germania, al Benelux ed all’Italia.

b) Progetto canadese. Esso è stato esposto sommariamente dall’Ambasciatore in Roma. Consisterebbe sostanzialmente in un protocollo aggiuntivo al NATO che fisserebbe per tutti gli Stati aderenti un sistema di «equilibrio» degli armamenti.

DGAP, Uff. IV, Versamento CED, 1950-1954, b. 25, fasc. 91.

36

L’AMBASCIATORE A MOSCA, DI STEFANO, AL MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI(1)

Telespr. segreto 2959/1327. Mosca, 7 settembre 1954.

Oggetto: Rigetto della CED da parte Parlamento francese.

Come è noto, è prassi del Cremlino di prendere posizione sui piimportanti eventi internazionali che interessano la politica sovietica, a mezzo di qualche dichiarazione o discorso dei suoi massimi esponenti od almeno attraverso un articolo di fondo della «Pravda», ristampato dagli altri giornali.

A tutt’oggi, 7 settembre, il Governo sovietico ha invece evitato di esprimere il proprio punto di vista sul fallimento della CED. Prevale, quindi, qui una posizione d’attesa, che, come ho telegrafato, puessere anche giustificata dall’assenza da Mosca di Malenkov, Molotov, Khrusciov, ecc.... i quali si troverebbero in ferie sul Mar Nero. Questi giornali non hanno certo celato la propria soddisfazione per il rigetto della CED: quotidianamente lunghe corrispondenze da Parigi e da altre capitali hanno registrato manifestazioni di uomini politici, di giornali, di associazioni, di partiti, contrarie al riarmo germanico e plaudenti alla decisione dell’Assemblea francese. Vi sono stati poi i soliti commenti.

Quanto alla sostanza, appare evidente che il Cremlino consideri il fallimento della CED come una grande vittoria: e fino ad un certo punto puaver ragione. La battaglia diplomatica contro la CED è stata qui condotta frontalmente, senza dover recedere di un pollice dalla posizione assunta sul problema germanico a Berlino, e puntando esclusivamente sul Parlamento francese.

Va rilevato altresì che la persona del Presidente Mendès-France, nonostante le sue recenti dichiarazioni in favore di una restituzione della sovranità alla Germania e di un riarmo controllato di quest’ultima, ha continuato ad essere qui particolarmente «ménagée» dalla stampa, ed a buon donde.

Negli ambienti di questa Ambasciata francese si afferma che la Francia, sotto la guida di Mendès-France, ora che la CED è stata tolta di mezzo, «riprenderà l’iniziativa politica persa da tanti anni ma non deluderà le speranze che in essa ripone l’Occidente». Si esclude che il Presidente del Consiglio francese possa prestarsi al gioco della Russia e tentare nei confronti della Russia sul problema germanico qualche nuova iniziativa o manovra «tipo Indocina». Si ostenta, d’altra parte, una certa fiducia «sulle carte che Mendès-France ha in mano per impedire agli anglo-americani di prendere decisioni contrarie agli interessi francesi». Non ho qui elementi per valutare le intenzioni e le inclinazioni del Capo del Governo francese; osservo tuttavia che, nel fissare le nuove direttive della sua azione, egli deve avere per lo meno attentamente soppesato e valutato le possibili reazioni russe. Intatti l’Ambasciatore Joxe, il quale doveva rientrare dal congedo entro la prima metà di agosto, è stato dapprima convocato a Ginevra negli ultimi giorni di quella Conferenza e dal 15 agosto è trattenuto a Parigi per consultazioni. La sua partenza dalla capitale francese è stata rinviata di giorno in giorno e sembra sia ora definitivamente fissata per oggi.

Non so se Joxe sia incaricato di compiere qualche particolare passo presso il Governo sovietico e mi sarà difficile controllarlo per ovvie ragioni, nonostante i nostri ottimi rapporti. Certo, la sua lunga permanenza a Parigi e la velocità di azione che Mendès-France sta dimostrando farebbero pensare che Joxe debba avere almeno ricevuto il compito di «spiegare», ai capi sovietici, nel miglior modo possibile, la posizione e le intenzioni del suo Governo. A tale proposito l’Incaricato d’Affari di Francia mi ha confidato di continuare a nutrire qualche speranza – che egli asserisce essere per altro basata soltanto su elementi induttivi – che un limitato e controllato riarmo germanico, sia pure nella cornice del Patto Atlantico, dovrebbe qui riuscire meno sgradito della CED. A suo dire qui si paventerebbe soprattutto l’integrazione europea, mentre si terrebbe molto ad una autonomia politica, militare ed economica della Francia, nella quale si vedrebbe la migliore contro-assicurazione nei confronti della Germania. Ossia qui si ragionerebbe ancora in termini di classico equilibrio europeo e si attribuirebbe effettivo valore e vitalità al patto di assistenza firmato nel corso della guerra con la Francia, come, del resto, a quello analogo con la Gran Bretagna. L’interlocutore ha ribadito che non dissimili preoccupazioni e considerazioni sarebbero condivise dagli ambienti anticedisti francesi, specie parlamentari. Inoltre l’opinione pubblica francese, messa di fronte dapprima alla ripresa economica della Germania ed oggi ad un suo eventuale autonomo riarmo, sarebbe sempre piincline a considerare la Russia come una potenza capace di contrastare e di controbilanciare un ritorno egemonico tedesco.

Non so quale fondamento abbiano queste interpretazioni a distanza dello stato d’animo francese. Per quanto invece riguarda l’URSS, ripeto in questa occasione che mi sembra teorico, e quindi prematuro, parlare di preferenze russe per l’una o per l’altra formula di riarmo di Bonn, anche se è vero che la CED era qui particolarmente invisa.

Ma ci a mio parere, dipendeva sopratutto dal fatto che, sino a pochi giorni fa, il riarmo della Germania occidentale si presentava in concreto, esclusivamente sotto la forma del Trattato di Parigi. Sicché il Cremlino, che s’ispira da anni alla norma tattica di concentrare il massimo del suo fuoco contro un solo obiettivo alla volta, ha battuto in pieno contro la CED: trascurando le altre ipotesi inattuali. Come a suo tempo riferito, la Nota sovietica del 24 luglio(2) conteneva una sfumatura tra il Patto Atlantico (che non teneva conto del pericolo della rinascita del militarismo tedesco) e la CED (che invece favoriva tale riarmo): ossia il giudizio dei russi sulle due Organizzazioni era sempre polarizzato sul riarmo tedesco.

L’occidente decidendo ora un’altra forma di riarmo germanico, è contro di essa che verrà spostato l’attacco frontale sovietico, Ma anche questa volta, a mio avviso, si punterà sul fallimento dell’iniziativa evitando di fare qualsiasi concessione sostanziale sulla Germania, che possa in un domani rivelarsi pericolosa per le posizioni sovietiche nella RDT o compromettere, senza piche adeguate contropartite, lo statu quo russo in Europa. Ciper considerazioni sia di politica estera e sia di politica interna, poiché, mentre forse Stalin poteva anche permettersi di capovolgere improvvisamente intere situazioni, il nuovo regime, che è ancora in una fase di consolidamento al potere, deve fare molta attenzione a non compromettere il proprio prestigio ed a non prestare il fianco ad accuse di debolezza.

Ho segnalato già ripetutamente ed anche prima della Conferenza di Berlino che le gerarchie del partito comunista dell’URSS mal si adatterebbero ora ad un abbandono del Governo di Pankow, che Stalin aveva continuato a tenere in una posizione ambigua ma che i di lui successori hanno continuamente rafforzato dall’agosto 1953 in poi. D’altra parte, è probabile che gli elementi nazionalisti e militari dell’URSS sarebbero insofferenti di una unilaterale ritirata russa dall’Europa Centrale.

Purtroppo tali considerazioni sembrano rafforzate dagli elementi d’incertezza della presente situazione internazionale. L’azione diplomatica del Cremlino contro i nuovi piani occidentali per un riarmo tedesco non dovrebb’essere, secondo me, granché diversa da quella fin qui perseguita: proposta di conferenze a quattro o allargate; progetti di sicurezza collettiva europei, magari con qualche lieve piallettante ritocco; disarmo.

L’unica ipotesi, peraltro ancor oggi molto teorica, in cui vedrei il Cremlino proporre qualcosa di nuovo nei riguardi della Germania, si verificherebbe qualora la Francia facesse comprendere d’essere disposta a staccarsi dal progetto Eden sulle elezioni in Germania, per venire incontro, sia pure entro certi limiti, al progetto Molotov. Non credo perche, anche in tale ipotesi, la sostanza cambierebbe; si tratterebbe di un semplice diversivo per gettare confusione e disorientamento nelle linee avversarie.

D’altronde non è possibile che, nelle circostanze attuali, la Francia possa voler approfondire i suoi contatti con l’URSS sino ad oltrepassare i limiti compatibili colla sua appartenenza alla NATO. Mendès-France, nel suo complicato gioco diplomatico, puforse tener presente una convenienza a qualche limitato approccio con Mosca, anche per rafforzare le sue possibilità di negoziato nei prossimi convegni occidentali e specie cogli Stati Uniti: probabilmente, per piquale mezzo che quale fine. Comunque, anche se si tratti oggi di eventuali semplici manovre è ovvio il nostro interesse a compiere tutto quanto è in nostro potere per aiutare e persuadere la Francia, ad evitare che essa, sentendosi isolata possa indursi a qualche distacco dal fronte unito occidentale.

1 DGAP, Uff. IV, Versamento CED, 1950-1954, b. 24, fasc. 89. 2 Vedi FRUS, 1952-1954, Germany and Austria, vol. VII, Part 1, D. 531.

37

IL MINISTRO DEGLI AFFARI ESTERI, PICCIONI, ALLA RAPPRESENTANZA PRESSO IL CONSIGLIO ATLANTICO(1)

T. s.n.d. urgentissimo 8408/184. Roma, 8 settembre 1954, ore 19,45.

Suo 399-4002.

A nome Governo italiano, la S.V. potrà, nel corso seduta di domani, dichiarare:

- -

3) circa località riteniamo ‒una volta che molti motivi sconsigliano a tutti Governi, compreso quello francese, la sede di Parigi ‒che riunione dovrebbe tenersi in una capitale nella quale polemiche locali di stampa e di opinione pubblica non potessero esercitare dannose influenze. Dovrebbe quindi evitarsi una delle capitali dei paesi firmatari del Trattato CED. In tali condizioni e anche per non perdere favorevole occasione costituita da presenza in America di molti Ministri degli Esteri a causa Assemblea Nazioni Unite, penseremmo di proporre Ottawa. Capitale canadese avrebbe, a nostro giudizio, maggiori vantaggi che non New York perché presenza sovietici in quest’ultima città contemporaneamente a Conferenza Atlantica potrebbe provocare situazione di disagio. Per quanto inoltre direttamente ci concerne, non essendo noi membri dell’ONU non ameremmo venirci trovare in situazione di spiacevole attesa che gli altri Paesi abbiano prima esaurito loro questioni e poi prestino attenzione a riunione Atlantica. Scelta di Ottawa infine sarebbe un gesto di cortesia verso Segretario di Stato Foster Dulles atto a evitargli un nuovo e faticoso viaggio in Europa.

1 DGAP, Uff. IV, Versamento CED, 1950-1954, b. 24, fasc. 89. 2 Vedi D. 33.

38

L’AMBASCIATORE A BONN, BABUSCIO RIZZO, AL MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI(1)

T. s.n.d. 11306/132. Bad Godesberg, 8 settembre 1954, ore 22 (perv. ore 7,30 del 9).

Il Cancelliere Federale mi ha fatto chiedere oggi da Blanckenhorn quali fossero i progetti del Governo italiano circa la nostra ratifica della CED. Egli riterrebbe infatti la ratifica italiana fattore ancora essenziale per gli sviluppi avvenire.

Ho risposto a Blanckenhorn che non avevo al riguardo comunicazioni ufficiali ma che mi sembrava poco verosimile che il Governo italiano pur rimanendo fedele alla politica europeistica decidesse di affrontare un dibattito parlamentare senza preciso significato nella attuale contingenza internazionale.

Blanckenhorn che ha mostrato di rendersi personalmente conto delle mie obiezioni, mi ha pregato tuttavia di suggerire – qualora non potesse essere considerata la presentazione della CED per la ratifica – la possibilità di una dichiarazione ufficiale italiana nella quale premessa l’impossibilità per l’Italia di procedere oltre nella ratifica stessa nelle presenti circostanze, venisse riaffermato che il Governo italiano rimane fedele ai principi che erano alla base del trattato e che potranno, in ogni caso, essere ripresi in avvenire per il proseguimento della opera di integrazione europea.

1 DGAP, Uff. IV, Versamento CED, 1950-1954, b. 24, fasc. 89.

39

IL DIRETTORE GENERALE DELLA COOPERAZIONE INTERNAZIONALE, MAGISTRATI, AL MINISTRO DEGLI AFFARI ESTERI, PICCIONI(1)

Appunto segreto 21/22712. Roma, 8 settembre 1954.

Oggetto: Conferenza di Londra e Conferenza Atlantica.

Con l’arrivo, a mezzo dall’Incaricato d’Affari di Gran Bretagna, dell’invito del Governo di Londra per la convocazione, nella capitale inglese, in uno dei primi giorni della prossima settimana, della prevista Conferenza a nove3, appariva doversi considerare concluso il periodo dei primi sondaggi e dei primi approcci che quel Governo aveva iniziato negli scorsi giorni per vedere realizzata la sua iniziativa(4). Viceversa le ultime notizie, alquanto contraddittorie, fanno supporre che il Foreign Office abbia lanciato quell’invito senza essersi preventivamente assicurata la partecipazione alla Conferenza dei tre principali interlocutori: la Francia, la Germania e gli Stati Uniti: situazione, questa, che ha già creato non piccoli equivoci ed un certo disorientamento nelle opinioni pubbliche.

Circa il contenuto dell’Ordine del Giorno della riunione, il Governo inglese non si è ancora pronunciato con precisione lasciando, per intendere che due saranno, comunque, gli argomenti della discussione strettamente, del resto, legati l’uno con l’altro e cioè:

1) L’associazione della Repubblica Federale Tedesca al mondo Occidentale.

2) L’apporto e la partecipazione di Forze Armate tedesche alla difesa dell’Occidente.

Il primo di questi punti si riferisce, evidentemente, alle forme da concordare e approvare per permettere il ripristino della sovranità della Repubblica Federale. E qui, naturalmente vengono in gioco gli accordi di Bonn i quali, con la caduta del Trattato CED vengono ad assumere una fisionomia del tutto diversa e particolare, in quanto essi in merito alle possibilità di riarmo di forze di nazionalità tedesca, si basavano interamente sull’applicazione delle norme costitutive della Comunità Europea di Difesa. Non a torto è stato affermato che quegli accordi erano come uno specchio che, per riflettere l’immagine, ha bisogno della patina argentea, nella fattispecie costituita dalla CED: una volta tolta la patina lo specchio diventa un semplice pezzo di vetro che non riflette immagini ed attraverso il quale ogni raggio pupassare senza controllo.

La Conferenza di Londra, quindi, si troverà dinanzi una non facile situazione, costituita dalle nuove forme, si ripete, da adottare sia per il ristabilimento della sovranità di Bonn, sia, in connessione, con il suo riarmo.

A tale proposito – e per quanto nel corso della Conferenza di Bruxelles, il Presidente Mendès-France sia stato largo di dichiarazioni in tema di buona volontà francese nei confronti della Germania di Bonn – ci si domanda fin da ora come, nella nuova situazione, il Governo di Parigi possa rinunciare (cosa che sembra invece già accettata da Washington e da Londra) a quelle clausole degli Accordi di Bonn che immaginavano possibile il ritorno, da parte dei tre alleati, ad uno statuto di controllo e cioè di occupazione, qualora cifosse reso necessario da situazioni politiche in Germania.

Circa le forme e le modalità per l’adozione di controlli in merito al riarmo tedesco, senza la palese creazione di norme discriminatorie ai danni della Germania, l’unica idea che, fino a questo momento, è apparsa circolare con una certa serietà, è quella fatta avanzare dal Governo canadese – a quanto è venuto ieri a comunicarmi questo Ambasciatore del Canada – e secondo la quale, per permettere l’ingresso della Germania nel NATO, i 14 Governi membri dell’Organizzazione Atlantica dovrebbero dichiararsi d’accordo perché essa assuma oramai il compito, non soltanto di mantenere il rafforzamento della difesa occidentale, ma anche di «controllarlo» ossia praticamente, di limitarlo. In altre parole, al NATO, di comune accordo, dovrebbe essere dato il potere di esercitare una revisione annuale nel senso anche di impedire uno squilibrio di posizioni nazionali militari, con l’incontrollato accrescimento di Forze proprie da parte di ciascuno degli Stati membri.

Con tale sistema, in pratica, verrebbero fissate in antecedenza le possibilità e gli apporti militari di ciascun Paese entro limiti non sorpassabili e, quindi, la Germania verrebbe già in partenza ad essere controllata nel suo riarmo, sia nel numero delle sue Divisioni, sia nella consistenza e nella produzione dei suoi armamenti: e cisenza che essa venisse discriminata in quanto che tali misure sarebbero di carattere generale ed applicate, quindi, a tutti gli Stati Atlantici.

Si tratta, come si vede, di una idea evidentemente, attraente e che, con lo stabilimento di un «equilibrio permanente di potenza» potrebbe anche dare alla Francia una soddisfazione in quanto che essa potrebbe vedere definitivamente riconosciuta e garantita una sua preponderanza di forze.

Ma, come tutte le cose, anche questa proposta potrebbe avere, particolarmente, per noi, un aspetto negativo. Potrebbe cioè ripetersi, in linee ben pigrandi, quanto ebbe già a manifestarsi in seno alla CED e che ne fu anzi uno dei maggiori agenti dissolvitori: la tendenza di alcuni Paesi di vedersi riconosciuta dagli altri una propria speciale posizione dovuta alle loro necessità di Potenze mondiali. Nel ricordare l’insistente richiesta francese per ottenere Protocolli e posizioni discriminatorie a proprio favore sulla base di una «Union française» differente da una «Francia metropolitana ed europea», viene subito al pensiero che domani, in sede NATO, Stati Uniti, Inghilterra e Francia, ecc., chiederanno altrettanto in modo che potrebbe venirsi a creare nella cornice atlantica una «piccola» ed una «grande» cittadinanza, creando due tipi di Paesi, gli uni, effettivamente, a podestà difensiva controllata e limitata, e l’altra nella realtà libera dei propri atti. Ma ciforse per l’Italia potrebbe essere un male minore, date le sue effettive possibilità e necessità.

Un’altra idea appare essere tuttora avanzata dal Belgio e particolarmente dal Ministro Spaak che è indubbiamente tra le personalità maggiormente attive della scena politica europea: patrocinare l’entrata della Germania nell’Organizzazione Atlantica ma contemporaneamente rinchiuderla, sempre insieme con gli altri cinque Paesi in una CED modificata, con la rinuncia a concezioni sopranazionali e con la conseguente creazione di un diritto di veto per un periodo piuttosto lungo.

In altre parole, una ripresa ed uno sviluppo dell’ultimo tentativo fatto dallo Spaak stesso dopo il cattivo risultato della Conferenza di Bruxelles, tentativo, peraltro, già criticato ed osteggiato, come è noto, da parte olandese. Altre idee e formule, in questo vasto crogiolo, destinato a mutare ogni giorno fisionomia, sono state avanzate. La Germania ha dichiarato di essere orientata nettamente verso la sua ammissione alla NATO, via la restituzione integrale della sua sovranità: posizione che, ai fini della limitazione degli armamenti, e secondo quanto apparrebbe patrocinato anche da parte britannica, potrebbe essere corretta da una autodecisione di Bonn intesa a non intendere il riarmo come illimitato, ma contenuto, invece, nella misura già prevista nella CED.

Cidetto, non appare molto semplice immaginare come tutte queste diverse concezioni e proposte – in gran parte, peraltro, tuttora nebulose – possano condensarsi in qualche cosa di positivo nella proposta Conferenza di Londra, circa i cui sviluppi, inoltre, mancano sino ad oggi precise indicazioni in merito agli effettivi intendimenti francesi od americani.

Quello, per che già è permesso vedere è che nel complesso esiste un orientamento inteso a studiare le possibilità di un avviamento della questione piuttosto in una cornice atlantica che non altrove. E a cisi è aggiunta ora la precisa richiesta ufficialmente avanzata dal Governo americano, in seno al Consiglio dei Rappresentanti Permanenti di Parigi, di vedere fissata una data per una Conferenza Atlantica straordinaria a livello Ministri, per l’esame della situazione derivante dal rifiuto dell’Assemblea francese di ratificare la CED: proposta che è stata, naturalmente, calorosamente appoggiata ed approvata senza indugio da tutti i Paesi che apparivano esclusi dalla progettata Conferenza di Londra.

In tali condizioni, e per quanto da piparti si parli oggi della possibilità di un rinvio della Conferenza di Londra, appare necessario osservare, da parte italiana, e con estrema attenzione, quali potrebbero essere gli imminenti sviluppi di una questione che è venuta a toccare tanto profondamente quell’avviamento europeista che, in certo modo, era stato, in questi ultimi anni, una delle caratteristiche della politica del nostro Paese. In altre parole, infatti, si potrebbe ora verificare una «svolta di grande rilevanza in quantoché ad un concetto di progressiva integrazione politica, militare ed economica tra taluni Stati europei compreso il nostro, potrebbe venire definitivamente a sostituirsi un concetto di alleanza nella cornice atlantica.

A tale proposito occorre tenere presente come una posizione mediana – e tale da «salvare il salvabile» in tema di europeismo – potrebbe essere costituita da una «alleanza a sette» tra gli antichi sei Paesi CED e l’Inghilterra: in altre parole un allargamento del Patto di Bruxelles all’Italia e alla Germania con una maggiore e diretta «compromissione» del Regno Unito con l’Europa occidentale. Progetto, questo, che del resto era già stato avanzato dallo stesso Mendès-France quale alternativa alla CED.

Questa nuova configurazione politica e militare potrebbe persino, secondo alcuni, far mettere da parte, almeno per il momento, il problema della immediata entrata, della Germania nel Patto Atlantico in quantoché il Governo di Bonn verrebbe ad essere «associato» alla NATO in posizione pio meno simile a quella della Jugoslavia.

Occorre, per qui dire che una tale soluzione, mentre sul terreno tecnico-militare implicherebbe una serie di complicazioni e di accavallamenti con i Comandi Atlantici, difficilmente favorirebbe quello sviluppo integrativo che era stato concepito con la creazione della CECA e della CED.

Un’altra soluzione, – in certo modo simile alla precedente, e avente percome punto di partenza l’ingresso della Germania nell’Organizzazione Atlantica – potrebbe essere una «piccola NATO a sette» nella «grande NATO» con una serie di particolari accorgimenti e controlli tali da permettere senza estensive discriminazioni e mediante l’adozione di speciali concetti integrativi in merito agli armamenti, una limitazione del riarmo tedesco. Ma qui occorre subito aggiungere che, sotto il profilo tecnico, gli ambienti militari italiani appaiono contrari alla «enucleazione» suindicata, preferendo vedersi schierate, senza complicazioni in un complesso di forze delle quali faccia parte l’America: in altre parole una organizzazione militare, che essi temono, in realtà diretta da un piccolo «Standing Group» franco-inglese, comporterebbe per noi maggiori svantaggi che non l’attuale, mentre quei nostri ambienti preferirebbero – una volta entrata la Germania nella NATO – vedere allargato l’attuale «Standing Group» a tre ad una formazione a cinque con partecipazione dell’Italia e della Germania stessa.

In un secondo appunto(5) questa Direzione Generale si permetterà esporre all’ E.V. alcune idee circa la posizione e l’atteggiamento che, specificamente, l’Italia potrebbe assumere in seno alla prossima Conferenza.

1 DGAP, Uff. I, Serie affari Politici, 1951-1957, b. 331, fasc. 1-14 settembre 1954.

2 Indirizzato per conoscenza anche a Benvenuti, Zoppi e Del Balzo.

3 Vedi D. 30.

4 Nella copia conservata in DGAP, Uff. IV, Versamento CED, 1950-1954, b. 24, fasc. 89 (con ilvisto del Segretario Generale e la sigla Zoppi) è presente la seguente annotazione a margine del primo paragrafo: «Non è esatto: Ross precissin dall’inizio che si trattava di sondaggio preventivo, in vista di un invito formale». Segue sigla di lettura dubbia.

5 Si tratta dell’appunto 20/2282, pari data, (ibidem), con il quale Magistrati riproponeva a Piccioni ilcontenuto del presente documento con la seguente premessa: «Nelle ultime 24 ore si è verificata una notevoleevoluzione in merito alle progettate Conferenze di Londra ed Atlantica, in quantoché la iniziale freddezza delGoverno degli Stati Uniti, l’insistenza del Governo di Bonn nel voler trattare per via diplomatica, prima direcarsi a qualsiasi tavolo di riunione, le cosiddette “salvaguardie” in merito all’associazione della Germaniaall’Occidente e, infine, un insieme di circostanze di fatto hanno consigliato il Governo di Londra a non reiterare l’invito per la Conferenza a Nove a brevissimo termine. Frattanto si avrà, come è noto, una visita del Ministro degli Affari Esteri, Eden, alle capitali europee maggiormente interessate, e cioè successivamente,a Bruxelles (dove si riuniranno anche i Rappresentanti dei Paesi Bassi e del Lussemburgo), a Bonn, a Romae infine a Parigi. Scopo dichiarato del viaggio è quello di raccogliere idee in merito al sistema migliore diaffrontare il problema delle relazioni future tra la Germania e l’Occidente. Il Governo di Londra appare nonaver ancora ufficialmente e definitivamente rinunciato alla sua iniziativa per la convocazione della “conferenza preliminare” a nove, ma parecchi sintomi fanno comprendere che, con probabilità, essa finirà in certomodo – una volta raccolte in forma completa le idee e le considerazioni del Governo tedesco – per compendiarsi ed unificarsi nella prevista Conferenza straordinaria dell’Organizzazione Atlantica, a livello Ministri,richiesta dagli Stati Uniti a una data che non dovrebbe andare oltre la prima decade di ottobre.

In queste condizioni, particolarmente in vista della conversazione che avrà luogo tra i Rappresentantidel Governo italiano ed il Ministro Eden nella giornata di martedì 14 corrente, appare opportuno riassumere,qui appresso, alcune idee relative alla posizione ed all’atteggiamento che il nostro Paese potrebbe disporsi adassumere, sul suindicato problema, in seno a quella prossima Conferenza Atlantica: 1. Non sembrano oramaipiattuali e realistiche le idee relative ad una possibilità di prosecuzione dell’azione intesa a dar vita ad una “Comunità Europea” quale essa era concepita prima del respingimento della CED da parte del Parlamentodi Francia. Nessuno appare aver dato seguito né a progetti di “CED a cinque” né, comunque, ad iniziativeche escludessero del tutto il Governo di Francia e tendessero, si ripete, ad avviare nuovi piani sulle antichedirettrici. Per quanto direttamente ci riguarda – e in vista anche delle difficoltà di fatto costituite, in tema diaiuti americani, dal noto emendamento Richards alla legge di assistenza all’estero – è vero che da qualcheparte, ossia da Washington e ora da Bonn, ci si è fatto pervenire il “consiglio” di trovare una qualsiasi formaparlamentare intesa a provocare una dichiarazione o un voto della nostra Camera perché venisse in qualchemodo riaffermata la fedeltà del Governo di Roma ai principi che erano alla base del Trattato CED; ma cinon appare di facile esecuzione, dopo quanto è avvenuto a Parigi, e comunque una discussione parlamentare,all’inizio dei lavori autunnali, potrebbe essere anche a doppio taglio in quantoché potrebbe provocare polemiche e attacchi dell’opposizione tali da infirmare quei primi risultati che erano stati raggiunti con le votazionifavorevoli alla CED da parte di tutte e tre le Commissioni competenti della Camera».

40

IL CAPO DELLA RAPPRESENTANZA PRESSO IL CONSIGLIO ATLANTICO, ALESSANDRINI, AL MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI(1)

Telespr. segreto 3407/1369. Parigi, 8 settembre 1954.

Oggetto: Fallimento CED e riarmo Germania.

Come è noto a Vostra Eccellenza, il Trattato CED e il suo Annesso segreto avevano tentato di dare una soluzione al problema del come limitare il riarmo tedesco, senza discriminazioni formali nei riguardi della Germania. Tale problema non è mutato, ma tutto porta a far ritenere che esso si presenterà differentemente a secondo delle conclusioni cui giungerà la Conferenza di Londra in materia di associazione politica della Germania al mondo occidentale, della formula che per essa verrà scelta, delle acuite preoccupazioni dei francesi e delle accresciute pretese tedesche. Mi consenta Vostra Eccellenza di esaminare gli aspetti principali del problema, le difficoltà che essi comportano ed i possibili tentativi di soluzione.

1. Plafond delle forze tedesche. – Esso era stabilito dall’Accordo segreto in 12 divisioni dell’Esercito (di cui 4 corazzate), poche navi ed un certo numero di aeroplani. Rispetto alla Francia l’inferiorità consisteva in 6 divisioni di meno, nell’assenza di una marina da combattimento, ed in una forza aerea di qualche centinaia di aeroplani minore. L’esperienza si era già incaricata di dimostrare che tale distacco delle forze francesi da quelle tedesche non si sarebbe potuto ottenere in pratica, la Francia non riuscendo a mettere in piedi pidi 14 divisioni (di cui tre corazzate). Era quindi intenzione dei francesi ottenere una revisione dell’Accordo segreto. Dal canto suo la Germania aveva fatto scrivere nel preambolo dell’Accordo segreto una indicazione secondo la quale tale «ripartizione» nazionale del primo scaglione delle forze europee non pregiudicava la consistenza che tali forze avrebbero potuto avere ulteriormente.

Inoltre era previsto che la Germania non avesse certe forze speciali quali i reparti aerei da bombardamento medio e pesante, le grosse navi ad i sommergibili, i missili radioguidati e l’artiglieria atomica.

Ammesso che si possa ottenere l’assenso di Bonn ad una limitazione quantitativa delle sue forze (e le dichiarazioni radiodiffuse del Cancelliere Adenauer del 4 settembre lasciano pensare che ci a certe condizioni, potrebbe avvenire), c’è da domandarsi quale forma giuridica tale limitazione potrebbe prendere, per non rivestire un carattere discriminatorio.

Se la Francia non puaccettare che la Germania limiti in modo autonomo (come proposto dal Cancelliere Adenauer) il proprio sforzo di difesa, Bonn non pudal canto suo consentire che una limitazione quantitativa le sia imposta in termini precisi una volta per sempre, come accadrebbe con un protocollo speciale che accompagnasse il suo ingresso al NATO o a una organizzazione europea. Dovrebbe necessariamente pensarsi ad un sistema pi«souple»; e una forma possibile sarebbe quella di adattare la procedura NATO per la Revisione Annuale(2).

È noto che ogni anno il Consiglio Atlantico stabilisce all’unanimità gli obiettivi di forze dei singoli Paesi NATO per l’anno successivo. Se tale sistema è stato impiegato finora per ottenere che i paesi membri accrescessero per quanto possibile i loro contributi di forza, esso potrebbe anche essere utilizzato, mediante il meccanismo dell’unanimità, per impedire che un determinato Paese li aumenti al di sopra di un certo limite(3). Tale limite potrebbe, per un periodo iniziale, essere fissato da un accordo segreto, così come nel Trattato CED.

Tale sistema non discrimina contro la Germania, perché la Germania puusarne nei confronti della Francia. Esso sarebbe applicato anche se la Germania non entrasse nel NATO, ma in una organizzazione di carattere europeo. Già per la CED era prevista una procedura analoga a quella della Revisione Annuale NATO, di cui anzi erano state fatte alcune prove preliminari da parte del cosiddetto Comitato Ockrent(4). È evidente che tale sistema è realmente efficace, fin tanto che sono gli Stati Uniti a fornire all’Europa (e quindi alla Germania) il materiale bellico pesante. Va tuttavia ricordato che anche una nazione della potenza finanziaria della Gran Bretagna, avendo preferito non ricevere aiuti militari dagli Stati Uniti, non ha potuto sviluppare le proprie forze terrestri secondo i piani originari.

Una obiezione da parte francese potrebbe essere che la procedura della Revisione Annuale riguarda solo le forze NATO, disinteressandosi delle forze cosiddette «nazionali». Perché questa procedura esercitasse quindi tutta la sua efficacia nei riguardi della Germania, dovrebbe essere convenuto che le forze tedesche, essendo stabilite in una zona di copertura, sarebbero tutte assegnate al NATO(5). Nazioni come la Gran Bretagna e la Francia, avendo interessi extra-europei, potrebbero invece essere autorizzate a mantenere forze nazionali.

- - -

sembra difficile che la Gran Bretagna voglia partecipare ad un tale sistema (il che ne renderebbe tanto piimprobabile l’adozione in caso di istituzione di una Organizzazione Europea). Le forze inglesi infatti sono armate quasi esclusivamente con materiale britannico, mentre quelle continentali sono armate con materiale americano ed è già pronto o in via di fabbricazione materiale di questo tipo per le forze tedesche. Inoltre il Governo britannico ha sempre gelosamente conservato la propria indipendenza in materia di armamenti, ed è piche dubbio che esso vorrebbe sacrificarla in questa occasione. Ampia prova di questo è stata data dal sabotaggio da parte inglese di qualsiasi programma di produzione militare integrata anche in sede NATO.

Tale politica britannica ha reso assai difficile [sic] i progressi nel campo della standardizzazione: al quale proposito va anche tenuto presente, per le eventuali soluzioni da adottare, il dato di fatto della diversità dei tipi di materiale fra forze inglesi forze continentali.

- -

(a) Scuole Militari comuni. Si pupensare a delle scuole di guerra per ciascuna delle tre armi dei Paesi partecipanti; a delle scuole di applicazione per ufficiali cui parteciperebbero un certo numero di ufficiali inferiori dei vari paesi; a scuole per specialisti (sempre che il materiale impiegato sia dello stesso tipo in tutti i paesi).

(b) Regolamentazione comune sull’addestramento e sull’impiego; elaborazione di una dottrina di guerra.

- -

piestesi per il coordinamento ed il controllo in campo logistico. Tali richieste hanno finora urtato contro l’opposizione degli Stati Maggiori nazionali; dovrebbe esplorarsi se qualche sacrificio non potesse farsi in questo campo per assicurarsi un certo maggior controllo sulle truppe tedesche(8). Al riguardo va tenuto presente che SHAPE esercita i suoi poteri in tempo di pace solo sulle forze «assegnate», e non su quelle «earmarked» e tanto meno su quelle lasciate sotto comando nazionale.

Come detto sopra andrebbe trovata una formula perché tutte le forze tedesche, essendo forze di copertura, fossero assegnate a SHAPE: il quale avrebbe in questo caso anche il potere di decidere circa la loro dislocazione ed il loro impiego.

Una soluzione dei problemi sopraindicati richiederebbe evidentemente degli studi abbastanza approfonditi, ma che non dovrebbe essere impossibile a Gruppi di esperti condurre a termine in tempo relativamente breve, qualora per il loro completamento fosse ad essi assegnata una data precisa ed irrevocabile.

1 DGAP, Uff. I, Serie affari Politici, 1951-1957, b. 331, fasc. 1-14 settembre 1954.

2 Al margine compare la seguente annotazione: «giusto!».

3 Al margine compare la seguente annotazione: «è la stessa nostra idea: non “floor”, ma “ceiling”».

4 Al margine compare la seguente annotazione: «che cos’è? Special Committee for the German Constitution, presieduto dall’olandese Ockrent».

5 Al margine compare la seguente annotazione: «giusto, ma allora anche noi!».

6 Al margine compare la seguente annotazione: «interessante».

7 Al margine compare il seguente commento: «?».

8 Al margine compare la seguente annotazione: «giusto».

41

L’AMBASCIATORE A LONDRA, BROSIO, AL MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI(1)

T. s.n.d. 11362/277. Londra, 9 settembre 1954, ore 22,23 (perv. ore 7 del 10).

Il Ministro Taviani ha avuto stamane un lungo colloquio con Eden(2) cui ho assistito insieme a Nutting. L’atmosfera è stata estremamente amichevole e cordiale. Mentre riferisco dettagliatamente con rapporto(3) che il Ministro della Difesa porterà costì domani, riassumo i punti essenziali del colloquio nella parte relativa al riarmo germanico:

1) Il rinvio della Conferenza di Londra è stato determinato dall’impossibilità di Adenauer e di Dulles di essere presenti a Londra per il 14. Adenauer sembra preferire ricevere invito adesione NATO senza dover partecipare alle discussioni al riguardo con altri Stati e specialmente con la Francia. Eden ha perciammesso implicitamente che non soltanto la data ma la stessa possibilità della Conferenza di Londra era in dubbio.

2) Il Governo inglese è fermamente convinto che fra CED ed ingresso della Germania al NATO non vi è soluzione intermedia prospettive serie e vitali. Anche i progetti dello Stato Maggiore comune a sette o pool di armamenti o altri analoghi se ben considerati appaiono insufficienti ed irrealizzabili.

3) Il Governo inglese farà ogni forzo per dare alla Francia legittime soddisfazioni. Queste perdovrebbero essere date con accordo o iniziativa di carattere politico che accompagni lo ingresso della Germania nel NATO e non con organismo intermedio militare. Eden ha parlato di assicurazioni e garanzie da parte della Germania che Adenauer sarebbe disposto ad offrire. Potrebbe anche trattarsi di ulteriori impegni inglesi nel campo militare.

4) Se malgrado gli sforzi fatti per tener conto delle sue preoccupazioni la Francia rifiutasse le proposte relative all’ingresso della Germania nel NATO che gli altri 13 membri dell’alleanza trovassero accettabili, la Gran Bretagna è fermamente decisa a procedere oltre insieme agli Stati Uniti.

1 DGAP, Uff. I, Serie Affari Politici, 1951-1957, b. 331, fasc. 1-14 settembre 1954. 2 Per il resoconto della parte di tale colloquio relativa al riarmo germanico vedi D. 46. 3 Vedi D 56.

42

IL CAPO DI GABINETTO DEL MINISTRO DEGLI AFFARI ESTERI, PRATO, AL MINISTRO DEGLI AFFARI ESTERI, PICCIONI(1)

Appunto. Roma, 9 settembre 1954.

Ieri sera, alle ore 22, l’Incaricato d’Affari britannico, Signor Ross ha chiesto di parlare d’urgenza a V.E. per fare una comunicazione del proprio Governo.

Gli ho detto che l’incontro con V.E. avrebbe potuto aver luogo questa mattina anche prima delle 10 ma egli ha insistito per effettuare subito la comunicazione.

L’ho quindi immediatamente ricevuto a Palazzo Chigi ed egli mi ha fatto leggere un telegramma ricevuto dal Foreign Office nel quale, premesso che la Conferenza di Londra doveva essere rinviata a data posteriore a quella già indicata (later in the month), il Ministro Eden prospettava di fare una rapida visita alle Capitali europee interessate, secondo l’itinerario seguente:

sabato 11 corrente – Conversazioni a Bruxelles

domenica 12 corrente – Conversazioni a Bonn

lunedì 13 corrente – Arrivo a Roma

martedì 14 corrente – Conversazioni a Roma

mercoledì 15 corrente – Partenza per Parigi

giovedì 16 corrente – Conversazioni a Parigi e ritorno a Londra

(Nel telegramma si diceva che data la ristrettezza di tempo, il Ministro Eden non poteva soffermarsi in tutte le Capitali del Benelux, per cui a Bruxelles le conversazioni avrebbero luogo anche con gli esponenti degli altri Paesi del Benelux).

La visita avrebbe carattere profondamente amichevole. Il Ministro Eden non pensava di proporre alcuna agenda per queste conversazioni, il cui scopo sarebbe stato quello di raccogliere idee in merito al sistema migliore di affrontare il problema (to agree the most hopeful line of approach to the problem) delle relazioni fra la Germania e l’Occidente.

Il Ministro Eden sarà accompagnato dal Capo di Gabinetto Sir Frank Roberts.

Il Foreign Office si raccomanda di non dare per il momento notizia di questo progetto di Eden, poiché questi, prima di renderlo pubblico, desidera avere l’accettazione di tutti i Governi interessati.

Il Signor Ross ha incaricato di richiedere se il Governo italiano sia d’accordo sul progetto di Eden e se la sua visita sarebbe stata gradita. Poiché Ross mi ha detto di avere istruzioni di rispondere in serata stessa, ho ritenuto di rispondere favorevolmente, salvo conferma di V.E.2.

1 DGAP, Uff. IV, Versamento CED, 1950-1954, b. 24, fasc. 89.

2 In calce al documento si trova la seguente annotazione: «Nota: Questa mattina verso le 8 il Signor Ross mi chiedeva telefonicamente se potevo confermare la nostra accettazione, il che ho fatto dopo aver telefonato a S.E. il Ministro».

43

LA DIREZIONE GENERALE DELLA COOPERAZIONE INTERNAZIONALE, UFFICIO I(1)

Appunto. Roma, 9 settembre 1954.

Gli ultimi sviluppi delle consultazioni fra le Cancellerie interessate ed in particolare il rinvio della Conferenza di Londra indicano che il piano britannico era stato lanciato senza la dovuta preparazione diplomatica e sopratutto senza assicurarsi previamente l’assenso, almeno di massima, di Washington e di Bonn.

L’iniziativa inglese tuttavia continua: la notizia del viaggio di Eden nelle capitali europee mostra fino a che punto Londra tenga a mantenersi in prima linea alla ricerca della soluzione da darsi al problema tedesco.

Quali siano gli esatti termini del progetto inglese forse sarà dato sapere dopo la visita di Eden a Roma.

Si pututtavia osservare fin d’ora che la tendenza che si è venuta manifestando come un minimo denominatore comune presso la maggioranza dei Paesi interessati è quella di ricercare una soluzione nel quadro del NATO. Se e come questo coincida coi progetti francesi e forse inglesi non è dato sapere.

Di positivo risulta finora una concordanza di intenti tedesco-americana nell’aver cercato di impedire una riunione extra NATO a brevissima scadenza a Londra quale era stata proposta da parte inglese.

Si è parlato d’altro canto del progetto canadese che mirerebbe a risolvere il problema nella cornice, almeno apparente, della non discriminazione dei controlli sul riarmo.

Tale soluzione, che presenta tante attrattive a prima vista, potrebbe pernella sostanza presentare maggiori difficoltà di realizzazione, quando dovesse giungere alla discussione pratica.

Infatti l’idea dell’equilibrio degli armamenti, ove si sfrondi dalla pur abile presentazione giuridica che potrà avere, non mancherebbe di codificare un sostanziale squilibrio fra le grandi potenze (e fra di esse dovrebbe probabilmente includersi la Francia, dati gli impegni «coloniali» e la posizione di privilegio già accordatale nello Standing Group) e quella delle potenze minori.

Ma ci si puad esempio domandare quale posizione sarebbe fatta al Canadà, il cui apporto come contributo sostanziale all’Alleanza Atlantica ad esempio nel campo degli armamenti, è certo superiore a quello francese.

L’Alto Commissario Francese a Bonn e la Cancelleria Federale hanno accennato ad un progetto analogo, secondo quanto comunicatoci dall’Ambasciatore Babuscio Rizzo. Questi ha indicato che il controllo avverrebbe «sotto l’autorità dello SHAPE». In proposito ci si deve domandare se SHAPE significhi lo Standing Group, cioè solo i tre grandi e se quindi la «piccola cittadinanza» nel NATO che deriverebbe dal trasformare i «floors» degli attuali armamenti in «ceilings», o qualsiasi altra forma similare, sarebbe rimessa al giudizio insindacabile dello Standing Group ovvero rientrerebbe in una deliberazione collettiva del Consiglio dei Ministri del NATO.

In altre parole occorrerà che da parte italiana si affronti con la massima cautela l’esame di questo problema che tocca l’essenza stessa dell’Alleanza Atlantica e che potrebbe offrire il destro per imporre una cristallizzazione di posizioni che è nostro interesse evitare.

D’altro canto sarà opportuno non trascurare l’eventualità che ci si possa offrire di insistere presso gli alleati, facendo leva sull’appoggio dei paesi minori, perché – se ci si indirizza verso una trasformazione dell’alleanza atlantica – essa abbia luogo in senso di allargare il significato di «comunità» e non invece di stabilire una gerarchia che, almeno nel caso francese non corrisponde alla realtà politica né a quella economica e militare.

In altre parole occorrerebbe esaminare l’eventualità di proporre una qualche contropartita positiva a tale rinunzia di parità: se per la Germania il controllo sul riarmo è la contropartita del riarmo e del riacquisto della sovranità, per noi il compenso dovrebbe ricercarsi in altri settori, che giustifichino anche agli occhi della nostra opinione pubblica tale rinunzia, analogamente a quanto poteva avvenire in sede CED rispetto alle rinunzie di sovranità che trovavano la loro contropartita nel principio della sovranazionalità e negli sviluppi comunitari che dovevano estendersi ai settori economico e politico.

DGAP, Uff. IV, Versamento CED, 1950-1954, b. 24, fasc. 90.

44

L’AMBASCIATORE A BONN, BABUSCIO RIZZO, AL MINISTRO DEGLI AFFARI ESTERI, PICCIONI(1)

R. riservato 15496/1967. Bad Godesberg, 9 settembre 1954.

Signor Ministro,

Ho già riferito in precedenza sulle reazioni tedesche al voto negativo sulla CED della Assemblea Nazionale francese, e – anche sulla base di quanto mi era risultato dai miei contatti con le Alte Commissioni Alleate – sulla situazione derivatane.

Mi consenta V.E. di ritornare ora appunto su tali ultimi sviluppi, con particolare riferimento alla iniziativa britannica ed ai piani che, almeno a quanto fino ad oggi si sa, sarebbero in elaborazione, per esaminare la intera questione dal punto di vista piparticolare degli interessi italiani fornendo anche sotto questo aspetto il contributo delle mie osservazioni da Bonn.

Sulla base dei frequenti contatti avuti in questi giorni con le Alte Commissioni Alleate e, pirecentemente, con François-Poncet, apparirebbe chiaro che nuovi progetti francesi, non so se e con quanto appoggio dell’Inghilterra, sarebbero diretti soprattutto alla costituzione di una nuova forma di associazione europea limitata al solo settore della difesa sotto l’autorità dello Shape e che, secondo una conversazione avuta proprio oggi con François-Poncet, non si esclude possa nuovamente essere configurata come mezzo di indiretto collegamento della Germania alla NATO. Lo scopo che i francesi si prefiggono rimarrebbe quindi quello di controllare le forze armate tedesche attraverso questo nuovo meccanismo. Non è ancor detto che Bonn – mi riferisco sempre al pensiero di François-Poncet che non mi sentirei di condividere pienamente – consideri veramente conditio sine qua non l’ammissione diretta alla NATO; qui si sembra ad ogni modo disposti tanto ad accettare l’interdizione di armi atomiche e chimiche quanto a sottomettersi ad un organismo internazionale di controllo per la pianificazione della produzione degli armamenti.

L’iniziativa, egli ritiene, spetterebbe ancora alla Francia. L’Inghilterra perha l’aria questa volta di aver veramente deciso un suo maggiore collegamento alla difesa europea, e vien fatto percidi chiedersi se non intenda pure assumere la direzione di questo nuovo organismo difensivo. Il dubbio persiste e non solo in ambienti americani (ad alto livello) e tedeschi, che all’Inghilterra non sia troppo dispiaciuto di veder crollare la CED e che di questo Mendès-France fosse ben al corrente. Si tratta qui di un argomento che, se verificato, non favorisce certo iniziative di altri Stati – compresa l’Italia – per sbloccare la situazione, giacché tali iniziative potrebbero ad un certo punto urtare contro divergenze di vedute anglo-americane rimaste finora celate.

Mi affretto a tirare questa conclusione giacché è circolata negli ambienti di Bonn l’idea che toccherebbe all’Italia prendere iniziative per favorire la nascita di questa nuova forma della organizzazione difensiva dell’Europa, ma non vedo, ripeto, quale vantaggio l’Italia potrebbe aver a prendere parte troppo attiva o a perorare progetti di questo genere che fatalmente incontrerebbero per le discriminazioni celate o palesi che adotteranno, l’opposizione tedesca e verosimilmente americana. La tendenza, almeno quella di Mendès-France, se non di Londra, è di arrivare a una formazione europea sotto la guida franco-inglese; abbiamo un così grande interesse a propugnarla?

Beninteso, è nostro interesse preminente di veder associarsi le forze tedesche alla difesa dell’Occidente e V.E. sa con quanto calore ho sostenuto nei passati anni la necessità di una immediata ed almeno sollecita ratifica italiana. L’integrazione europea infatti rappresentava a mio giudizio la strada che avrebbe permesso all’Italia grandi vantaggi economici, la stabilità della sua struttura sociale e in pi ho già illustrato in passato varie volte questo concetto, la sola maniera di superare moralmente il nostro trattato di pace. Se a questo ultimo punto occorreva una dimostrazione essa è venuta proprio dai termini della mozione votata al Parlamento francese, nella quale esplicitamente è stato affermato che il concetto dell’unione europea, quale esso era stato concepito, era inaccettabile dalla Francia perché l’avrebbe posta allo stesso livello di due Nazioni vinte e di altri tre piccoli Paesi.

Fra i fattori di convenienza per noi a procedere con la maggior cautela nella presente complicata situazione, vi è anche la possibilità che anche questa volta la fine della storia possa essere un nulla di fatto. E pure di questo mi ha parlato proprio François-Poncet. Egli mi ha detto che tutti i progetti attuali comporteranno con la creazione di un esercito nazionale anche uno stato maggiore tedesco: egli non vede come l’Assemblea francese, che ha respinto la CED possa ingoiare questa pillola piamara; è possibile perfino, mi ha detto, che MRP, socialisti, ecc. si scaglieranno contro Mendès-France e che saranno i primi a votare contro. E cisenza contare lo scoglio della Sarre. Un secondo voto negativo francese renderebbe furiosa l’America che potrebbe veramente questa volta arrivare a soluzioni drastiche compreso il riarmo unilaterale della Germania. La situazione potrà inoltre, specie in Francia, divenire anche picomplicata da eventuali nuove manovre sovietiche alle quali, come ho accennato, pensano non senza preoccupazione anche i tedeschi. La nota di risposta parte oggi o domani ed è impostata, come è noto, sul rifiuto ad assidersi ad una nuova Conferenza senza la preventiva garanzia sovietica al trattato di pace austriaco e delle libere elezioni in Germania.

Mi sia ora consentito, a meglio chiarire il mio pensiero, riassumere gli elementi che ho esposto nel presente rapporto e che, ripeto, vogliono rappresentare soltanto un contributo a quel pivasto esame, e con pivasti elementi, che il Governo è ora chiamato a fare della presente congiuntura internazionale.

Il riarmo tedesco al quale siamo certo preminentemente interessati, non è nelle nostre mani; verremo ora probabilmente chiamati a collaborare alla formazione di progetti che potrebbero contenere, anzi certamente conterranno elementi discriminatori a danno della Germania. Non vedo quale interesse potremmo avere noi ad assumere una diretta responsabilità. Conviene a noi, a mio giudizio, non lasciarci deviare dalla linea politica finora seguita o improntata alla maggiore cautela, e lasciare che tali progetti si concretino prima tra Alleati e tedeschi; avremo allora la possibilità di far sentire il nostro peso in un senso o nell’altro, assumendo la parte di responsabilità alla quale un grande paese come il nostro non pusottrarsi. Oltre a ciresta poi da vedere se, di mano in mano che i progetti in elaborazione assumeranno forma concreta, stia veramente per configurarsi una nuova associazione difensiva sotto influenza franco-inglese da cui non sembra ci deriverebbe alcun vantaggio positivo, avendo l’Italia già la sua piena copertura difensiva nella NATO e potendo in essa legittimamente aspirare ad adempiere a quelle funzioni politico strategiche che le sono proprie di anello di congiunzione tra la NATO stessa e i paesi balcanici.

È poi da tener presente che con i nuovi piani la posizione italiana sembra spostarsi, da un peso prevalentemente politico quale essa avrebbe avuto nella CED, ad un altro certamente minore, essenzialmente militare, quale verrebbe a configurarsi nella nuova associazione difensiva europea.

Cipremesso, e a completare questo giro di considerazioni, mi domando se non sia possibile, senza sottrarci ai nostri doveri di collaborazione in questo momento, trovare la via per soluzioni a scadenza pio meno brevi, pifavorevoli per noi; le cose infatti potrebbero è vero consolidarsi secondo le nuove formule, ma non vi sarebbe inconciliabilità a che noi assumessimo nello stesso tempo una iniziativa tale da non chiudere tutte le porte ad una ripresa del processo di integrazione politica europea ai cui principi non possiamo non restare fedeli, integrazione che ci restituirebbe un ben diverso peso politico. Si potrebbe, qualora si entrasse in questo ordine di idee, esaminare anche la possibilità, al momento in cui discuteremo la nostra associazione al nuovo gruppo difensivo, se non di subordinare, almeno di accompagnare la nostra adesione con una dichiarazione di principio che contempli la richiesta di veder riprese al momento opportuno (e per momento opportuno non parlo certo della presente Assemblea Nazionale francese) le negoziazioni per la Comunità politica europea fra i Paesi della CED e sulla base dei principi riconfermati a Bruxelles. In conformità con questi concetti, mi sembra che i nuovi meccanismi di controllo sulla organizzazione difensiva dell’Europa includente la Germania che si progetta di creare vadano considerati non solo sotto l’ovvio profilo di non creare alcuna discriminazione a danno di taluni Stati ed a favore di altri, ma anche sotto quello per noi altrettanto importante della loro suscettibilità o meno a costituire l’embrione di nuovi sviluppi della integrazione politica, economica e militare dell’Europa; la loro rispondenza o meno a questo requisito potrà formare una delle basi dei nostri criteri di giudizio. Una tale presa di posizione potrebbe perfino accompagnare e giustificare – darvi anzi una base – qualora volessimo consentire alle sollecitazioni che ci vengono rivolte, una nostra eventuale ratifica della CED in questo momento; cosa che allo stato delle cose e come io stesso ho di mia iniziativa detto ai tedeschi, sarebbe altrimenti priva di un preciso significato. Non conosco quali possibilità abbia il nostro Governo di adottare un tale punto di vista, e non sono giudice dei riflessi di opinione pubblica; ma puprevedersi in caso positivo che ad un tale nostro atteggiamento aderirebbero i Paesi che hanno già ratificato e – cosa non di minore importanza per noi – non mancherebbe certamente ad esso la solidarietà degli Stati Uniti.

Voglia gradire Signor Ministro gli atti del mio profondo ossequio.

[Franco Babuscio Rizzo]

DGAP, Uff. I, Serie affari Politici, 1951-1957, b. 331, fasc. 1-14 settembre 1954.

45

L’AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI,

AL MINISTRO DEGLI AFFARI ESTERI, PICCIONI(1)

R. segreto 13247. Washington, 9 settembre 1954.

Oggetto: Alternative CED.

Riferimento: Mio telegramma odierno. Rapporto n. 13095 del 4 corrente(2).

Signor Ministro,

mantenendosi nella linea delle dichiarazioni fattemi da Merchant il 7 corrente, il Dipartimento di Stato ha insistito sul fatto che non aveva sollevato alcuna obiezione di fondo alla proposta britannica. Esso si andava anzi orientando verso tale iniziativa ed aveva considerato la pronta adesione italiana come un primo sviluppo favorevole. Restavano invece le difficoltà di «timing».

L’aggiornamento della progettata Conferenza di Londra va attribuita, secondo il Dipartimento, al fatto che nessuno dei paesi pidirettamente interessati era stato in grado di avanzare delle proposte costruttive e realistiche, sicché si correva il rischio di esporsi a una nuova Bruxelles.

Che la prima notizia dell’iniziativa britannica abbia destato sorpresa a Washington è un fatto noto (lo segnalai, fra l’altro, col mio rapporto del 2 corrente3). È quindi possibile che sia rimasta una certa freddezza se non negli uffici, almeno nell’animo del Segretario di Stato (spiacente, fra l’altro, a quanto mi si è detto, della mancata partecipazione di Eden alla Conferenza di Manila). Non ho peralcuna ragione di dubitare che le favorevoli disposizioni americane si sarebbero materializzate, se le prospettive della Conferenza di Londra si fossero rivelate migliori.

Il Governo americano non puesporsi oggi a rischio di un nuovo insuccesso della politica europeistica. L’atteggiamento dell’opinione pubblica americana, in contrasto con la voluta moderazione degli ambienti governativi e della stampa, è oggi vivacemente critico e amaramente pessimistico nei confronti di tale politica. Tale stato d’animo ha un particolare peso dato che ormai ci separano dalle elezioni solo poche settimane.

Gli ultimi avvenimenti hanno poi dimostrato che gli Americani erano sincerissimi quando affermavano di non aver allo studio alcuna alternativa alla CED. La rigidità e macchinosità con cui qui si impostano e si seguono le linee generali di una determinata politica hanno fatto sì che il Dipartimento al momento cruciale si vedesse disarmato e incapace di concrete iniziative. Si aggiunga che su un punto essenziale, la restituzione della sovranità alla Germania, esso, nonostante la sua volontà di agire, si è venuto a trovare in un serio imbarazzo, fra la viva preoccupazione destata dalle richieste tedesche e l’azione di freno esercitata subito da Londra a questo riguardo.

Mi risulta che sono in corso consultazioni ad alto livello fra i vari dicasteri interessati per fissare la nuova linea di condotta da assumere nei confronti dell’intero problema dell’integrazione europea. Non escludo inoltre che il National Security Council (convocato a Denver dal Presidente per domenica prossima), oltre ad esaminare le questioni dell’Estremo Oriente, possa prendere in esame i primi risultati di questi studi. Ma solo dopo il ritorno di Dulles, lunedì prossimo, si potrà avere qualche elemento sull’orientamento americano.

Il Dipartimento evita quindi per adesso di entrare in un esame di dettaglio delle possibili vie d’uscita (sulle quali invece la stampa affaccia numerose ipotesi in corrispondenze provenienti dalle capitali europee, specie Londra o Bonn). Il solo concetto che sembra prevalere nelle opinioni personali dei funzionari con cui siamo in contatto è che i progetti di nuovi organismi pio meno ricalcati sulla CED non hanno alcuna seria probabilità di realizzazione. Si osserva invece che se si vuole perseguire un fine concreto ed immediato bisogna restare nell’ambito della NATO, studiando qualche possibilità di «agganciamento» della Germania alla alleanza atlantica o di «inserimento» in questa ultima della Germania stessa. Ci naturalmente, non esclude che nei piani e nell’azione a pilunga scadenza, si continui a lavorare per l’integrazione europea secondo lo schema della CED che costituisce il ramo militare di un’organizzazione che ha già nel Consiglio d’Europa e nella CECA il suo ramo politico o quello economico.

Il lavorio che si svolge nelle capitali europee, e di cui è conferma l’annunziato viaggio di Eden, viene seguito qui attentamente e non si nasconde anzi il desiderio di vedere prender corpo qualche nuova idea, sulla quale i Governi europei interessati possano trovarsi d’accordo. In altri termini gli americani non solo tengono a mostrarsi «open minded» ma sembrano sentire essi stessi il bisogno che in questo momento ««l’europeismo» degli Europei dia la misura della sua vitalità.

Per quanto concerne le modalità procedurali, il Dipartimento confida che sia possibile fissare al pipresto la data della riunione del Consiglio Atlantico; quella di lunedì 11 ottobre sembra qui la piopportuna, ma non si avrebbe alcuna difficoltà a rinviarla di qualche giorno. Si fa poi molto affidamento sugli incontri ufficiosi che potranno aver luogo a New York fra vari dei Ministri degli Esteri interessati. Si aggiunge che, se si profilasse nuovamente la convenienza di una conferenza preliminare ristretta sul tipo di quella di Londra, il Governo americano non mancherebbe di prenderla in seria considerazione. Si constata infine che, in ogni caso, sono necessarie delle approfondite consultazioni con i Tedeschi prima della riunione del Consiglio Atlantico.

Come ho telegrafato oggi, ho approfittato dei contatti odierni per richiamare l’attenzione del Dipartimento su quanto ha riferito l’Ansa di ieri sera circa la nostra posizione, ribadendo le considerazioni che avevo svolto recentemente con Murphy e con Merchant. Il nostro orientamento favorevole ad un esame preliminare in qualsiasi sede che si riveli piopportuna era del resto chiaramente espresso in un memorandum confidenziale (di cui ad ogni buon fine accludo copia) che consegnai il 3 corrente a Murphy in seguito alle istruzioni impartitemi da Vostra Eccellenza.

Voglia gradire, Signor Ministro, l’espressione del mio profondo ossequio.

[Alberto Tarchiani]

Allegato

Memorandum 12901. Washington, 3 settembre 1954.

The Italian Government believes it opportune to proceed, before the contemplated international meetings, to an exchange of ideas by diplomatic channels among the various countries interested in the problems of the European Defense Community.

In this regard-the Italian Government, after a first consideration of the situation, has reached the following viewpoints:

1) It is desirable that sovereignty be restored to the German Federal Republic. However, this is a decision that, especially in the present stage, must be taken directly by the three occupying Powers.

2) The formula that the Italian Government considers the most satisfactory – the EDC – once set aside, the various other formulas aiming at rendering possible Germany’s rearmament should be examined. Among such formulas, the Italian Government believes that the hypothesis of a five-sided EDC should be discarded. In fact, an organism entrusted with the defense of Western Europe is as inconceivable without France as without Germany. Equally to be discarded is the hypothesis of an-indirect association of Germany with the Atlantic Pact through a little NATO, connected with the former and consisting of the six EDC countries, with or without Great Britain’s participation. At first right at least, it seems to the Italian Government that it would be more convenient to sound and explore the possibility of Germany participating in the NATO, on equal terms, but according to modalities acceptable also to the French Government. In the opinion of the Italian Government, it should not be impossible to find adequate formulas, both in the armament field and in that of the units, having, if necessary recourse to the results of the studies made for the EDC treaty, as well as to the NATO’s planning systems.

3) The eight countries concerned should reciprocally commit themselves to refrain, even after the restoration of sovereignty to Germany, from attempts at East-West unification, until an agreement on the problem of Germany’s participation in Western defense be reached. It is evident, in fact, that at a moment of uncertainty like the present, similar attempts might have grave consequences.

In accordance with the foregoing views, the Italian Representative at the NATO has been informed that the Italian Government has, in principle, no objection to an advanced meeting of the Atlantic Council, but that it believes it would be convenient to have first available all the elements of judgment which will emerge in the next few weeks, especially following to the developments of the British initiative to call a Conference of the Right Powers.

1 DGAP, Uff. I, Serie affari Politici, 1951-1957, b. 331, fasc. 1-14 settembre 1954. 2 Vedi D. 26. 3 Vedi D. 17.

46

L’AMBASCIATORE A LONDRA, BROSIO, AL MINISTRO DEGLI AFFARI ESTERI, PICCIONI(1)

R. segreto 3811. Londra, 9 settembre 1954.

Signor Ministro,

trasmetto qui accluso il resoconto del colloquio che il Ministro Taviani ha avuto stamane col Ministro Eden, sulle due questioni del riarmo tedesco e del TLT(2).

Voglia gradire, Signor Ministro, gli atti del mio devoto ossequio.

Manlio Brosio

Allegato

COLLOQUIO DEL MINISTRO DELLA DIFESA, TAVIANI,

CON IL SEGRETARIO DI STATO AGLI ESTERI DEL REGNO UNITO, EDEN

(Londra, 9 settembre 1954) Appunto 21/2337.

Erano presenti il Ministro Eden, il Ministro Taviani, il Sottosegretario Nutting e l’Ambasciatore Brosio.

Il colloquio, svoltosi in francese, è durato esattamente tre quarti d’ora ed è stato estremamente amichevole e cordiale.

La prima mezz’ora è stata occupata da un ampio esame della situazione in rapporto al fallimento della CED e alla questione del riarmo tedesco. Il Ministro Eden ha comunicato anzitutto al Ministro Taviani la sua decisione di recarsi a Bruxelles, Bonn, Roma e Parigi per una presa di contatto. Egli era lieto di aver già avuto ieri sera la cordiale accettazione da parte del Governo italiano e contava di essere a Roma lunedì sera e di fermarvisi il martedì. Il Ministro Eden ha precisato che non era possibile tenere la Conferenza di Londra il 14, perché Adenauer e Dulles non erano in grado di assistervi dati i loro impegni nei rispettivi paesi. Egli ha aggiunto tuttavia che Adenauer sembrava incline a preferire una riunione diretta del Consiglio Atlantico senza passare per la Conferenza. La sostanza del pensiero di Adenauer era che egli preferiva ricevere l’invito di adesione al NATO senza avere dovuto partecipare a discussioni al riguardo con gli altri Stati e specialmente con la Francia. Implicitamente quindi il Signor Eden ha ammesso, pur senza dirlo apertamente, che non soltanto la data ma la stessa possibilità della Conferenza di Londra era in forse.

A questo punto il Ministro Taviani espone ampiamente la situazione italiana nei riguardi dei progetti che si stanno ventilando. Egli fa presente che non solo il Governo, ma anche l’opinione pubblica italiana non comunista e non influenzata dai comunisti è favorevole alla diretta ammissione della Germania nel NATO. Egli sottolinea come la stampa italiana abbia espresso in questi giorni simili orientamenti. Aggiunge anzi che mai, forse, dal 1935 in poi, si è avuto nella stampa e nell’opinione pubblica italiana una manifestazione di fiducia e di aspettativa nella iniziativa britannica come in questi giorni. Per la prima volta da molto tempo anche la destra si è unita al centro nella espressione di questa attesa per l’azione del Governo inglese. Il Ministro Eden lo ha riconosciuto con soddisfazione, aggiungendo tuttavia scherzosamente «purché non mi rispunti di nuovo Trieste a guastare tutto».

Il Ministro Taviani ha ripreso la sua esposizione spiegando come la posizione italiana fosse favorevole alla CED essenzialmente per il suo carattere sopranazionale. Non era la pura integrazione militare che interessava di pil’Italia. Al riguardo anzi, dal punto di vista tecnico e militare, i rispettivi Ministeri della Difesa e del bilancio avevano a suo tempo opposto talune riserve al progetto della CED. Queste erano state pienamente superate dalle ragioni politiche in vista del processo di unificazione europea. Caduta ora la CED, all’Italia dal punto di vista egoistico non interessa una comunità europea minore senza la sopranazionalità ed essenzialmente con carattere di alleanza militare. Non dunque per ragioni d’interesse prettamente italiano, ma per ragioni di interesse generale questo problema tuttavia rimane presente all’Italia come espressione della necessità di evitare, nella massima misura possibile di scontentare e di esasperare la Francia. Il Ministro Taviani dice di rendersi conto naturalmente che nessuno desidera usar violenza alla Francia e spingerla a gesti estremi che potrebbero gravemente compromettere l’Europa o la NATO stessa; ma aggiunge che se ciinteressa qualche paese in modo particolare, tale paese è proprio l’Italia. Infatti la situazione interna italiana – benché sia stata rafforzata – rimane fondata su un equilibrio delicato e una vittoria delle tendenze neutraliste in Francia avrebbe certamente in Italia una ripercussione sfavorevole. La nostra situazione al riguardo è ben diversa da quella della Grecia, della Turchia o della Norvegia. Né bisogna dimenticare che se in Inghilterra il neutralismo è sostenuto da una piccola pattuglia intellettuale e da un insignificante Gruppo di comunisti, in Italia, ove diventasse vittorioso, si chiamerebbe non solo Nenni, ma senz’altro Togliatti. Questo particolare aspetto di politica interna va considerata [sic] e spiega come mail’Italia, pur aderendo all’iniziativa di ammettere la Germania nella NATO, si preoccupi affinché sia fatto ogni sforzo, nella misura del possibile, per tenere agganciata la Francia.

Il Ministro Eden a sua volta ha esposto il suo pensiero, confermando che, dopo lungo esame della questione, il Governo britannico si è convinto che fra la CED e l’ingresso della Germania nel NATO non vi è alcuna soluzione intermedia che possa essere veramente solida e vitale. Anche le idee di uno Stato Maggiore comune a 7 o di un «pool» degli armamenti o altre di simile natura, quando sono analizzate, appaiono non solo insufficienti ma anche praticamente irrealizzabili. Il Signor Eden aggiunge che il Governo britannico è perfettamente convinto della necessità di fare ogni sforzo per dare alla Francia ogni soddisfazione cui essa pulegittimamente aspirare. Ma queste soddisfazioni dovrebbero essere date con un qualche accordo o iniziativa collaterale di carattere politico che si accompagni all’ammissione della Germania nel NATO e non cerchi di creare un organismo intermedio militare inattuabile. Si dovrebbe trattare anzitutto di assicurazioni e garanzie date dalla Germania ed egli è convinto che Adenauer dovrebbe essere disposto ad offrirle. Potrebbe anche trattarsi di ulteriori impegni presi dalla Gran Bretagna circa la permanenza di truppe in Europa, o cose simili; ed anche a tale riguardo il Signor Eden dice che il Governo britannico sta studiando qualcosa. Egli aggiunge, sorridendo, che purtroppo finora i francesi non hanno mai avuto il tempo di finire di ringraziare per simili concessioni, perché stavano chiedendo qualche cosa di pi

Il Ministro Taviani prende atto di questi chiarimenti. Ricorda anche due necessità e cioè, prima quella di resistere alla tentazione di riaprire prematuramente trattative con l’Unione Sovieticasenza avere consolidato l’Europa libera; e in secondo luogo quella di sapere chiaramente dove si vuole andare nel caso disgraziato che la Francia, malgrado ogni migliore disposizione da partenostra, continui a dire di no. Sul primo punto il Ministro Taviani non nasconde la sua impressione che la nota di risposta ai Sovietici, preparata dagli alleati, gli pare alquanto debole; è vero che essapone delle condizioni, ma sembra anche aprire la porta per prossime trattative. Una nota simile, così come eventuali trattative, acquistano diverso significato e presentano prospettive del tuttodiverse a seconda che sono inviate o svolte dagli Stati Uniti e dalla Gran Bretagna o invece dalGoverno di Mendès - France. Eden dimostra di rendersene pienamente conto e prende l’occasione per domandare al Ministro Taviani quali previsioni egli faccia circa l’atteggiamento del MRP inFrancia nei riguardi della Germania e in generale della politica estera francese.

Il Ministro Taviani risponde che, pur non facendosi grandi illusioni in proposito, non dispera del tutto che una certa influenza morale possa essere esercitata dai cattolici italiani sui cattolici francesi a questo riguardo.

E Eden mostra di apprezzare molto tale possibilità. Sul secondo punto il signor Eden risponde molto chiaramente alla domanda del Ministro Taviani, il quale aveva fatto presente in modo particolare l’estremo pericolo che sorgerebbe nel caso in cui l’azione che si intende intraprendere dagli alleati e specialmente dalla Gran Bretagna non fosse portata a fondo e finisse per fallire a causa della resistenza francese e di una insufficiente fermezza nel reagire alla medesima.

Eden a questo proposito dice che la cosa è stata attentamente pesata dal Governo britannico. Gli inglesi – come appunto gli italiani – non hanno nessuna intenzione di trattare brutalmente i francesi o di mostrare ostilità verso di essi e quindi essi davano prova della pigrande pazienza. Ma se, alla fine, malgrado le assicurazioni e le garanzie loro offerte o l’opera di convinzioneesercitata i francesi dimostrassero di non voler accettare una soluzione accolta dagli altri 13 e da questi ritenuta accettabile anche per la Francia, i britannici sarebbero ben decisi a procedere oltre.

In sostanza, tutto pesato, l’alternativa si presenta chiara: sarebbe doloroso perdere la Francia, ma sarebbe anche pidoloroso ed irreparabile che la Germania riprendesse a trattare con i sovietici e che per di pigli Stati Uniti si ripiegassero verso l’isolazionismo. Tra i due pericoli la scelta non è dubbia e il Governo britannico non esiterà a farla.

A domanda, Eden precisa che sarà impossibile far entrare la Germania nella NATO se la Francia persisterà nel suo veto: bisognerà ricorrere ad accordi diretti di natura diversa, ai quali la Gran Bretagna è fermamente decisa.

In questo punto del discorso il Ministro ha voluto sottolineare che parlava senza alcun riserbo in quanto sapeva di rivolgersi a rappresentanti di un Paese la cui amicizia nei riguardi della Francia gli era ben nota.

Su questo è finita la discussione relativa alla CED e lo stesso Eden ha invitato il Ministro Taviani a parlare di Trieste. […].

1 Ambasciata a Londra, 1951-54, b. 151, fasc. Riarmo tedesco dopo il fallimento della CED.

2 In corrispondenza dell’oggetto «TLT» compare la seguente annotazione manoscritta: «stralcio nel fascicolo Trieste».

47

L’AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI, AL MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI(1)

T. s.n.d. 11396/834-835. Parigi, 10 settembre 19542 (perv. ore 20).

Confermandomi le note dichiarazioni di Mendès-France – fedeltà all’alleanza atlantica, necessità adesso fare qualche cosa per rimpiazzare CED ecc. – De Moustier mi ha detto avere accettato il posto di Segretario di Stato agli Esteri solo perché convinto che il Presidente del Consiglio è sincero e che lascerebbe immediatamente il suo posto qualora dovesse dubitare di lui. Dichiarazione-avallo che, conoscendo l’uomo da tempo, ritengo sufficientemente onesta. Ha aggiunto che Mendès-France è talmente convinto della necessità di trovare una formula di congiunzione fra Francia e Germania che la sua intenzione originale era di prendere contatto diretto con Adenauer subito dopo il voto dell’Assemblea contro la CED. La posizione presa in Parlamento dai partigiani della CED (intervento Reynaud) gli ha fatto perdere 24 ore – dopo di che sono venute le reazioni tedesche – che del resto il Presidente comprende – la proposta di Churchill alla conferenza a nove e la reazione americana, che gli hanno permesso di realizzare il suo piano. Ma idea resta ed è facilitata dal fatto che le reazioni tedesche si vanno attenuando e se ne potrà forse parlare dopo la missione di Eden. Da parte francese si ritiene che sia necessario riconoscere l’indipendenza tedesca, ammettere il riarmo della Germania, con qualche formula di garanzia, ma si ritiene necessaria altresì la partecipazione dell’Inghilterra. Si è convinti che le garanzie che si possono ottenere saranno comunque minori di quelle della CED ma che non si possono imporre alla Germania delle limitazioni oltre a quelle aventi giustificazioni economiche o geografiche. Non si hanno ancora idee precise né si riterrebbe corretto, nel corso della peregrinazione di Eden, iniziare sondaggi o conversazioni con altri paesi interessati.

L’ammissione pura e semplice della Germania alla NATO sarebbe attualmente respinta dal Parlamento francese: ci vuole almeno un periodo preparatorio: bisogna quindi trovare una formula che permetta l’ingresso della Germania alla NATO attraverso un’altra organizzazione. A mia richiesta e premettendomi che mi faceva questa comunicazione su sua personale responsabilità e raccomandando quindi particolare segreto mi ha detto che si sta attualmente studiando se l’adesione prima dell’Italia e poi della Germania al patto di Bruxelles non potrebbe essere una formula che permetterebbe di uscire dal presente impasse. Il patto di Bruxelles risolverebbe la questione dell’associazione con l’Inghilterra e, una volta risolto il problema della necessità di sdoganare la Germania, permetterebbe vedere cosa si pufare per iniziare su questa base una nuova costruzione europea. Senza dirmelo «expressis verbis» De Moustier mi ha fatto chiaramente intendere che avrebbe gradito sapere cosa ne pensavamo. Per mio conto gli ho detto:

1) era necessario per prima cosa salvare la NATO da una possibile crisi;

2) noi eravamo contrari alle conversazioni a cinque; per l’edificazione europea era necessaria la Germania ed era necessaria la Francia;

3) pensavo saremmo stati disposti a esaminare con buona volontà qualsiasi proposta realistica e costruttiva.

Peril Governo francese doveva rendersi conto che, se lui aveva sue difficoltà parlamentari, ne avevamo anche noi. Il Governo italiano non poteva permettersi di indirizzare ancora una volta l’opinione pubblica e il Parlamento su di una strada alla cui fine c’era il fallimento. Prima condizione per il nostro appoggio ad eventuali proposte francesi era la possibilità e la volontà da parte del Governo di Parigi di andare fino in fondo.

1 DGAP, Ufficio IV, Versamento CED, 1950-1954, b. 24, fasc. 89. 2 L’orario di partenza risulta mancante.

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L’AMBASCIATORE A MOSCA, DI STEFANO, AL MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI(1)

T. 11422/188. Mosca, 10 settembre 1954, ore 17,51 (perv. ore 22).

Oggetto: Commenti stampa alla dichiarazione del Minindel.

La prima lunga «dichiarazione» del Minindel e gli odierni articoli di fondo che la parafrasano, costituiscono la prima presa di posizione ufficiale dopo il rigetto della CED ma non contengono nuovi elementi o proposte. Viene ripetuto tra l’altro che:

1) Il riarmo tedesco, in qualsiasi forma abbia luogo, impedirebbe la riunificazione della Germania e costituirebbe il focolaio di una nuova guerra;

2) La possibilità di raggiungere l’intesa sul problema tedesco non sono [sic] esaurite;

3) L’URSS «farà anche lei in futuro il possibile per raggiungere intese sui problemi insoluti, tra cui quello tedesco, il sistema di sicurezza collettiva europea, la proibizione delle armi atomiche e la riduzione degli armamenti».

La dichiarazione ed i commenti lusingano ripetutamente la Francia. In particolare vengono posti in risalto l’«atto coraggioso e profondamente patriottico del Parlamento francese per garantire l’indipendenza contro la brutale pressione straniera e l’intendimento sovietico che la Francia resti una grande potenza forte e indipendente: ciche sarebbe possibile soltanto in un’Europa non divisa in blocchi».

1 DGAP, Uff. IV, Versamento CED, 1950-1954, b. 24, fasc. 89.

49

L’AMBASCIATORE A BRUXELLES, GRAZZI, AL MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI(1)

T. s.n.d. 11435/171-172. Bruxelles, 10 settembre 1954, ore 21,25 (perv. ore 24).

Hallstein dopo aver visitato Bruce a Parigi è venuto a visitare Spaak. Gli ha sopratutto spiegato le ragioni che motivavano la richiesta di rinvio della conferenza di Londra, dato che nessuna proposta concreta è stata finora manifestata e che occorre intensificare ulteriormente i contatti delle Cancellerie.

Adenauer sta sostenendo che la Germania dovrebbe essere ammessa al NATO su un piede di parità assoluta: il Governo tedesco è disposto a proclamare in via autonoma la limitazione degli armamenti per il proprio paese di cui gli altri membri prenderebbero atto.

Secondo Spaak il fermo atteggiamento tedesco, il quale gioca tanto sull’isolamento francese quanto sulla comprensione degli anglo-americani ha condotto da un lato gli americani ad appoggiare il rinvio della riunione di Londra e dall’altro Eden a compiere il viaggio esplorativo, presumibilmente pio meno sulla base delle idee di Adenauer. Eden sarà a Bruxelles domani 11.

Spaak è sempre pipessimista tanto circa lo spirito del Parlamento francese quanto e picirca le reali intenzioni di Mendès-France. Egli ha assicurato Hallstein della sua piena comprensione ed attenzione ad Adenauer e del suo convincimento della necessità di una sempre pistretta collaborazione tra il Benelux, la Germania e l’Italia nel quadro di una sempre piintima intesa con le Potenze anglosassoni. E cispecie nel caso che l’attuale spirito francese dovesse perdurare o addirittura peggiorare in modo da imporre l’esame di altre soluzioni.

1 DGAP, Uff. IV, Versamento CED, 1950-1954, b. 24, fasc. 89.

50

RIUNIONE MINISTERIALE (Roma, 10 settembre 1954)1

Verbale segreto 21/22982.

Alla riunione hanno preso parte: il Ministro Magistrati, Direttore Generale Cooperazione Internazionale il Ministro Del Balzo, Direttore Generale Affari Politici il Ministro Giustiniani, Capo del Servizio Stampa il Ministro Casardi, Segreteria Generale il Consigliere Straneo, Direttore Generale Aggiunto degli Affari Politici il Consigliere Prato, Capo di Gabinetto del Ministero il Consigliere Grillo, Vice Direttore Generale Affari Politici il Prof. Toscano, Capo dell’Ufficio Studi e Documentazione il Dr. Orlandi, Segreteria Affari Politici il Dr. Cornaggia, Ufficio I della DGCI il Dr. Malfatti, Ufficio I della DGCI.

Il Ministro Magistrati, aprendo la riunione, spiega che scopo della medesima è di esaminare, anche alla luce delle conversazioni avute dal Ministro della Difesa a Londra, le linee generali dell’atteggiamento italiano sul problema dell’inserzione della Germania nel sistema difensivo occidentale.

Il Ministro Magistrati riassume le impressioni raccolte dal Ministro Taviani nei colloqui con Eden, Nutting e Roberts.

Esse indicano che, nel giudizio inglese, la migliore soluzione del problema del riarmo tedesco putrovarsi nell’immissione della Germania nel Patto Atlantico.

Avendo il Ministro Taviani osservato agli interlocutori che tale soluzione probabilmente non mancherebbe di sollevare molte resistenze francesi, la risposta inglese è stata che forse in Italia non ci si rende sufficientemente conto che occorre assolutamente evitare il rischio che gli Stati Uniti possano essere indotti a ritirarsi dall’Europa. Perci ove tutti gli altri Paesi interessati siano d’accordo, ad un certo momento si deve essere pronti a decidere di far a meno della Francia.

I Rappresentanti inglesi si sono rallegrati con il Ministro Taviani per l’atteggiamento tenuto dall’Italia; essi hanno dato l’impressione che si aspettassero da noi delle obiezioni di carattere europeistico.

Il Ministro Del Balzo aggiunge che il Ministro Taviani ha raccolto anche l’impressione che Londra tenda a costituire un’organizzazione che crei una saldatura anglo-tedesca in sede NATO. Cimirerebbe a meglio equilibrare la prevalenza americana che caratterizza attualmente l’organizzazione atlantica.

Ad un accenno del Ministro Taviani alla possibilità di un’alleanza a sette con partecipazione inglese, si è avuta una reazione negativa da parte degli interlocutori, come pure per quanto riguarda l’eventuale costituzione di uno stato Maggiore integrato. Gli interlocutori inglesi hanno dichiarato che fin da due anni or sono il Ministro Eden ha dato incarico personale a Roberts di studiare un piano alternativo alla CED.

Il Ministro Magistrati indica che il primo problema da porsi è se il Governo italiano accetta come sostituto alla CED l’ingresso della Germania nel NATO.

Il Ministro Del Balzo ritiene si debba dare risposta affermativa a tale interrogativo perché occorre anzitutto portare Adenauer in pieno nell’Occidente, perché è solo attraverso questa sua partecipazione all’organizzazione difensiva occidentale che si pufar riprendere la marcia all’idea europeistica.

Secondo il Consigliere Prato è necessario che il Governo italiano riaffermi il principio europeistico in forma di pubblica dichiarazione o qualcosa di simile. Non dobbiamo lasciar cadere come rami secchi gli organismi europeistici attualmente esistenti.

Il Ministro Magistrati rileva che tutti concordano sull’opportunità nei colloqui con il ministro Eden di chiarire che il Governo italiano intende mantenere il presupposto europeistico. Il Ministro Del Balzo aggiunge che l’europeismo rimane, ma che il primo scalino attualmente è l’ingresso della Germania nel NATO.

Secondo il Prof. Toscano il problema tedesco comprende tre profili: 1) apporto militare; 2) superamento dei dissidi politici storici; 3) relazioni della Germania col mondo occidentale. Con la soluzione di uno di tali aspetti occorre evitare di pregiudicare la soluzionedegli altri che sono altrettanto importanti. È necessaria percila massima cautela nella presentazione dell’ammissione pura e semplice della Germania nel NATO. Anzitutto è da tener presente che Mendès-France non è disposto ad escludere la possibilità di un dialogo con l’est, a costo di risolvere il problema del riarmo tedesco. Se la Francia dovesse per ipotesi respingere l’ammissione della Germania nel NATO, la situazione peggiorerebbe in modo incalcolabile. Cerchiamo percidi accompagnare la presentazione dell’ammissione tedesca nel NATO come una tappa nella politica di integrazione europea.

Secondo il Consigliere Grillo è opportuno continuare nella linea indicata dal comunicato dato alla stampa da Palazzo Chigi il 31 agosto(3). Occorre insistere sul concetto del controllo del riarmo tedesco, mentre ci dobbiamo impegnare insieme con gli altri Paesi compresi nelle «zone di copertura» a contenere entro certi limiti il nostro riarmo, «nell’interesse della comunità». Non dobbiamo preoccuparci di ragioni di prestigio nell’ammettere queste volontarie limitazioni ed è opportuno assecondare la linea inglese di modifica del NATO.

Il Ministro Magistrati richiama l’attenzione sulle difficoltà che si presenteranno anche nel Parlamento italiano per ottenere la ratifica all’ingresso della Germania nel NATO. È opportuno farne parola fin d’ora con Eden, indicandogli che occorre predisporre quanto sia necessario per convincere i nostri parlamentari che siano dubbiosi in buona fede? La nostra adesione a tale soluzione è infatti subordinata alla presentazione di formule pivaste di integrazione.

Secondo il Prof. Toscano occorrerebbe ottenere una specie di impegno a data fissa per la rimessa in moto del processo europeistico. Ad esempio si potrebbe stabilire un piano di riarmo quinquennale della Germania: se allo scadere del quinquennio non vi fosse una ripresa del processo di integrazione europea, dovrebbero cadere i controlli stabiliti sulla Germania. Sarebbe questo un metodo efficace di pressione sulla Francia per indurre a riprendere il suo posto nella politica europeistica.

Nella discussione sulla proposta del prof. Toscano viene osservato che tale argomento puaver valore per la Francia, ma non è detto che abbia ugual peso sulla Gran Bretagna. Infatti essa si basa sul presupposto che la ripresa del processo di integrazione europea interessi alla Gran Bretagna e che la Gran Bretagna non abbia interesse al permanere del controllo sul riarmo tedesco.

Il Ministro Magistrati riassume la discussione generale nei seguenti punti:

1) Come alternativa alla caduta della CED la migliore soluzione appare l’ammissione tedesca nella NATO.

2) Cinon implica rinunzia alla linea europeistica finora seguita, né diminuita fiducia nell’utilità degli organi europeistici esistenti, che non solo vanno mantenuti ma rafforzati.

3) Occorre prospettarsi il problema degli adattamenti del Patto Atlantico per permettere un graduale riarmo della Germania senza turbare il naturale equilibrio. Si pupensare ad una immissione nel NATO delle formule di controllo già studiate in sede CED. – Si tratterebbe di creare un regolamento nel NATO che stabilisca una serie di limitazioni, la definizione delle zone esposte ecc.

4) Consideriamo assolutamente necessarie delle garanzie inglesi.

5) Non siamo favorevoli all’idea di un’alleanza a sette.

6) Non siamo favorevoli a quello che verosimilmente risulterà il piano francese: cioè la creazione di una «organizzazione» che abbia il compito di applicare tutte le limitazioni stabilite e solo successivamente consenta l’ammissione della Germania nel NATO.

Il Consigliere Straneo concorda con il Ministro Magistrati. Aggiunge che nelle conversazioni con Eden converrà infatti metter bene in chiaro non soltanto lo scopo che vogliamo tutti raggiungere (e cioè pronto apporto tedesco alla difesa d’Europa) ma anche e soprattutto ciche vogliamo assolutamente evitare.

Una soluzione del problema tedesco non sarebbe una vera soluzione se dovesse prima o poi condurre ad uno dei seguenti risultati negativi come ad esempio;

- - -

1 DGAP, Uff. I, Serie affari Politici, 1951-1957, b. 331, fasc. 1-14 settembre 1954. 2 Predisposto dall’Ufficio I della Direzione Generale della Cooperazione Internazionale. 3 Vedi D. 3, allegato.

51

IL DIRETTORE GENERALE AGGIUNTO DELLA COOPERAZIONE INTERNAZIONALE, MAZIO(1)

Appunto. Roma, 10 settembre 1954.

Il Signor Stabler dell’Ambasciata degli Stati Uniti è venuto a vedermi per informarsi sulla posizione italiana. Gli ho spiegato le linee generali dell’atteggiamento italiano aggiungendogli che tuttavia, dato che siamo ancora in attesa di informazioni sulla precisa posizione dei principali Paesi, non si erano ancora raggiunte decisioni definitive.

Gli ho chiesto quali informazioni aveva sulla posizione americana. Mi ha detto che Washington non ha comunicato ancora nulla, perché si attende il ritorno di Foster Dulles da Manila e la convocazione del Consiglio Superiore di Difesa. Mi ha aggiunto che sperava, con l’arrivo di quest’oggi della Signora Luce che si è fermata a Parigi, di poterci far sapere qualcosa domani o lunedì. Parlando a titolo personale mi ha lasciato intendere che il progetto di «piccola NATO» non sembrava il piindicato per trovare una soluzione. Sempre a titolo personale non mi ha nascosto le perplessità suscitate dall’ambiguità dell’atteggiamento francese. Anche le dichiarazioni di Mendès-Frances, in sede di Consiglio della NATO circa le occasioni per la ripresa del dialogo con l’Est indicherebbero uno stato d’animo che lascia molti dubbi sulla sincerità del gioco, anche in relazione all’atteggiamento di «mediazione» assunto dall’Inghilterra a Ginevra e nella nuova situazione creatasi dopo il rigetto francese della CED.

DGAP, Uff. IV, Versamento CED, 1950-1954, b. 24, fasc. 90.

52

IL PRESIDENTE E AMMINISTRATORE DELEGATO DELLA FIAT, VALLETTA, AL DIRETTORE GENERALE DELLA COOPERAZIONE INTERNAZIONALE, MAGISTRATI(1)

L. 07935. Torino, 10 settembre 1954.

Cara Eccellenza,

ritengo opportuno inviarle copia di una lettera testé pervenutami dall’Avv. Cox.

Penso non Le sia sfuggito il recente articolo di Walter Lippmann sul fallimento della CED, apparso il 2 corrente sul «N. Y. Herald Tribune»: per il caso esso non fosse ancora stato a Lei sottoposto, ne unisco pure copia alla presente(2).

Si abbia, Eccellenza, l’espressione dei miei migliori saluti.

Vittorio Valletta

Allegato

OSCAR COX AL PRESIDENTE E AMMINISTRATORE DELEGATO DELLA FIAT, VALLETTA

L. confidenziale. […], 3 settembre 1954.

Caro Prof. Valletta,

la Signora Luce mi ha ritelefonato ieri sera dalla sua residenza nel Connecticut. Era stata a Washington per alcuni giorni per discussioni alla luce del fallimento della CED, ed era appena ritornata a casa. Abbiamo avuto una lunga conversazione, la cui sostanza è la seguente:

1) A giudizio dello State Department e della stessa Signora Luce la mancata ratifica della CED da parte dell’Assemblea Nazionale Francese ha così completamente cambiato il quadro europeo che si impone una totale revisione della situazione. Secondo la Signora Luce, è questo il periodo della «agonizing reappraisal» (rivalutazione in extremis, in agonia).

2) Essa aveva già affermato in passato che ci sono due fondamentali condizioni per il conferimento della commessa successiva per l’F-86K e di commesse similari:

- - - - -

Dopo lungo esame, lo State Department e la Signora Luce ritengono ora che tutte le commesse di approvvigionamento off-shore per l’Italia debbono essere tenute in sospeso fino a quando nonintervenga una modifica da parte del Congresso delle proprie disposizioni limitative, oppure fino a quando l’Italia non ratificherà la CED in una qualche forma che soddisfi le esistenti disposizionilegislative USA. La Signora Luce concorda con me che probabilmente, dal punto di vista politico, l’Italia si esporrebbe agli attacchi dei comunisti se essa tentasse la semplice ratifica della CED. Secondo me, le ho detto, i comunisti potrebbero senz’altro attaccare il Governo Italiano affermando in sostanza che «esso viene a ratificare una cosa morta al solo scopo di ottenere gli aiuti USA; chel’Italia ha venduto la propria anima e indipendenza per un piatto di lenticchie e, in conseguenza ditale sua politica, è ora così succube degli Stati Uniti che farebbe qualunque cosa pur di ottenerne gli aiuti». La Signora è inoltre d’accordo con me che se l’Italia dovesse uniformarsi all’attualelegislazione USA, cidovrebbe esser fatto attraverso una qualche accettabile forma parlamentare con cui l’Italia venga a ratificare la CED con annessa una condizione o dichiarazione nel senso chel’Italia è legislativamente in favore di una soluzione analoga alla CED, oppure nel senso che l’Italia ratifica la CED allo scopo di porsi nella condizione di aver già provveduto a quanto necessarioper il trattato qualora la Francia dovesse pitardi cambiare atteggiamento.

La Signora Luce conta di essere prossimamente a Roma per discutere col Governo Italiano i vari problemi. Essa spera di poter escogitare una qualche formula per far fronte alla situazione. Comunque, prima di prendere qualsiasi decisione circa il benestare, essa vuole sentire cosa ha in mente il Governo Italiano.

5) Avendo io sollevato la questione dei pericoli di un ulteriore ritardo nel conferimento della commessa successiva, l’Ambasciatrice ha dichiarato che, a seguito delle sue conversazioni col Gen. Gruenther, essa riteneva che tali pericoli non sono troppo seri: il Gen. Gruenther le ha detto che la NATO ha bisogno di aeroplani F-86, ma non si preoccupa troppo circa la loro provenienza; egli ha soggiunto che potrebbero essere forniti dalla NAA e che alla NATO ne occorrerebbe un quantitativo maggiore dei 70 previsti. Le ho fatto notare che se l’Italia non avrà la commessa successiva per questi 70 velivoli, ne soffrirebbe la sua capacità di svolgere il migliore lavoro di manutenzione, riparazione e revisione per la NATO. L’Ambasciatrice ha risposto che anche tale questione è sotto esame, ed inoltre vi sarebbero altre future commesse che potrebbero essere destinate all’Italia se ne venisse sgombrata la strada.

Le ho anche illustrato il punto di vista di Kindelberger al riguardo, ponendo in risalto che il conferimento di un’eventuale commessa successiva alla NAA comporterebbe sempre gli stessi problemi determinati dalle attuali disposizioni legislative nei confronti del conferimento della commessa alla FIAT. Chiarendo tale punto all’Ambasciatrice, le ho detto: la sostanza di tali disposizioni è che gli approvvigionamenti finanziati con stanziamenti fatti per determinati esercizi non possono andare a Paesi che non hanno ratificato la CED. Se la restrizione si applica ai fondi disponibili per la commessa successiva, non si pudire che gli aeroplani da consegnarsi un anno o pidopo il conferimento della commessa verranno consegnati all’Italia. In base alla dichiarazione di Gruenther, questi aeroplani potrebbero, infatti, essere assegnati ad altri Paesi NATO, ma non alla Francia o all’Italia, se non viene rimossa la restrizione disposta dagli USA. Se verrà deciso di assegnare certamente all’Italia gli aeroplani di cui alla commessa successiva, cisarà fatto indipendentemente dal conferimento alla FIAT oppure alla NAA della commessa in parola.

L’attuale pensiero e atteggiamento dello State Department sono così indecisi sulla questione, che io suggerisco quanto segue allo scopo di chiarirla e, possibilmente, di ottenere che venga fatto qualcosa di concreto per l’Italia e la FIAT:

- - - - -

Le sarei grato per quei suggerimenti che Ella volesse farmi pervenire circa l’azione da svolgere qui.

Oscar Cox

1 DGAP, Uff. IV, Versamento CED, 1950-1954, b. 24, fasc. 89. 2 Non pubblicato.

53

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI AFFARI ESTERI, BENVENUTI, AL MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI(1)

T. segreto 11511/702. Strasburgo, 11 settembre 1954, ore 23 (perv. ore 7,30 del 12).

Stamane in seno al Gruppo di Lavoro della Commissione Affari Generali si sono delineate 2 tesi contrastanti:

A) la tesi sostenuta dal conservatore britannico Maclay e dal belga Struye, il quale afferma di ritenere che il proprio punto di vista corrisponde a quello di Eden e di Mendès-France. Secondo questa tesi la Germania integralmente restituita alla sua sovranità dovrebbe aderire al NATO. Nel quadro della NATO così allargato interverrebbe una convenzione di limitazione e controllo reciproco degli armamenti. Qui si inserirebbe eventualmente la proposta Lapie di un pool di armamenti di cui al telegramma soprariferito(3).

B) Altra tesi che è sostanzialmente dei cinque di Bruxelles, tende a riprendere come punto di partenza per gli studi sulla nuova convenzione, tanto il testo della CED quanto i protocolli di Mendès-France. Si tratterebbe di attenuare la sopranazionalità, e far cadere quanto alla Francia appare inaccettabile: la mancanza ad esempio di un lungo periodo transitorio.

Non si tratterebbe quindi di una CED emendata, ma di uno strumento radicalmente nuovo ispirato ai concetti di cui sopra.

Questa seconda tesi si fonda essenzialmente sulla convinzione, proclamata dalla maggioranza degli oratori nel dibattito all’Assemblea Nazionale, e confermata stamane da De Menthon e Delbos, secondo la quale non esisterebbe attualmente alcuna probabilità di fare approvare dal Parlamento francese l’integrale restituzione della sovranità alla Germania ed il suo riarmo in seno al NATO. L’unica possibilità di modificare tale situazione risiederebbe nella garanzia della permanente presenza delle forze britanniche inquadrate nel dispositivo della difesa continentale. Tanto meglio poi, e questa sembra la principale aspirazione degli ambienti parlamentari francesi delle varie tendenze, se per di pila Gran Bretagna accettasse anche un minimo di organizzazione sopranazionale capace di incidere in qualche modo sulla possibilità di autonomia di espansione potenziale militare tedesca. La convinzione dei parlamentari cedisti belgi, olandesi, germanici e francesi è che la tournée di Eden non sarebbe ispirata né dall’intenzione di presentare nuove sostanziali offerte partecipazione britannica, né dal desiderio di battersi a favore dell’integrazione economica, politica e militare dell’Europa. Spaak avendo confermato il suo desiderio di fare dichiarazioni davanti all’Assemblea, la discussione politica si inizierà martedì per permettere tali dichiarazioni e sarà quindi ripresa venerdì e sabato».

1 DGAP, Uff. IV, Versamento CED, 1950-1954, b. 24, fasc. 90.

2 Trasmesso tramite il Consolato Generale a Strasburgo.

3 Si tratta del T. segreto 11444/68, pari data, a firma Benvenuti, ugualmente trasmesso tramite il Consolato Generale a Strasburgo, del seguente tenore: «Stamane si è riunita la Commissione Affari Generali dell’Assemblea Consultiva per preparare un rapporto sulla situazione politica europea dopo il rigetto della CED e sulle possibili soluzioni di ricambio. Hanno presentato relazioni il socialista belga Bohy ed il conservatore inglese Maclay. Il primo ha sostenuto che occorre riprendere il problema ex novo e ricercare una soluzione che mantenga il principio di sopranazionalità sia pure attenuandolo onde renderlo applicabile anche alla Francia ed eventualmente accettabile dalla Gran Bretagna. Il secondo ha scartato in linea di principio la possibilità di istituzioni sopranazionali sia per sei che in un quadro pilargo, ma nel contempo ha sostenuto il contributo tedesco alla difesa comune nel quadro del NATO senza discriminazione di autonomia. Negli ambienti del Consiglio d’Europa si ha l’impressione che i relatori abbiano lavorato in stretto contatto con i relativi Governi. Intervenendo nel pomeriggio ho rilevato, sostenuto poi anche dai tedeschi, che la negazione dell’autonomia militare della Germania e l’esclusione delle discriminazioni implicherebbe in qualche modo l’ammissione di norme comuni sopranazionali. È in discussione l’idea di un gruppo di lavoro che dovrebbe esaminare il progetto Bohy-Lapie (pool degli armamenti) e le proposte di Fens e Duncan Sandys precedentemente presentate al Consiglio d’Europa per la difesa europea. Lapie si è richiamato alla proposta Churchill, che prevede la nomina di un Ministro della Difesa europeo, suggerendo di sostituirlo con un Comitato di Ministri della Difesa europea nel quadro del Consiglio d’Europa. Ho l’impressione che mancano chiari alcuni concetti ricostruttori pur essendo evidente il disaccordo tra i franco-inglesi e gli altri cinque circa la liquidazione o meno dell’Europa a sei. Partecipano con me ai lavori della Commissione gli onorevoli Santero e Vedovato».

54

IL DIRETTORE GENERALE DELLA COOPERAZIONE INTERNAZIONALE MAGISTRATI(1)

Appunto(2). [Roma, 11 settembre 1954].

Elementi atti a definire l’atteggiamento e gli intendimenti italiani sul problema dell’associazione della Germania all’Occidente (con particolare riguardo alle imminenti conversazioni di Roma con il Ministro degli Affari Esteri di Gran Bretagna, Signor Eden):

1) L’Italia che, come è noto, aveva ormai regolarmente iniziato l’«iter» parlamentare per la ratifica del Trattato della CED, non è stata evidentemente soddisfatta della decisione del Parlamento francese di respingere nettamente il Trattato stesso. Anche nel corso della Conferenza di Bruxelles, del resto, l’Italia aveva chiaramente riaffermato il suo desiderio di vedere mantenuto il Trattato nelle sue linee essenziali inquantoché – e in cil’atteggiamento di Roma è stato consono e parallelo a quello della Repubblica Federale Tedesca e dei Paesi del Benelux – con esso veniva compiuto un altro ed importante passo in avanti sul cammino di quella integrazione europea che ha costituito una direttrice molto importante della politica estera italiana del dopoguerra. Tanto va detto perché, anche nell’attuale ricerca delle alternative al Trattato CED, l’Italia intende mantenere fermo il principio che quella collaborazione multilaterale europea nel campo, oltre che militare, politico, economico e sociale, vada mantenuta e siano conservati e possibilmente potenziati gli istituti che già svolgono, a tal fine, la loro attività. Del resto, le stesse conclusioni della Conferenza di Bruxelles, interamente accettate dalla stessa Francia, comportano chiaramente che tra gli scopi principali della politica europea deve essere la «prefigurazione di una formula politica ed economica della integrazione occidentale». In seno, quindi, alle riunioni internazionali che si vanno predisponendo, il Governo italiano non mancherà di tenere fede e di difendere tali principi, profondamente conscio della loro importanza e del loro significato.

2) Nello studio delle alternative al Trattato per la Comunità Europea di Difesa, il Governo italiano, dopo attento esame, si è orientato verso la soluzione dell’ammissione della Repubblica Federale Tedesca all’Organizzazione Atlantica: soluzione che non comporterebbe nuove lunghe ed estenuanti trattative per la formulazione di nuovi accordi o trattati e permetterebbe quindi, da una parte, di affrettare la formazione di quell’apporto militare tedesco alla difesa dell’occidente, da tutti oggi ritenuto indispensabile ed improrogabile, e dall’altra, consentirebbe al Governo degli Stati Uniti di mantenere intera la sua cooperazione nei confronti dell’Europa.

3) L’accessione di una Germania nella NATO – facendo ad essa naturalmente precedere il riconoscimento della sovranità della Repubblica Federale – deve essere immaginata attraverso un efficace adattamento delle norme e regole che reggono l’Organizzazione Atlantica e, per non provocare squilibri e preoccupazioni, deve estrinsecarsi in un sistema di ripetuti controlli e limitazioni evidentemente a carattere non discriminatorio.

Il Trattato CED, che è stato il frutto della contrapposizione, su tale argomento, di differenti punti di vista, contiene già una serie di queste norme che molto utilmente potrebbero essere trasportate – e senza alcuna applicazione di concetti di supranazionalità – nelle norme della Organizzazione Atlantica. A tale proposito il Governo italiano ha già allo studio una proposta intesa, appunto, a dare concreta forma a questo complesso di controlli.

4) Quanto è avvenuto rende sempre piimportante e sempre pinecessaria una stretta collaborazione del Regno Unito con i Paesi dell’Europa occidentale. Il Governo italiano, a tale proposito, è sicuro che il Governo di Londra vorrà in tale campo studiare le possibilità per rendere sempre piefficace questa auspicata collaborazione.

Cidetto in via positiva in merito alla piena collaborazione che il Governo di Roma intende dare perché sia al pipresto riempito il vuoto provocato dalla mancata accettazione francese del Trattato della CED, occorre fare ora cenno di altre soluzioni che potrebbero naturalmente essere oggetto di nuovo studio e di nuova attenzione ma che, a un primo esame, appaiono contenere elementi di difficile attuazione e comunque essere meno favorevoli di quelli relativi alla soluzione che è stata sopraindicata(2).

Così, ad esempio, la creazione senz’altro di una nuova organizzazione militare praticamente destinata a prendere la forma di una alleanza «a sette» fra i sei Paesi della CED e il Regno Unito, mentre sarebbe destinata a creare, con le sue interferenze e accavallamenti non piccole difficoltà nell’organizzazione della difesa oggi disciplinata dagli organi della NATO, non comporterebbe neanche quei vantaggi di avviamento verso una maggiore integrazione europea di cui si è fatto cenno in un numero precedente.

Si parla anche con insistenza di un nuovo piano, che sarebbe sopratutto patrocinato dal Governo di Parigi, in merito alla creazione di una nuova «organizzazione», ancora non meglio definita e che dovrebbe avere il compito di applicare preventivamente tutti i controlli e tutte le limitazioni in merito al riarmo tedesco e che solo successivamente consentirebbe la piena ammissione della Germania nella NATO. Anche qui – oltre il pericolo costituito da una nuova e lunghissima trattativa per la stipulazione di un nuovo accordo internazionale sull’argomento, con tutte le dannose conseguenze in merito alla cooperazione dell’America in Europa – si darebbe esca alla creazione di molte difficoltà giuridiche e pratiche tali da rendere ancora maggiormente confusa la situazione attuale che va invece ormai risolta con decisione e prontezza.

A conclusione di queste idee, il Governo di Roma intende riappellarsi a quella cornice di stretta cooperazione multilaterale, sulla via dell’integrazione europea, alla quale si è fatto cenno. E cicon particolare riguardo, si ripete, alla necessità di mantenere vivi e integri gli istituti internazionali oggi esistenti, e che svolgono la loro ottima funzione nel campo economico e sociale. In altre parole, la questione dell’ammissione della Germania nella NATO nella soluzione prevista dal Governo di Roma, non deve far perdere di vista la necessità che, domani, possa intensificarsi l’azione intesa all’armonizzazione dei valori e delle possibilità europee: si tratta quindi di una graduatoria nelle tappe di un cammino unitario inteso a portare alla effettiva distensione tra gli Stati di Europa e verso un miglior sistema di cooperazione e di integrazione.

Allegato

Appunto(3). Roma, 11 settembre 1954.

PROGETTO ITALIANO DI SOLUZIONE NEL PROBLEMA DEL RIARMO TEDESCO

L’Italia ritiene che il problema vada risolto tenendo conto di tre necessità fondamentali: – ottenere ormai con la massima rapidità un contributo tedesco alla difesa comune;

- -

La soluzione è pertanto vista nel quadro dell’alleanza atlantica e non, come suggerito da taluni ambienti francesi, attraverso un’organizzazione preliminare da inserire successivamente nella NATO.

Cipremesso, a parere italiano il riarmo tedesco è soprattutto un problema di limitazioni che non siano delle discriminazioni ma che derivano da un accordo reciproco sull’ammontare delle forze e dal coordinamento dello sforzo difensivo europeo.

Fra tutte le limitazioni possibili si ritiene che le piefficaci, di piagevole applicazione, meno discriminatorie siano quelle relative al volume delle Forze e quelle relative agli armamenti.

- - -

Si puora riprendere questa idea e attuarla attraverso questi procedimenti:

– preparazione di un programma comune di armamento;

- - -

L’Italia ritiene che queste misure limitative possano essere applicate attraverso l’organo politico del NATO ad alto livello che regoli i criteri determinanti ed organi tecnici integrati che disciplinino i procedimenti applicativi. Si escluderebbe cosi ricorso ad organi sopranazionali sul tipo del Commissariato CED che tante obiezioni ha sollevato da parte francese.

1 DGAP, Uff. IV, Versamento CED, 1950-1954, b. 24, fasc. 90.

2 A margine la seguente annotazione manoscritta siglata da Del Balzo, accompagnata da un punto interrogativo relativo alla frase: «Qui sarei piesplicito. Ci aspettiamo, nei limiti che le sono consentiti, che la G.B. conceda maggiori garanzie politiche e militari, di natura tale da rassicurare la Francia … e gli altri così come noi accettiamo i sacrifici ragionevoli che ci potranno essere richiesti in materia di limitazioni d’armamenti e il rinvio o rallentamento del processo politico integrativo».

3 Nella copia conservata in Gabinetto, 1953-1961, b. 2, fasc. 1, compare la seguente annotazione: «appunto preparato dal gen. Fornara prima della visita di Eden».

55

LA DIREZIONE GENERALE DELLA COOPERAZIONE INTERNAZIONALE, UFFICIO I(1)

Appunto. Roma, 11 settembre 1954.

Posizione dei vari Paesi nei riguardi del problema dell’inserimento della Germania nel sistema difensivo occidentale.

GRAN BRETAGNA

L’Ambasciatore Brosio ha comunicato, come risultato dei colloqui Taviani-Eden, quanto segue:

1) il rinvio della Conferenza di Londra è stato determinato dall’impossibilità della presenza per il giorno 14 di Dulles e Adenauer. Quest’ultimo sembra preferire di ricevere un invito all’adesione al NATO senza dover partecipare alle discussioni con gli altri e particolarmente con la Francia.

2) Non vi sono prospettive serie per una soluzione intermedia fra la CED e l’ingresso nel NATO. Così dicasi dei progetti di Stato Maggiore comune a sette, pool armamenti ecc.

3) Le soddisfazioni alla Francia dovrebbero esser date con un accordo od iniziativa di carattere politico che accompagni l’ingresso della Germania nel NATO e non con un organismo militare intermedio che è inattuabile. Oltre alle assicurazioni e garanzie offerte da Adenauer si è accennato alla possibilità di ottenere impegni inglesi in campo militare.

4) Se la Francia rifiutasse le proposte relative all’ingresso della Germania nel NATO che gli altri 13 membri trovassero accettabili, la Gran Bretagna è decisa a procedere oltre con gli Stati Uniti.

FRANCIA

L’Ambasciatore Quaroni riferendo un colloquio con il Sottosegretario de Moustier, ha comunicato che Mendès-France intendeva prendere contatto diretto con Adenauer dopo il voto CED e forse lo prenderà dopo la missione Eden.

La Francia ritiene necessario riconoscere l’indipendenza tedesca, ammettere il riarmo della Germania con formule di garanzia e con partecipazione dell’Inghilterra. Si è tuttavia convinti che le garanzie saranno comunque minori di quelle della CED e che le limitazioni potranno avere solo giustificazioni economiche o geografiche. L’ammissione pura e semplice della Germania nel NATO sarebbe respinta dal Governo francese. Occorre un periodo preparatorio ed «una formula che permetta l’ingresso alla NATO attraverso un’altra organizzazione».

A Parigi si sta studiando l’eventualità di una adesione prima dell’Italia e poi della Germania al patto di Bruxelles. Questo risolverebbe anche la questione dell’associazione dell’Inghilterra e potrebbe fornire poi la base per nuovi sviluppi europeistici.

BELGIO

Dopo la visita di Hallstein a Spaak questi ha comunicato all’Ambasciatore Grazzi che la Germania vuole essere ammessa al NATO su un piede di parità assoluta. Il Governo tedesco è disposto a proclamare in via autonoma la limitazione ai propri armamenti.

Spaak si è dimostrato pessimista sia per quanto riguarda lo spirito del parlamento francese, sia circa le reali intenzioni di Mendès-France. Egli ha comunicato ad Hallstein il proprio convincimento sulla necessità di una sempre pistretta collaborazione fra il Benelux, la Germania e l’Italia nel quadro di una piintima intesa con le potenze anglo-sassoni.

DGAP, Uff. IV, Versamento CED, 1950-1954, b. 24, fasc. 90.

1

Non vi è dubbio che quando a New York, nel settembre 1950, Acheson improvvisamente lancicon Bevin e Schuman la proposta di riarmare la Germania, la cosa fu accolta in Inghilterra con sorpresa e con molti contrasti.

La guerra era terminata da appena cinque anni e l’idea che fossero proprio le potenze occidentali a sollecitare il popolo tedesco a riprendere le armi, urtava contro tutti gli strati dell’opinione pubblica britannica, dai conservatori ai laburisti. Tanto pipoi che né il Governo di Bonn né i vari partiti della Repubblica federale desideravano questo riarmo cui si opponeva perfino un articolo della nuova costituzione. Comunque, l’impressione provocata dalla invasione in Corea e la sensazione allora diffusa che si fosse alla vigilia di una nuova aggressione sovietica, indussero Bevin ad accettare la proposta di Acheson e ad imporla con la sua autorità al Governo laburista.

Fin da quel momento per come Dixon e Roberts ci hanno detto pivolte, Londra ritenne che la soluzione migliore, sotto tutti i punti di vista, sarebbe stata l’inclusione della Germania nel NATO. Tuttavia di fronte alla resistenza francese, al piano Pleven e ai suoi successivi sviluppi, che sotto le forme della CED e della CECA dovevano sboccare nel tentativo di unificazione europea, l’Inghilterra decise di non opporsi e di stare a vedere che cosa ne sarebbe venuto fuori.

Si è molto speculato in questi anni sull’atteggiamento inglese a questo riguardo. Si è detto che la Gran Bretagna era contraria alla CED perché era contraria all’unità europea: e cinon solo perché le faceva ombra dal punto di vista politico e militare, ma perché anche dal lato ideologico essa non amava il sorgere di una unione europea cattolica imperniata su Schumann, De Gasperi ed Adenauer. È indiscutibile che i laburisti inglesi non avessero molta comprensione della concezione cattolica della nuova Europa; come è vero che Bevin personalmente non aveva simpatia né per Bidault né per Sforza. Ma questo genere di opposizione di carattere essenzialmente socialista e protestante rimase una posizione dottrinaria limitata al laburismo e caratterizzata da una forte dose di provincialismo piccolo-borghese e da una scarsa conoscenza delle realtà della politica internazionale.

Viceversa, non si pusostenere con argomenti seri che la indubbia persistenza delle tradizionali diffidenze verso le varie forme di unità europea si siano tradotte in una concreta azione per intralciare la CED e le altre manifestazioni di tale processo di unificazione. Anzi, quando nel dicembre ‘51 vennero al potere i conservatori, vi sarebbe stata forse la possibilità di un’adesione inglese a tali progetti. Era proprio Churchill che nel 1950 aveva lanciato l’idea della riconciliazione franco-tedesca nel quadro di un’intesa europea; ma, come egli stesso ha precisato recentemente in un suo discorso ai Comuni, egli allora pensava a una «grande alleanza» di carattere sopratutto militare. E del resto tutta la concezione inglese fin dal tempo di Bevin era, semmai, per una «confederazione» politica, non per una federazione.

Poco dopo il mio arrivo a Londra il direttore del «Times» mi fece presso a poco questo discorso: «perché voi latini non volete fare un passo alla volta e costruire l’Europa a gradi? I vostri Parlamenti e i vostri regimi democratici funzionano ancora assai imperfettamente; e già pensate addirittura al Parlamento europeo? Ma come volete che il popolo britannico accetti di far decidere le sue sorti non dal Parlamento di Westminster, ma da un’assemblea eletta coi voti dei contadini del Limburgo, della Guascogna e della Calabria?».

Simili idee erano certamente condivise da moltissimi inglesi di ogni corrente politica o religiosa, tutti rappresentanti di quella mentalità di uomini di affari che amano sì il rischio, ma non vogliono costruire il tetto della casa quando manca ancora il primo piano; e comunque rifuggono dalle concezioni astratte e preferiscono sempre le «evoluzioni» alle «rivoluzioni».

Non vi è dunque stato un preordinato piano britannico per far naufragare l’unità europea. Si attribuisce spesso a machiavellismo ciche è il risultato semplicemente dell’empirismo e della improvvisazione britannica. Semmai il difetto della politica inglese è troppo spesso quello di persistere in concezioni superate, di mancare d’immaginazione, di vivere alla giornata affrontando gli ostacoli a mano a mano che sorgono.

Comunque per assecondare le esigenze francesi il Governo inglese, in aggiunta al Trattato di Dunquerque e al Trattato di Bruxelles, ha preso negli ultimi tre anni i seguenti impegni che non è inutile ricordare:

1) Trattato fra il Regno Unito e gli Stati membri della CED, firmato a Parigi il 27 maggio 1952;

2) Protocollo addizionale al Trattato del Nord Atlantico; relativo agli impegni di assistenza verso gli Stati membri della CED, firmato a Parigi il 27 maggio 1952;

3) Convenzione concernente la cooperazione tra il Regno Unito e la Comunità Europea di Difesa, firmato a Parigi il 13 aprile 1954.

Ma, come Eden ha detto avant’ieri al Ministro Taviani, la Francia non aveva mai finito di ringraziare per un gesto inglese che già chiedeva qualcosa di pi

Il fallimento della CED è veramente dispiaciuto a Londra? Risponderei decisamente di sì: non perché gli inglesi avessero speciali simpatie per questo complesso organismo sopranazionale a loro estraneo e scarsamente conforme alle loro idee tradizionali; ma perché tale fallimento ha rappresentato la perdita di quattro anni di tempo, il peggioramento dei rapporti tra Bonn e Parigi, l’inizio di una possibile crisi nei rapporti americani con la Francia e quindi nel NATO e infine «last but not least» un forte successo per Mosca.

Mendès-France e i camaleonti del suo «entourage» hanno cercato di confondere le acque dopo l’ultimo incontro con Churchill e di far credere a una presunta intesa fra le due capitali. Ma il comunicato emanato dal Foreign Office, due giorni dopo la visita di Mendès-France e all’antivigilia del dibattito al Parlamento francese, non solo ha riconfermato il nettissimo appoggio inglese alla CED, ma ha dato a Mendès-France una smentita in termini estremamente espliciti quali raramente ho visto usare nell’aulico e misurato linguaggio di Downing Street.

Ora, caduta la CED, il Governo di Churchill e di Eden riprende per il riarmo tedesco il progetto che già nel 1950 Attlee e Bevin avrebbero preferito: ossia l’ingresso della Germania nel NATO.

Questo ritorno su vecchie posizioni, mentre non manca certo di coerenza, non è nemmeno l’espressione di un rifiuto a cercare nuove formule e piaudaci soluzioni. Al contrario, proprio l’altro giorno Roberts, parlando con Theodoli, gli ha detto che fin da quando era apparsa la possibilità che la CED si arenasse sugli scogli della resistenza francese, Eden gli aveva dato il preciso incarico di studiare eventuali formule intermedie con le quali l’Inghilterra potesse inserirsi o in una CED annacquata senza vincoli sopranazionali, oppure in uno speciale gruppo europeo, con impegni particolari entro il NATO stesso. Ma, malgrado gli sforzi fatti, né Roberts né i suoi collaboratori del Foreign Office avevano trovato delle formule soddisfacenti. Anche l’esame dei vari progetti avanzati in Francia dagli anti-cedisti (Lepie, Billotte, Weygand, ecc.) erano apparsi buoni soltanto a sabotare la CED e ad irritare le correnti francesi innamorate dell’idea sopranazionale. «Il Manchester Guardian da tempo accusa il Foreign Office di mancanza di immaginazione e conduce una campagna perché il Governo inglese prenda l’iniziativa e la direzione di una unione europea. Ma – continuava Roberts – quando ho scritto a Richard Scott, il direttore del giornale, pregandolo di venirmi a vedere per spiegarmi le sue idee, egli non si è fatto vedere». E qui Roberts ha esposto la tesi inglese che Eden, Alexander e Nutting ci hanno ripetuto e che si puriassumere come segue: «È inutile affannarsi a cercare delle formule pio meno attraenti e illusorie per correre dietro a quello che il Parlamento francese potrebbe accettare. Il Parlamento francese o non sa quello che vuole, o vuole anzi proprio il contrario, ossia la neutralizzazione della Germania e una ripresa di conversazione con la Russia. Quello che bisogna fare dunque è mettersi d’accordo sulla soluzione pipratica e conveniente per ridare rapidamente la sovranità al Governo di Bonn e immetterlo nella comunità occidentale con adeguate garanzie circa il riarmo. Questa soluzione non puessere che quella del NATO, organismo già esistente ed efficiente, dotato di tutta la necessaria elasticità sia nel campo politico che in quello militare».

Questo è dunque lo sviluppo della posizione inglese, questa la giustificazione delle conclusioni cui oggi i britannici sono arrivati. Si tratta ora di vedere come essi contano di arrivare praticamente all’inserimento della Germania occidentale nel NATO, e come intendono superare i grossi ostacoli di vario genere che la situazione oggi oppone al loro progetto.

11

La linea generale che il Governo britannico intende ora adottare ci è stata chiarita in questi giorni. Essa è, in ultima analisi una politica di appoggio alla Germania e di amichevole fermezza di fronte alla Francia. Questa linea è connessa strettamente ad una posizione di resistenza di fronte a probabili manovre sovietiche relative al problema tedesco, dirette ad attirare la Francia e a compromettere l’inserimento della Germania nell’Occidente.

I numerosi contatti avuti in questi giorni dal Ministro Taviani e da me con Eden, con Alexander con Nutting e coi funzionari del Foreign Office non autorizzano dubbi al riguardo. In verità, quando giunsero le prime notizie circa il progetto di conferenza a Londra, erano sorti anche qui vari interrogativi. L’iniziativa sembrimprovvisata. Si poteva pensare che la conferenza a otto implicasse logicamente l’esigenza di un piano intermedio fra la CED e l’inserimento della Germania nel NATO. Non era ben chiaro se fossero state valutate a fondo le resistenze francesi, la possibilità di lunghe discussioni dilatorie e finalmente il rischio di una tempestiva proposta sovietica che avrebbe offerto a Mendès-France una comoda scappatoia e avrebbe messo i britannici nell’imbarazzo. Debbo dire che i colloqui successivi hanno dissipato queste incertezze. Le idee britanniche ci sono apparse ben chiare e la loro decisione ferma. Essi vogliono la Germania nel NATO; ma vogliono sopratutto l’inserimento della Germania nel sistema occidentale, perché lo ritengono l’unico mezzo per prevenire il risorgere sia del militarismo che del neutralismo tedesco. A tal fine sono disposti a fare a meno del consenso francese nel caso che la Francia si ostini ad ostacolare l’ingresso della Germania nel NATO. Il dilemma è stato formulato da Eden nei suoi termini pichiari: «non vogliamo “bousculer” la Francia, ma se le cose volgessero al peggio, nell’alternativa di perdere la Francia da un lato oppure di perdere gli Stati Uniti e la Germania dall’altro, non avremmo alcuna esitazione».

Questo atteggiamento risponde a un duplice ordine di preoccupazioni. In primo luogo Londra ha sempre dimostrato che, in momenti gravi, non pue non vuole staccarsi da Washington. Questo è certamente un momento grave e gli inglesi non ci hanno nascosto di considerare gli odierni umori americani come estremamente pericolosi. Lo State Department e il Governo, mi diceva Alexander, sono furiosi con i francesi per il fallimento della CED e decisi a marciare da soli con Bonn.

Kirkpatrick, a sua volta, mi ha precisato che la lotta fra lo State Department e il Pentagono è ancora in atto in questi giorni e sarà decisa solo fra un paio di settimane. Sul suo esito influirà pure il successo o l’insuccesso del viaggio di Eden. Il Pentagono, ragionando rigorosamente sui termini della assoluta strategia atomica, ritiene che il controllo del continente americano unito a una alleanza difensiva con la sola Germania sia piche sufficiente a proteggere gli interessi americani. Esso non crede necessario di abbandonare il NATO ma lo vorrebbe ridurre a elemento secondario e quasi formale. La Gran Bretagna non vuole questo evidentemente, perché cisignificherebbe rinforzare l’isolazionismo americano e perdere ogni controllo sul riarmo e sulla politica germanica, aumentando così gravemente i rischi di guerra. Eisenhower e Gruenther non seguono per ora le idee del Pentagono, ma esse esistono e non si possono dire ancora rigettate, nemmeno ai fini della soluzione delle questioni di questi giorni.

In secondo luogo gli inglesi vogliono riassumere l’iniziativa in Europa, ma non credono necessario per questo di vincolarsi in speciali unioni europee, sopranazionali o meno. L’iniziativa è ritornata loro automaticamente per il fatto che la CED è fallita e che essi sono i naturali mediatori fra la Germania e la Francia, assai pidegli Stati Uniti. Essi sono i soli che possono, nelle presenti condizioni, far sentire alla Francia le esigenze degli Stati Uniti e della Germania e nello stesso tempo cercare di dissipare i timori e le diffidenze francesi offrendo loro ragionevoli e non sospette garanzie. Questa posizione ha aumentato fin da ora grandemente l’importanza e il prestigio della diplomazia britannica, soddisfacendo il legittimo orgoglio di questo paese.

Queste osservazioni portano a respingere l’idea di una Gran Bretagna avvicinata alla Francia in una politica di attenuazione atlantica, diretta esclusivamente ad allontanare il pericolo di una guerra preventiva iniziata dagli Stati Uniti con l’appoggio tedesco. Al contrario, come dicevo or ora, è proprio la Gran Bretagna che oggi difende e valorizza il Patto Atlantico in funzione europea mentre certe tendenze americane vorrebberoaccantonarlo e metterlo nell’ombra. È vero che la Gran Bretagna teme la guerra assai pidegli Stati Uniti, perché si rende conto che in un conflitto atomico gli Stati Uniti colpirebbero gravemente l’Unione Sovietica (fino a che almeno avranno la superiorità che loro deriva dalla vicinanza delle proprie basi ai bersagli da colpire), ma l’Unione Sovietica occuperebbe e distruggerebbe l’Europa e la Gran Bretagna. Questo timore è uno degli elementi che, forse pidi ogni altro, determina oggi la prudenza della politica britannica; altri elementi sono la necessità di tener conto dell’opinione dei paesi del Commonwealth e del risorgente pacifismo di una parte delle Trades Unions e del partito laburista. Ma tutto ci se darà sempre all’azione diplomatica britannica un accento di cautela e di possibilismo, non toglierà, secondo me, che di fronte alle questioni fondamentali essa rimanga ben lontana dall’indulgere alle tendenze filo-sovietiche e al neutralismo di certe correnti francesi. Al contrario, la classe dirigente conservatrice, il Governo e pirecisamente ancora il Foreign Office sono ben fermi nel resistervi.

Guardando ora la situazione dal punto di vista europeo ed italiano, non ci si punascondere, che, dalla conclusione del Patto atlantico ad oggi, essa non è forse stata mai tanto delicata. La mancata ratifica della CED, l’enigmatica azione del governo Mendès-France, gli umori del Parlamento francese, le violente reazioni americane e tedesche hanno creato una vera e propria atmosfera di crisi che potrebbe compromettere perfino l’alleanza atlantica.

Lo stesso rinvio della conferenza di Londra è significativo. La conferenza era stata concepita dagli inglesi non già come un mezzo per arrivare ad un organismo intermedio europeo, ma come una procedura preparatoria per riavvicinare tedeschi e francesi su un progetto di ammissione della Germania occidentale al NATO. Sopratutto gli inglesi la vedevano come una garanzia alla Germania, per darle modo di essere presente e di discutere le modalità e le condizioni del suo ingresso al NATO, anziché lasciare determinare queste in sua assenza dal Consiglio atlantico.

Il pericolo di una simile conferenza pareva sopratutto quello di rinnovare l’atmosfera di Bruxelles con una Francia isolata e risentita. Viceversa, inaspettatamente, l’ostacolo è venuto proprio dai tedeschi e dagli americani, il che rivela la gravità dei risentimenti di Bonn e la difficoltà di imporre condizioni (per non parlare di discriminazioni) ad Adenauer nell’attuale situazione.

Ne consegue che, comunque si svolga la procedura, con o senza conferenza di Londra, il pericolo di irritare la Francia e di spingerla sempre piverso posizioni neutraliste si è in questi giorni aggravato.

D’altra parte la illusione di poter soddisfare la Francia e la Germania suggerendo un piano di unione o alleanza europea a sette, svuotato di ogni sopra-nazionalismo e ridotto alla minima espressione, pudirsi praticamente tramontata. La Gran Bretagna non ci crede e tutto fa ritenere che non ne vogliano sapere nemmeno i tedeschi e gli americani. Attualmente, un simile piano rischierebbe di apparire soltanto come un mezzo per facilitare nuove manovre dilatorie francesi: e sarebbe una complicazione inutile, anzi dannosa. Gli europeisti, se ancora vogliono risollevare in qualche diversa forma i loro generosi progetti, dovranno almeno attendere che essi non appaiano picome surrogati o peggio come ostacoli al riarmo germanico. Un nuovo piano europeo potrà, semmai, venire soltanto dopo l’entrata della Germania nel NATO, non prima. Le difficoltà della conciliazione degli interessi franco-germanici stanno dunque ora nel trovare modi e garanzie ragionevoli che soddisfino Parigi; ciche crea problemi tecnici e politici delicati.

In questo quadro il nostro contributo sarà tanto piutile quanto pisarà concreto esemplificatore. È mia convinzione che in questo momento l’azione della Gran Bretagna sarà abbastanza conciliante per saggiare tutte le possibilità di evitare una grave crisi e abbastanza fermo per garantirci di ogni pericoloso cedimento nei confronti di Mosca.

Naturalmente, se si rivelasse un profondo dissidio di tendenze fra britannici, americani, francesi e tedeschi nel prossimo futuro, noi non potremmo non tenere conto della nostra fondamentale solidarietà con gli americani; ma la linea di condotta britannica fino a questo momento farebbe ritenere che tale contrasto, fortunatamente, non si verificherà.

Voglia gradire, signor Ministro, gli atti del mio devoto ossequio,

Manlio Brosio

1 DGAP, Uff. IV, Versamento CED, 1950-1954, b. 24, fasc. 90.

2 Il documento reca i timbri: «Visto dal Ministro», «Inviato in copia al Presidente della Repubblica» e «Inviato in copia ai Sottosegretari».

3 Vedi DD. 41 e 46.

57

L’AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI, AL MINISTRO DEGLI AFFARI ESTERI, PICCIONI(1)

R. segreto 134342. Washington, 11 settembre 1954.

Oggetto: Rapporti italo-americani. Ratifica della CED.

Signor Ministro,

mi riferisco al mio rapporto n. 12881 del 31 agosto u.s.3 per ritornare sul problema della ratifica della CED, cui ebbi ad esporre a V.E. i propositi dell’Ambasciatore Luce ed alcune informazioni circa le discussioni da essa avute presso il Dipartimento in argomento. Dalla data di tale colloquio ad oggi non si sono verificate da parte americana delle iniziative a carattere ufficiale: ho dovuto perregistrare alcune manifestazioni negli ambienti di questo Governo che mi sembra opportuno, ad ogni buon fine, recare all’attenzione di V.E. Premetto che tutte tali manifestazioni mi sembrano potersi riassumere nelle seguenti proposizioni:

- - - - - - -

È certo comunque che, da quanto sopra esposto, appare chiaro che, se non altro, in tutti gli ambienti di questa Amministrazione (V.E. tenga presente che le manifestazioni che ho sopra registrato si sono avute presso la FOA, il Pentagono e il Dipartimento di Stato) vi è una vivissima aspettativa in rapporto a decisioni che si auspica il Governo italiano voglia prender per l’adozione di un «surrogato» parlamentare che possa, se non formalmente, per lo meno in linea pratica far considerare come completato l’interrotto processo di ratifica, assicurando la solenne sanzione parlamentare a qualsiasi organismo che, in sostituzione della CED, possa comunque promuovere o facilitare l’integrazione militare e politica europea.

Nel riferire in merito al colloquio con la signora Luce, ho accennato a V.E. come essa abbia prospettato l’ipotesi che il Senato americano possa accontentarsi di un voto su un ordine del giorno in cui si riaffermino da parte del Parlamento italiano i principi della CED. Nel discorrere sempre in via del tutto ufficiosa ed amichevole con funzionari del Dipartimento, questi hanno accennato anche a formule pisevere da cui possa derivare un voto il pipossibile impegnativo del Parlamento nei confronti dell’approvazione di quell’organismo o di quel sistema che potranno eventualmente essere proposti in sostituzione della CED.

Naturalmente, mentre molto facile puessere sbizzarrirsi nella ricerca di surrogati e molte sono le formule ipotetiche che possono escogitarsi a tal fine, è estremamente difficile poter fissarsi su una che, mentre accontenti il Senato americano, possa inquadrarsi nella procedura parlamentare italiana senza creare un insuperabile problema di politica interna per il nostro Governo.

Credo di interpretare i desideri di V.E. facendo intanto presente agli americani come sia irrealistico pretendere che il processo di ratifica della CED continui presso il Parlamento italiano e come sarebbe estremamente pericoloso dare esca alle opposizioni, insistendo nel provocare l’approvazione di un organismo che oggi è morto e che il Parlamento italiano dovrebbe risuscitare effimeramente sopratutto per compiacere l’aspettativa americana. Quando noi facciamo tali discorsi agli americani, sentiamo comprensione e sopratutto, come già accennato sopra, timore di indurci a un rischio che possa condurre a delle conseguenze ben pigravi che una mancata ratifica.

È indubbio tuttavia che, anche se tale comprensione esiste, si spera perche dal Parlamento italiano si accenda una fiamma che possa gettare luce nell’attuale travagliato momento e facilitare le iniziative in corso da parte di altri paesi e gli studi in atto presso lo stesso Governo americano.

Mi pare superfluo aggiungere da parte mia che una nostra iniziativa parlamentare che tale scopo volesse perseguire non potrebbe non avere favorevolissime ripercussioni nei nostri confronti.

Ho già scritto a Vostra Eccellenza come si abbia qui la sensazione che noi siamo ad una svolta decisiva della nostra posizione rispetto all’America e come si siano manifestati nelle ultime settimane dei movimenti psicologici di opinione, sopratutto per le iniziative del Presidente del Consiglio e di Vostra Eccellenza, che possono essere forieri di buoni e promettenti sviluppi. In pratica, se fino a un mese fa ci si rimproverava qui di avere agito con lentezza nella ratifica della CED, il fatto che si sia invece agito con prontezza nel riconfermare il nostro europeismo proprio dopo il colpo del Parlamento francese, ha indubbiamente determinato un notevole mutamento di atmosfera in nostro favore. Dico questo anche per notizie raccolte negli ambienti economici nei quali si stanno preparando le risposte alle richieste e ai quesiti che si presume verranno posti dalla delegazione italiana al Governo americano nel corso delle riunioni del Fondo Monetario e della Banca Internazionale. So che proprio sul caso italiano, e soltanto su di esso, si è avuta una discussione presso il National Advisory Council, sia per quanto riguarda eventuali nuovi prestiti da parte della Banca Internazionale e sia per la concessione di speciali crediti da parte del Fondo Monetario. Non mi addentro qui nei dettagli tecnici, su cui mi riprometto di fare segnalazione a parte. Ciche mi sembra, nel quadro del presente rapporto, opportuno registrare è che, secondo le informazioni datemi, il Council avrebbe impartito istruzioni ai rappresentanti americani che esamineranno la situazione italiana di «non dispiacere» alla delegazione italiana e di cercare di evitare risposte negative anche per quei provvedimenti ai quali, a rigore di prassi abituale, si dovrebbe rispondere con qualche diniego. Non escluderei quindi che nel settore economico ci si voglia dare qualche prova di comprensione, anche per incoraggiarci, nel settore politico, a manifestazioni che costituiscano una rinnovata prova della nostra fedeltà all’alleanza e delle nostre intenzioni di contribuire al suo potenziamento. Tutto ciproprio mentre vengono prese decisioni nei confronti della sospensione sia pure lenta, di aiuti alla Francia.

Di tanto ho ritenuto opportuno dare notizia, a seguito della mia precedente segnalazione e per opportuna informazione di Vostra Eccellenza nel momento in cui come immagino, la signora Luce affronterà il problema del «surrogato» della ratifica della CED con le nostre autorità. E cianche perché Vostra Eccellenza possa giudicare quali possibilità si prospettano in tal campo per consentirci di approfittare della favorevole congiuntura che sembra profilarsi nei nostri rapporti con questo Paese.

Per conto mio assicuro Vostra Eccellenza che, mentre cercherdi evitare che il pensiero degli uffici si cristallizzi in formule precise che possano costituire per noi motivo di difficoltà e non tengano conto delle nostre esigenze politiche e parlamentari, non mancherdi segnalare ogni ulteriore sviluppo che lo studio del problema inevitabilmente avrà in questi ambienti, dato lo stretto collegamento tra la mancata ratifica della CED e l’applicazione dell’emendamento Richards nei nostri confronti.

Voglia gradire, Signor Ministro, l’espressione del mio profondo ossequio(4).

Alberto Tarchiani

Allegato

CONVERSAZIONE CON IL SIGNOR S. HENSEL,

ASSISTANT SECRETARY OF DEFENSE

FOR INTERNATIONAL SECURITY AFFAIRS

Memorandum(5).

Il signor Hensel, essendogli stato chiesto quali passi, a suo parere, l’Italia avrebbe potuto fare per migliorare i rapporti con gli Stati Uniti dopo la mancata ratifica della CED ha detto:

1) Ratificare la CED nonostante la mancata adesione francese. Tale questione è di competenza del Dipartimento di Stato: cirappresenta peril punto di vista ufficioso e personale del «Secretary of Defense». La ratifica da parte dell’Italia puancora presentare interesse perché:

a) porrebbe in risalto la solidarietà dell’Italia verso i suoi alleati;

- - - - -

I problemi sono stati discussi col Ministero italiano della Difesa.

Il Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti sarà sottoposto a pressioni da parte del Congresso a meno che non venga rapidamente presa qualche concreta iniziativa. Per esempio, a meno che le attrezzature per la manutenzione degli aerei non siano immediatamente ed efficacemente utilizzate, i Congressmen americani solleciteranno con ogni probabilità a) che esse siano trasferite ad un altro paese per il loro impiego e b) che nessun’altra attrezzatura venga concessa all’Italia in quanto che essa non ha utilizzato quelle già avute.

1 DGAP, Uff. IV, Versamento CED, 1950-1954, b. 24, fasc. 90.

2 Il documento reca i timbri: «Visto dal Ministro», «Visto dal Segretario Generale» con la sigla di Zoppi, e «Inviato in copia al Presidente della Repubblica», «Inviato in copia ai Sottosegretari».

3 Vedi DPII, Serie A, Il fallimento della CED e della CPE cit., D. 299.

4 Per la risposta vedi D. 103.

5 Il memorandum fu successivamente inviato da Zoppi al Capo di Stato Maggiore della Difesa, Mancinelli con L. segreta 21/2337 del 20 settembre (DGAP, Uff. IV, Versamento CED, 1950-1954, b. 24, fasc. 90), del seguente tenore: «[…] l’Ambasciatore Tarchiani ci ha fatto avere un appunto su di una conversazione avuta da persona vicina alla nostra Ambasciata a Washington con il Sottosegretario alla Difesa Hensel che, come Lei sa, è al Pentagono praticamente il regolatore di tutti i programmi di aiuti militari all’estero. Richiesto dal suo interlocutore cosa l’Italia potesse fare per sfuggire alla scure dell’emendamento Richards, Hensel ha elencato una serie d’iniziative e di decisioni di ordine politico ma sopratutto di ordine militare che il Governo italiano dovrebbe prendere. Mi affretto ad inviarLe tale appunto perché esso registra aspettative e insoddisfazioni americane di cui non possiamo non tener conto nel quadro di una politica di intimi rapporti con gli Stati Uniti».

58

L’AMBASCIATORE A BRUXELLES, GRAZZI, AL MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI(1)

Fonogramma segreto 3775. Bruxelles, 13 settembre 1954 (perv. ore 18).

Dopo passata rivista divergenti aspetti situazione et avere questo Paese esposto idee di cui miei telegrammi 168 et 1712, proposte inglesi sono state accolte come segue:

- - - -

e) entrata Germania et Italia Patto Bruxelles del 1948. Quanto precede è strettamente confidenziale. Segue telegramma(3).

1 DGAP, Uff. I, Serie affari Politici, 1951-1957, b. 331, fasc. 15-30 settembre 1954. 2 Vedi DD. 29 e 49. 3 Vedi D. 59.

59

L’AMBASCIATORE A BRUXELLES, GRAZZI, AL MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI(1)

T. s.n.d. 11572/174-175. Bruxelles, 13 settembre 1954, ore 21,03 (perv. ore 0,40 del 14).

Eden è giunto qui con proposte che non prevedono altre alternative per il riarmo tedesco. Con fonogramma odierno(2) ho riassunto intese raggiunte con Benelux. Osservo:

1) In tal modo la Gran Bretagna riduce anche questa volta al minimo la sua partecipazione europeista la quale infatti si limiterebbe ad integrazione delle forze terrestri del NATO ed al rafforzamento Shape. L’estensione del Patto di Bruxelles non rappresenta di fatto nessun progresso in senso integrativo o collaborazionista europeo:

2) Eden è convinto che malgrado il suo piano accolga sostanzialmente tutte le proposte tedesche anche per dichiarazione autolimitazione il Parlamento francese finirà con accettarle;

3) Spaak è invece persuaso del contrario, anche sulla base della segnalazione che gli sarebbe pervenuta dal MRP che voterebbe contro la soluzione del NATO a tali condizioni. Per cui, mentre il Governo britannico fa fiducia su Mendès-France, egli continua a diffidarne ed in fondo pensa che si finirà per tornare ad una quasi CED, il che probabilmente non gli dispiacerebbe.

Raccomando di specificare con Eden che anche l’Italia è inclusa in estensione del Patto di Bruxelles, perché non mi è chiaro se qui vi abbiano accennato i belgi soltanto

o se anche gli inglesi lo prevedono.

1 DGAP, Uff. IV, Versamento CED, 1950-1954, b. 24, fasc. 90. 2 Vedi D. 58.

60

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI AFFARI ESTERI, DOMINEDÒ, AL MINISTRO DEGLI AFFARI ESTERI, PICCIONI(1)

Appunto riservato. Roma, 13 settembre 1954.

Appena di ritorno da Bruges, ove ho rappresentato la DC al Congresso delle «Nouvelles Équipes Internationales» (con la partecipazione dei maggiori esponenti dei partiti democratici cristiani europei), ritengo di dover comunicare alcune impressioni sul dibattito dedicato alla crisi della CED.

Dopo le critiche del Ministro olandese Sassen, presidente del gruppo DC all’Assemblea della CECA, e le riserve del Ministro belga De Schryver, presidente dell’Internazionale DC, è apparsa di particolare rilievo la risposta del Ministro francese Lecourt, presidente del Gruppo MRP alla Camera.

Egli ha detto che il voto sulla questione «préalable» della CED deve considerarsi uno «scacco provvisorio, che non tocca ancora il merito, lasciando impregiudicata la possibilità di riprenderne l’esame al momento debito. Per quanto nessuno possa pensare a una pura e semplice ripresentazione del progetto CED originale, resta tuttavia aperta la eventualità di nuove intese (vedi come base ad esempio il progetto dei 5 a Bruxelles), atte a risolvere il problema della Germania mediante un «inserimento» europeo e non attraverso un «isolamento», che alla lunga significherebbe la «Wehrmacht» (in caso di riarmo) o la «sovietizzazione» (in caso di neutralizzazione). Infatti la maggioranza eterogenea (comunisti o gollisti) che si è formata contro la CED, non si potrebbe ricomporre quando si trattasse di votare per una di tali alternative conseguenziali.

Lecourt ha soggiunto che nell’opinione pubblica e parlamentare francese si comincia adesso ad intendere la gravità del voto, mentre uno spostamento di forze si va delineando fra indipendenti e radicali, nonché fra i socialisti dissidenti. La conclusione è una: poiché il problema della difesa (europea) non tollera indugi, la soluzione deve essere ricercata in vista della comunità (europea); e non fuori, se non si vuole cadere in una delle due accennate alternative.

Tutto cifa pensare agli incontri in corso con il Ministro Eden. Buona l’iniziativa per l’inserimento «atlantico» della Germania, ma a patto che cinon precluda, bensì prepari, in qualsiasi forma idonea, anche l’inserimento «europeo» (si pensi quindi all’idea di un pool degli armamenti europei con «liaison» britannica).

Il problema appare infatti indifferibile anche sul piano della soluzione NATO, una volta che ingresso della Germania nella NATO (anche collaterale) significa riconoscimento di sovranità, e che – a sua volta – non v’è sovranità senza una certa dose di riarmo (nonostante i significativi tentativi di Nenni di scindere i due momenti). Torna peraltro opportuno osservare a questo punto che, oltre tutto, un controllo del riarmo su piano europeo risulta palesemente piagevole ed attivo che sul mero piano atlantico: per quanto riguarda particolarmente l’Italia, nessun dubbio, come bene intuì De Gasperi, che ogni nostro problema è risolvibile proprio nell’ambito europeo.

Tanto ritenevo mio dovere dire. Riferira parte sulla commemorazione di De Gasperi a Bruges e sugli ultimi sviluppi in tema di politica estera sociale.

DGAP, Uff. IV, Versamento CED, 1950-1954, b. 24, fasc. 90.

11

L’appunto Magistrati prende poi in considerazione, dopo il concetto dell’europeismo, le alternative alla CED e alla accessione della Germania al NATO, parallelamente all’istituzione, o meglio allo sviluppo, di un sistema di controllo e limitazioni non a carattere discriminatorio (autolimitazioni comuni con gli altri Paesi NATO o per lo meno ex CED).

A prescindere dall’impossibilità per il Governo di Adenauer di accettare una discriminazione, è ovvio che nessuna discriminazione imposta pucostituire la base di una Comunità. Non ci si riferisce qui alla CED ma ad una Comunità internazionale qualsiasi.

È uno dei tre principi chiave che occorre sostenere perché, se si vuole cercare di arrivare ad una soluzione, è sempre necessario tenere presente che la politica francese è, nella migliore delle ipotesi, dominata dal timore della Germania.

62

L’AMBASCIATORE A MOSCA, DI STEFANO, AL MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI(1)

Telespr. riservato 3032/13672. Mosca, 13 settembre 1954.

Oggetto: Dichiarazione del Minindel sul rigetto della CED. Riferimento ultimo: mio telespresso n. 2959/1327 del 7 settembre corrente(3).

L’attesa presa di posizione sovietica sul voto dell’Assemblea francese contro la CED ha, come è noto, assunto la forma di una lunga «Dichiarazione» ufficiale del Minindel, pubblicata il 10 e commentata da pedissequi articoli di fondo di questa stampa.

Essa ha preceduto di poche ore la consegna della Nota dei Tre (ed ha avuto così modo di lamentare anche la mancata risposta occidentale alle iniziative sovietiche di luglio ed agosto).

Riassumo brevemente il contenuto della Dichiarazione:

- - - - -

citarvi il suo ruolo di grande Potenza mentre, altrimenti, decaderebbe al rango di una Potenza di second’ordine. «L’Unione Sovietica è sempre stata e sta in favore di una Francia forte ed indipendente».

– L’ URSS continuerà a fare tutto il suo possibile per raggiungere accordi sui problemi insoluti, tra cui «la questione tedesca, la sicurezza collettiva europea, la proibizione delle armi atomiche ed all’idrogeno, la riduzione degli armamenti».

Come del resto era qui prevedibile, la «Dichiarazione» non porta alcun nuovo elemento, ma si limita a ribadire con il consueto frasario il noto punto di vista del Cremlino.

Quest’Ambasciata aveva già segnalato che la presa di posizione sovietica di fronte agli avvenimenti di Parigi sarebbe stata rigida nella sostanza, come rigida è stata la battaglia contro la CED: se si escludono le buone parole e gli elogi atti a lusingare l’amor proprio francese, si puora aggiungere che anche nella forma, oltre che nella sostanza, la «Dichiarazione» non sembra offrire appigli a quei francesi – e non so, se tra essi, sia il Primo Ministro – i quali vedono nella riapertura del dialogo con Mosca per lo meno la possibilità di procrastinare le necessarie decisioni.

Dalla «Dichiarazione» appare chiaro che il Minindel considera tuttora la Francia come la chiave di volta per impedire il riarmo germanico. Al riguardo è possibile che qui pel momento si ritenga la situazione parlamentare governativa francese già talmente confusa, da non aver bisogno di essere ulteriormente intorbidita da particolari esche ed incentivi alla Francia. Non è da escludere perche questi vengano messi in opera sul terreno dei rapporti politici ed economici russo-francesi ove la situazione evolvesse nel senso da noi auspicato.

È evidente che l’obiettivo essenziale che il Cremlino si prefigge è e continuerà ad essere quello di sconfiggere i piani attualmente in elaborazione per inserire la Germania nel sistema difensivo dell’Occidente. Mosca li contrasterà tutti con uguale vigore. La «Dichiarazione» vi fa un aspro accenno che non lascia dubbio sulle intenzioni sovietiche.

La politica europea dell’URSS, sotto gli attuali dirigenti, segue in realtà una linea logica: essa viene condotta con inflessibilità, anche se con una certa moderazione di forme, almeno nei confronti di quella provocatoria svolta negli anni precedenti. Tale azione, oltre a gettare un certo disorientamento in Occidente, ha differenziato alcune direttrici politiche delle principali Potenze ed ha consentito ai sovietici alcuni sostanziali risultati diretti: il piimportante di essi è il rigetto della CED.

La rigidità della posizione del Cremlino nei confronti della Comunità Difensiva poteva far pensare in Occidente che l’URSS fosse oramai disposta – pur di non modificare la propria politica germanica – a trovarsi improvvisamente di fronte al fatto compiuto della ratifica del Trattato e che un tale evento fosse già in definitiva scontato. In realtà, il Cremlino, come quest’Ambasciata ha da tempo segnalato, non aveva mai perso la propria fiducia di far infrangere la CED sugli scogli del Parlamento francese (o del nostro), così come oggi conta di veder saltare ogni altro piano di riarmo tedesco nella stessa «impasse» parigina.

Finché una tale speranza alimenterà questi dirigenti – e la confusione che regna in Occidente non contribuisce certo a deluderla – non si puattendere alcun mutamento sostanziale nella politica europea e germanica della Russia. Solo un importante «fatto nuovo», che renda, ad esempio, imminente ed effettivo il riarmo di Bonn, potrebbe determinare un cauto, molto cauto per riaggiustamento dell’attuale posizione sovietica inteso piche altro a suscitare nuove incertezze nell’Occidente.

Allego, ad ogni buon fine, il testo della «Dichiarazione» in traduzione inglese(4).

1 DGAP, Uff. IV, Versamento CED, 1950-1954, b. 25, fasc. 91. 2 Sottoscrizione autografa. 3 Vedi D. 36. 4 Non pubblicata.

63

COLLOQUIO DEL MINISTRO DEGLI AFFARI ESTERI, PICCIONI, CON IL SEGRETARIO DI STATO AGLI ESTERI DEL REGNO UNITO, EDEN (Roma, Villa Madama, 14 settembre 1954)1

Verbale segreto 21/23202.

Il 14 settembre 1954 ha avuto luogo a Roma, nella sede governativa di Villa Madama, il previsto incontro tra il Ministro degli Affari Esteri d’Italia, On. Piccioni, ed il Ministro degli Affari Esteri del Regno Unito, Anthony Eden, giunto, la sera innanzi, nella capitale italiana dopo una visita a Bruxelles ed a Bonn.

Da parte italiana erano presenti il Segretario Generale di Palazzo Chigi, Ambasciatore Zoppi, l’Ambasciatore d’Italia a Londra, Brosio, il Direttore Generale della Cooperazione Internazionale dello stesso Palazzo Chigi, Ministro Magistrati, ed il Direttore Generale degli Affari Politici, Ministro Del Balzo, mentre con il Ministro britannico erano il Sottosegretario al Foreign Office, Frank Roberts, l’Ambasciatore di Gran Bretagna a Roma, Clarke, il Capo di Gabinetto Rumbold ed il Consigliere dell’Ambasciata a Roma, Ross.

Il Ministro On. Piccioni, nel dare inizio alla conversazione, ha porto all’ospite britannico il saluto del Governo italiano e ha posto in rilievo come l’iniziativa del Governo di Londra di promuovere, all’indomani della mancata ratifica del Trattato per la CED, una Conferenza preliminare fosse stata accolta con interesse e simpatia dall’Italia e come altrettanto sia ora avvenuto in merito alla visita del Capo del Foreign Office alle Capitali europee maggiormente interessate ai problemi dell’integrazione dell’Europa.

Il Ministro, dopo aver accennato all’«iter» parlamentare italiano del Trattato per la CED, non ha mancato di esprimere il rammarico verificatosi in Italia per la mancata ratifica da parte di Parigi e ha aggiunto come anche in Italia una solidarietà e partecipazione della Germania di Bonn agli sforzi di collaborazione dell’Occidente siano ritenute, al momento attuale, del tutto necessarie. In Italia, oggi, si è non poco preoccupati e s’intende attivamente collaborare per trovare al pipresto una efficace alternativa alla mancata applicazione del Trattato per la CED, anche perché il Governo di Roma pensa che i germi del movimento europeista debbano essere mantenuti intatti in previsione di futuri sviluppi. Grande è quindi l’interesse per conoscere il pensiero del Governo britannico ed i primi risultati dei contatti avuti dal Ministro Eden nelle capitali europee da lui in questi giorni visitate. Il Ministro Eden, dopo aver ringraziato il Governo italiano e l’On. Piccioni per le cortesi accoglienze riservategli, ha posto in rilievo come, in questo tempo che pudefinirsi «critico», il contributo italiano alla collaborazione internazionale sia ritenuto di molta importanza e come, quindi, l’annunciata adesione italiana ad una Conferenza a otto o a nove sia stata altamente apprezzata. Attualmente ben grave sarebbe il rischio per l’Europa se non venisse raggiunta una soluzione atta a permettere l’associazione tedesca all’Occidente. Se la Camera francese dovesse continuare a rifiutarsi a forme efficaci di collaborazione europea, cifinirebbe, da una parte, per gettare la Germania nelle braccia sovietiche, e dall’altra, per persuadere l’America dell’opportunità, oramai, di ritirarsi dall’Europa. Bisogna quindi ora parlarsi con grande franchezza ed apertamente. Del resto il Governo di Londra continua a mantenere quello di Washington interamente al corrente di ogni iniziativa e di ogni contatto ed il Segretario di Stato americano viene sempre informato in dettaglio dei risultati di queste conversazioni europee.

L’attenzione dei Paesi interessati – ha continuato il Ministro Eden – deve convergere su tre punti politici ed organizzativi:

1 – necessità di porre fine al regime di occupazione in Germania, naturalmente con l’applicazione di speciali accorgimenti particolarmente per quanto riguarda la situazione di Berlino. Si tratta di un problema, naturalmente, irto di difficoltà, ma tutto fa ritenere – e specialmente dopo i contatti avuti con Bonn – come esso non sia di impossibile soluzione data anche la effettiva collaborazione esistente tra i tre Paesi occupanti (sull’argomento il Ministro Piccioni esprime il convincimento italiano della grande utilità di restituire oggi la sovranità alla Germania: restituzione che il Governo di Roma vedrebbe con indubbia soddisfazione);

2 – necessità di vedere la Germania contribuire alla difesa occidentale nel quadro di assicurazioni che essa dovrebbe e potrebbe dare e che andrebbero delineate, in un primo tempo, nel corso della Conferenza alla quale si è sopra accennato. La Germania, che aveva già accettato i livelli indicati nel Trattato CED, potrebbe dare chiare assicurazioni nei riguardi dell’entità delle sue forze, e queste assicurazioni, che naturalmente non dovrebbero essere considerate quali misure di discriminazione, potrebbero permettere pronti e favorevoli sviluppi nella questione;

3 – necessità di impedire senza indugio che il «vacuum» creatosi per la mancata ratifica del Trattato CED possa prolungarsi con grave pericolo per l’Europa. Occorre non dimenticare, a tale proposito, – e molto bene ha fatto il Cancelliere Adenauer a porlo in rilievo nell’incontro di Bonn – come, con la caduta del Trattato CED, siano praticamente decaduti anche gli impegni di garanzia assunti da parte britannica. Ora, per impedire il prolungamento di una tale dannosa situazione, la formula migliore appare essere quella di dare nuovo contenuto e nuova vita a quel Trattato di Bruxelles stipulato nel 1948 tra la Gran Bretagna, la Francia ed i Paesi del Benelux e che in origine appariva diretto contro l’eventuale rinnovarsi di aggressioni tedesche. Quel Trattato, rinnovato e modificato, per non creare strane contraddizioni, nelle sue premesse e nei suoi intendimenti, potrebbe oggi egregiamente servire allo scopo di dare nuovo avviamento all’unità dell’Europa occidentale. L’adesione ad esso dell’Italia e della Germania appare già favorevolmente considerata dai Paesi del Benelux, i cui rappresentanti hanno autorizzato il Ministro Eden a far conoscere tale loro approvazione. Il Cancelliere Adenauer si è mostrato, a sua volta, interamente favorevole all’idea ritenendo che la sua realizzazione potrebbe avere anche, dopo la crisi della CED, un nuovo e notevole significato europeista. Si dovrebbe quindi ritenere che esista già una possibilità per trovare un avviamento capace di sostituirsi all’antica CED anche ai fini di vedere rinnovati gli impegni tra l’Inghilterra e gli altri sei Paesi quali erano stati definiti in merito a quel Trattato per la Comunità Europea di Difesa.

A Bruxelles – ha sempre continuato il Ministro Eden – la questione è già stata considerata con attenzione e da parte olandese si è fatta presente l’opportunità che la Germania possa dare – ed altrettanto potrebbero fare gli altri Paesi – nella struttura del Patto di Bruxelles, e anche in via reciproca, le opportune assicurazioni. Questo Patto politico, cioè, potrebbe stringere i suoi firmatari in un sistema di assicurazioni collettive e singole. Dal punto di vista prettamente militare, la competenza resterebbe invece dell’Organizzazione Atlantica inquantoché nessuno oggi si augura di vedere architettato un nuovo meccanismo militare. Oggi quindi, se l’iniziativa dell’allargamento del Patto di Bruxelles apparisse degna di considerazione, bisognerebbe cominciare a prendere in esame le procedure necessarie e studiare con attenzione quali possano essere le eventuali reazioni francesi. Se a Parigi verrà data una risposta in massima favorevole, si potrebbe considerare l’opportunità di indire, per i prossimi giorni e forse verso il 22 o 23 del mese, la prevista riunione di Londra: a tale proposito il Cancelliere Adenauer ha già dichiarato di possedere sufficienti elementi per tale incontro mentre il Segretario di Stato americano Foster Dulles ha già indicato di essere disposto a fare una corsa in Europa per quella eventualità. Una adesione italiana all’iniziativa sarebbe molto importante in considerazione dell’avviamento europeista sempre difeso dall’Italia ed in vista degli stretti rapporti di amicizia esistenti tra Roma e Parigi. Per quanto riguarda particolarmente l’Inghilterra – ha concluso il Ministro Eden – un rifacimento del Trattato di Bruxelles senza l’Italia sarebbe praticamente impossibile: se invece l’Italia collaborasse alla riforma ed al riadattamento del Trattato, il lavoro sarebbe senza dubbio dei piproficui.

Il Ministro Piccioni, nell’esprimere in linea di massima la sua approvazione ad alcuni punti indicati dal Signor Eden, ha particolarmente insistito circa l’opportunità di vedere riempito il vuoto lasciato dalla mancata ratifica della CED. In Italia si condivide l’opinione espressa dal Cancelliere Adenauer circa la necessità che le garanzie inglesi già date nel quadro CED non vadano perdute e possano anzi unirsi ad altre: tali garanzie, infatti, devono essere potenziate perché indubbiamente un efficace apporto britannico non potrà non costituire un elemento di grande importanza ed interesse perché le difficoltà attuali possano essere sorpassate. Tutto cideve costituire il mezzo migliore perché siano allontanati il pericolo di un isolazionismo americano e quello di una secessione tedesca. La ricostituzione, infine, di una unità e di una forza europee puconcorrere molto efficacemente a combattere talune forme di neutralismo che, almeno per quanto concerne l’Italia, molto facilmente si identificherebbero con formule filosovietiche.

Cidetto, occorre aggiungere, con uguale franchezza, come la iniziale direttiva italiana per creare una alternativa alla CED fosse quella di vedere la Germania entrare nell’Organizzazione Atlantica (a questo punto il Ministro Eden interrompe per affermare che un ingresso di Bonn nella NATO debba essere considerato quale contemporaneo alla adesione al Patto di Bruxelles). Del resto, proprio a Bruxelles, all’indomani del mancato accordo, lo stesso Presidente Mendès-France ebbe, in via privata, a dichiarare come anche da parte francese questa accessione tedesca alla NATO fosse considerata quale «prima alternativa» alla CED. Oggi quindi sarebbe opportuno considerare in dettaglio, ed in merito alle eventuali sue applicazioni, come giocherebbe il binomio NATO-Patto di Bruxelles. Circa la formulazione della prospettiva generale, l’Italia non avrebbe difficoltà per un’estensione di quel Patto in connessione con il Trattato Nord Atlantico.

Il Ministro Eden, nel fornire alcune specificazioni, afferma che il «timing» per le prossime realizzazioni dovrebbe essere: 1) abolizione dell’occupazione alleata in Germania e restituzione della sovranità al Governo di Bonn; 2) contemporanei ingresso della Germania nella NATO e revisione del Patto di Bruxelles.

Il Ministro Piccioni si dichiara d’accordo su tale ultima formulazione e pensa che la questione delle garanzie potrà fare utile oggetto della prossima Conferenza, anche perché fino a questo momento ben poco sappiamo circa gli effettivi intendimenti tedeschi.

Il Ministro Eden, nel dichiararsi molto interessato all’accenno fatto dal Ministro Piccioni alla dichiarazione di Mendès-France a Bruxelles in merito alla possibilità di un ingresso della Germania nella NATO e dopo aver indicato che il Presidente francese aveva pio meno affermato lo stesso concetto durante la sua rapida visita in Inghilterra, non ha celato le sue preoccupazioni per il fatto che taluni francesi credono che una Germania nella NATO dovrebbe essere ingranata nello stesso sistema immaginato dal Trattato CED. Naturalmente gli esperti tecnici dell’Organizzazione Atlantica potranno svolgere opportunamente tutta una loro azione allo scopo di considerare le modalità del previsto ingresso della Repubblica Federale ma non potranno non esistere delle differenze con il sistema CED: viceversa nel Patto di Bruxelles avente un carattere particolarmente politico, potranno opportunamente giocare tutte le preventive assicurazioni alle quali si è in precedenza accennato.

A tale proposito il Sottosegretario Frank Roberts aggiunge alcuni dettagli tecnici indicando che il Cancelliere Adenauer ha per primo fatto presente come gli organi tecnici dell’Organizzazione Atlantica appaiano essere estremamente adatti per il ridimensionamento delle Forze Alleate con le necessarie applicazioni in tema di Revisione Annuale e di controlli. Quanto alle Forze militari, è chiaro che quelle fornite dalla Germania sarebbero interamente poste a disposizione del Comando Supremo Atlantico, mentre altri Paesi potrebbero – una volta riconosciute le loro necessità in altri settori – mantenere estranee alcune loro Forze nazionali. Quanto al problema degli armamenti ed all’organizzazione della loro produzione, il problema appare evidentemente complesso e difficile ma occorrerà non lasciar cadere quanto da parte tedesca era già stato accettato in sede CED, particolarmente in merito alle limitazioni imposte per le zone cosiddette «avanzate». Si potrebbe infine pensare a far coincidere nel tempo la durata del Trattato NATO con quella del Patto di Bruxelles, mentre si potrebbe avere una solenne dichiarazione tedesca intesa a sancire la volontà del Governo di Bonn di evitare di fare appello a qualsiasi violenza in merito al problema della riunificazione della Germania.

Il Ministro Eden dichiara che la vera e grande «garanzia» in tutto questo problema è l’integrazione della Germania nell’Organizzazione Atlantica e bisognerebbe sperare che il Quai d’Orsay possa rendersi conto di questa verità. È per questo che occorrerà considerare i termini dell’associazione del Patto di Bruxelles con il Patto Atlantico per la efficace realizzazione di una integrazione militare. Nulla del resto esclude che altri Paesi, quali, ad esempio, la Norvegia e la Danimarca, possano domani dare la propria adesione al Patto di Bruxelles, accettandone, naturalmente, gli impegni. Bonn ed il Benelux vedrebbero tali nuove adesioni con vivo piacere.

Il Ministro Piccioni, nel ritornare sul concetto della opportunità di vedere intensificati gli sforzi per una effettiva collaborazione europea in tutti i settori, pone in rilievo l’importanza della conservazione e del possibile potenziamento delle istituzioni oggi esistenti, quali la CECA, l’OECE, il Consiglio d’Europa: istituzioni che potrebbero essere danneggiate dalla mancata applicazione della CED, rendendosi così necessario un loro eventuale collegamento con l’organizzazione politica costituita dal Patto di Bruxelles.

Il Ministro Eden, nel ripetere il suo consenso a tali affermazioni, aggiunge che il Patto di Bruxelles immagina già consultazioni periodiche tra i Rappresentanti degli Stati membri in merito anche ai problemi di carattere economico e conferma come anche il Governo di Londra concordi nell’opportunità di vedere mantenute vive ed attive quelle istituzioni internazionali europee.

Circa la situazione effettivamente esistente a Parigi, e nel rispondere ad una domanda avanzata, in proposito, dal Ministro Piccioni, Eden informa che il Cancelliere Adenauer appare ottimista circa i prossimi sviluppi della situazione perché ritiene che nessun francese potrebbe far cadere un’offerta britannica di garanzie e perché il Signor Mendès-France non punon rendersi conto oggi dell’assoluta necessità di riempire il vuoto creatosi con la mancata ratifica della CED. Egli invece non condivide tale ottimismo perché taluni segni farebbero ritenere che il Parlamento francese sia sempre pronto a trovare una maggioranza per respingere qualche iniziativa ma viceversa non riesca mai a trovare una maggioranza per adottare qualche soluzione positiva. Nulla esclude che ora da parte francese, tanto per creare qualche altra difficoltà, sia risollevato il problema della Saar che, distaccato dal problema della CED, pueffettivamente costituire un nuovo e grave ostacolo per il raggiungimento di una effettiva intesa franco-tedesca.

Il Ministro Piccioni chiede allora cosa l’Inghilterra intenderebbe fare qualora la formula pessimista dovesse purtroppo rivelarsi maggiormente prossima alla realtà. Come riempire il «vacuum» creatosi? Da parte italiana si farà naturalmente il possibile per ottenere la comprensione e la collaborazione della Francia: ma se cinon fosse possibile?

Il Ministro Eden, nel ricordare come tale eventualità fosse già stata discussa al momento della visita a lui recentemente fatta, a Londra, dal Ministro Taviani, e nel confermare come anche i Paesi del Benelux pensino di attivamente intervenire per ottenere la collaborazione francese, aggiunge che, se tutto dovesse fallire, i Paesi interessati dovrebbero procedere per la loro strada, pur naturalmente lasciando aperta la porta per future eventuali adesioni francesi. Questo è il pensiero dello stesso Cancelliere Adenauer. È evidentemente poco piacevole avanzare ipotesi di tale natura e non possiamo immaginare che gli amici francesi facciano fallire, a tempo indeterminato, ogni sforzo collaborativo.

Ma dobbiamo tener conto di tutte le eventualità. In realtà il Governo francese non ha mai posto, dinanzi agli occhi della propria opinione pubblica, il problema delle alternative. Un altro punto da deplorare è che i francesi continuino a ritenere come un «bluff» l’atteggiamento americano: cinon è vero e i francesi farebbero bene ad aprire gli occhi per evitare sgradevoli sorprese. Gli americani sono stati fino ad oggi estremamente pazienti e la Amministrazione che regge il Governo di Washington ancora resiste dinanzi ad una sua opinione pubblica che comincia ad essere non poco nervosa. I francesi ritengono sempre che i Paesi europei siano «indispensabili» all’America e che quindi mai l’America potrebbe abbandonarli, ma in realtà, con lo sviluppo delle nuove armi, basterebbe ai Comandi americani di conservare una collana lontana di basi, tali da incutere timore all’Unione Sovietica senza bisogno di ottenere la collaborazione francese. Oggi nessuno è tanto importante da dover essere considerato indispensabile.

Il Ministro Piccioni nel ritornare sul tema della prossima Conferenza preparatoria di Londra, domanda se sarebbe sufficiente, per convocarla, una semplice adesione di massima da parte del Governo di Parigi o se, viceversa, non sarebbe maggiormente opportuno essere, in precedenza, in qualche modo bene orientati sui suoi veri intendimenti e sui suoi programmi. Alla Conferenza di Bruxelles si riteneva di poter raggiungere un accordo a mezzo di utili discussioni sui «desiderata» francesi ed invece l’intransigenza dei Rappresentanti del Governo di Parigi finì per provocare una situazione di rottura. Non sarebbe opportuno evitare la ripetizione di una situazione del genere? Se anche Londra dovesse segnare un fallimento, avremmo indubbiamente conseguenze ancor pigravi nelle opinioni pubbliche europee.

Il Ministro Eden, nel dichiararsi consapevole di tali necessità e nel ripetere come i Paesi del Benelux e la Germania abbiano già indicato il loro accordo nei confronti dei problemi da discutersi nella prossima Conferenza, ha aggiunto che una circostanza favorevole potrebbe essere attualmente costituita dal fatto che il Parlamento francese si trova ora in vacanza. Non bisogna poi dimenticare che la riunione di Londra avrebbe soltanto carattere preparatorio in vista della futura, importante Conferenza Atlantica. A Londra potrà mettersi particolarmente all’esame la revisione del Patto di Bruxelles in vista di un’adesione dell’Italia e della Germania. Naturalmente i rischi per un nuovo mancato accordo esistono ma è anche vero che occorre non perder tempo per riempire al pipresto il vuoto oggi prodottosi in Europa: problema, questo, che, secondo il pensiero di tutti, appare veramente essenziale.

Il Ministro Piccioni, a conclusione della conversazione, riconferma la volontà del Governo di Roma di dare intera la sua collaborazione per il raggiungimento di un accordo atto a rinforzare la cooperazione tra i Paesi dell’Occidente.

1 Gabinetto, 1953-1961, b. 23, fasc. 3. 2 Redatto da Magistrati.

64

COLLOQUIO DEL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, SCELBA, CON IL SEGRETARIO DI STATO AGLI ESTERI DEL REGNO UNITO, EDEN (Roma, Viminale, 14 settembre 1954)1

Appunto(2).

Preso atto dei risultati dei colloqui di Villa Madama, il Presidente conferma al Signor Eden il nostro apprezzamento per la felice iniziativa del Governo britannico. E osserva quanto sia necessaria in questo momento l’azione inglese in Europa. Indubbiamente l’autorità personale del Ministro britannico e il prestigio britannico molto varranno a far superare l’attuale crisi. Il Governo italiano è solidale con quello britannico; anzi, già avevamo pensato di affiancare l’iniziativa inglese con opportuna azione presso i partiti di maggioranza in Germania e in Francia. Il Signor Eden si dice assai grato di questo appoggio, che considera importante.

L’On. Scelba conferma le preoccupazioni del Governo italiano per la situazione creatasi in Europa, sia nei riflessi internazionali che nelle ripercussioni che essa potrà avere all’interno in Italia. Quali sono le intenzioni di Mendès-France? Ha egli idee chiare? e, sopratutto, come realmente intende avviare i suoi rapporti con l’Oriente? Questi interrogativi ci assillano oggi e ci fanno ritenere piche mai fondamentali taluni punti fermi. L’On. Scelba dice a Eden di volergli esporre queste nostre idee in aperte parole. I pensieri che gli viene esponendo scaturiscono dall’analisi della pubblica opinione in Italia e sono quindi per noi e per tutti di fondamentale importanza.

Noi riteniamo che sia necessaria in questo momento una politica di fermezza con la Russia; e che sia indispensabile una politica comune tra Gran Bretagna e Stati Uniti. Ogni tentativo inopportuno o intempestivo di distensione verso l’URSS, come ogni pur lieve segno di disaccordo tra Gran Bretagna e Stati Uniti, viene sfruttato dall’opposizione social-comunista in Italia, immancabilmente ed esaurientemente. A queste due esigenze va aggiunta un’altra: che appaia, nel quadro generale, un maggior coordinamento anche nei confronti del contributo italiano. La democrazia italiana guarda con simpatia e con favore alla Gran Bretagna; ma, perché tale favore si concreti e si consolidi, occorre che la Gran Bretagna ponga mente a queste necessità.

Il Signor Eden interviene per fare talune precisazioni. Quanto al contributo italiano e al coordinamento con l’Italia, proprio per questo è stato concepito l’invito all’Italia ad accedere al Patto di Bruxelles. Quanto all’azione comune tra Gran Bretagna e Stati Uniti, non vi è tra essi alcuna divergenza sostanziale. Eden rievoca le note circostanze della questione cinese: caso di una divergenza di poco rilievo, che è parso erroneamente allargarsi a un vero e proprio contrasto politico. Il riconoscimento del Governo cinese, fatto in precedenza dal solo Governo britannico e non dal Governo degli Stati Uniti, ha segnato l’inizio di una diversa valutazione del problema cinese; ma la diversità è di metodo e non di sostanza, e discende dalla diversa natura e consistenza degli interessi dei due Paesi in Cina. Per l’Inghilterra si tratta di grossi investimenti, per gli Stati Uniti di interessi in gran parte ideali.

Altro punto dove si diverge per metodo e non per sostanza, è la linea politica nell’Asia sudorientale. La Gran Bretagna ritiene indispensabile acquisire l’appoggio di quei Paesi prima di considerarli con noi e su di loro poter contare. Il pericolo è, secondo gli Inglesi, di natura politica e non militare; insegni l’esperienza del Vietnam. Non fu già la situazione militare, ma quella politica, che provocla sconfitta in Indocina. Concludendo le sue brevi precisazioni, Eden afferma che vi è ragione d’essere assai soddisfatti del coordinamento della comune azione di inglesi e americani a Manila.

Riprendendo il discorso, il Presidente ritorna all’argomento della distensione. La distensione con la Russia sarà possibile, egli dice, solo quando sarà assicurata la compattezza dell’Occidente. Senza di questo, ogni distensione è inutile, anzi nociva. Eden annuisce e commenta: «Peace through strength». Errore quindi, prosegue l’On. Scelba, è quello di parlare ora di distensione, ora di riarmo; è una doccia scozzese che disorienta l’opinione pubblica e fa il giuoco delle estreme. Possiamo anche comprendere certe esigenze britanniche e la conseguente necessità di una parola ogni tanto che distenda; ma noi preghiamo gli inglesi, qualora tali situazioni dovessero ancora presentarsi, a tenere presente quali ripercussioni ogni loro gesto puavere in Italia e in quei Paesi d’Europa dove agiscono forti nuclei comunisti. Eden è d’accordo.

Il Presidente prega il Signor Eden di comunicargli qualche impressione sulle prospettive del suo viaggio. Eden dubita di poter dare una indicazione precisa sull’atteggiamento di Mendès-France. Vi sono certamente motivi di diffidenza; i Paesi del Benelux, ed in particolare modo il Belgio (che ha stretti rapporti con la Francia), si mostrano sospettosi ed anche critici della politica francese. Desta apprensione anche l’ambiente che circonda il Primo Ministro; il quale fa pensare che voglia mantenersi in una posizione di neutralità per manovrare fino a guadagnarsi una maggioranza stabile. Non è escluso ch’egli possa domani proporre a Eden che si faccia ancora un tentativo per intavolare il discorso con i Russi; al che Eden afferma categoricamente di voler opporre un reciso rifiuto. Altra posizione negativa è l’attuale attrito tra Francia e Stati Uniti.

L’On. Scelba osserva che, in base agli elementi in nostro possesso, noi condividiamo in pieno le diffidenze del Ministro britannico. L’entourage di Mendès-France non dà affidamento; si tratta di un ambiente neutraloide se non addirittura filo-comunista. Il Presidente confida che l’indiscussa autorità di Eden potrà chiarire le posizioni, oltre ad esercitare una utile influenza. Suggerisce che il Signor Eden inizi il discorso con Mendès-France, richiamando il tenore delle dichiarazioni di questi a Bruxelles. A Bruxelles il Primo Ministro francese aveva assicurato i cinque colleghi che, in caso di mancata ratifica della CED, avrebbe presentato ad un prossimo Consiglio dei Ministri una alternativa; che avrebbe fatto tutto il possibile per farla accettare dal Gabinetto e dal Parlamento; che era favorevole alla partecipazione tedesca alla difesa dell’occidente senza discriminazione; che era escluso pensare a una riunificazione della Germania mediante accordi tra Bonn e il Governo orientale, non potendosi considerare quest’ultimo un vero e proprio Stato; che non era favorevole alla neutralizzazione tedesca. Chieda Eden a Mendès-France quali siano state le sue intenzioni nel dare queste assicurazioni: forse quella di ingannare suoi colleghi? Eden dà a divedere molto interesse; non è al corrente delle dichiarazioni del Primo Ministro francese, e chiede copia del testo. L’On. Scelba avverte che si tratta di materia riservata, ma che, data l’importanza dell’iniziativa, ritiene che Eden ne debba prendere visione.

Eden ringrazia Scelba dell’utile suggerimento e dei preziosi elementi fornitigli.

1 Gabinetto, 1953-1961, b. 23, fasc. 3.

2 Redatto dall’Ufficio I della Direzione Generale della Cooperazione Internazionale e trasmesso da Piccioni alle Rappresentanze con T. 8694-8695/c. del 15 settembre, per il quale vedi D. 66.

65

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI AFFARI ESTERI BENVENUTI(1)

Appunto. [Roma], 14 settembre 1954.

CIRCA LA «SOLUZIONE DI RICAMBIO»

1) Il problema della sicurezza europea si trova in crisi a seguito della decisione del Governo e dell’Assemblea Nazionale francese.

Fin quando non si sia deciso di procedere oltre nonostante il voto francese, occorrerà dunque trovare una soluzione nuova, che corrisponda a questo essenziale requisito: essere accettabile per l’opinione parlamentare francese.

Ogni proposta che non tenga conto di questa realtà rischia di incorrere in un nuovo e ancor pigrave insuccesso.

2) sotto questo profilo non appare chiaro il valore della proposta britannica di estendere alla Germania ed all’Italia il Patto di Bruxelles.

Tale patto infatti al suo art. 4 stabilisce un sistema di assistenza reciproca che presenta un carattere di automaticità piaccentuato rispetto al corrispondente art. 5 del Patto Atlantico.

Senonché v’è da temere che una tale accentuazione aggravi e non attenui le opposizioni francesi: infatti il Paese piesposto all’aggressione, e nel contempo piesposto alla tentazione di creare l’incidente (così diranno i parlamentari francesi anti-riarmisti) è proprio la Germania. L’applicazione del Patto di Bruxelles quindi alla Germania renderebbe piprobabile per la Francia il trovarsi automaticamente coinvolta in un conflitto provocato da avvenimenti che si svolgessero lungo la frontiera tedesca: e cisenza che il Trattato (così come è) contempli alcuna contropartita da parte britannica in materia di concreta presenza militare sul continente.

3) per contro non v’è dubbio che la formula «Patto di Bruxelles» inquadra le sette potenze occidentali in un sistema nel quale la Gran Bretagna avrebbe necessariamente una posizione politica di primo piano.

Ora non v’è dubbio che in questi ultimi anni tutti gli europeisti hanno auspicato la presenza attiva, con pienezza di diritti e di doveri, della Gran Bretagna nelle organizzazioni europee: in tali organizzazioni essa avrebbe certo esercitato, se vi avesse aderito, un certo «leardership».

Tale preminente influenza di fatto i continentali l’accetterebbero nel quadro di un’Europa Unita. La creazione della grande Europa pubene valere una fase storica di preminenza britannica.

Ben diversa invece sarebbe a mio avviso la situazione in una semplice Alleanza, qualora al «leadership» britannico non dovesse corrispondere come contropartita una efficace saldatura del sistema europeo sia come mercato unico sia come difesa unica, sia come organizzazione politica avviata verso un sistema unitario.

In sostanza a noi interesserebbe l’adesione della Gran Bretagna ad una Grande CED, non l’incapsulamento dell’Italia in una piccola NATO.

4) In particolare vi sono due eventi che mi sembra vadano evitati nell’interesse italiano:

- - - -

Foster Dulles, leggesi nel rapporto Tarchiani «ha espresso anch’egli il parere, così incisivamente illustrato alla signora Luce dal Presidente Scelba, che Mendès-France è andato a Bruxelles ed ha agito a Parigi per seppellire la CED con una operazione che è conseguenza diretta della combinazione compromissoria di Ginevra».

6) Leggendo le ferme e drastiche parole di Foster Dulles e di Scelba ci si chiede se a Londra il signor Mendès-France si sia sentito parlare con lo stesso riguardo.

Ho tutta l’impressione che abbia sentito un linguaggio pimorbido.

Non dimentichiamo che la mattina in cui siamo partiti da Bruxelles il signor Mendès-France si recsubito a Londra: aveva silurato la CED ma non temeva minimamente di presentarsi a Churchill e a Eden. Egli era evidentemente convinto che a Londra avrebbe ricevuto degli ammonimenti, ma che nessuna pressione vera sarebbe stata esercitata contro di lui.

È infatti da chiedersi cosa avrebbe potuto fare di meglio e di piil signor Mendès-France per silurare la CED se non avesse ricevuto la ramanzina (tutt’a fatto benevola) del signor Churchill.

In realtà Mendès-France è ritornato a Londra piche mai deciso a realizzare la liquidazione scientifica della CED e piche mai convinto che da parte di Londra non ci sarebbero state reazioni gravi.

7) Una certa «intesa cordiale» sembra abbia subito cominciato a funzionare, con la proposta di Conferenza a otto. Anzitutto la proposta toglieva chi aveva distrutto dall’imbarazzo di dover prendere iniziative costruttive.

In secondo luogo è evidente che una Conferenza presieduta da Churchill difficilmente permetterebbe che si crei un fronte unico antifrancese tipo quello che si è creato a Bruxelles.

In terzo luogo la Conferenza avrà carattere interlocutorio: infatti essa non è qualificata per la restituzione della sovranità della Germania, decisione questa che spetta alle sole potenze occupanti.

Non è qualificata per decidere l’ammissione della Germania alla NATO e le condizioni tecniche di tale ammissioni, decisioni che sono di competenza del Consiglio Atlantico e dei suoi organi tecnici. Quindi difficilmente in una sede come quella il signor Mendès-France si troverà messo con le spalle al muro.

Anzi gli sarà dato respiro. Non per niente Washington e Bonn si sono mostrate restie ad accettare la proposta. Essa sembra favorire il piano del Presidente del Consiglio francese diluendo il problema in tempi successivi: il problema della sovranità, poi quello dell’ammissione alla NATO e infine quello del riarmo.

8) Cinon significa affatto che l’Italia non debba essere presente a Londra: noi non siamo in condizioni di importare né date né sedi, né procedure e dobbiamo essere presenti ovunque. Ma vi puessere una linea franco-inglese non corrispondente ai nostri legittimi interessi.

A noi interessa anzitutto che il nodo sia sciolto e che finalmente il signor Mendès-France si trovi messo con le spalle al muro di fronte a decisioni non procrastinabili che sono le seguenti:

- - -

Ecco l’importanza della sede NATO che Mendès-France cerca di procrastinare. Se il Governo francese in sede NATO esercitasse il suo diritto di veto sono convinto che chi salterebbe non sarebbe la organizzazione NATO, ma l’unico Governo dissenziente ossia il Governo del signor Mendès-France. E in tal caso, né una lacrima né un fiore.

9) Senonché occorre risolvere contemporaneamente, contestualmente l’altro problema quello di trovare un nuovo sistema di organizzazione difensiva europea che accettando la premessa di una Germania sovrana, non discriminata, ammessa alla NATO e riarmata, rassicuri tuttavia l’opinione parlamentare francese (a cominciare da quella cedista ed europeista) circa le conseguenze delle tre fondamentali decisioni di cui sopra. Tali proposte – ove fossero sottoposte nude e secche all’Assemblea Nazionale sarebbero respinte. Tutte le informazioni infatti che vengono da Parigi e quelle stesse che io ho nuovamente raccolto in questi giorni a Strasburgo dalla viva voce di uomini qualificati delle pidiverse tendenze, confermano che l’Assemblea francese non approverà la rinascita pura e semplice di un esercito nazionale germanico autonomo. Forse si recupereranno, con una soluzione di queste genere, alcuni voti a destra, certo se ne perderanno al centro e a sinistra: comunque mi sembra che lavorare per dei mesi su questa direttiva rappresentanti per lo meno un grosso rischio, il rischio di esporci a un nuovo e ancor picatastrofico NO da parte dell’Assemblea Nazionale di Parigi. L’ odierno rapporto di Grazzi conferma questo timore.

Non dimentichiamo in proposito qual è la tattica del signor Mendès-France: egli non si assume la responsabilità aperta di dire «no», ma col suo contegno fa chiaramente comprendere che egli attende un NO dall’assemblea.

Già voci autorevoli come quella di Henry Frenay si levano in Francia profetizzando che se gli anti-cedisti si sono uniti ai comunisti per dire NO alla CED prossimamente, i cedisti si riuniranno ai comunisti per dire NO al riarmo autonomo della Germania. E tutto ci non dimentichiamolo, giocherebbe a favore dei progetti segreti che si attribuiscono a Mendès-France: ossia una soluzione che si accordi col piano Molotov. E non dimentichiamo inoltre che il governo britannico è presieduto dal vecchio grande Churchill: l’uomo del discorso distensivo che (come De Gasperi non si stancava di sostenere) ci ha fatto perdere le elezioni: l’uomo che sogna (come Mendès-France) l’incontro dei Quattro Grandi. Tutte prospettive che si avvicinerebbero in caso di un secondo NO dell’Assemblea Nazionale.

10) Ho l’impressione che le soluzioni proposte sul piano della sola tecnica militare non tengano sufficientemente conto del problema politico.

Si tratta di proposte ottime ma che si prestano largamente ad essere attaccate al parlamento francese in quanto in realtà lasciano alla Germania piena libertà di movimento.

Nel sistema CED la Germania non aveva il diritto di riarmarsi: essa era riarmata dalla Comunità dalla quale dipendevano tutte le leve di comando, armi, materiale bellico, rifornimenti, comunicazioni, addestramento, bilancio, saldo della truppa, nomina degli Ufficiali, ecc. I nuovi sistemi proposti invece restituiscono ai singoli Governi nazionali e quindi al Governo nazionale tedesco tutte queste leve: e tutti gli accordi che potranno essere firmati da questo lealissimo governo della Germania Federale, potranno tranquillamente essere messi in forse domani da un governo pimilitarista

o pinazionalista il quale avrà la grande forza del possessore: il possessore cioè delle proprie leve militari.

Se si tiene conto che nonostante i patti, le limitazioni, i controlli la Germania sovrana disporrebbe del suo enorme potenziale industriale (che nel sistema CED sarebbe invece stato sottratto alla diretta disponibilità del Governo nazionale germanico) ci si rende conto che neppure la cessazione degli aiuti militari americani sarebbe in grado di scoraggiare la Germania, il giorno in cui il suo governo lo volesse, dal tentare la grande avventura dello sganciamento dall’Europa. Queste cose a torto o ragione, le diranno all’Assemblea Nazionale francese, con rinnovato vigore, gli avversari del riarmo germanico.

11) Vi è peraltro una condizione essenziale, un fatto nuovo che ove si verificasse permetterebbe un cambiamento radicale nell’opinione parlamentare francese.

Se la Gran Bretagna prendesse un impegno formale e permanente di mantenere sul continente europeo senza limitazione di durata una divisione britannica per ogni divisione germanica, in tal caso una presenza militare cosi concreta e definitiva troncherebbe ogni questione di formule e di garanzie.

È disposto il Signor Eden a portarci questa buona notizia?

12) Al di fuori di questa ipotesi se vogliamo conquistare il fortilizio dell’Assemblea Nazionale occorre riprendere lo studio di nuove formule.

Un’impostazione molto esatta e chiara mi sembra sia stata suggerita dal deputato conservatore britannico Maclay nel documento (per il resto non accettabile) da lui or ora presentato alla Commissione per gli Affari Generali dell’Assemblea di Strasburgo.

Il Maclay sostiene che in sostanza si tratta di creare un esercito germanico che abbia queste due caratteristiche: non deve essere autonomo, non deve essere discriminato.

Senonché, cosa pusignificare un esercito non autonomo? Non pusignificare se non la rinuncia da parte germanica ad esercitare talune dalle sue prerogative sovrane in materia di armamenti per delegarla ad un organo non germanico.

Ma se questo concetto fosse applicato alla sola Germania ecco che la Germania subirebbe un trattamento discriminatorio in quanto un organo extra-germanico e quindi dominato da altri paesi, avrebbe diritto di intervenire e di sostituirsi al popolo germanico per alcune decisioni che riguardano la sua vita interna.

Per realizzare accanto alla non-autonomia anche la «non discriminazione» occorre una norma comune applicata da organi comuni a tutte le nazioni aderenti.

Ma questo è appunto quello che si è voluto chiamare la costituzione di organi sopranazionali.

Non si insisterà mai abbastanza nel concetto che la sopranazionalità non è già una teoria astratta inventata dai federalisti e poi pedissequamente applicata alla questione dell’esercito europeo.

Al contrario è il problema concreto, è la necessità di sottoporre la Germania alla legge comune; di riarmarla senza pericoli e senza offesa alla sua dignità, che ha imposto per necessità pratica, in relazione al problema concreto, di creare i cosiddetti organi sopranazionali ossia la Comunità di Difesa.

13) Riassumendo mi sembra che vada tenuto conto di tre elementi:

- -

c) Qualora la Gran Bretagna non intenda prendere questi impegni occorre tener presente che il signor Mendès-France ha ripetutamente dichiarato che avrebbe accettato, difeso e fatto approvare il Trattato CED con l’aggiunta dei protocolli francesi.

Egli sapeva benissimo che in quelle circostanze in quei pochi giorni non era possibile inserire il nuovo protocollo francese nel testo della CED: testo precostituito rispetto al quale il protocollo era inassimilabile.

Quindi egli sapeva che la CED sarebbe saltata.

Ciò non toglie perche, se la soluzione NATO si presentasse non realizzabile, sarà utile per noi prendere in parola la Francia sull’unica formula di riarmo germanico che anche il pianti-europeo dei governi francesi ha accettato di sostenere: CED piprotocolli francesi.

Mi chiedo se non si potrebbe ripartire da zero: prendere come documenti base il testo CED e il protocollo francese non già per emendarli ma per creare un terzo documento diverso e distinto, pibreve e pisemplice che contenesse quel tanto di sopranazionale che basti a togliere l’autonomia al riarmo germanico: sempre inquadrato nella NATO, come d’altronde prevedeva il Trattato CED. Strumento che quindi potrebbe pacificare cedisti e non cedisti intorno al signor Mendès-France. Il quale, non dimentichiamolo, fin quando è al potere è l’arbitro della situazione: ed è proprio lui, ripetiamolo, che si è compromesso a favore del riarmo germanico attraverso una Comunità europea, diversamente congegnata dall’attuale.

14) Salvare il concetto di Comunità europea in contrapposto a quello di semplice Alleanza Militare avrebbe per noi un immenso vantaggio.

Quello di non mandare a picco l’Europa a sei.

Il britannico onorevole signor Maclay, di cui sopra ho parlato, mentre proponeva una buona formula per il riarmo, non si peritava di aggiungere che considerava morte le costruzioni europee fin qui sorte. Ora abbandonare a sé stessa l’Europa a sei significa mettere in forse la CECA, significa rigettare in alto mare il primo esperimento di mercato unico e la prima configurazione di autorità europea sopranazionale.

Dobbiamo fare tutto il possibile perché questo sia evitato.

Non dobbiamo lasciar spegnere l’Europa a sei, focolaio irradiante dell’unità europea, non dobbiamo aiutare a distruggere nulla di quanto sin qui fatto sul piano dell’integrazione.

Far questo significherebbe uccidere quanto di giovane, di vivo e di moderno è sorto in questo dopoguerra, soprattutto per opera dell’Italia e del suo grande capo.

1 DGAP, Uff. I, Serie Affari Politici, 1951-1957, b. 331, fasc. 1-14 settembre 1954. 2 Vedi DPII, Serie A, Il fallimento della CED e della CPE cit., D. 298.

66

IL MINISTRO DEGLI AFFARI ESTERI, PICCIONI, AD AMBASCIATE E LEGAZIONI(1)

T. s.n.d. 8694-8695/c.2. Roma, 15 settembre 1954, ore 12,15.

Trasmetto per corriere verbale conversazioni con Ministro Eden che si sono svolte in atmosfera grande cordialità3. Ne riassumo frattanto punti principali.

Eden ha rilevato che, se non (dico non) si pone qualche urgente rimedio, l’Europa si troverà di fronte due gravi rischi: ritorno americano a qualche forma di isolazionismo e progressivo slittamento germanico verso campo sovietico.

Pertanto occorre:

- - -

A richiesta italiana Eden ha precisato che ingresso Germania Trattato Bruxelles dovrebbe essere parallelo a sua entrata nel NATO.

Su idee che precedono Eden ha raccolto adesione Benelux e Bonn. Cancelliere Adenauer sarebbesi in particolare mostrato «entusiasta» idea allargamento Trattato Bruxelles.

Da parte nostra, ricordato atteggiamento assunto all’indomani voto Camera Francese, è stata data adesione di massima idee sopra esposte, sottolineando esigenza ingresso simultaneo della Germania nel Trattato di Bruxelles ed in quello Nord Atlantico. Abbiamo rilevato altresì che nessuno sforzo deve essere trascurato per ottener partecipazione Francia. Eden dettosi pienamente d’accordo, aggiungendo tuttavia – su nostra domanda – che, se Francia risultasse tetragona di fronte ogni ragionevole proposta, bisogna pure prospettarsi triste alternativa di esser costretti a procedere *ugualmente*. In tal senso egli intende esprimersi a Parigi, tappa cruciale del suo viaggio.

Qualora colloqui Parigi giustificassero fiducia ulteriori sviluppi nel senso su indicato, verrebbe convocata a Londra Conferenza a 9 possibilmente attorno 22 settembre. Eden ha tenuto a sottolineare che Governo britannico è in continuo contatto con Washington e che Dulles si è detto confidenzialmente disposto recarsi Londra verso fine settimana. Prego informare *con urgenza* Alessandrini(5).

1 Telegrammi segreti originali 1954, partenza, vol. II.

2 Indirizzato alle Ambasciate a Parigi, Washington, Bonn, Bruxelles, L’Aja, e alla Legazione a Lussemburgo.

3 Vedi D. 63.

4 Aggiunte manoscritte tra asterischi.

5 Per la risposta da Washington vedi D. 68.

67

L’AMBASCIATORE A BONN, BABUSCIO RIZZO, AL MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI(1)

T. s.n.d. 11683/137. Bad Godesberg, 15 settembre 1954, ore 22,30 (perv. ore 7 del 16).

Questo Alto Commissario americano mi ha detto oggi che le sole tappe previste del viaggio di Dulles in Europa sono Bonn e Londra. Il fatto che Dulles è accompagnato dal Gruppo Esperti viene interpretato qui come una decisione americana di non consentire altri rinvii al problema tedesco anche se l’accoglienza francese al piano di Eden non fosse favorevole. Nel caso invece di accettazione francese gli ambienti tedeschi prevedono la possibilità della Conferenza Londra mercoledì entrante settimana. Conant mi è apparso favorevole all’iniziativa britannica ma depresso per la sensazione che l’idea dell’integrazione europea stia per naufragare completamente.

1 DGAP, Uff. IV, Versamento CED, 1950-1954, b. 24, fasc. 90.

68

L’AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI, AL MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI(1)

T. s.n.d. 11685/528. Washington, 15 settembre 1954, ore 14,52 (perv. ore 7 del 16).

Mio 5262 e suo 8694/c.3.

Da contatti amichevoli mi risulta quanto segue:

le prime informazioni giunte dal Dipartimento circa i risultati dei colloqui di Eden a Bruxelles a Bonn ed a Roma hanno destato un’impressione molto favorevole. Tuttavia Dulles non (dico non) sarà ancora in grado di assumere con Adenauer e Churchill concreti impegni circa l’atteggiamento americano. Egli intende accertare direttamente quali prospettive il piano britannico abbia, soprattutto per quanto concerne i francesi ... di entrare effettivamente in azione.

Dulles (che è accompagnato dal Sottosegretario alla Difesa oltre che da Merchant e Bowie) dovrà essere in grado di fornire al riguardo elementi sicuri ad Eisenhower ed al Pentagono. Quest’ultimo ritiene infatti indispensabile poter fissare la data di inizio del riarmo tedesco e desidera evitare formule che, richiedendo l’approvazione del Parlamento oltre che del Governo francese, siano suscettibili di continui rinvii come è avvenuto per la CED. Il Dipartimento considera pertanto la situazione fluida e non è ancora in grado di precisare se non convenga tener presenti anche altre alternative tra cui un’intesa diretta con la Germania sul tipo dell’Alleanza balcanica cui potrebbero partecipare oltre gli Stati Uniti e la Gran Bretagna anche l’Italia ed il Benelux. Molto dipenderà dall’atteggiamento francese e dalle formule che potrebbero essere escogitate per evitare rinvii temuti dal Pentagono. Adenauer ha fatto sapere qui di essere disposto ad accettare la cessazione del regime di occupazione mediante una dichiarazione unilaterale dei Paesi singoli occupanti. Il Dipartimento è tendenzialmente favorevole a tale soluzione. Ritiene perche essa non (dico non) debba essere formalmente perfezionata prima che sia risolto il problema del riarmo. In vista della fluidità della situazione il Governo americano eviterà per ora di specificare se e come i noti impegni americani in connessione con la CED potranno essere armonizzati con la soluzione che verrà concordata per l’integrazione della Germania. Con le riserve richieste da quanto precede il Dipartimento confida che sarà possibile al Governo americano di aderire all’eventuale Conferenza delle nove potenze a Londra. In vista della sessione della NU e della possibilità di ulteriori contatti ufficiosi a New York la Conferenza non dovrebbe peravere inizio prima del 27 settembre.

Circa il Consiglio Atlantico a livello Ministri il Dipartimento continua a considerare la metà di ottobre l’epoca migliore ed è disposto ad aderire a qualsiasi sede su cui la maggioranza concordi, specie a Roma e a Bruxelles. Il Segretario di Stato è spiacente che la ristrettezza di tempo gli impedisca di recarsi a Roma ma è lieto che le riunioni in progetto gli diano l’occasione di incontrare V.E.

1 Telegrammi segreti originali 1954, arrivo, vol. III.

2 T. 11660/526, pari data, (DGAP, Uff. IV, Versamento CED, 1950-1954, b. 24, fasc. 90) con il quale Tarchiani aveva comunicato: «Dulles parte stasera per Bonn. Si incontrerà con Adenauer domani sera e proseguirà venerdì per Londra per conferire con Churchill ed Eden e rientrerà a Washington sabato».

3 Vedi D. 66.

69

L’AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI, AL MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI(1)

T. s.n.d. 11693/529. Washington, 15 settembre 1954, ore 18,45 (perv. ore 8 del 16).

Mio 5282.

Ho visto brevemente Dulles in procinto di partire. Egli mi ha ripetuto il suo apprezzamento per l’atteggiamento costruttivo che il Governo italiano ha assunto circa i problemi del riarmo della Germania. A proposito dell’incontro Murphy-Tito il Segretario Stato ha tenuto ad esprimere la sua fiducia per risultati positivi, ma ha sottolineato che trattandosi di un compromesso sono necessarie rinunce da ambo le parti.

Nella stessa occasione ho visto l’Ambasciatore di Gran Bretagna che mi ha riferito che Eden è rimasto molto soddisfatto dello svolgimento dei colloqui di Roma3, mentre è preoccupato dell’atteggiamento francese.

1 Telegrammi segreti originali 1954, arrivo, vol. III. 2 Vedi D. 68. 3 Vedi DD. 63 e 64.

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IL DIRETTORE GENERALE DELLA COOPERAZIONE INTERNAZIONALE, MAGISTRATI, AL MINISTRO DEGLI AFFARI ESTERI, PICCIONI(1)

Appunto 20/23292. Roma, 15 settembre 1954.

Mi è stata data, stamane, occasione di avere una conversazione con l’Ambasciatore di America, Signora Luce la quale sarà domani ricevuta da V.E.

In riassunto:

1. Respingimento della CED e situazione attuale.

Con ogni probabilità il Segretario di Stato Foster Dulles arriverà a Bonn stasera o domani per poi proseguire per poche ore per Londra. Si tratta di un gesto importante inquantoché indica il desiderio del Dipartimento di Stato di entrare oramai direttamente nel gioco, per ricevere impressioni di prima mano, per quanto il Governo britannico non manchi di tenere al corrente dei suoi contatti europei il Governo di Washington.

Per adesso il Governo americano è molto perplesso, se non ostile, nei confronti del proposto allargamento del Patto di Bruxelles, in quanto che esso ha l’impressione che, in definitiva, si cerchi, in un modo o in un altro, di «escamoter» o, almeno, di ritardare per un lungo periodo il riarmo tedesco: riarmo che, invece, sarebbe effettuabile – anche se attraverso un sistema di controlli con la pronta ammissione della Germania nel NATO. Il Governo americano, inoltre, teme che i membri del Congresso, diretti responsabili dell’opinione dei «pagatori di tasse», vedendo scomparire ogni traccia di «supernazionalità» e di vera integrazione tra i Paesi dell’Europa occidentale, compiano qualche gesto di malcontento tale da rendere maggiormente difficile la collaborazione americana con i Paesi stessi.

A Bruxelles, a quanto risulta, il Signor Eden, nei suoi contatti con i Rappresentanti del Benelux, ebbe ad indicare una serie di limitazioni in merito al riarmo tedesco che non possono incontrare l’approvazione degli Americani e particolarmente dei militari americani. Ci si domanda quale potrà essere l’atteggiamento italiano e se l’Italia abbia effettivamente interesse ad entrare senz’altro nel Patto di Bruxelles, senza che prima ne siano state definiti i termini e le future impostazioni. Forse qualche luce in proposito potrà venire, nelle prossime settimane, dai contatti preparatori che avranno luogo.

2. Stati Uniti e Italia.

Purtroppo siamo giunti al temuto momento nel quale le leggi restrittive americane in tema di aiuti all’estero non potranno non trovare applicazione nei riguardi dell’Italia, quale Paese non ratificatore del Trattato CED. Tale sospensione di aiuti dovrebbe riguardare, da una parte, le commesse e dall’altra, gli end items per il programma 1954-55. Un caso tipico è quello della FIAT che, evidentemente, non potrà ottenere il montaggio del secondo lotto di apparecchi F. 86.

Forse una dichiarazione solenne o una votazione su un ordine del giorno in seno al Parlamento italiano e diretta a ribadire, in linea generale, i concetti basilari di integrazione europea che erano alla base del Trattato CED, potrebbe servire in qualche modo a correggere questa situazione.

Ma sopratutto l’Italia dovrebbe oramai dare una prova provata della sua volontà di collaborare con gli Stati Uniti con la stipulazione dell’accordo in tema di «facilities». A Washington lo stesso Ammiraglio Radford, Capo di Stato Maggiore Generale, ebbe a chiedere alla Signora Luce cosa si attendesse ancora in Italia per tale stipulazione. Il raggiungimento di un tale accordo avrebbe anche il vantaggio di avvicinare maggiormente il Pentagono all’Italia, senza far correre a quest’ultima il rischio, domani, e in caso di sfavorevoli evoluzioni della situazione internazionale, di essere messa nel novero dei Paesi da «non difendersi».

A Washington appare aver prodotto una certa impressione l’avvertimento dato dall’Incaricato di Affari di America a Roma, Durbrow, in merito all’eventualità che le truppe americane che dovessero sgomberare Trieste e attraversare il territorio italiano, potessero essere fatte oggetto di qualche ostilità da parte degli ambienti comunisti. La Signora Luce, per conto suo, non condivide tali preoccupazioni.

3. Questione di Trieste.

Il viaggio a Belgrado del Signor Murphy costituisce una prova provata della decisa volontà del Dipartimento di Stato di compiere uno sforzo finale e definitivo presso il Maresciallo Tito per il raggiungimento di un accordo sulla base delle richieste italiane. La Signora Luce è lietissima di questo pur non potendosi fare una idea delle possibilità di successo di questo intervento. Sarebbe deplorevole se Tito, facendosi forte di notizie relative alla pretesa instabilità alla situazione italiana, cercasse di guadagnar tempo, frapponendo nuove difficoltà. In realtà, purtroppo, l’azione britannica in tema di Trieste e specialmente quando si trattava di definire quale forma di «mano forte» avrebbe potuto essere applicata per ottenere un atteggiamento favorevole jugoslavo, è stata sempre incerta e manchevole in modo che il Governo di Washington si è trovato sempre nell’impossibilità di agire.

1 DGAP, Uff. IV, Versamento CED, 1950-1954, b. 24, fasc. 90.

2 Indirizzato per conoscenza anche a Zoppi e Del Balzo, il documento reca il timbro: «visto dal Segretario Generale» e la sigla di Zoppi.

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IL SOTTOSEGRETARIO AGLI AFFARI ESTERI BENVENUTI(1)

Appunto. [Roma], 15 settembre 1954.

DOPO IL RIGETTO DELLA CED DA PARTE DEL GOVERNO FRANCESE

1) Si rende omaggio alla pura verità quando si afferma che la responsabilità del rigetto della CED incombe in primo piano non all’Assemblea ma al Governo Francese.

La CED è caduta in Francia perché Mendès-France ha voluto farla cadere. La constatazione materiale che, dopo il contegno tenuto dal Presidente del Consiglio a Bruxelles ed a Parigi non si sia trovata nell’Assemblea Nazionale una maggioranza per approvare il Trattato, non esclude ma conferma in pieno la responsabilità governativa.

Non si pudire: «in quel tal Parlamento c’è o non c’è una maggioranza per quel tal Trattato» così come si direbbe «esistono o non esistono giacimenti di petrolio in Sicilia».

La formazione di una maggioranza non è un fatto fisico fissato dalla natura, è un evento storico che si determina o non si determina nel vivo di una battaglia politica. Battaglia nella quale decisivo è l’atteggiamento del Governo responsabile.

Non va dimenticato che l’Assemblea francese negli anni scorsi non mancdi pronunciarsi chiaramente a favore della CED con una netta maggioranza di voti, ponendo soltanto alcune condizioni. Senonché il signor Mendès-France a Bruxelles si è apertamente e consapevolmente battuto in senso opposto alle «condizioni» auspicate dalla maggioranza dell’Assemblea Nazionale.

Ed è nel contempo triste e comico leggere, a pagina 7 del resoconto stenografico delle recenti sedute dell’Assemblea Nazionale, la presa di posizione del relatore anticedista on. Moch il quale ha ricordato solennemente all’Assemblea, per indurla a negare la ratifica che talune delle condizioni da essa poste le sono state rifiutate:

«Si chiedeva – dice Moch – di creare un potere politico a competenza limitata ma reale e di subordinarvi le forze armate europee: e invece tutto è stato rinviato a una data indeterminata e sotto forma imprevedibile!».

Se non che a Bruxelles il signor Mendès-France aveva proprio lui sostenuto la tesi opposta: proprio lui ha demolito l’art. 38 che prevedeva la creazione d’un potere politico. Proprio lui, signor Mendès-France ha perentoriamente respinto la proposta di Spaak di citare nel documento finale l’impegno assunto dai sei Governi la scorsa primavera (proprio su istanza francese) di provvedere subito dopo la ratifica della CED, all’elezione di un’Assemblea europea a suffragio universale. Lo stesso signor Moch denuncia all’Assemblea che essa è rimasta inascoltata per quanto concerne una stretta limitazione del diritto di veto quale auspicata dall’Assemblea stessa nel voto precedente.

Ma è proprio il signor Mendès-France che a Bruxelles ha proposto addirittura il veto universale indiscriminato su qualsiasi provvedimento del Commissariato.

Ed ancora l’onorevole Moch lamenta che la posizione dell’Assemblea relativa alla non ammissione della Germania nella NATO sia stata delusa dato che in realtà la CED ammette la Germania nell’Organizzazione Atlantica.

Orbene è proprio il signor Mendès-France che ancora una volta ha sostenuto a Bruxelles la tesi opposta, proclamando che nel concetto francese la CED, Germania compresa, doveva essere considerata come un Organo rigorosamente dipendente e complementare (sic) del Patto Atlantico.

Dopo di che il signor Moch invita la Francia in Assemblea a respingere la CED colpevole di presunti difetti che proprio il Presidente del Consiglio francese ha proposto a Bruxelles di centuplicare, consolidare e rendere definitivi!

Ci sarebbe veramente da ridere, se non fossimo di fronte ad un caso ben triste di degenerazione del costume politico.

Per il signor Mendès-France e per gli anticedisti di cui egli è il capo, tutte le tesi si sono dimostrate buone, anche le picontraddittorie, purché riuscissero a far massa in materia di voti contrari.

E nel loro complesso tutti gli sfoghi degli oratori anticedisti non sono stati se non una mistura nauseante di grettezza di retorica e di vigliaccheria.

Ed ecco il signor Lapie, relatore della Commissione dell’industria, il quale proclama candidamente che la CED presenta un grave inconveniente: che il Commissariato farà appello alla concorrenza per le forniture militari a solo vantaggio delle economie giovani e specializzate, e a tutto danno dell’economia francese, assai invecchiata, che eventualmente sarebbe costretta a certe riconversioni industriali.

Al signor Lapie non passa neanche per la testa che vi sono altri Paesi per i quali il problema della riconversione è problema di ogni giorno, e che essi lo affrontano con coraggio anche se questo costa dei quattrini e delle crisi sociali.

Ma il colmo è raggiunto dall’ineffabile Generale Aumeran, quello della proposta capestro che ha strozzato la discussione: il quale non ha esitato a proclamare: «Il Pentagono pensa a costituire una forza che sotto la sua direzione monterà la guardia in Europa e dispenserà l’America dal far intervenire i suoi soldati».

Al signor Generale non viene neanche per la testa che la guardia dell’Europa è la guardia alle case, alle famiglie, alle donne e ai bambini d’Europa, e che questa guardia, se ancora le parole patria e onore possono avere un senso, deve essere anzitutto assicurata non dai soldati americani ma dai padri, dai fratelli e dai mariti delle donne d’Europa. Sullo sfondo di tutto questo sta Daladier e la cricca di «Monaco», e il signor Herriot che scioglie inni all’URSS e intona la Marsigliese coi comunisti.

2) Questo è il «tipo» di Francia che ha prevalso all’Assemblea Nazionale. Noi sappiamo che c’è un’altra Francia, la quale ha levato pur essa la sua voce (strozzata da un indegno trucco procedurale) con accenti di nobiltà e di grandezza che ci lasciano ancora sperare circa l’avvenire e la missione di quel grande Paese.

Mi sembra assolutamente doveroso riportare il discorso dell’onorevole Teitgen, Presidente del Movimento Repubblicano Popolare, il quale ha avuto, in mezzo a quella maggioranza ottusa, sordida e gretta, il coraggio di evocare i problemi del nostro paese:

«Io vi chiedo – egli ha detto – di pensare un poco all’Italia: questo Paese conta oggi dei milioni di uomini che vivono in una grave miseria. Soltanto in certe grotte e in certi tuguri intorno a Roma vivono centinaia di migliaia di miseri. E questo perché l’Italia non pufar lavorare sul suo suolo tutti i suoi figli e tutti nutrirli.

A queste masse il Governo italiano dice che non è vero che v’è una sola soluzione, e cioè il comunismo, la dittatura e il campo di concentramento. Egli dice al Paese che c’è un’altra soluzione: un’Europa organizzata, che aprendo le sue frontiere, permetterà a tutti gli uomini di buona volontà di vivere nella dignità e nella libertà. È perché questo linguaggio è stato tenuto che l’Italia non è caduta nelle mani del comunismo».

3) Non v’è dubbio che se questa classe politica rappresentante la Francia nuova e giovane fosse stata al potere in questo momento, con uomini di energia e di prestigio, questa Assemblea avrebbe certamente trovato la sua maggioranza per la Comunità di Difesa.

Ed è anche probabilmente vero che questa classe politica europeista ha commesso degli errori per quanto concerne il problema indocinese, la politica africana e la politica economica.

Errori che le hanno costato [sic] il potere, con un danno incalcolabile per la Francia e per l’Europa. Il Governo Laniel ha probabilmente facilitato l’apertura delle successioni di cui oggi soffre la Francia.

Ma se quegli uomini, gli uomini di prima, commisero degli errori, ben altro pisevero giudizio va dato della classe politica che si accentra intorno a Mendès-France. Questi non commettono degli errori, infondono, potenziano, coltivano dei bacilli. Il bacillo della paura, dell’egoismo, della boria, del patriottardismo pro-comunista. Cosa puattendersi la Francia oggi da una classe politica di questo genere? Probabilmente questa classe non intende condurre la Francia al comunismo. C’è nel comunismo, con tutti i suoi errori, un elemento di dinamicità creatrice che spaventa il decrepito pantofolaio francese molto pidegli orrori di fronte ai quali ciascuno di essi pensa che c’è sempre mezzo di cavarsela con una buona politica di distensione.

Né si puconcepire una dittatura di stampo fascista, perché questa classe politica non ha neppure l’energia e il coraggio di mettere in piedi una forza capace di prendere in pugno il Paese e di condurlo sulle false, ma grandiose e poetiche vie d’una politica imperialistica.

Una dittatura paternalistica alla Salazar vedrebbe sorgere, in seno alla maggioranza del signor Mendès-France, i vecchi pontefici e tromboni della Repubblica laica. E non c’è neanche da parlare di dittatura militare con De Gaulle perché l’esercito è senza idee salvo quelle di salvare i propri quadri. Tutte tali prospettive sarebbero pessime. Quanto sta verificandosi non è peggio, ma è certo ancor pideprimente e preparatorio del peggio.

Ciche sembra presentarsi oggi è una specie di dittatura personale di Mendès-France, qualcosa di sud-americano ma senza esercito, fondato sulla paura, sulle coalizioni di interessi, sull’amore del quieto vivere e soprattutto sulla ostinata convinzione che in fondo senza tante organizzazioni europee o sopranazionali e senza americani fra i piedi (ben inteso provocatori di guerre…) ciascuno potrà benissimo far buoni affari e vivere in pace mettendosi d’accordo con l’Unione Sovietica.

Non è qui il luogo di esaminare a fondo il da farsi di fronte ad una situazione di

questo genere. Mi si consenta tuttavia una osservazione essenziale. Il fenomeno Mendès-France non è una politica francese, è una malattia francese.

È un fenomeno che fa parte non della fisiologia ma della patologia di quel grande popolo.

Evidentemente una malattia non pucostituire né esempio né precedente; onde qualsiasi politica che sotto la scusa di essere realistica volesse «adeguarsi» alle posizioni francesi sarebbe priva di senso e catastrofica per il nostro Paese.

1 DGAP, Uff. I, Serie Affari Politici, 1951-1957, b. 331, fasc. 1-14 settembre 1954.

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IL DIRETTORE GENERALE AGGIUNTO DELLA COOPERAZIONE INTERNAZIONALE MAZIO(1)

Appunto segreto(2). Roma, 15 settembre 1954.

Ho ricevuto l’Incaricato d’Affari olandese, signor Bakker. Mi ha comunicato che l’Ambasciatore Boon rientrerà stasera e mi ha detto che ritiene che lo stesso desideri vedere al pipresto il Segretario Generale o il Ministro Magistrati. Desiderava conoscere le nostre impressioni sulla venuta di Eden e sulla proposta inglese.

Nella mia risposta mi sono tenuto sulle generali, dicendogli che non avevo ancora avuto occasione di parlare con il Ministro Magistrati dopo le conversazioni di Villa Madama.

Mi ha detto di aver ricevuto un lungo telegramma dall’Aja. Mi ha detto che il telegramma, mentre informava in dettaglio su tutti i punti trattati, si conclude dando l’impressione che si sia raggiunto un accordo di principio sulle proposte inglesi ma che non autorizza il Signor Eden a parlare a Parigi anche a nome del Governo dell’Aja.

Il piano inglese è stato accolto in modo «abbastanza favorevole». Da parte olandese sono stati fatti dei suggerimenti, che sono stati a loro volta trovati interessanti dal Signor Eden. Non era perin grado di darmi dei dettagli sul contenuto di tali suggerimenti.

Bakker mi ha poi detto che secondo il Governo olandese l’obiettivo da raggiungere è l’ammissione della Germania nel NATO e che considera la proposta di «rivitalizzazione» del Trattato di Bruxelles come sussidiaria al predetto obiettivo. L’Olanda non avrebbe particolari preferenze circa il «timing» dei due progetti, se cioè prima Bruxelles e poi ammissione al NATO. Considera un buon mezzo quello del Trattato di Bruxelles, se esso consentirà l’accettazione tedesca nel NATO.

Dalle sue informazioni, la trasformazione del Patto di Bruxelles riguarderebbe semplicemente il quadro politico del problema, mentre la questione del controllo militare della Germania (limitazioni ecc.) troverebbe sede nel quadro dell’Organizzazione Atlantica attraverso un’estensione dei poteri di SHAPE o qualcosa di simile.

Il nuovo Trattato di Bruxelles dovrebbe servire da sostituto politico alla CED deceduta e sarebbe un’interessante prova di un maggiore interessamento inglese alla politica europea. Mi ha chiesto se avevamo informazioni sul viaggio del Sottosegretario Murphy e sull’atteggiamento americano nei riguardi del piano inglese. Mi ha inoltre chiesto se sulle conversazioni sul piano inglese si sia anche parlato di Trieste.

1 DGAP, Uff. IV, Versamento CED, 1950-1954, b. 24, fasc. 90.

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IL CAPO DELLA RAPPRESENTANZA PRESSO IL CONSIGLIO ATLANTICO, ALESSANDRINI, AL MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI(1)

T. s.n.d. segretissimo 11747/421-422. Parigi, 16 settembre 1954, ore 21,10 (perv. ore 21,30).

Il Consiglio si è riunito oggi sotto la presidenza di Mendès-France per udire le dichiarazioni di Eden. Era presente anche il Ministro degli Esteri norvegese Lange.

Eden ha esordito dicendo che il suo viaggio a Bruxelles, a Bonn, a Roma e a Parigi è stato intrapreso al fine di giungere all’unione delle forze libere europee. La sua esplorazione dovrebbe servire di base alla nota riunione dei nove Paesi maggiormente interessati che sarebbe preparatoria alla successiva riunione del Consiglio della NATO a livello Ministri. L’oggetto della sua esplorazione e delle successive due Conferenze puessere, secondo Eden, riassunto in tre punti:

- - -

Durante la sua esposizione Eden ha avuto parole particolarmente calde (ancor piche per la Germania) verso il nostro paese quando ha parlato della nostra eventuale inclusione nel Patto di Bruxelles.

Mendès-France ha ringraziato Eden con brevi parole. È stato da tutti osservato come egli si sia astenuto dal commentare, ed anche dal porre in rilievo le parole ed i progetti del Ministro degli Esteri inglese.

Il Rappresentante del Canadà ha, alla fine, fatto a Eden un’importante domanda: «l’ammissione della Germania e dell’Italia al Patto di Bruxelles ritarderà l’entrata della Germania nella NATO?» Eden ha risposto che, nel pensiero del governo inglese, le due iniziative dovrebbero essere contemporanee.

1 Gabinetto, 1953-1961, b. 23, fasc. 1.

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IL CAPO DELLA RAPPRESENTANZA PRESSO IL CONSIGLIO ATLANTICO, ALESSANDRINI, AL MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI(1)

T. s.n.d. segretissimo urgentissimo 11752/423. Parigi, 16 settembre 1954, ore 23,20 (perv. ore 23,30).

Ho incontrato nuovamente Eden stamane ad una colazione all’Ambasciata di Gran Bretagna alla quale erano invitati i Rappresentanti dell’America del Canadà del Belgio e dell’Olanda, nonché il nuovo Segretario di Stato francese agli Esteri De Moustier e l’ambasciatore De Margerie. Eden mi ha incaricato di far pervenire personalmente a V.E. l’espressione della sua gratitudine per l’accoglienza fattagli a Roma e per la collaborazione «most helpful and most constructive» datagli da V.E. e dal Governo italiano al fine di risolvere la presente situazione. Ho chiesto ad Eden se poteva darmi qualche indicazione sulle reazioni francesi alle idee e alle proposte che egli recava a Parigi dopo gli incontri di Bruxelles, Bonn e Roma. Mi ha risposto che stava facendo presso i francesi il massimo sforzo possibile per indurli a rendersi conto della realtà. Ho detto ad Eden che solo la Gran Bretagna, in questo momento cruciale, puavere l’autorità di indurre i francesi a non precipitare la situazione europea verso gravi incognite. Ha convenuto aggiungendo che ad ogni sua domanda e ad ogni sua pressione Mendès-France risponde traducendo il problema in termini parlamentari e di politica interna francese. Ha tuttavia espresso la speranza di riuscire a portare in qualche modo Mendès-France sul piano della responsabilità occidentale. Rumbold, con il quale ho anche avuto una lunga conversazione, mi ha detto che lo sforzo francese tende, come si prevedeva, a dissociare l’allargamento del patto di Bruxelles dall’accessione della Germania alla Nato che essi tendono rinviare sine die. Anche per l’allargamento del patto di Bruxelles Mendès-France ha tuttavia chiesto «quali sarebbero i benefici che la Francia ne trarrebbe». Gli inglesi appaiono preoccupati, anche dell’irrigidimento americano testimoniato dall’esclusione di Parigi dal viaggio di Dulles, ed hanno assicurato che faranno ogni sforzo per giungere, dopo l’inchiesta di Eden, non solo alla convocazione della Conferenza a nove ma anche alla riunione della NATO a livello ministeriale. Segnalo a V.E. il particolare calore dimostrato nei nostri riguardi dagli inglesi che hanno anche con me sottolineato l’importanza del viaggio di Eden, e la personale sua soddisfazione ai fini della ripresa amichevole dei rapporti italo-britannici.

1 DGAP, Uff. IV, Versamento CED, 1950-1954, b. 24, fasc. 89.

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COLLOQUIO DEL MINISTRO DEGLI AFFARI ESTERI, PICCIONI, CON L’AMBASCIATRICE DEGLI STATI UNITI D’AMERICA A ROMA, BOOTHE LUCE (Roma, 16 settembre 1954, ore 11,30)1

Appunto segreto(2).

L’Ambasciatore inizia il colloquio esponendo per sommi capi le vedute del Governo americano sul problema dell’inserimento tedesco nella difesa occidentale dopo il fallimento della CED.

Gli Stati Uniti ritengono assolutamente necessaria l’ammissione della Germania nel NATO, considerano indispensabile che si restituisca alla Germania la completa sovranità (ormai l’applicazione degli accordi contrattuali firmati a suo tempo non sarebbe pisufficiente), ritengono che si possano ammettere limitazioni nei confronti della Germania soltanto se questa sia volontariamente disposta ad accettarle. Su tutto cinon vi sono divergenze con il punto di vista britannico. Dove vi è per almeno sinora, una qualche divergenza con le idee di Eden è sulla questione della supernazionalità; e cioè, da parte americana si considera desiderabile che si abbia, in un organismo del quale facciano parte la Germania e la Francia, una fusione di importanti funzioni di Governo («the merging of important Government functions»); e ci si domanda se non si possano apportare al Patto di Bruxelles delle modifiche in tal senso. Quanto alla progettata conferenza delle 9 Potenze a Londra, gli Stati Uniti la considerano assai utile come riunione a carattere preliminare, nell’intesa perche si abbia successivamente – non oltre il 15 ottobre – una riunione del Consiglio Atlantico al livello Ministri.

La Signora Luce accenna poi brevemente alla questione di Trieste, dicendo che in questo momento ella non ne sa pidi noi a tale riguardo. Oggi Murphy dovrebbe recarsi a Brioni ed entro la fine della settimana dovrebbe giungere a Roma: speriamo che il suo passo abbia l’effetto desiderato, tanto piche Washington considera che tale passo costituisca «l’estremo limite di azione a cui gli Stati Uniti possano giungere avendo anche gli inglesi dietro di sé».

L’Ambasciatore passa poi ad illustrare le conseguenze che avrà per l’Italia, in virtdell’emendamento Richards, la mancata ratifica della CED da parte nostra. Già stamane la Signora Luce ha dovuto annunziare ai dirigenti della BPD che non soltanto non potranno avere ulteriori ordinazioni, salvo qualcuna ancora reperibile sugli stanziamenti 1953 ma forse si dovranno addirittura annullare precedenti commesse in quanto riguardano materiale che non potrebbe poi esserci consegnato.

Per quanto concerne le commesse off-shore del mezzo miliardo di dollari disponibili per l’Europa si era pensato di assegnare 150 milioni all’Italia per il 1954 e 55. Tale assegnazione diviene ora impossibile.

Nel campo militare poi, la mancata ratifica comporta per noi la perdita, per il 1954 e 55 di end-items per un valore complessivo di 375 milioni di dollari.

Nel settore politico, infine, dato che le commesse venivano affidate da parte americana ad imprese dove fossero ben affermati i sindacati liberi, la cessazione delle commesse sarà sentita sopratutto da tali sindacati, a tutto beneficio dei comunisti e della CGIL.

Perché si possa giungere ad una modifica dell’emendamento Richards le indicazioni di Washington in possesso dell’Ambasciata denotano chiaramente che occorre da parte dell’Italia un’azione, un’azione concreta, («an action, a real action») nei riguardi dell’Occidente in generale e degli Stati Uniti in particolare. Non sta all’Ambasciatore né al Governo americano di indicare quale debba essere tale azione, ma certamente essa deve vertere sul campo militare (eventuali accordi bilaterali di reciproca collaborazione) o su quello politico (azione concreta per ridurre effettivamente il peso della minaccia comunista in Italia).

Il Congresso si riunirà prima del prossimo gennaio e quindi un’eventuale modifica dell’emendamento Richards non potrà aversi prima del marzo o aprile 1955. Se si vuole che il Presidente Eisenhower ed il Dipartimento di Stato, senza attendere la sessione parlamentare, adottino nel frattempo misure concrete a nostro favore in contrasto con la legge, occorre che l’Italia abbia svolto un’azione tale da poter giustificare domani il Presidente ed il Dipartimento nei riguardi del Congresso.

L’Ambasciatore conclude esprimendo il proprio rammarico di dover dare al Ministro notizie così poco incoraggianti.

Il Ministro risponde punto per punto alle osservazioni della Signora Luce.

Per quanto riguarda il settore internazionale, ed in particolare l’inserimento della Germania nella difesa occidentale, egli rileva che non vi è alcun contrasto fra l’atteggiamento del Governo italiano e le vedute del Governo americano quali espostegli dall’Ambasciatore. Dopo il fallimento della CED, ed anche prima, ci siamo dichiarati favorevoli al riarmo tedesco e alla ammissione della Germania nel NATO. Su cisi è poi inserita la proposta inglese relativa al Patto di Bruxelles, e l’abbiamo vista con favore (anzi ci avevamo già pensato anche in precedenza) sembrandoci la solidarietà politica europea meglio potesse attuarsi nel quadro di quel Patto; mentre il collegamento di esso con il NATO avrebbe costituito l’aspetto militare di tale solidarietà. Anche il carattere supernazionale auspicato dagli americani, e del quale noi fummo sempre tenaci assertori, sembrerebbe pipossibile in una associazione europea che non in quella atlantica. Anche per quanto riguarda le limitazioni, siamo sempre stati d’avviso che fossero ammissibili solo quelle che i tedeschi stessi ritenessero accettabili ed opportune. Alla proposta inglese per la conferenza di Londra abbiamo dato la nostra adesione di massima considerandola una iniziativa concreta e pratica, dopo lo sciagurato fallimento della CED per preparare una conclusiva riunione del Consiglio Atlantico. Noi pure siamo perfettamente d’accordo che occorre far presto e che di tempo se ne è perso, ahimé, anche troppo.

Su Trieste, prosegue il Ministro, ho parlato ripetutamente e a lungo a Lei e all’Incaricato d’Affari e non voglio pertanto affliggerla nuovamente oggi. Speriamo molto che il passo di Murphy presso gli jugoslavi abbia l’effetto auspicato. In caso negativo si aggiungerebbe crisi a crisi, mentre è proprio necessario uscire da questo grave ostacolo costituito dalla questione triestina.

Circa le conseguenze politico-economico-militari della mancata ratifica della CED, esposte dall’Ambasciatore, il Ministro ed il Governo ne erano già al corrente. Il Ministro desidera peraggiungere che egli confida che i dirigenti americani, per parte loro, si rendano conto delle nostre difficili condizioni e comprendano come – aggravandole ancora col tagliarci gli aiuti – finirebbero ad aiutare i comunisti. Egli rivolge pertanto un caldo appello all’Ambasciatore affinché degli stanziamenti previsti sia salvaguardata per l’Italia la massima parte possibile.

Avendo l’Ambasciatore accennato che cinon puavvenire a causa dell’emendamento Richards, il Ministro precisa che da parte nostra studieremo con ogni cura il modo in cui l’Italia potrà cooperare con le autorità americane per superare l’ostacolo costituito dalla legge. Il proposito del Governo italiano in tal senso è quanto mai fermo.

Egli riferirà al Presidente del Consiglio ed al Governo quanto l’Ambasciatore gli ha esposto, allo scopo di effettuare congiuntamente il massimo sforzo per superare le difficoltà determinate dalla legge americana.

Il Ministro Piccioni aggiunge poi che spera che da parte americana ci si sia chiaramente resi conto che la CED non è certo fallita per colpa nostra. La Commissione parlamentare aveva già dato il suo voto favorevole e gli americani sanno benissimo che eravamo riusciti ad assicurarci la maggioranza in Parlamento a tale effetto. Ciè stato ripetutamente e ampiamente riconosciuto da tutti, anche a Bruxelles, e non sarebbe equo né giusto se da parte americana ci si volesse considerare – per quanto riguarda la CED – sullo stesso piede della Francia L’Ambasciatore risponde che purtroppo, per in taluni ambienti di Washington si giudica che l’Italia si è dimostrata meno «cooperative» della Francia: e ciin quanto, a differenza di noi, la Francia ha concluso l’accordo per le «facilities» ed ha mandato avanti quelli relativi allo «status» delle forze NATO. Il Ministro replica che, come è noto all’Ambasciatore, ciè dovuto in parte a vicende parlamentari italiane, ma sopratutto «al disgraziatissimo caso di Trieste». Egli puassicurare l’Ambasciatore che il Governo italiano continuerà a considerare tali questioni con grande serietà.

Poi, premettendo che ciche egli dirà costituisce uno sfogo personale, il Ministro ritorna sulla questione di Trieste parlandone con molta energia. Visto come si sono messe le cose, egli afferma, sarebbe stato assai meglio se in giugno noi avessimo respinto le proposte, o se addirittura non fossero nemmeno stati iniziati questi disgraziati sondaggi. Da parte inglese e americana ci si continua a dire che non dobbiamo impuntarci, che dobbiamo accettare. Ma possibile che non sappiano rendersi conto che non si tratta di un puntiglio bensì di una questione molto pigrave: e cioè che, se gli jugoslavi non cedono sulla loro pretesa territoriale e noi concludiamo l’accordo, avremo la crisi il giorno che lo presentiamo in Parlamento? Cosa accadrebbe se si avesse in Italia una crisi di Governo per la questione di Trieste? L’esempio di Mendès-France è significativo e dovrebbe indurre gli Alleati a pensare: si è voluto forzarlo a presentare il trattato della CED in Parlamento; ed il risultato è stato che purtroppo la CED ora è morta e sepolta. Non si puescludere che la sua bocciatura abbia corrisposto ai desideri del Premier francese ma comunque non vi è dubbio che ciè quanto succede quando si vuol forzare un Governo ad agire in un senso che il Parlamento non è disposto ad accettare. Ripetendo di aver parlato in proposito a titolo affatto personale, il Ministro conclude formulando un caldo augurio che la missione Murphy abbia il successo desiderato.

L’Ambasciatore risponde di desiderarlo, per parte sua, non meno di quanto lo auspichiamo noi. Altrimenti, indipendentemente da chi ne possa avere la responsabilità, il fallimento di Trieste e quello della CED ed eventuali sue alternative determinerebbero inevitabilmente l’allontanamento degli Stati Uniti dall’Europa. Citanto piin quanto, a torto o a ragione, va sempre pidiffondendosi nell’opinione pubblica americana l’idea che gli Stati Uniti possano benissimo difendersi senza l’Europa e poggiano sempre pisull’Asia.

A conclusione del colloquio sia il Ministro che l’Ambasciatore formulano il fermo proposito di raddoppiare gli sforzi – in questa difficile e delicata situazione – per incrementare ed approfondire la collaborazione fra Italia e Stati Uniti.

1 Gabinetto, 1953-1961, b. 23, fasc. 1.

2 Trasmesso con appunto segreto n. 1/2939, pari data, (DGAP, Uff. IV, Versamento CED, 19501954, b. 24, fasc. 90) da Milesi Ferretti a Zoppi, Del Balzo e Magistrati.

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LA DIREZIONE GENERALE DELLA COOPERAZIONE INTERNAZIONALE, UFFICIO I(1)

Appunto(2). Roma, 16 settembre 1954.

Appunto sul progetto britannico di estensione all’Italia e alla Germania del Patto di Bruxelles.

La visita del Sig. Eden ha chiarito nei suoi principali aspetti le linee del piano britannico. Esse si possono riassumere come segue:

1) Restaurazione della sovranità tedesca;

2) Estensione del Patto di Bruxelles, opportunamente rammodernato in alcune sue clausole, all’Italia e alla Germania;

3) Inserimento della Germania nel NATO con opportune limitazioni e controlli sull’entità del riarmo tedesco e sulla produzione.

Circa il secondo punto occorre rilevare anzitutto che nessuna indicazione in merito ci era pervenuta fino alla visita del Signor Eden a Roma, se si faccia eccezione per la comunicazione pervenutaci dall’Ambasciata in Bruxelles immediatamente dopo i colloqui del Ministro inglese con i Rappresentanti del Benelux e per qualche indiscrezione di stampa dalla stessa Capitale e da Bonn il giorno della visita del Ministro inglese. Occorre perrilevare che il primo accenno ad un simile progetto si ebbe nel colloquio fra il Sottosegretario francese de Moustier e l’Ambasciatore Quaroni di cui al telegramma del 10 corrente(3).

È quindi lecito domandarsi se il sondaggio fatto a titolo confidenziale dal Sottosegretario francese fosse il metodo scelto dal Quai d’Orsay per farci conoscere, con un brevissimo anticipo sulla comunicazione ufficiale che ci avrebbe fatto Eden, quale fosse la sostanza del progetto inglese. Si è qui nel campo delle supposizioni perché nessun elemento concreto ci consente di affermare che Londra e Parigi abbiano discusso detto piano prima dell’arrivo di Eden nella Capitale francese che, come noto, è l’ultima tappa del suo viaggio sul continente.

Eden è giunto a Roma preceduto dalle informazioni stampa che marcavano il favore con cui il Benelux e Bonn avevano accolto le sue proposte. Nei colloqui di Villa Madama egli ha tenuto a dare l’impressione che il suo progetto fosse stato accettato senza alcuna riserva sia a Bruxelles che a Bonn. Le informazioni pervenuteci da quelle nostre Ambasciate in verità hanno riportato analoga impressione.

La presentazione fattaci a Villa Madama del progetto ha tenuto a sottolinearne l’aspetto politico. In un certo senso la proposta di allargare il Patto di Bruxelles all’Italia e alla Germania risponderebbe alla necessità di riempire il vuoto politico creatosi in Europa con la caduta della CED, con una alleanza con clausole di assistenza automatica fra i Sei della CED e la Gran Bretagna.

Il carattere del Patto di Bruxelles dovrebbe rispondere inoltre ai desideri manifestati dal Benelux, dalla Germania e dall’Italia di riprendere, anche se su nuove basi e con nuove forme, la politica europeistica.

Rispetto alla CED tale patto presenterebbe il vantaggio di una pistretta partecipazione britannica a tale politica ed anzi potrebbe in qualche modo apparire come il primo passo di un vero e picompleto avvicinamento della Gran Bretagna alla politica del continente.

Se tuttavia passiamo ad esaminare pida vicino la proposta inglese occorre rilevare quanto segue:

Non si tratta di una nuova garanzia inglese se non nei riguardi della Germania e dell’Italia, infatti nei riguardi della Francia essa è già in vigore (Patto di Dunquerque) come pure nei riguardi del Benelux (Patto di Bruxelles).

Difficilmente si puconsiderare tale patto allargato come un sostituto della CED, in primo luogo perché la CED era un patto a carattere militare e quello dovrebbe diventare soltanto un patto politico ed in secondo luogo perché il trattato di Bruxelles, assorbito dal NATO nei suoi aspetti militari, non ha finora dato prova di particolare vitalità negli altri campi in cui si prevedeva una politica comune: cioè nei settori economico, sociale, ecc.

Non è chiaro pertanto come tale organismo rivitalizzato possa sostituire efficacemente lo spirito europeistico già contenuto nel fallito sistema della CED.

Solo un nuovo impulso sinceramente europeistico da parte della Gran Bretagna potrebbe dare vita in tale senso al Patto di Bruxelles, ove si consideri il fatto che quattro sui cinque partecipanti al trattato di Bruxelles dovettero scegliere con l’Italia un nuovo terreno per tentare il loro esperimento comunitario.

Per poter quindi apprezzare obiettivamente l’utilità di servirsi dello strumento del Patto di Bruxelles per dare inizio ad una qualsiasi ripresa della politica europeistica occorre domandarsi se nel progetto inglese il rammodernamento del trattato riguarderebbe soltanto un adattamento formale delle sue stipulazioni (con l’ovvia abolizione delle clausole antitedesche) ovvero se esso dovrebbe trasformarsi radicalmente in un nuovo sistema capace di fornire un vero impulso politico sulla via delle realizzazioni di una maggiore e pistretta unità continentale.

È infatti da tener presente che se l’aspetto militare dell’alleanza di Bruxelles è praticamente venuto ad amalgamarsi nel quadro della maggiore alleanza militare dell’Occidente: cioè quello del NATO, nel suo aspetto per così dire politico, il trattato di Bruxelles è stato il germe che ha dato la spinta alla costituzione del primo organismo consultivo europeo: il Consiglio d’Europa.

È infatti da ricordare che il 26 ottobre 1948 i cinque del trattato di Bruxelles decisero di costituire un «Comitato permanente» per lo studio e lo sviluppo della federazione europea e che il 28 gennaio 1949 il Consiglio dei Ministri dell’Unione Occidentale si proclamin favore della creazione del Consiglio d’Europa, il cui atto costitutivo fu firmato a Londra il 5 maggio 1949.

È quindi su quella strada che, con tutte le limitazioni imposte sopratutto dai voleri di Londra, si sono avuti degli sviluppi di qualche interesse per l’Europa, ma che tuttavia non hanno consentito di percorrere un cammino che in settori di importanza finora assai limitata rispetto ai problemi che tuttora angustiano l’Occidente.

La proposta inglese di ridare vita al trattato dell’Unione occidentale, per quanto riguarda l’interesse italiano va valutata, oltre che alla luce delle precedenti osservazioni, anche alla luce dei nuovi impegni che comporterebbe una nostra accettazione e in primissimo luogo per ciche riguarda il carattere di automaticità dell’assistenza da prestarsi in caso di aggressione.

Tale clausola come è noto non è contenuta nelle stipulazioni del Patto Atlantico. Essa costituirebbe quindi anche per l’Italia una garanzia supplementare rispetto a quelle forniteci dal NATO, ma ovviamente contiene un «aumento del rischio» automatico che si estende ad una considerevole area geografica dell’Europa. In altre parole se, ad esempio, essa ci garantisce automaticamente contro un ipotetico colpo di mano della Jugoslavia contro la nostra frontiera orientale di oggi o di domani, ci impegna reciprocamente ed automaticamente a dare assistenza militare alla Germania nell’ipotesi ad esempio di un tentativo di «unificazione» che il Governo della Germania Orientale, ad esempio, decidesse di compiere nei riguardi della Germania di Bonn.

Tale è il preciso significato dell’articolo IV del Trattato di Bruxelles. È quindi piche comprensibile l’interesse del Governo di Bonn nell’assicurarsi una garanzia di tale importanza.

Occorre tuttavia domandarsi se tale interesse sia egualmente sentito a Parigi e nelle capitali del Benelux, anche se l’ammissione della Germania nel nuovo Patto di Bruxelles sarebbe accompagnata – come previsto dal piano inglese – dal solenne impegno di Bonn di non ricorrere alla forza per risolvere il problema dell’unificazione.

Mentre fra non molto sarà probabilmente dato di conoscere le grandi linee delle reazioni francesi alle proposte inglesi ed eventualmente i primi elementi del piano francese, ove esso esista, occorre inoltre non perdere di vista la posizione americana.

Essa è stata finora caratterizzata da una battuta di attesa che non ha nascosto qualche impazienza nei riguardi delle ripetute iniziative inglesi. Senza sconfessare infatti l’azione di Londra, il Governo di Washington si è ben guardato dall’appoggiarla minimamente presso le capitali europee, mal nascondendo le proprie preferenze per la pisemplice soluzione dell’ammissione al NATO. Anzi pirecentemente il Rappresentante degli Stati Uniti in Roma si è fatto esplicitamente eco delle «perplessità» di Washington per il piano inglese e si è verificata l’improvvisa decisione di Dulles di recarsi a Bonn e a Londra.

In conclusione mentre appare fin d’ora opportuno esaminare in tutti i suoi aspetti il problema dell’eventuale allargamento del Patto di Bruxelles su cui abbiamo dato al Signor Eden il nostro assenso di massima ed è necessario approfondire per quanto possibile con opportuni contatti – e anche con le altre capitali interessate – un piesatto profilo del nuovo trattato cui ci viene proposto di partecipare, è opportuno continuare lo studio dell’ipotesi che si debba ricercare la soluzione del problema nell’ammissione della Germania nel NATO, senza la necessità di un’estensione del Patto di Bruxelles, in edizione riveduta e corretta all’Italia e alla Germania.

1 DGAP, Uff. IV, Versamento CED, 1950-1954, b. 24, fasc. 90.

2 L’appunto reca la seguente annotazione con la sigla di Magistrati: «teniamo presenti queste considerazioni».

3 Vedi D. 47.

77

IL DIRETTORE GENERALE AGGIUNTO DEGLI AFFARI POLITICI, STRANEO, [AL MINISTRO DEGLI AFFARI ESTERI, PICCIONI]1

Appunto(2). Roma, 16 settembre 1954.

A complemento dell’appunto del Direttore Generale della Cooperazione Internazionale n. 20/2329 in data di ieri3, relativamente alla solenne dichiarazione o alla votazione di un Ordine del Giorno in seno al Parlamento italiano diretto a ribadire in linea generale i concetti basilari di integrazione europea che erano alla base della CED, si informa che il Sottosegretario di Stato On. Badini Confalonieri pensa di potere interessare l’On. Malagodi a farsi promotore, in sede di bilancio degli Esteri, di un’azione in tal senso richiedendo la firma concordata di esponenti di partiti governativi; egli ritiene che anche i monarchici probabilmente e in parte aderirebbero.

1 DGAP, Uff. IV, Versamento CED, 1950-1954, b. 24, fasc. 90.

2 L’appunto, con sottoscrizione autografa, reca la seguente annotazione: «a chi?». Era indirizzato per conoscenza anche a Magistrati.

3 Vedi D. 70.

78

L’AMBASCIATORE A BONN, BABUSCIO RIZZO, AL MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI(1)

T. s.n.d. 11819/138-139. Bonn, 17 settembre 1954, ore 22,302 (perv. ore 7,30 del 18).

Dulles nella sua permanenza qui ha non solo discusso con Adenauer tutti i lati del problema di associazione della Germania alla difesa ma proceduto con lui a fissare i principi base dei problemi attinenti la sovranità, l’assistenza automatica, le limitazioni degli armamenti, la permanenza delle truppe ecc. su cui riferisco per corriere. Dulles, mi ha detto Blankenhorn, ha fatto ad Adenauer un quadro piuttosto oscuro della situazione psicologica americana e detto che il Congresso il quale era ormai assuefatto alla concezione supranazionale dell’integrazione europea era stato urtato dal voto negativo dell’Assemblea Nazionale Francese pidi quanto non si creda e si pensi in Europa. Ha aggiunto quindi che occorreva fare di tutto per sviluppare ogni possibilità ancora aperta in questa direzione. Dulles si è mostrato freddo sul progetto di estensione del patto di Bruxelles e scettico sulla utilità di seguire questa via per arrivare all’ammissione nel NATO. Ha espresso anche il timore che il progetto britannico possa prestarsi ad una contrattazione con francesi contro rinunzia alla associazione Repubblica Federale Organizzazione Atlantica. Questa eventualità è stata considerata inaccettabile tanto da Dulles che da Adenauer. Nelle sue critiche al progetto britannico Dulles ha anche mostrato temere che esso sottointenda un definitivo abbandono di ogni piano di integrazione europea. Adenauer da parte sua ha tenuto a sottolineare che condivideva pienamente il pensiero di Dulles su necessità unire sforzi verso Europa unita e che egli stesso considerava ogni soluzione del momento solo come fase intermedia verso il fine ultimo dell’integrazione europea, mostrandosi anche d’accordo sulla necessità che tutto quanto potesse venire elaborato ora non debba chiudere la via, anzi possibilmente adattarsi, ai principii di integrazione europea. Sulla procedura da seguire nei prossimi giorni gli inglesi e gli americani non appaiono concordi. Gli inglesi sembrano ancora di tenere alla progettata conferenza a nove: Dulles invece e lo stesso Adenauer vi sono è vero favorevoli in linea di principio ma insistono sulla necessità di una adeguata preparazione diplomatica. Il progetto della conferenza per mercoledì è ormai sfumato; mi è stato parlato ora del giorno 27 corrente, ma non escludo con la speranza che essa non abbia luogo. Vi sarebbe infatti mi ha detto Blankenhorn maggior tempo per sondaggi diplomatici prima del Consiglio NATO che nel pensiero di Dulles potrebbe essere convocato all’inizio di ottobre. Viene qui mantenuto estremo riserbo sugli sviluppi della situazione nel caso di un mancato accordo con la Francia e credo sia meglio riferirsi per cia quanto Eden ha detto a Roma. La tendenza mi è apparsa quella di non precipitare le cose; ma insieme a ciBlankenhorn mi ha fatto parte della determinazione tanto di Dulles che di Adenauer, nel caso si arrivi ad un accordo per l’ammissione della Germania al NATO, di non attendere il perfezionamento giuridico e parlamentare di tutti i problemi a ciconnessi e in particolare la ratifica dei 14 Parlamenti, per adottare misure preparatorie al contributo tedesco alla difesa che dovrebbero essere prese senza indugio. Per misure preparatorie immagino si intenda dare inizio, con aiuto angloamericano, alle infrastrutture, agli impianti e alla composizione dei quadri con elementi volontari.

1 DGAP, Uff. IV, Versamento CED, 1950-1954, b. 24, fasc. 90.

2 La data è con ogni probabilità il 17 e non il 18 settembre, riportato nel documento, come si evince dal numero di protocollo generale.

79

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI AFFARI ESTERI, BADINI CONFALONIERI, AL MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI(1)

T. s.n.d. 11822/762. Strasburgo, 17 settembre 1954, ore 18,20 (perv. ore 7,30 del 18).

Stamane ho incontrato Nutting di ritorno dai colloqui di Parigi il quale mi ha confermato nell’impressione riportata leggendo il comunicato stampa, che le cose sono andate piuttosto male. Infatti, alla nota impostazione britannica, Mendès-France ha opposto un suo progetto che consisterebbe nell’includere fin d’ora la Germania nel Patto di Bruxelles per un periodo di «quarantena» di due o tre anni dopo il quale, e sempreché essa avesse serbato «buona condotta», ammetterla al NATO a parità di diritti. Secondo Nutting il punto di vista francese appare inaccettabile e suscettibile, se mantenuto inalterato, di provocare il fallimento della progettata Conferenza di Londra. Cinon pertanto i britannici ritengono che, data l’aspettazione dell’opinione pubblica Occidentale, una rinuncia alla Conferenza allo stato attuale dei negoziati, provocherebbe una impressione estremamente penosa e metterebbe in evidenza la posizione del Governo francese. Essi sono quindi d’avviso di tenere malgrado tutto la Conferenza alla data prevista, nella speranza di poter attraverso la medesima influire sul Governo francese, ed in caso contrario, attutire l’impressione che l’insuccesso provocherebbe sull’opinione pubblica.

1 DGAP, Uff. IV, Versamento CED, 1950-1954, b. 24, fasc. 89. 2 Trasmesso tramite il Consolato Generale a Strasburgo.

80

L’AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI, AL MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI(1)

T. s.n.d. 11865/864-865-866-8672. Parigi, 18 settembre 1954, ore 23 (perv. stessa ora).

Parodi mi ha chiamato per darmi visione del progetto(3) (e del telegramma di istruzioni che lo accompagna) che codesta Ambasciata di Francia ha presentato a V.E. stasera.

Mi ha spiegato che trattasi testo redatto personalmente da Mendès-France dopo la conversazione avuta con Eden: trattasi di punti tutti che sono stati trovati accettabili da Eden personalmente, cioè con riserva opinione del Governo britannico: meno convinti sembravano i Funzionari che accompagnavano Eden. Ha perripetuto che esso deve essere considerato un abbozzo del progetto francese. Da parte francese non si è potuta accettare la proposta di Eden di incaricare esclusivamente la NATO *quella parte*4 militare (controllo e limitazioni) *della* nuova formula: NATO cerca spingere al massimo il contributo militare dei singoli Paesi, organismo Patto Bruxelles dovrebbe invece porre limiti. Ciè necessario perché le risorse della Germania sono superiori alle risorse della Francia e Italia. Allora quello che per la Francia costituisce uno sforzo massimo non sarebbe invece tale per la Germania.

Parlandomi molto confidenzialmente Parodi mi ha detto:

1) il Presidente del Consiglio si rende perfettamente conto di quanto la situazione internazionale sia grave e della necessità di provvedere al pipresto a colmare il vuoto provocato dal fallimento della CED. D’altra parte è preoccupato della situazione parlamentare e non vuole imitare i suoi predecessori nel fare proposte che non siano poi accettate dal Parlamento.

2) il Presidente del Consiglio è attristato e offeso da questa prevenzione *di* duplicità che regna intorno a lui nel campo internazionale e che rende pidifficile qualsiasi discussione e soluzione.

Ho chiesto a Parodi se riteneva che le proposte attuali avrebbero la maggioranza al parlamento francese: mi ha detto che, a sua impressione, se appoggiate da tutta l’autorità di Mendès-France potevano passare; per mio conto sono stato pidubitativo.

Circa «calendario» le idee di Mendès-France sarebbero le seguenti:

A. 27 settembre riunione Ministri Londra: Ministri potrebbero lavorare per quattro o cinque giorni e mettere a punto le direttive generali;

B. queste direttive dovrebbero essere elaborate dal Comitato degli esperti; possibilmente antichi esperti CED, per precisarle. Il Governo francese ritiene si dovrebbe evitare l’errore commesso in occasione CED di voler tutto precisare: meglio formule brevi, semplici e suscettibili di sviluppi. La riunione degli esperti dovrebbe durare due, al massimo tre settimane;

C. I lavori dei ministri e degli esperti dovrebbero essere posti all’esame e all’approvazione della NATO in riunione da prevedere per la fine di ottobre;

D. La presentazione degli accordi al Parlamento francese in novembre (con rapporto in pari data spiego le ragioni speciali novembre)5 che permetterebbe avere entro dicembre nuova organizzazione a punto, Germania nella NATO e l’inizio del processo di riarmo.

A mia richiesta Parodi mi ha detto che Eden non ha insistito per il riconoscimento della sovranità della Germania indipendentemente o con precedenza suo ingresso NATO e Patto Bruxelles.

Ho chiesto a Parodi se, nel pensiero del Presidente del Consiglio, questo calendario avrebbe potuto essere modificato in caso offerte russe conversazioni. Mi ha detto di averlo chiesto lui stesso al Presidente e che la sua risposta è «in caso simile farquello che farà l’Inghilterra».

Ho naturalmente detto a Parodi che per quello che concerneva il Governo italiano non c’era nessuna prevenzione contro Mendès-France: per noi quello che contava erano solo i fatti.

Circa l’insieme delle proposte francesi potevo pertanto dirgli che le linee generali mi sembravano corrispondere a quanto era stato detto a Roma fra Eden e Vostra Eccellenza, per quello che concerneva precisazioni di dettagli non avevo elementi per pronunciarmi. Potevo solo assicurarlo che, da parte nostra, bene consci della gravità della situazione di difficoltà della Francia si sarebbe fatto tutto il possibile per facilitare.

Se ho ben capito le idee francesi, l’insieme delle proposte dovrebbe costituire una specie di documento per lavori della conferenza di Londra. Sempre secondo i francesi Foster Dulles sarebbe stato abbastanza soddisfatto dei risultati dei colloqui di Parigi.

Per quello che concerne fondo questione e nostro atteggiamento mi permetto di osservare:

1) dubito che proposte quali sono state fatte siano accettabili dal Parlamento francese: certo per per quello che riguarda i controlli e le limitazioni alla Germania, esse costituiscono il minimo assoluto che esso possa accettare.

Quindi, respingerle o attenuarle sostanzialmente significa voler essere sicuri che il Parlamento francese le respingerà. D’altra parte unica forma rompere equivoco Mendès-France e Parlamento francese è appunto prenderli in parola: è allora solo che malafede, se ci è, sarà manifestata e sarà pifacile procedere verso fatti compiuti;

2) le limitazioni evidentemente colpiscono anche noi: soprattutto nel senso che noi, non avendo impero coloniale, non avremmo esercito non controllato come Francia e Inghilterra. D’altra parte limitazione è teorica: difficilmente per noi si andrà al di sotto del limite attuale NATO.

Questo limite NATO è già al di là delle risorse che noi possiamo o vogliamo dedicare all’armamento.

Permettomi quindi esprimere avviso che non ci conviene fare noi difficoltà. Purtroppo non mancheranno quelli che le faranno, soprattutto perseguendo l’illusione che sia possibile il ritorno alla vecchia CED: cerchiamo quindi di non complicare la situazione già grave e delicata con velleità non attuabili: e seguiamo al possibile gli inglesi. Mi sembra comunque utile conoscere al pipresto le prime reazioni del Governo italiano.

1 DGAP, Uff. IV, Versamento CED, 1950-1954, b. 24, fasc. 90

2 Ritrasmesso con T. 8867-8868-8869-8870/c. del 19 settembre 1954 alle Ambasciate a Bonn, Bruxelles, L’Aja, Londra, Washington e alla Rappresentanza presso il Consiglio Atlantico a Parigi.

3 Vedi D. 82.

4 Tra asterischi le aggiunte manoscritte.

5 Vedi D. 86.

81

COLLOQUIO DEL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, SCELBA, CON L’AMBASCIATORE DI FRANCIA A ROMA, FOUQUES-DUPARC (Roma, 18 settembre 1954, ore 19,15)1

Appunto.

L’Ambasciatore Fouques Duparc si scusa di avere insistito tutto il giorno per ottenere un abboccamento col Presidente, ma dice di avere istruzioni da parte del proprio governo di presentare al Presidente del Consiglio o al Ministro degli Affari Esteri un promemoria(2) con il progetto elaborato da Mendès-France dopo la visita di Eden per inserire la Germania nella collaborazione occidentale. Il Presidente francese esporrà tale progetto all’Assemblea di Strasburgo il 20 corrente e desidera, per ragioni di cortesia e per conoscere le prime impressioni dei governi interessati, che questi ne siano a conoscenza il pipresto possibile.

L’Ambasciatore francese, prima di consegnare il documento, riassume le ragioni che hanno portato al respingimento del trattato sulla CED da parte del Parlamento francese e sottolinea che la maggioranza dell’opinione pubblica parlamentare e politica si è pronunciata contro la CED sopratutto per il suo carattere sopra nazionale e per il fatto che la Gran Bretagna vi rimaneva estranea.

Il progetto che ora egli, Fouques Duparc, porta a conoscenza del Governo italiano (contemporaneamente il progetto stesso viene comunicato anche a tutti gli altri governi interessati) si ispira appunto alla necessità di tener conto della posizione presa dalla opinione pubblica francese in modo che esso possa essere accettato dal Parlamento.

Dopo avere consegnato il documento e dopo che S.E. Scelba ne ha presa conoscenza, l’Ambasciatore francese dice di avere istruzioni di aggiungere le seguenti considerazioni verbali:

Il progetto dovrebbe essere completato da alcuni accordi e garanzie supplementari. Le disposizioni seguenti devono far parte del negoziato:

1) la Repubblica Federale dovrà prendere l’impegno di non avere altre forze al di fuori di quelle che essa metterà a disposizione del Comando Supremo NATO;

2) le forze tedesche (divisioni) entreranno in corpi di armata interalleati, in unità comuni. Accordi di dettaglio al riguardo verranno presi tra il Consiglio dei 7 ed il Consiglio Atlantico, su proposta dello Standing Group;

3) la Repubblica Federale prenderà l’impegno di non ricorrere alla forza per la soluzione dei suoi problemi territoriali. Il Consiglio dei 7 ed il Consiglio Atlantico convalideranno tale impegno;

4) i due Consigli indicheranno che la violazione da parte della Repubblica Federale degli impegni presi comporterebbe la perdita delle garanzie accordatele e del sostegno prestatole;

5) la Gran Bretagna dovrà mantenere sul continente un minimo di forze. A tal fine dovrà dare assicurazione che i suoi effettivi sul continente non saranno ridotti oltre un certo livello.

Eguale impegno dovranno assumere gli Stati Uniti.

6) Il controllo ed i poteri del Comando Supremo sulle forze saranno accresciuti in modo da subordinare lo spiegamento e l’utilizzazione delle forze del Centro Europa alla decisione di SACEUR (*Supreme Allied Commander in Europe*)3.

Il Presidente Scelba ringrazia Fouques Duparc del documento e chiede all’Ambasciatore francese di voler precisare se è implicito nel progetto francese che il governo francese sia favorevole all’ammissione della Germania nella NATO. Fouques Duparc risponde di sì, purché tale decisione avvenga contemporaneamente all’approvazione del progetto di Mendès-France.

Dichiara che si riserva di esaminare attentamente il documento e dice che vuole approfittare dell’occasione per fare presente all’Ambasciatore quanto segue:

L’accordo di Santa Margherita prevede consultazioni reciproche fra Italia e Francia per tutti i problemi di interesse comune. Ora egli, Scelba, deve far presente che da quando Mendès-France ha assunto il potere non si è per nulla curato di tenere al corrente tempestivamente l’Italia dei suoi progetti. La manifestazione pispiacevole di questo atteggiamento si è avuta in occasione della Conferenza di Bruxelles quando il governo francese ha consegnato a Palazzo Chigi il noto protocollo di variazione al trattato della CED solo pochissimi giorni prima della Conferenza stessa. Non è stato possibile quindi al Ministro degli Affari Esteri né di consultare il Governo al riguardo né di studiare a fondo il documento allo scopo di ricercare i necessari compromessi. Ciha contribuito al fallimento della Conferenza (in quanto lo stesso trattamento è stato fatto agli altri Paesi interessati).

Anche nella presente occasione – continua il Presidente Scelba – il progetto francese ci viene presentato due giorni prima che Mendès-France pronunzi il suo discorso all’Assemblea di Strasburgo. A questo punto l’Ambasciatore di Francia interrompe il Presidente per assicurare che nel suo discorso si terrà molto sulle generali e non entrerà per nulla nei dettagli del progetto.

Il Presidente Scelba prende atto di questa assicurazione e continua affermando che, data la grave situazione provocata dal respingimento della CED al parlamento francese, vi deve essere da parte di tutti gli interessati il massimo senso di responsabilità perché la situazione potrebbe peggiorare in modo drammatico. A questo proposito egli dice che si imporrebbe un po’ pidi riserbo, un po’ pidi «diplomazia segreta». Il fallimento della prossima Conferenza determinerebbe nell’opinione pubblica uno scoraggiamento con incalcolabili conseguenze.

Particolarmente delicata è la situazione per quanto riguarda la posizione dell’America la cui opinione pubblica si va sempre piirrigidendo in un senso non favorevole all’Europa occidentale. Da notizie di carattere ufficiale noi sappiamo che si va facendo strada in America l’opinione che, dati gli scarsi risultati ottenuti finora per assicurare all’Occidente la collaborazione tedesca, Washington debba abbandonare il sistema multilaterale e ricorrere ad accordi bilaterali.

Questo stato d’animo è molto diffuso sia nel Congresso sia nell’opinione pubblica. Si puforse discutere se l’America abbia bisogno dell’Europa per difendersi dalla minaccia russa, ma è certo che l’Europa non pufare senza l’America. Bisogna quindi fare tutto il possibile perché non venga a cadere l’idea della difesa collettiva occidentale nell’interesse della sicurezza americana e della sicurezza europea. *Si dichiara* convinto a questo proposito che anche il popolo francese è fermamente convinto nella sua maggioranza che la minaccia russa è piattuale che mai.

Ora ai fini dello schieramento Occidentale è stato un grave colpo il respingimento della CED da parte francese. Un secondo colpo è rappresentato nei primi giorni di questo mese, dal *rinvio* della Conferenza di Londra, che forse il Governo britannico aveva convocato con troppa precipitazione. Se anche la prossima conferenza dovesse avere un esito negativo sarebbe un terzo gravissimo colpo; e in realtà non possiamo permetterci questo lusso.

Noi ci rendiamo conto che il Governo francese si trova in difficoltà, non avendo una maggioranza qualificata, al contrario di ciche avviene per il Governo italiano che ha una maggioranza limitata ma abbastanza sicura (cosicché il trattato della CED sarebbe stato approvato in Italia con 85 voti di maggioranza e l’astensione delle destre). Ma bisogna che da parte sua la Francia comprenda la necessità di organizzare la difesa dell’Occidente e comprenda altresì a quale pericolo grave ci esporremmo se la Russia riuscisse ad inserirsi nelle nostre controversie.

Non sembra che Mendès-France possa continuare nell’atteggiamento da lui assunto al Parlamento francese in sede di discussione CED e, cioè, che egli possa presentare al Parlamento il progetto che dovesse uscire dalla Conferenza senza prenderne vigorosamente la difesa.

A questo punto l’Ambasciatore francese assicura che nel telegramma di istruzioni ricevute dal proprio Governo esplicitamente è dichiarato che Mendès-France sosterrebbe energicamente dinanzi al Parlamento un progetto che tenesse conto di quanto richiesto nel suo promemoria.

Il Presidente conclude la conversazione assicurando nuovamente che il progetto sarà studiato con attenzione e raccomandando che il Primo Ministro Francese non comunichi dettagliatamente il progetto stesso all’Assemblea di Strasburgo perché cicomprometterebbe la possibilità di un esame in sede diplomatica e in sede di conferenza di Londra.

Alla conversazione assistevano, oltre al Presidente Scelba e all’Ambasciatore francese, il Consigliere dell’Ambasciata di Francia Signor Sebilleau, e il Dr. Prato.

1 Gabinetto, 1953-1961, b. 23, fasc. 1. 2 Vedi D. 82. 3 Tra asterischi le aggiunte e correzioni manoscritte.

82

L’AMBASCIATA DI FRANCIA IN ITALIA AL MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI(1)

Promemoria(2). [Roma], 18 settembre 1954.

AIDE-MÉMOIRE

Le projet ci-dessous est fondé sur les principes suivants:

- - -

4. Application exclusive des dispositions prévues aux forces armées (effectifs et armements) mises par les pays membres à la disposition du Commandant Suprême de l’OTAN.

5. Dans ce cadre pleine participation de la Grande-Bretagne.

I. Le Traité de Bruxelles est transformé de telle sorte qu’il fournit la base d’une organisation chargée de consolider la sécurité et la paix sur le continent européen. L’Allemagne et l’Italie y adhèrent moyennant diverses modifications appropriées du texte actuellement en vigueur.

Ce texte doit être complété par d’importantes dispositions d’ordre militaire.

II. En ce qui concerne les forces armées, effectifs et armements, mises par chaque pays membre, sur le continent, à la disposition du Commandant Suprême, le Conseil prévu à l’article 7 du Traité de Bruxelles adoptera les niveaux fixés par le Conseil de l’OTAN sur propositions du Commandant Suprême.

Toutefois, ces niveaux considérés par l’OTAN comme des minima deviennent pour les membres du Traité de Bruxelles des maxima qu’ils s’engagent à ne pas dépasser.

Le respect des maxima ainsi fixés sera garanti par des contres et des inspections organisés sur l’ensemble du territoire continental couvert par l’Accord.

III. En ce qui concerne les armements, il y aura lieu de distinguer deux catégories: les armes visées à l’annexe 2 de l’article 107 du Traité de Paris (sous réserve d’une éventuelle révision de la liste); les autres armements.

La fabrication des armes de la catégorie a) sera interdite dans les zones stratégiquement exposées et qui seront délimitées sur une carte annexée à l’Accord. Le Conseil des Sept s’assurera par des inspections et des contres que la règle de non fabrication est bien respectée.

En ce qui concerne les armes de la catégorie b), leur fabrication sur le continent et leur répartition seront dirigées et contrées par le Conseil. Celui-ci sera notamment chargé:

- - -

Les pays continentaux s’engageront à ne procéder à aucune fabrication en sus des commandes qui leur auront été passées. Le Conseil pourra autoriser des fabrications pour l’exportation. Seront autorisées également les fabrications d’armement destiné à l’équipement des forces des pays membres autres que celles qui sont mises à la disposition du Commandant Suprême.

Le contre prévu pour la catégorie d’armements a) aura pour seul but de vérifier qu’une fabrication n’a pas lieu, tandis que le contre prévu pour la catégorie d’armements b) sera qualitatif et quantitatif.

Pour que le contre quantitatif que devra exercer le Conseil soit efficace, il devra également porter sur la création de nouvelles installations, industries ou usines d’armement. A cet égard des autorisations devront être délivrées par le Conseil qui prendra ses décisions en fonction de considérations stratégiques. L’espace continental couvert par l’Accord sera défini en une série de zones frappées de servitudes allant en décroissant d’est en ouest. Pour que ce système n’entraine aucune discrimination et pour qu’il soit équitable, des usines d’armement nouvelles communes pourront être crées dans les zones non exposées.

Les décisions du Conseil seront selon les cas prises à la majorité simple, à la majorité pondérée ou à l’unanimité. En matière de contre elles devront être prises à la majorité simple.

IV. Qu’il s’agisse des effectifs ou des armements, le Conseil des Sept fera appel, dans toute la mesure du possible, pour les contres et les inspections prévus ci-dessus, au concours des services de l’OTAN.

1 Gabinetto, 1953-1961, b. 23, fasc. 3.

2 Consegnato dall’Ambasciata di Francia il 18 settembre 1954, ore 20, fu trasmesso, da Plajaunitamente ad «un appunto contenente la comunicazione fatta verbalmente da detta Ambasciata relativa agli altri punti che da parte francese si desidera vengano inclusi nel negoziato» (per i quali vedi D. 89) con Telespr. segreto 21/2344 alle Ambasciate a Bonn, Bruxelles, L’Aja, Londra, Ottawa, Parigi, Washington, alle Rappresentanze presso il Consiglio Atlantico a Parigi e presso il Consiglio d’Europa a Strasburgo, alla Legazione a Lussemburgo, ed alla Direzione Generale degli Affari Politici.

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IL SOTTOSEGRETARIO AGLI AFFARI ESTERI BENVENUTI(1)

Appunto. Roma, 18 settembre 1954.

DOPO LA VISITA DI EDEN

1. L’interpretazione dilatoria che, nel precedente appunto, mi era parso di dover dare, – (con rammarico) – alle proposte britanniche, – sembra condivisa, – con compiacimento, – da certa stampa italiana di tendenze neutraliste.

Così per esempio la «Stampa» di Torino scrive in data di eri: il nuovo piano contiene un elemento positivo per coloro che hanno votato contro la CED: «non rinvia il riarmo tedesco a dopo l’ipotetico tentativo di “dialogo” (con l’Est) ma lo rende meno prossimo di quanto sarebbe l’inclusione della Germania di Adenauer nella NATO. – La tanto discussa divergenza fra le linee inglese ed americana ridotta al nocciolo è tutta qui: la prima assicura alle Cancellerie dell’occidente un margine di tempo piampio per aspettare e “vedere”».

2. Del resto lo stesso nostro Ambasciatore di Londra Brosio, nel suo interessante rapporto dell’11 settembre scorso(2) giudica che «un piano di unione o alleanza europea a sette svuotato di ogni sopranazionalismo e ridotto alla minima espressione rischierebbe di apparire soltanto come un mezzo per facilitare manovre dilatorie francesi».

E in realtà il piano esposto da Eden a Roma cosa è altro se non un’alleanza a sette con clausole ancora estremamente imprecisate?

Senza voler giudicare le intenzioni britanniche certo si è che la formula è la meno adatta per portare finalmente il nodo alla soluzione, e cioè per ottenere subito senza dilazioni che la difesa occidentale si rafforzi con un effettivo contributo germanico.

3. Non dimentichiamo che la tattica dell’aspettare e vedere è tipica della «forma mentis» britannica: in fondo si tratta di un istintivo ritegno di quel Paese insulare al momento di impegnarsi troppo a fondo.

Tale tattica nella lunga e per vero gloriosa storia di quel grande Paese puavergli creato dei vantaggi.

Ma si presenta del tutto controproducente in una fase storica nella quale occorre rapidità, tempestività ed assoluta preventiva certezza circa l’atteggiamento delle grandi Potenze occidentali, se si vogliono bloccare, prevenire e scoraggiare le mosse sovietiche.

È una tattica che già diede cattivi risultati fra le due guerre. In fondo fu il concetto dell’aspettare e vedere e non impegnarsi che indusse Eden nel febbraio 1933, in sede della Conferenza del Disarmo, a respingere il piano francese e a dichiarare che l’Inghilterra «non poteva andare al di là degli impegni di Locarno».

Fu ancora il desiderio di attendere, vedere e sperare nel compromesso che indusse Eden nel 1934, dopo il ristabilimento illegale ed unilaterale del riarmo germanico da parte di Hitler, a recarsi direttamente a Berlino per discutere un accordo col Governo nazista. Fu ancora la tattica dell’aspettare e vedere che indusse il Ministro Eden nel 1936 a non aderire alle richieste francesi di intervento a seguito dell’occupazione della Renania, ed a proclamare invece il suo intendimento di esaminare «obiettivamente» le proposte germaniche per constatare se la Germania intendesse concludere «trattati sinceri».

E frattanto di Conferenza in Conferenza, di visita in visita, di trattativa in trattativa, di comunicato in comunicato, si arrivalla conclusione fatale dell’aggressione nazista.

Per la verità Eden si dimise nel 1938 quando si accorse che la sua tattica aveva condotto la Germania ad occupare l’Austria senza colpo ferire. Ma la Gran Bretagna senza Eden, continutranquillamente nella stessa politica, la quale costla consegna delle frontiere cecoslovacche alla Germania col Trattato di Monaco, il crollo di tutte le alleanze occidentali nell’oriente europeo, ed infine l’occupazione dell’intera Cecoslovacchia alla quale pure era stata data dagli occidentali una certa garanzia.

Tutto questo in fondo non fu che zavorra che la politica britannica gettnelle fauci dei totalitari nel desiderio di placarli e sfamarli, mentre aspettava, vedeva e sperava…

E naturalmente la zavorra è sempre costituita dai paesi pideboli, che non hanno possibilità di reagire e di difendersi da soli: in sostanza il tentativo di placare i regimi totalitari con la serie di concessioni, – viene sempre appagato dagli europei pideboli in moneta di territori o addirittura di sopravvivenza: non viene mai pagato dalla Gran Bretagna con delle concessioni di territori suoi o di sue colonie.

Sono personalmente convinto che se un Governo laburista britannico si convincesse che la Russia sarebbe pronta a sottoscrivere un accordo generale, a condizione che l’Italia non fosse pigovernata dai minacciosi partiti pro-americani, ma da un pacifico Governo di fronte popolare, – non mancherebbe di promuovere una tale soluzione … non dimentichiamo le visite del signor Crossmann …

4. Cinon toglie che l’Italia debba collaborare con la Gran Bretagna: collaborare lealmente, con sincera volontà di creare rapporti fiduciosi e costruttivi.

Una politica anti-britannica sarebbe del tutto sbagliata ed oso dire ingiusta perché non v’è dubbio che all’ultima ora, gettata la zavorra, la Gran Bretagna sarà uno dei pipreziosi e validi baluardi del mondo libero.

Ma l’importante è che l’Italia non sia la zavorra che ad un certo momento si getta per placare il mostro sovietico.

Ecco perché piche mai la nostra politica deve tener fermo il concetto che il suo alleato naturale è quel paese che pratica coi fatti e paga col sangue la politica della sicurezza collettiva: ossia gli Stati Uniti d’America.

La sicurezza collettiva, ossia l’intervento militare certo ed automatico contro gli aggressori, è l’unico scudo per i popoli deboli e pacifici come il nostro, per i popoli semi-disarmati e decisi a non oberarsi di spese militari.

Teniamo inoltre presente che mentre grossi dubbi possono venire circa la politica britannica dopo le prossime elezioni – sembra invece acquisito che entrambi i partiti americani saranno sempre su nette posizioni di resistenza ad ogni tentativo di avanzata comunista in Europa. Nessuno dei due partiti sembra disposto a fare una politica di capitolazione di fronte alla Russia, a spese dell’Europa.

5. Evidentemente l’Italia deve essere presente in tutte le Conferenze ed entrare

anche nel sistema di Bruxelles per non essere lasciata fuori. Ma non si punon rilevare quanto segue:

- - -

Mi sembra che nessuna di queste tendenze risponda oggi ai concreti interessi italiani.

6. Ecco perché personalmente ritengo che l’Italia debba lealmente collaborare con la Gran Bretagna ma evitando ogni impegno che comunque paralizzi o controlli la nostra libertà di movimento ai fini di una franca politica di intesa bilaterale con gli Stati Uniti d’America.

Questa è veramente la nostra alternativa, alla caduta della CED ed alla politica federalistica, fin quando questa politica non potrà riaffermarsi.

Quindi piche mai si deve giudicare illuminato e patriottico e tempestivo l’atteggiamento assunto dal Presidente del Consiglio e dal ministro degli Esteri italiano con la nota lettera al Segretario di Stato Foster Dulles(3).

1 Ambasciata a Parigi, 1951-1960, b. 40, fasc. Patto Atlantico-Ced. 2 Vedi D. 56. 3 Vedi DPII, Serie A, Il fallimento della CED e della CPE cit., D. 286.

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[LA DIREZIONE GENERALE DEGLI AFFARI POLITICI]1

Appunto. Roma, 18 settembre 1954.

L’Ambasciatore Clarke ha avuto incarico di mettere il Governo italiano al corrente dei risultati delle conversazioni intervenute a Parigi tra Eden e Mendès-France. Al riguardo egli consegna al Presidente del Consiglio l’unita lettera(2) (originariamente redatta all’indirizzo del Ministro Piccioni), fornendo a voce i seguenti ulteriori ragguagli.

Vi sono state tre successive conversazioni tra i due Ministri degli Esteri integrate da una serie di colloqui del Sottosegretario di Stato Roberts con funzionari del Quai d’Orsay.

Mendès-France è partito dal punto di vista che la Germania dovesse essere ammessa al Patto di Bruxelles prima che all’Alleanza atlantica e che le «salvaguardie» dovessero trovare sede esclusivamente nel Patto di Bruxelles. Si sarebbe cioè trattato di una CED senza carattere di sopranazionalità. Da ultimo Mendès-France ha accettato il principio della simultaneità dell’accesso della Germania ai due trattati, nonché il principio di affidare alla NATO l’applicazione delle «salvaguardie».

A Eden Mendès-France ha dichiarato che insisteva per accentrare tutto nel trattato di Bruxelles soltanto ai fini psicologici e di presentazione all’opinione pubblica e parlamentare francese.

Tra le due principali conversazioni con Mendès-France, Eden ha avuto contatti con GrÜnter e con Ismay accertando che la NATO sarebbe perfettamente in grado di esercitare le «salvaguardie», pur rendendo cinecessario qualche aumento dei poteri degli organi esecutivi della NATO stessa.

Il Governo britannico avrebbe preferito, e tuttora preferirebbe, di accentrare quanto pipossibile alla NATO, supplendo in sede di trattato di Bruxelles per quelle garanzie che non sarebbero altrimenti accettabili ad altri membri della NATO (Turchia, Grecia, Norvegia, ecc.) che non accederebbero al Trattato di Bruxelles.

Eden è comunque convinto che si putrovare una via intermedia. Si è quindi impegnato verso Mendès-France di prendere in considerazione ogni sua proposta per giudicare sino a che punto essa possa offrire una possibilità di soluzione.

Eden spera che anche gli altri Governi vorranno fare lo stesso.

Nel frattempo ha concordato con Mendès-France che la questione faccia oggetto della già progettata Conferenza di Londra per la quale è stata stabilita la data indicativa del 27 settembre.

A conclusione Eden desidera informare il Governo italiano che, non appena avrà ultimato lo studio del progetto francese, non mancherà di metterlo al corrente del suo punto di vista. Confida che il Governo italiano per parte sua esaminerà il progetto con benevolenza. Pensa che, nonostante le difficoltà esistenti, un accordo sia possibile. Non ha dubbi circa la realtà delle difficoltà di Mendès-France nella opinione pubblica e in Parlamento. Occorre quindi aiutarlo. Eden è del resto convinto che Mendès-France si sta adoperando per rendere possibile una soluzione rapida e semplice.

1 DGAP, Uff. IV, Versamento CED, 1950-1954, b. 24, fasc. 90. 2 Vedi D. 85.

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L’AMBASCIATORE DEL REGNO UNITO A ROMA, CLARKE, AL MINISTRO DEGLI AFFARI ESTERI, PICCIONI(1)

L. [Roma], 18 settembre 1954.

Monsieur le Ministre,

On the instructions of Her Majesty’s Principal Secretary of State for Foreign Affairs I have the honour to convey to Your Excellency the following summary of conversations between him and the French Prime Minister in Paris after his visit to Rome.

Mr. Eden explained that all the Governments he had visited, as well as Her Majesty’s Government themselves, were convinced that the right solution lay in the admission of Germany into NATO simultaneously with her entry into the expanded Treaty of Brussels organisation, subject to the necessary accompanying arrangements.

Monsieur Mendès-France urged that, if this was to be made acceptable to French public opinion, the accompanying arrangements so far as possible and practicable, should be organised within the framework to the Treaty of Brussels organisation, it being understood that the execution of any military arrangements should be carried out by the NATO machine.

For their part Her Majesty’s Government, and as they believe the other five Governments concerned, at present prefer that most of the arrangements referred to should be organised directly by the NATO.

Her Majesty’s Government are however prepared to consider how much of the arrangements can in practice be confided to the Treaty of Brussels organisation and to encourage the other Governments concerned to do likewise. Mr. Eden would like you to know that this summary of the conversations was agreed between him and Monsieur Mendès-France.

I have the honour to be, with the highest consideration,

Monsieur le Ministre

Your Excellency’s obedient servant,

[Ashley Clarke]

1 Gabinetto, 1953-61, b. 23, fasc. 1.

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L’AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI, AL MINISTRO DEGLI AFFARI ESTERI, PICCIONI(1)

R. riservato 13132. Parigi, 18 settembre 1954.

Oggetto: Politica estera francese.

Signor Ministro,

ho avuta in questi giorni una conversazione con una personalità del Gabinetto francese, che è anche uno dei leaders parlamentari.

L’antipatia che tutti noi abbiamo per l’MRP – ha detto il mio interlocutore – non ci deve trascinare a desiderare la caduta di Adenauer: gli succederebbe un governo neutralista. Bisogna dare al pipresto una soddisfazione ad Adenauer per rinforzarlo: bisogna restituire alla Germania la sovranità completa. Meno che per il riarmo: se si solleva la questione del riarmo, il Parlamento francese non accetterà la ratifica degli accordi di Bonn: esso deve essere rimandato ad un accordo ulteriore.

L’idea di Europa, anche se imprecisata quanto alla realizzazione, ha fatto tali progressi che non si putornare del tutto indietro: c’è per attualmente, un punto fermo: la Francia non puaccettare delle forme di integrazione europea se nonnella misura in cui l’Inghilterra le accetta per sé stessa. È sopratutto necessario un organo che permetta l’elaborazione di una politica estera europea comune. Il Patto di Bruxelles poteva evidentemente servire, sebbene si trattasse di un patto diretto originariamente contro la Germania. (Gli ho fatto osservare che questo non era vero affatto: che il Patto di Bruxelles fu, in larga misura, una reazione al colpo di Praga ed è stata una specie di avanguardia del Patto Atlantico, in un momento in cui nessuno era maturo per il Patto Atlantico né da una parte né dall’altra dell’Oceano).

Ma – ha insistito – data la situazione al Parlamento francese, bisogna che, fra la decisione di principio del riarmo tedesco, con le limitazioni che dovranno essere accettate da tutti – la sua formula è stata: le limitazioni imposte dalla geografia e dalla missione – e sempre rivedibili, e la sua realizzazione, passi un periodo di tempo precisamente limitato e che, durante questo periodo, si inviti la Russia ad accettare una soluzione concordata e ragionevole. Mi ha detto di essere personalmente convinto che la Russia non era disposta ad un accordo, ma che era necessario fare questo tentativo per ricuperare in Parlamento quei voti che sono recuperabili (che egli stima a 150, mentre io li stimo a non pidi 100) e che sono necessari perché la Camera possa approvare quella qualunque soluzione che le potrà essere presentata.

Ma era anche necessario di farlo in vista delle prossime elezioni politiche: esse saranno al massimo tra venti mesi: se in questo periodo non viene fatto uno sforzo serio per dimostrare ai francesi in buona fede che si è fatto tutto il possibile per trovare un terreno di intesa con la Russia e che è per colpa sua che non ci si è arrivati, alle prossime elezioni politiche si rischia di avere due milioni di voti comunisti di pi

Ma anche per arrivare a queste decisioni di principio, non si deve avere troppa fretta: esse non possono essere presentate al Parlamento francese prima della seconda metà di novembre.

Oggi c’è, a causa della politica economica, in una parte del Parlamento, una volontà vera di buttar giMendès-France. In questa atmosfera, qualunque soluzione di ricambio che venga proposta sarà respinta dal Parlamento, per buttar giMendès-France. Ma, una volta respinta dal Parlamento, questa formula di ricambio non sarà piripresentabile: «Lasciate se mai cadere Mendès-France su di una questione secondaria; il Governo che gli succederà sarà un governo con cui vi potrete mettere benissimo d’accordo sulla stessa formula: ma non la fate presentare da Mendès-France fino al momento in cui i risentimenti al Parlamento francese non si siano un po’ allentati: di possibili soluzioni di ricambio non ce ne sono molte: non ne abbiamo da sprecare».

Per mio conto ho detto che da parte francese si doveva tener conto che di difficoltà ne avevamo anche noi, e tutti: e se noi eravamo pronti a tenere in debito conto le difficoltà parlamentari francesi, bisognava che i francesi tenessero conto anche delle nostre. Con queste riserve necessarie, poteva essere sicuro che avremmo cercato di fare tutto il possibile per trovare una soluzione accettabile nel vecchio spirito di amicizia e di comprensione. Per noi non c’erano e non c’erano mai state questioni di partiti e di persone. Tutti i paesi peravevano le loro suscettibilità: e, se c’era una reazione in Francia contro certe imposizioni americane, tenesse conto che, se la Francia continuava a metterci di fronte a proposte «à prendre ou à laisser», avrebbe provocato gli stessi risentimenti. Era quindi necessario che il pensiero francese ci venisse comunicato, quando esso era ancora in gestazione, suscettibile di essere modificato per tener conto di nostre esigenze. Al che mi è stato risposto che avevo perfettamente ragione.

Questa è la risposta che da tutte le richieste che mi vengono fatte sulla possibilità di contare sulla collaborazione italiana. Sono convinto della necessità per noi di stare tranquilli, di lasciar fare i maggiori, e allo stesso tempo di riservarci, per dopo, che ci sia o non ci sia crisi grave, di riallacciare i rapporti con tutti, secondo che ci converrà. Questa mia posizione è inattaccabile, ma non è impegnativa per noi, visto che, perché un governo possa comunicare ad un altro il suo pensiero, bisogna che lo abbia: e certo adesso il Governo francese non credo abbia la minima idea di quello che pufare, o proporre.

Ho ritenuto opportuno comunicare a V.E. il contenuto di questa conversazione, perché interessante ai fini dell’interpretazione di quelle che sono oggi le possibilità francesi.

Qualsiasi cosa francesi ed inglesi ci possano dire sui loro colloqui di Parigi, quale che possa essere il risultato di conversazioni o di conferenze nel prossimo avvenire, non bisogna dimenticare i limiti che pone il Parlamento francese. Quanto mi ha detto il mio interlocutore, in sé, non rappresenta molto di nuovo su quello che ho già riferito a V.E.: che cioè, ad eccezione, forse, della questione della restituzione alla Germania della sua sovranità, al Parlamento francese non c’è maggioranza per nessuna soluzione se non si passa prima per qualche forma di dialogo con la Russia.

L’unico concetto nuovo, ed interessante, della conversazione di oggi, è l’idea che qualsiasi soluzione positiva al riarmo della Germania non dovrebbe essere presentata prima della seconda metà di novembre. Questa data domanda qualche spiegazione: come a V.E. è noto, qui si puchiedere lo scioglimento del Parlamento se, nel periodo di 18 mesi, due governi sono rovesciati a maggioranza costituzionale: ora al 20 di novembre questo termine scade perché sono passati 18 mesi dalla caduta del Governo di René Mayer, l’ultimo che fu rovesciato nelle forme costituzionali.

L’MRP adesso vorrebbe forzare lo scioglimento, sia perché ritiene che delle nuove elezioni gli sarebbero favorevoli, sia perché ritiene che le elezioni darebbero una maggioranza pifavorevole alla CED. E per ottenere questo gli occorre fare in fretta perché una volta che la caduta del Governo non comporta scioglimento, l’atmosfera al Parlamento si calma. Su quello che potrà essere il risultato delle elezioni esiterei a pronunciarmi: per ora, nelle elezioni parziali, il fenomeno che piattira l’attenzione è il costante aumento di quelli che non votano.

Io penso che, meno gli stranieri si preoccupano di cercare di salvare o di abbattere Mendès-France, meglio è: ritengo persia giusto quanto mi è stato osservato: che non sia interesse né nostro, né del futuro dell’Europa, né di nessuno farlo cadere su di una questione di politica estera, o meno ancora su di una «soluzione di ricambio».

Mendès-France, come del resto era prevedibile, comincia adesso ad incontrare le sue difficoltà in politica economica, e ne troverà non meno in politica africana. È già in dissidio con Edgar Faure: il patronat, che lo ha appoggiato quando si trattava di liquidare la CED, dà oggi dei segni di preoccupazione: l’Africa del Nord è piena di difficoltà e di trabocchetti. Ma tutto questo non cambia una cosa sostanziale: la maggioranza per la CED come essa era prima, al Parlamento francese non c’è.

La politica vera del Governo francese sarà quella di rinviare: ossia esattamente quello che da due anni a questa parte hanno fatto tutti i predecessori di Mendès-France: solo che per lui, in questa come in molte altre cose, i nodi sono venuti al pettine.

Rinviare nella speranza che qualche cosa accada. In che cosa si spera?

Si spera che il prossimo congresso del partito laburista si pronunci contro il riarmo della Germania, e che questa presa di posizione possa rendere al Governo inglese per lo meno difficile di associarsi all’America, per un riarmo unilaterale della Germania, passando sopra alle proteste, e, diciamolo pure, ai diritti della Francia come Potenza occupante.

Ma sopratutto, secondo me, si spera in quello che puaccadere in America. Il mese di novembre è anche la data delle elezioni americane: le elezioni del Maine hanno dato corpo a delle speranze che, fino ad ora, erano rimaste molto vaghe.

Qui, irritazione a parte, si interpreta il viaggio di Dulles a Bonn come un’operazione combinata di politica interna tedesca ed americana: non è pisoltanto Adenauer che cerca di difendere, a colpi di CED o di Ersatz-CED la sua posizione interna scossa dal fatto di avere fondato tutta la sua politica su di una premessa chenon si è verificata. È anche Dulles che difende sé stesso ed il partito repubblicano dalle accuse di una serie di fallimenti della politica estera americana. Si pensa o si spera, qui, che sia possibile che le prossime elezioni diano un Congresso in maggioranza democratico, e che questo o paralizzi l’Amministrazione o la spinga verso una linea politica meno intransigente: il che vuol dire, in altre parole, tentare, prima di procedere al riarmo della Germania, con quel tanto di irreparabile, per il futuro che, in base ad un mito che si sta diffondendo e non da oggi, esso rappresenta, un dialogo con la Russia.

Perché ormai è in questa direzione, che, con varia mistura di buona e di cattiva fede, lo ripeto, si va orientando la totalità o quasi di quelli che hanno votato contro la CED: e non vorrei andare troppo a vedere quanti di quelli che hanno votato a favore della CED non stanno deviando anche loro in questa direzione.

La situazione parlamentare è complessa: i partigiani della CED stanno cercando di organizzare una opposizione a Mendès-France in modo da farlo cadere: tutta la maggioranza anti-CED giura che essi si muovono perché spinti dagli americani: certo è che già dai primi passi si mostra, temo, tutta la particolare inabilità di cui hanno data prova i cedisti. Il Parlamento è in vacanza fino al novembre fatidico: per richiamarlo ci vuole una questione di politica estera: è per questo che il Governo vorrebbe rinviare, mentre gli avversari spingono dall’esterno perché la convocazione diventi inevitabile. Questo intreccio di politica estera e di politica interna rende la situazione ancora pitesa. E la convinzione, giusta od errata, che la questione sia anche una questione interna americana, non fa che aumentare confusione, irritazione, insofferenza.

La situazione francese, intendendo come situazione quella che un governo francese pufar passare al Parlamento, purtroppo si va chiarificando sempre pi Non c’è adesso maggioranza per nessuna soluzione.

Per me, oggi, non ci sono che due linee di condotta possibili. Si vuole realmente far presto per il riarmo della Germania? Allora non c’è da sperare in un consenso della Francia, a breve termine. Bisogna arrivare al fatto compiuto. Nessun francese, o quasi, crede realmente che questo sia possibile. Tutti questi anni sono trascorsi in un duplice equivoco: da parte nostra ed americana ci si è ostinati a credere che, nonostante tutto, la CED sarebbe stata votata: da parte francese non si è creduto e non si crede ancora che, non dico l’Inghilterra, ma nemmeno gli Stati Uniti possano passare oltre.

Si purealmente fare questo fatto compiuto? Lo sopporta l’opinione pubblica inglese? Lo sopporta realmente l’opinione pubblica tedesca? Non ci esponiamo a reazioni gravi, e pericolose in seguito? Sono tutti interrogativi a cui non mi sentirei di rispondere. Se questo è possibile e se si vuol fare in fretta, non c’è altra strada.

In Francia lo choc sarà sensazionale: ci sarà certo la caduta del Governo, forse si dovrà andare alle elezioni: è un salto nel buio: non è affatto escluso, è anzi probabile, che per la congiunzione di tanti risentimenti disparati si arrivi pure, almeno pro tempo-re, ad una risurrezione dell’Alleanza franco-russa.

Ma comunque, è una politica, e tutte le politiche comportano dei rischi.

Ma se invece si ritiene che non conviene, o non è possibile, affrontare i rischi interni ed internazionali di una politica di fatto compiuto, allora bisogna armarsi di santa pazienza e tener conto che, per riavvicinare la Francia alla nostra politica occidentale, bisogna aver dimostrato che l’accordo con la Russia non è possibile. La Francia è un malato grave, malato da anni, da decenni: o si sceglie la via dell’intervento chirurgico, oppure bisogna avere tutta la pazienza che necessita la cura delle malattie nervose gravi. E se si arriva alla decisione che è necessario «provare» il dialogo colla Russia, bisogna ricordarsi che si tratta non di un negoziato diplomatico puro – ammesso che la diplomazia pura esista ma di un’operazione interna ed internazionale di propaganda. E non fare come si è fatto fino adesso, una via di mezzo in cui la diplomazia ha guastato la propaganda e la propaganda la diplomazia, col brillante risultato che invece di persuadere le nostre opinioni pubbliche che sapevamo che con i russi non ci si pumettere d’accordo, e che avevamo ragione, abbiamo finito per dare l’impressione che abbiamo paura che i russi possano mostrarsi veramente ragionevoli.

Guardiamo il brillante risultato ottenuto in due anni. L’integrazione europea è andata a catafascio e non sappiamo se, fra qualche mese, avremo ancora il Patto Atlantico. Facciamo almeno un esame di coscienza e cerchiamo di vedere in che cosa abbiamo sbagliato.

Per quello che riguarda noi italiani, particolarmente, mi permetterei di consigliare di continuare nella linea che abbiamo seguita dopo Bruxelles; prestarci cioè a tutti i tentativi di conciliazione, e di adattamento, ma se si deve arrivare a delle decisioni radicali, lasciare questa responsabilità ai maggiori, seguirli, ma non cedere alla tentazione di fare la «mouche cochère».

Siamo in un momento ed in una situazione estremamente delicati, da cui possono scaturire le conseguenze pigravi. Penso, come Brosio, che l’Inghilterra sia adesso molto conscia della gravità della situazione e che farà il possibile per cercare, se ancora si pu di evitare che le contrastanti tesi e necessità francesi, tedesche ed americane, ci portino a crisi decisive. Se qualche cosa si pufare, in questo senso, penso che è solo l’Inghilterra che ha il prestigio e l’autorità per tentarlo: noi possiamo affiancarla modestamente e tranquillamente: aspettiamo con i nervi a posto che un’eventuale nostra opera di mediazione ci venga richiesta: e non ce la prendiamo a male se non ci si verrà a cercare: il momento, La prego di credermi, è troppo grave per complicarlo con questioni di prestigio. Contentiamoci che, da parte inglese, si continui ad essere sicuri, come mi sembra lo si sia dopo Roma, che per una politica ragionevole e sensata si pusempre contare su di noi. Se questo serve, come spero, a sbloccare le relazioni italo-inglesi da una sclerosi quasi decennale, sarà, almeno questo, tanto di guadagnato.

E lo possiamo fare tanto pitranquillamente in quanto, pur mantenendo certe riserve espresse sulla politica dell’Inghilterra, penso, come Brosio, che sostanzialmente essa è fermamente convinta che non pue non deve arrivare fino ad una rottura con l’America. Non l’ha mai fatto; perché dovrebbe farlo proprio oggi? Il che, del resto, corrisponde esattamente a quello che, a mio avviso, dovremmo fate anche noi.

La prego di credere, Signor Ministro, agli atti del mio devoto ossequio.

P. Quaroni

1 Gabinetto,1953-1961, b. 23, fasc. 1.

2 Il documento reca i timbri: «Visto dal Segretario generale» e «Inviato in copia al Presidente della Repubblica», «Inviato in copia ai Sottosegretari».

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LA DIREZIONE GENERALE DELLA COOPERAZIONE INTERNAZIONALE, UFFICIO I(1)

Appunto segreto. [Roma, … settembre 1954]2.

ESAME DEL PROGETTO FRANCESE PRESENTATO IL 18 SETTEMBRE 1954

1. Il progetto francese non fa menzione della ammissione della Germania nella NATO.

Si potrebbe osservare che l’accettazione di tale ammissione è implicita nel progetto stesso in quanto, se così non fosse, la Germania verrebbe, sola tra tutte le parti contraenti, sottoposta a limitazioni e controlli fissati ed applicati da organi (NATO) di cui essa non fa parte, il che sarebbe in troppo flagrante contraddizione con il principio della non discriminazione che viene indicato con le caratteristiche fondamentali del progetto.

Non si puperignorare, al riguardo, che Mendès-France – secondo quanto ci è stato comunicato da parte britannica – vedeva in realtà il processo in due tempi: prima ingresso nel Patto di Bruxelles convenientemente modificato e poi ammissione alla NATO. È vero che, stando sempre alle informazioni dateci da parte britannica, al termine delle sue conversazioni con Eden, Mendès-France avrebbe finito con l’accettare il principio della simultaneità dell’accesso della Germania nei due Trattati: tuttavia, dati i precedenti, l’omessa menzione nel progetto francese di questo fondamentale aspetto del problema non punon generare sospetto.

Appare dunque necessario su questo punto un preliminare chiarimento e certo la Germania non mancherà di chiederlo.

Un mancato chiarimento da parte francese o, ancor peggio, la conferma di un’eventuale intenzione francese di evitare la sincronizzazione dello studio e della soluzione dei due aspetti del problema sarebbero nuova testimonianza di quell’atteggiamento dilazionatorio e negativo che non pochi indizi lasciano temere.

2. Cipremesso, è da osservare in linea generale che il progetto francese soffre, dal punto di vista dell’interesse italiano, di un difetto di origine proprio alla sua struttura, alla sua stessa concezione.

Qual è la sostanza del progetto? Esso è inteso a costruire un sistema di limitazioni e di controlli aventi di mira la Germania; nello sforzo di dare a tale sistema un aspetto non discriminatorio nei riguardi della Germania, limitazioni e controlli vengono estesi anche agli altri partecipanti; peraltro il sacrificio non è in pratica eguale per tutti in quanto, attraverso l’adozione del criterio della situazione geografica e strategica, Gran Bretagna e Francia si sottraggono alla situazione comune e si costituiscono una posizione di privilegio.

L’Italia dunque verrebbe ad accettare spontaneamente, in omaggio allo sforzo di cui si è detto sopra, limitazioni e controlli ai quali attualmente non è tenuta. E, poiché il citato criterio della situazione geografica e strategica non gioca a suo favore che in maniera assai relativa, essa verrebbe a trovarsi in una posizione assai pisimile a quella della Germania che non a quella dei paesi privilegiati (Gran Bretagna e Francia); con questa differenza, che per la Germania tale posizione, così come l’accettazione delle limitazioni e dei controlli, hanno nel ripristino della sovranità e nel riarmo una contropartita, mentre questa contropartita per noi non esiste.

È vero che limitazioni e controlli di forze armate ed armamenti erano anche a base degli accordi CED, e che pure in seno alla CED non mancava qualche situazione pratica di privilegio a favore della Francia. Ma – a parte il fatto che la portata delle limitazioni e dei controlli e soprattutto delle situazioni di privilegio è nel progetto francese superiore a quella prevista nella CED – sta di fatto che per noi essi avevano nel sistema CED una contropartita che oggi è completamente sparita, quella dell’avvio ad una concreta integrazione europea; ed erano rivestite anche di garanzie, ottenute attraverso il delicato giuoco degli organi comunitari, che sarà praticamente impossibile riprodurre nella nuova organizzazione.

3. Passando ad esame tecnico pidettagliato del progetto, vanno fatte le seguenti osservazioni:

a) per vedere quanto l’affermato principio della «non discriminazione» trovi applicazione, esaminiamo quali sarebbero in pratica le posizioni rispettive della Gran Bretagna, della Francia e della Germania.

La Gran Bretagna non sarebbe praticamente sottoposta ad alcuna limitazione e controllo nel campo della produzione bellica; e le limitazioni e controlli sulle forze armate riguarderebbero solo quella parte delle forze stesse che verrà dislocata sul continente.

La Francia sottostarebbe a limitazioni e controlli solo per le forze versate alla NATO mantenendo in pratica ampia libertà, attraverso le esigenze oltremare – che nessuno limita e controlla –; e sottrarrebbe ad ogni limitazione e controllo la produzione bellica dei territori oltremare.

La Germania avrebbe il livello delle sue forze e dei suoi armamenti fissati nella totalità e nella totalità controllati. Attraverso il criterio delle zone strategicamente esposte essa non potrebbe produrre armi non convenzionali né navi da guerra né aeromobili (o loro parti). E attraverso il criterio – del tutto nuovo – delle zone colpite da servit(criterio che dovrebbe essere seguito dal Consiglio nel rilasciare autorizzazioni per nuove installazioni industriali destinate agli armamenti e che quindi si applicherebbe soprattutto alla Germania la quale non dispone attualmente di attrezzature del genere) potrebbe vedere in pratica ridotte a zero le sue possibilità di produzione di materiale bellico. Di fronte a questo quadro non è avventato dire che la «non discriminazione» solennemente affermata a parole nel progetto è in realtà ampiamente disconosciuta nei fatti. E si tenga presente, come sopra detto, che la posizione italiana verrà di fatto ad essere assai pivicina a quella della Germania che non a quella della Gran Bretagna o Francia.

b) Esaminiamo le differenze tra il progetto e il Trattato CED.

La differente impostazione dei due sistemi non consente un utile confronto per quanto riguarda limitazioni e controlli in tema di forze armate. Pusolo osservarsi che con il nuovo progetto la Francia viene in pratica ad avere molto piampia libertà nei confronti della Germania di quanto non le fosse possibile nel sistema previsto dal Trattato CED (art. 9 e 10).

Circa la produzione bellica il divieto di produzione degli armamenti della categoria a non ammette, nel progetto, possibilità di eccezione mentre il Trattato CED prevedeva che al divieto potesse derogarsi su parere unanime del Consiglio dei Ministri Nazionali. Quanto a tutti gli altri armamenti (categoria b) non esisteva nel trattato CED il criterio strategico (sono colpite da servitdecrescenti da est e ovest) per la distribuzione delle installazioni produttive, criterio che appesantisce notevolmente nel progetto francese il sistema a danno della Germania innanzitutto ma anche nostro.

c) la disposizione secondo cui i livelli minimi di forze ed armamenti stabiliti dalla NATO diverranno dei livelli massimi per i membri del Trattato di Bruxelles, che essi si impegnano a non superare, appare pericoloso nella sua ultima portata in quanto rischia di portare in sede NATO un pericoloso immobilismo nei programmi a lunga scadenza e di frenare quindi le possibilità di sviluppo del potenziale difensivo dell’occidente.

4. Alcune altre considerazioni di ordine politico possono venir fatte.

- - - - -

1 Gabinetto, 1953-1961, b. 23, fasc. 1. 2 Il temine post quem è, come si evince dal titolo del documento, il 18 settembre.

88

LA DIREZIONE GENERALE DELLA COOPERAZIONE INTERNAZIONALE, UFFICIO I(1)

Appunto segreto. Roma, 20 settembre 1954.

Nel consegnare il pro-memoria(2) che contiene le linee del progetto francese per la soluzione dei problemi lasciati scoperti dalla mancata ratifica della CED, l’Ambasciata di Francia ha avuto istruzioni di aggiungere verbalmente quanto segue:

Il progetto dovrebbe essere completato da alcuni accordi e garanzie supplementari. Le disposizioni seguenti devono far parte del negoziato:

1) la Repubblica Federale dovrà prendere l’impegno di non avere altre forze al di fuori di quelle che essa metterà a disposizione del Comando Supremo NATO;

2) Le forze tedesche (divisioni) entreranno in corpi di armata interalleati, in unità comuni. Accordi di dettaglio al riguardo verranno presi tra il Consiglio dei 7 ed il Consiglio Atlantico, su proposta dello Standing Group;

3) La Repubblica Federale prenderà l’impegno di non ricorrere alla forza per la soluzione dei suoi problemi territoriali. Il Consiglio dei 7 ed il Consiglio Atlantico convalideranno tale impegno;

4) I due Consigli indicheranno che la violazione da parte dalla Repubblica Federale degli impegni presi comporterebbe la perdita delle garanzie accordatele e del sostegno prestatole;

5) La Gran Bretagna dovrà mantenere sul continente un minimo di forze. A tal fine dovrà dare assicurazione che i suoi effettivi sul continente non saranno ridotti oltre un certo livello.

Eguale impegno dovranno assumere gli Stati Uniti.

6) Il controllo ed i poteri del Comando Supremo sulle forze saranno accresciuti in modo da subordinare lo spiegamento e l’utilizzazione delle forze del Centro Europa alla decisione di SAUCER.

L’urgenza con la quale da parte francese si è voluto far conoscere anche questi punti agli altri Governi interessati, ha impedito – secondo l’Ambasciata di Francia – una formulazione piaccurata e meno schematicamente drastica. È per tale motivo che tali punti non sono stati presentati in un documento ufficiale scritto.

1 Gabinetto, 1953-1961, b. 23, fasc. 3. 2 Vedi D. 82.

89

LA DIREZIONE GENERALE DELLA COOPERAZIONE INTERNAZIONALE, UFFICIO I(1)

Appunto segreto(2). Roma, 20 settembre 1954.

STATI UNITI

L’Ambasciatore in Roma, Signora Luce in un colloquio del 16 corrente(3) con S.E. il Ministro ha dichiarato che gli Stati Uniti ritengono assolutamente necessaria l’ammissione della Germania nel NATO e considerano indispensabile la restaurazione della completa sovranità tedesca. Le limitazioni alla Germania sono ammissibili soltanto se essa sia disposta ad accettarle volontariamente.

Su tali premesse non vi sono divergenze fra Londra e Washington.

Inoltre da parte americana (non da parte inglese) si considera desiderabile che si realizzi una «fusione di importanti funzioni di Governo» in un Organismo di cui facciano parte Germania e Francia. Ci si domanda se il Patto di Bruxelles potrebbe essere modificato in tal senso.

Gli Stati Uniti considerano utile la Conferenza a Nove come riunione preliminare alla riunione atlantica, da tenersi non oltre il 15 ottobre.

L’Ambasciatore Tarchiani ha telegrafato il 18 corrente che Dulles appare disposto ad assecondare i progetti inglesi sempre che essi si basino su concreti affidamenti francesi. In caso diverso Dulles durante la Conferenza di Londra eviterà di impegnarsi nella ricerca di formule compromissive e cercherà di centrare la sua azione sul Consiglio Atlantico. Egli è inoltre vincolato alle promesse fatte ad Adenauer. Il Dipartimento di Stato continua gli studi sui seguenti punti: dichiarazione di cessazione dello status di occupazione, intese con Bonn circa lo status delle truppe e la situazione di Berlino, rafforzamento delle clausole del Patto Atlantico e i poteri dello SHAPE e dello Standing Group in modo da assicurare il possibile controllo del potenziale bellico tedesco; adattamento delle garanzie americane concesse per la CED.

GRAN BRETAGNA

Nella riunione del 16 settembre del Consiglio Atlantico a Parigi Eden ha ribadito(4) che la Conferenza a Nove è preliminare al Consiglio dei Ministri Atlantici. Egli ha dichiarato: 1) che il problema della fine dell’occupazione alleata in Germania non sembra di difficile soluzione; 2) il contributo tedesco alla difesa dell’occidente dovrebbe avvenire mediante inclusione della Germania nel NATO e che cinon dovrebbe comportare alcuna discriminazione; 3) l’unità europea di propositi e ideali non deve essere espressa solo militarmente ma anche politicamente. Cipotrebbe avvenire con il potenziamento del Patto di Bruxelles e con l’inclusione dell’Italia e della Germania. Il nuovo Trattato non sarebbe un’alternativa al NATO, che è la base di ogni alleanza occidentale.

In una conversazione con l’Ambasciatore Alessandrini Eden ha fatto cenno delle difficoltà da lui incontrate a Parigi. Il Capo della Segreteria di Eden ha manifestato l’impressione che i francesi tendano a dissociare l’allargamento del Patto di Bruxelles dall’accessione della Germania al NATO che essi tenderebbero a rinviare sine die.

In una comunicazione scritta del 18 corrente, fatta a S.E. il Ministro degli Affari Esteri dall’Ambasciatore britannico a Roma su istruzioni del Ministro Eden5, è detto che nei colloqui avuti con Mendès-France è stato fatto presente che la Gran Bretagna ed i Governi dei Paesi da lui visitati si sono trovati d’accordo nel ritenere come migliore soluzione l’ammissione della Germania nel NATO contemporaneamente con il suo ingresso nell’organizzazione del Patto di Bruxelles allargata ed accompagnata da necessarie intese.

Mendès-France ha sottolineato la necessità che tali intese siano raggiunte nel quadro dell’organizzazione del Trattato di Bruxelles, mentre l’esecuzione delle clausole militari dovrebbero essere affidate all’organizzazione del NATO.

Il Governo britannico, come gli altri cinque Governi, preferirebbe che la maggior parte delle intese sopra accennate fosse organizzata direttamente nel quadro del NATO.

Tuttavia è disposto ad esaminare quanto di tali intese potrebbe essere affidato all’organizzazione del Trattato di Bruxelles e ad invitare gli altri Governi interessati a seguire la predetta via.

NORVEGIA

Il viaggio del Ministro degli Esteri Lange a Parigi, secondo quanto telegrafato il 16 corrente dal Ministro De Vera, ha avuto per scopo di sostenere presso Mendès-France la proposta di estensione del Patto di Bruxelles, inteso come accordo complementare e non alternativo al Patto stesso.

FRANCIA

L’Ambasciatore Quaroni ha telegrafato il 17 corrente che Mendès-France ha fatto resistenza all’ingresso tedesco nel NATO senza adeguate garanzie e limitazioni nei suoi armamenti. L’Ambasciatore ha manifestata l’impressione che il Governo francese cercherà di rinviare ogni decisione.

Parodi, in un colloquio con l’Ambasciatore Quaroni, il 18 corrente(6) ha dichiarato che il progetto presentatoci dai francesi è stato redatto personalmente da Mendès-France e che tutti i suoi punti sarebbero trovati in massima accettabili da Eden.

La Francia per converso non ha potuto accettare le proposte di Eden di incaricare esclusivamente il NATO delle parti militari (controllo e limitazioni). L’Ambasciatore Quaroni personalmente dubita che il progetto francese, se accettato, troverebbe maggioranza al Parlamento di Parigi: comunque per ciche riguarda i controlli e le limitazioni alla Germania ritiene che esso è il minimo accettabile per il Parlamento francese.

Il calendario francese prevederebbe:

1) Riunione a Londra dei nove Ministri, il 27 settembre, di una durata di 4-5 giorni per stabilire delle direttive generali;

2) elaborazione delle direttive da parte degli esperti (due-tre settimane);

3) Esame e approvazione da parte del NATO in una riunione alla fine di ottobre del risultato dei lavori dei Ministri e degli esperti.

4) presentazione degli accordi al Parlamento francese in novembre ciche consentirebbe la creazione della nuova organizzazione entro dicembre, ammissione della Germania nel NATO e inizio del riarmo tedesco.

GERMANIA

Dulles nella sua visita a Bonn, secondo quanto telegrafato il 18 corrente dall’Ambasciatore Babuscio Rizzo7, ha discusso non solo il problema dell’associazione tedesca alla difesa, ma anche i principi circa la sovranità, l’assistenza automatica, limitazione armamenti ecc.

Si è mostrato freddo sul progetto di estensione del Patto di Bruxelles e scettico su tale procedura per arrivare all’ammissione nel NATO.

Adenauer si è trovato d’accordo con Dulles sulla inaccettabilità di una rinunzia all’ammissione tedesca al NATO. All’accenno di Dulles che il progetto britannico possa sottointendere il definitivo abbandono di ogni piano d’integrazione europea, Adenauer ha sottolineato la necessità che la soluzione del problema attuale non abbia a chiudere la strada ma possa anzi adattarsi ai principi di integrazione europea.

Dulles e Adenauer nel caso si arrivi all’accordo sull’ammissione al NATO sarebbero decisi a non attendere il perfezionamento giuridico degli strumenti per adottare immediatamente le misure preparatorie al contributo tedesco alla difesa.

1 DGAP, Uff. IV, Versamento CED, 1950-1954, b. 25, fasc. 91.

2 Trasmesso con Telespr. segreto urgente 21/2343 del 21 settembre alle Ambasciate ad Ankara, Atene, Bruxelles, L’Aja, Ottawa, Parigi, Washington, alle Legazioni a Copenaghen, Lisbona, Lussemburgo, Oslo, allaRappresentanza presso il Consiglio Atlantico a Parigi ed alla Direzione Generale degli Affari Politici.

3 Vedi D. 75.

4 Vedi D. 73.

5 Vedi D. 85.

6 Vedi D. 80.

7 Vedi D. 78. La data è con ogni probabilità il 17 (vedi D. 78, nota 2).

90

L’AMBASCIATORE DEL REGNO UNITO A ROMA, CLARKE, AL MINISTRO DEGLI AFFARI ESTERI, MARTINO(1)

L. 10716/159/54. Roma, 20 settembre 1954.

Monsieur le Ministre,

on instructions from Her Majesty’s Principal Secretary of State for Foreign Affairs I have the honour to inform Your Excellency that Mr. Eden is satisfied from the separate conversations he has recently had in European capitals and finally with Mr. Dulles in London that further progress could be made at an early meeting in London of the Foreign Ministers of the United States, France, Canada, Italy, Belgium, The Netherlands, Luxembourg, The Federal German Republic and the United Kingdom. The purpose of this meeting will be to carry further forward the discussions on the association of Germany with the West and a German Defence contribution, which have recently been taking place in European capitals. It will be preparatory to a full Ministerial meeting of the NATO Council which has now been proposed for mid-October. I have the honour to convey to Your Excellency on behalf of Her Majesty’s Government an invitation to attend this Conference. Mr. Eden hopes that it will be generally convenient for the Ministers to assemble in London on the 27th of September in order that the Conference may open in the morning of Tuesday, the 28th of September.

Mr Eden asks me to add that he is much looking forward to meeting you. I have the honour to be, with the highest consideration, Monsieur le Ministre, Your Excellency’s obedient Servant(2).

Ashley Clarke

1 DGAP, Uff. IV, Versamento CED, 1950-1954, b. 24, fasc. 90. 2 Per la risposta vedi D. 98.

91

L’AMBASCIATORE A LONDRA, BROSIO, AL MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI(1)

Telespr. urgente 017. Londra, 20 settembre 1954.

Oggetto: Conferenza Londra.

Circa Conferenza Londra Kirkpatrick mi ha detto oggi quanto segue:

1) Progetto di Mendès-France dà luogo a seri dubbi in quanto non menziona esplicitamente contemporaneo ingresso Germania NATO. Tale punto fu oggetto di intesa nell’ultimo incontro Eden - Mendès-France a Parigi (come comunicato da Londra a Governi interessati) et incluso anche in un memorandum redatto in tale occasione(2).

2) gli inglesi sono contrari richiesta francese di mantenere proporzione costante tra truppe tedesche e truppe anglo-franco-americane. Cisignificherebbe dover modificare secondo le circostanze o il livello delle forze tedesche oppure quello di taluni degli altri alleati in modo imprevedibile e praticamente inattuabile.

3) i francesi pur non menzionandolo espressamente nel documento presentato vorrebbero anche integrazione delle forze tedesche al livello corpo d’armata che sarebbe pure impraticabile.

4) Infine et soprattutto inglesi obiettano al progetto francese il suo fondamentale carattere discriminatorio. Secondo essi Adenauer è disposto ad accettare una certa discriminazione purché limitata e ben presentata. Per le forze armate cidipenderà dalla qualità delle forze che i francesi saranno disposti vincolare al NATO in confronto a quelle che vorranno tenere disponibili. Circa gli armamenti non sembra agli inglesi ammissibile un controllo esteso a tutte le armi anche leggere. Circa le armi atomiche et speciali sarà difficile imporre ai germanici un divieto di fabbricazione senza promettere loro quanto meno la fornitura di una giusta quota delle armi fabbricate altrove. Su tutte queste condizioni Kirkpatrick prevedeva gravi difficoltà ritardi et possibilità disaccordo alla conferenza.

5) In linea di principio invece i britannici non sono alieni da organizzare nel patto di Bruxelles il controllo degli armamenti giacché il meccanismo del NATO non lo prevede tale sistema eviterebbe di imporre limitazioni agli americani senza implicare creazione di una nuova burocrazia. Per le forze armate invece essi insistono nel ritenere che il controllo di limitazioni quantitative sia attuato dal sistema già esistente nel NATO senza necessità di creare duplicati.

6) Kirkpatrick concludeva ripetendo che gli ostacoli a un accordo vengono essenzialmente da Parigi. Né Dulles, né Adenauer si sarebbero dimostrati intrattabili. Viceversa i circoli governativi francesi sono tuttora ciechi et non hanno capito gravità et imminenza isolazionismo americano. Tale pericolo è incombente e ove nei prossimi tre mesi non si risolvesse problema difesa europea gli americani piancora che riarmare separatamente Germania la lascerebbero libera di provvedere a sé, annullando o riducendo a misura simbolica loro contributo diretto difesa europea. Senatore Knowland ha detto chiaramente a Gruenther in sede commissione senatoriale che nel febbraio prossimo, egli, Gruenther, potrebbe essere richiamato e gli stanziamenti per l’Europa annullati. In complesso Kirkpatrick mi è sembrato piuttosto pessimista e tuttora molto diffidente su intenzioni ultime del Governo francese. Tuttavia è chiaro che i britannici faranno ogni sforzo per avvicinare punti di vista diversi purché francesi offrano loro un minimo di possibilità.

1 DGAP, Uff. IV, Versamento CED, 1950-1954, b. 24, fasc. 90. 2 Vedi DD. 84-85.

92

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI AFFARI ESTERI, ZOPPI, AL MINISTRO DEGLI AFFARI ESTERI, MARTINO(1)

Appunto(2). Roma, 21 settembre 1954.

COLLOQUIO CON L’AMBASCIATORE DI GRAN BRETAGNA

L’Ambasciatore Clarke è venuto a mettermi al corrente del pensiero del suo Governo sul progetto presentato da Mendès-France. Secondo le indicazioni da lui ricevute il Signor Eden stima che tale progetto, che costituisce un ulteriore passo innanzi da parte francese rispetto alla posizione assunta da Mendès-France nel suo colloquio con Eden, purappresentare una base di partenza per la conferenza di Londra. Naturalmente il Signor Eden è del parere che non tutte le proposte francesi potranno essere accolte dalla Germania né dagli altri paesi e neppure dalla Gran Bretagna.

Ho detto a mia volta che, per quanto ci concerne, la nostra posizione era ben nota al Governo Britannico. Anche noi avevamo riscontrato da una prima lettura dell’Aide-Mémoire francese che nella sostanza, taluni punti di esso erano già stati accolti dalla Germania e che si trattava sopratutto di trovare il modo di esprimerli e inquadrarli in un meccanismo che fosse anche formalmente accettabile dal Governo di Bonn. Facevo peral tempo stesso rilevare come l’Aide-Mémoire non accennasse all’integrazione della Germania nella NATO e come tendesse a trasferire al Trattato di Brusselle quei compiti di carattere pinettamente militare che nei colloqui di Roma avevamo sostenuto dovessero essere riservati al NATO, concetto che il Signor Eden aveva pienamente condiviso. Ho specificato che avremmo avuto serie difficoltà a creare un doppione militare della NATO e a discutere problemi militari, ivi compresi quelli elencati nel punto III e specialmente il paragrafo b del memorandum francese, in un foro dal quale fossero assenti gli americani. L’Ambasciatore Clarke mi ha ripetuto che tale è tuttora anche il punto di vista del suo Governo.

Ho poi chiesto al Signor Clarke se poteva darmi qualche notizia in merito all’incontro Foster Dulles-Eden. Mi ha detto che il Segretario di Stato americano aveva approvato l’azione di Eden, ma aveva sollevato qualche riserva in merito al rinnovo degli impegni che il Congresso aveva consentito nei confronti della CED. L’opinione pubblica americana e il Congresso avevano consentito a quegli impegni in quanto venivano assunti verso una Europa integrata nella Comunità Difensiva. In America si era per anni confidato in tale integrazione. La delusione era grande e gli umori non buoni. Per di pise la Gran Bretagna poteva rinnovare tali impegni nell’ambito del Trattato di Brusselle, gli Stati Uniti, che non sono parte di quel Trattato si sarebbero trovati a dover superare anche difficoltà d’ordine formale rese pigravi dallo stato d’animo del Congresso e dell’opinione pubblica. Il Signor Eden avrebbe insistito perché da parte americana si esaminasse il problema con buona volontà; si era constatato che molto dipenderà dall’esito della conferenza di Londra.

1 Gabinetto, 1953-1961, b. 23, fasc. 1. 2 Sottoscrizione autografa.

93

L’AMBASCIATORE A LONDRA, BROSIO, AL MINISTRO DEGLI AFFARI ESTERI, MARTINO(1)

R. segreto 4020/2047. Londra, 21 settembre 1954.

Signor Ministro,

facendo seguito al mio telespresso urgente di ieri n. 0172, vorrei aggiungere alcune osservazioni sul punto a cui si trovano le conversazioni anglo-francesi in vista della imminente conferenza di Londra.

Non vorrei aver dato ieri una impressione troppo pessimistica della situazione. I francesi dicono che Eden è piconciliante del Foreign Office e lasciano capire che Kirkpatrick è piuttosto risentito con loro. Sotto il primo aspetto non credo abbiano tutti i torti: è evidente che Eden deve sentire pidei funzionari del Foreign Office la necessità di tenere conto delle esigenze politiche francesi, e soprattutto quella di destreggiarsi col suo stesso Parlamento o con le reazioni del partito laburista e di una parte dell’opinione pubblica inglese.

D’altra parte ieri Kirkpatrick, mentre mi esprimeva i suoi dubbi circa le effettive volontà di Mendès-France di ammettere la Germania nel NATO contemporaneamente all’accordo sull’estensione del trattato di Bruxelles, cercava pure di giustificare le apparenti contraddizioni del Presidente francese. «È’ possibile, mi diceva Kirkpatrick che Mendès-France non intenda ritornare sull’impegno preso con Eden circa questa simultaneità, ma semplicemente non voglia per ora fare apparire chiaramente all’opinione pubblica francese che la Germania entrerà nel NATO senz’altro». Aggiungo che le stesse ambigue parole usate da Mendès-France nel suo discorso a Strasburgo circa il superamento delle riluttanze e resistenze francesi all’ingresso della Germania nel NATO potrebbero anche essere benevolmente interpretate nello stesso modo. Del resto Massigli oggi mi ha assicurato nel modo piesplicito che sulla simultaneità fra accessione al Trattato di Bruxelles ed ingresso al NATO il Governo francese non sarebbe tornato indietro. Si tratta soltanto di far digerire questa pillola all’opinione pubblica e al Parlamento francese.

Non mi pare dubbio comunque che questo è il punto politico piimportante da superare. Se veramente Mendès-France è deciso a rispettare la parola data a Londra e ad attuare insieme l’allargamento di Bruxelles e l’entrata della Germania nel NATO, l’ostacolo maggiore cadrà e cadranno insieme molti dubbi sulla buona fede del Primo Ministro francese. Se invece egli tergiversasse e cercasse di mantenere una gradualità di tempi fra le due operazioni, cirisolleverebbe tutti i sospetti circa la sua intenzione di trattare nel frattempo con Mosca e nello stesso tempo metterebbe la Germania in una posizione di inferiorità assolutamente inaccettabile.

Naturalmente questa non sarà la sola difficoltà della conferenza di Londra. Vi potrebbe anche essere, per esempio, la questione della Saar cui Mendès-France ha accennato a Strasburgo.

Ma a parte eventuali nuove complicazioni di carattere strettamente politico gli altri interrogativi della Conferenza potrebbero pifacilmente ridursi al grado di questioni tecniche.

I principali fra tali interrogativi possono per ora riassumersi nei seguenti:

1) Come e in che misura vorranno gli americani e gli Inglesi accettare l’impegno di mantenere un minimo di forze in Europa, come i francesi chiedono?

2) Fino a quale punto la Francia insisterà nella misura di discriminazione che essa vuole imporre alla Germania (e agli altri Stati in condizioni simili) nei riguardi delle forze armate e degli armamenti?

3) Vorranno i francesi insistere nel pretendere la integrazione delle forze germaniche entro unità internazionali al livello del corpo d’armata, come essi hanno proposto?

4) Fino a che punto i francesi insisteranno e i britannici accetteranno di realizzare il controllo delle forze armate e specialmente degli armamenti attraverso il meccanismo di Bruxelles anziché a mezzo di quello già esistente nel NATO; e in che modo potranno conciliarsi e coordinarsi le due organizzazioni?

5) Accetteranno i britannici le limitazioni di sovranità insite in qualsiasi sistema di «pool» degli armamenti quale proposto dai francesi, sia esso controllato dal NATO o dal Patto di Bruxelles?

6) Tollererà la Germania di entrare nel NATO col peso delle limitazioni discriminative a suo danno derivanti dall’adesione al Patto di Bruxelles come concepito dai francesi?

Evidentemente tutti questi interrogativi, i quali si possono suddividere e moltiplicare, consentono dei compromessi. Le questioni che essi sollevano sono gravi e non è sicuro che a Londra esse saranno tutte superate; ma, da quanto mi risulta, è certo che gli inglesi sono disposti a fare un grande sforzo per risolverle e per conciliare il rispetto di una almeno apparente uguaglianza della Germania con la soddisfazione delle paure, sia pure irragionevoli, della Francia. Qui non risulta che gli americani, o almeno il Signor Dulles, siano a priori ostili a qualsiasi compromesso; risulta soltanto in modo sicuro che se un compromesso non verrà raggiunto, gli americani ne potrebbero trarre le piestreme conseguenze.

Come ho riferito, Kirkpatrick mi diceva che il pericolo non è piquello di un riarmo separato della Germania da parte degli Stati Uniti e della Gran Bretagna. È assai piprobabile invece che gli americani ritirino le loro truppe dall’Europa o riducano i loro contingenti a una misura simbolica, permettendo ai tedeschi di armarsi come credono e dando loro semplicemente una garanzia contro l’aggressione, in modo da servirsi della Germania non tanto come di una barriera, quanto come di un «casus belli» per la guerra atomica.

In questa situazione mi sembra che, mentre la prossima conferenza deve considerarsi di eccezionale importanza, il nostro compito nella conferenza stessa è abbastanza semplice.

Il piano di Mendès-France soddisfa parecchi importanti nostri interessi particolari e ne lede qualcuno meno importante. La nostra entrata nel Patto di Bruxelles costituisce una nuova forma di inserimento nell’Europa, che supplisce, sia pure solo parzialmente, alla caduta della CED; e l’organizzazione di tale Patto, come lo concepiscono i francesi, finisce per ricostruire in altra forma e per altra via quell’organismo intermedio a sette che era stato ventilato subito dopo il fallimento della CED. Su questa linea noi ci potremmo trovare alleati con l’anticedista Mendès-France e potremmo anche appoggiare su talune questioni la Francia per indurre la Gran Bretagna a prendere piprecisi impegni militari e a fare maggiori concessioni organizzative. Tutto questo è quanto meno un surrogato della politica che abbiamo dovuto abbandonare e non saremo certamente noi a combatterla.

Di negativo per noi nel progettato sistema non vedo che le limitazioni di carattere militare che inevitabilmente ricadono – in parte – su di noi oltre che sui tedeschi. Ma anche queste mi paiono di scarso contenuto pratico, benché in linea di principio non certo gradevoli. In sostanza noi non siamo finora in grado di realizzare tutto il piano di riarmo previsto dal NATO e quindi possiamo ben accettare come massimo quel minimo che il NATO ci ha assegnato.

D’altra parte così facendo noi agevoleremo anche e renderemo meno ostica l’accettazione alla Germania. Se la Francia non eccederà nel volere assumere troppi limitati impegni circa le forze assegnate al NATO e nel voler riservarsi troppe libertà circa le proprie forze armate d’oltremare e se, d’altro lato, le discriminazioni insite nel progetto francese non colpiranno la Germania sola, quest’ultima sarà pifacilmente indotta ad accettare. Ora il nostro solo e vero interesse è che un piano ragionevole presentabile alla pubblica opinione europea esca dalla conferenza di Londra; noi possiamo anzi dire sin d’ora che in qualsiasi forma i maggiori interessati riescano a mettersi d’accordo, noi potremo certamente sottoscrivere un accordo simile senza compromettere i nostri interessi essenziali. Ciappunto mi sembra possa facilitare il nostro compito e rendere la nostra partecipazione piobiettiva e la nostra eventuale mediazione su talune questioni tanto piserena ed efficace quanto meno appariscente.

Mi riservo di precisare nei prossimi giorni i dettagli delle proposte britanniche in rapporto al piano francese, in modo da avere nella misura del possibile un quadro delle tesi che si troveranno di fronte alla conferenza sui vari punti in discussione.

Voglia gradire, Signor Ministro, gli atti del mio devoto ossequio.

[Manlio Brosio]

1 DGAP, Uff. I, Serie Affari Politici, 1951-1957, b. 331, fasc. 15-30 settembre 1954.

2 Vedi D. 91.

94

IL MINISTRO DEGLI AFFARI ESTERI, MARTINO, AD AMBASCIATE E LEGAZIONI(1)

T. s.n.d. 8991/c.2. Roma, 22 settembre 1954, part. il 23, ore 1.

Supponiamo che codesto Governo sia ormai in possesso elementi conclusivi viaggio Eden e Promemoria francese. Gradiremmo pertanto conoscere sua valutazione situazione. Per parte nostra condividiamo pensiero espresso da Governo britannico secondo cui promemoria francese pucostituire base di discussione in prossima Conferenza Londra; osserviamo tuttavia che proposte francesi si discostano da piano Eden in quanto tendono trasferire nell’ambito Trattato Bruxelles tutta o quasi tutta quella parte di carattere militare che, secondo progetto inglese, dovrebbe rimanere nell’ambito NATO dove sono presenti anche americani e canadesi. Specialmente parte III (e in particolare quanto concerne materiali sub b. del promemoria francese) è, per parte nostra, da considerarsi con riserva(3).

1 Telegrammi segreti originali 1954, partenza, vol. II.

2 Indirizzato alle Ambasciate a Bonn, Bruxelles, L’Aja, Ottawa e Washington ed alla Legazione a Lussemburgo.

3 Con T. s.n.d. 12085 P.C./182 del 23 settembre Grazzi rispose di avere già riferito con T.

s.n.d. 12080/180-181, pari data, per il quale vedi D. 100. Nello stesso giorno, riferì piampiamente con R. 3914/1909 per il quale vedi D. 104. Per le risposte da Bonn e da Washington vedi rispettivamente DD. 101 (Bad Godesberg) e 107, 108 (Washington). Benzoni rispose da L’Aja con T. s.n.d.12081/87 del 23 settembre nei seguenti termini: «Questo Governo ha ieri fatto conoscere a Parigi le proprie obiezioni alla parte terza del Memorandum francese nonché il punto di vista che l’ingressodella Germania nel Patto di Bruxelles dovrà essere contemporaneo alla sua accessione al NATO. A taleultimo riguardo si nutrono qui dubbi sulle reali intenzioni di Mendès-France. Ho stamane chiarito alSegretario Generale di questo Ministero Affari Esteri il pensiero del nostro Governo». Baldoni risposeda Ottawa con T. s.n.d. 12114/59-60 sempre del 23, dichiarando: «Pearson lascia oggi New York perLondra ove posdomani si abboccherà con Eden. Leger mi dice che l’avviso di questo Governo è per ilmomento il seguente: 1) Il Canada accetta il promemoria francese come base di discussioni e precisamente come uno dei progetti da discutere in Conferenza a nove. Ciin quanto Mendès ha assicuratoEden che il promemoria non rappresenterebbe l’ultima parola del Governo francese e che questo entrola metà di novembre si impegnerebbe a fondo di fronte all’assemblea Nazionale per sostenere una soluzione che venisse concordata. 2) Il Canadà, già pienamente favorevole alla CED, è favorevole pure ad ogni tentativo come quello britannico di organizzare la difesa d’Europa su una base pinazionale ma pilarga: a condizione perche la nuova organizzazione sia integrata quanto piintimamentepossibile al NATO e che la decisione sia sollecita. 3) Ad avviso del Canadà il NATO rappresenterebbel’organizzazione ideale per assicurare – soprattutto a lunga scadenza – una tranquillizzante partecipazione tedesca. Il Nato possiede già l’attrezzatura per i controlli. In confronto del rinnovato Patto diBruxelles offre inoltre il vantaggio di un quadro piampio e piforte. Leger ha concluso che il Governo canadese è oggi piuttosto ottimista circa la possibilità che sia raggiunta una intesa attraverso laConferenza preparatoria di Londra e la decisiva del Consiglio dei Ministri NATO. In tale valutazioneè incoraggiato particolarmente dall’attuale atteggiamento americano “nella sostanza saggio e ammirevole”». Per la posizione espressa dal Governo canadese vedi comunque anche D. 105. Non risultapervenuta risposta da Lussemburgo.

95

L’AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI, AL MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI(1)

T. s.n.d. 12060/5402. Washington, 22 settembre 1954, ore 17,45 (perv. ore 7,40 del 23).

Mio 5363.

Merchant e collaboratori ci hanno confermato che l’atteggiamento dell’America a Londra sta per essere definito.

Merchant partirà domani passando per Parigi, Dulles sabato direttamente a Londra.

In via amichevole ci hanno anticipato quanto segue. Nei confronti delle proposte francesi si fanno due riserve principali: è difficile che gli inglesi possano spingere gli impegni sul continente al punto desiderato da Mendès; i tedeschi non riscontrano nel memorandum gli estremi di quella piena eguaglianza di diritti su cui si è convenuto con Dulles e Churchill.

Il Governo americano continua a ritenere che l’essenza di ogni eventuale intesa dovrebbe risiedere nella pronta ammissione della Germania nella NATO.

Entro questi limiti il Dipartimento intende rimettersi a quanto le Delegazioni europee concorderanno e segue con favorevole interesse l’azione del Governo britannico.

Causa perviva perplessità il fatto che i francesi mentre chiedono garanzia non sono in grado di offrirne alcuna circa l’atteggiamento del loro Parlamento. Il Dipartimento concentra percila propria attenzione sulla possibilità che questo ultimo proceda preliminarmente alla votazione su decisioni di massima; solo tale presa di posizione potrebbe dare al Governo americano un sicuro punto di riferimento per la sua ulteriore azione.

1 Telegrammi segreti originali 1954, arrivo, vol. III

2 Ritrasmesso con T. s.n.d. 9024 /c. del 23 settembre alle Ambasciate a Bonn, Parigi e Londra.

3 T. s.n.d. 11942/536 del 20 settembre, con il quale Tarchiani aveva riferito: «Gli Uffici del Dipartimento stanno esaminando il memorandum francese “con vivo interesse scevro di qualsiasi preconcetto”. L’iniziativa appare infatti meritevole di seria attenzione come ogni altro sforzo dei Paesi interessati verso l’elaborazione di eventuali formule risolutive. Contribuisce a facilitare il compito la Conferenza di Londra, almeno chiarendo e delimitando i problemi sollevati dal fallimento della CED. Tuttavia le affermazioni della stampa secondo cui le proposte francesi sarebbero già considerate qui accettabili come basi di negoziato appaiono premature. Le proposte richiedono un approfondito studio delle questioni tecniche e giuridiche su cui gli Uffici americani non sono ancora in grado di pronunziarsi; inoltre la valutazione politica dell’iniziativa francese non potrà essere completata che dopo il ritorno di Dulles. Naturalmente il Dipartimento attribuisce un particolare interesse alle reazioni degli altri Governi destinatari del memorandum».

96

L’AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI, AL MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI(1)

T. s.n.d. 12061/541. Washington, 22 settembre 1954, ore 20,34 (perv. ore 7,40 del 23).

Mio 5402. In colloquio odierno Vanoni-Hensel sono stati trattati i seguenti punti:

1) Emendamento Richards. Hensel si è dichiarato fiducioso che se la riunione di Londra avrà successo l’emendamento non potrà agire sfavorevolmente data anche notevole pipeline programma italiano.

2) OSP. Studi immediati dei riflessi dell’emendamento Richards sugli OSP non sono ancora ultimati. L’intenzione personale di Hensel è che non si interrompa il programma prestabilito di cui l’Italia dovrebbe ancora beneficiare.

3) CED. Alle assicurazioni di Vanoni circa la fedeltà italiana all’unità europea, Hensel, che recasi a Londra con Dulles, ha dichiarato che tali sentimenti già risultano dalle comunicazioni fatte da Eden al Segretario di Stato ed ha espresso la speranza che l’Italia contribuisca alla creazione di un soddisfacente sistema sostitutivo della CED. Hensel ha dichiarato che il Governo americano, pur valutando l’atteggiamento francese con l’obiettività e la comprensione delle esperienze passate, non puriconoscere molto fondate le pretese francesi e giustificare i timori di Parigi. Gli americani «non potendo agire solo in base a simpatie» si vedrebbero costretti in caso di confermata inconciliabilità francese, ad agevolare anche le soluzioni che escludano temporaneamente, se necessario, la partecipazione della Francia. Hensel si è detto fiducioso che tale deprecabile eventualità possa essere evitata.

Segue verbale.

1 Telegrammi segreti originali 1954, arrivo, vol. III 2 Vedi D. 95.

97

L’AMBASCIATORE A BONN, BABUSCIO RIZZO, AL MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI(1)

T. s.n.d. 12062/140-141. Bad Godesberg, 22 settembre 1954, ore 22,55 (perv. ore 7,40 del 23).

Il progetto di Mendès-France pur essendo accettato come base di discussione è considerato qui come insufficiente ed incompleto. Blankenhorn si è soffermato stamani con me specialmente sul fatto che Mendès-France non ha fatto parola nemmeno nel suo discorso di Strasburgo né della ammissione della Germania al NATO né della concessione della sovranità. Per questo ultimo punto si teme che egli voglia subordinarla ad una soluzione del problema della Saar, cosa giudicata qui inaccettabile e suscettibile da sola di portare la conferenza di Londra ad un’impasse.

Circa ammissione della Germania nel NATO si ritiene che le concezioni di Eden e Mendès-France differiscono profondamente in quanto quest’ultimo a differenza del primo pone tutto il peso dei controlli e restrizioni nell’ambito del Patto di Bruxelles e non lascia prevedere come sarebbe nel pensiero di Eden che la conferenza di Londra debba terminare con la raccomandazione alla NATO di associare la Germania al pipresto.

Lo studio del progetto di Mendès-France è stato ultimato appena stamani e non è stato ancora deciso se verrà inviato a tutti i paesi interessati un memorandum illustrante il punto di vista tedesco e le osservazioni al memorandum francese. È presumibile tuttavia, se esso verrà redatto, che le sue linee corrisponderanno ai punti da me già segnalati con telespresso 2009 del 17 corrente.

Il progetto di Mendès-France mi è in altri termini apparso considerato dai tedeschi come un sistema elaborato di controllo che pualla prima lettura dare l’impressione di non contenere discriminazioni ma che di fatto pone la Germania in condizioni diverse dagli altri Paesi.

Ha fatto impressione qui la conversazione avuta ieri a Bruxelles tra l’Ambasciatore di Francia e il Segretario Generale Scheyven, di cui si è avuta a Bonn notizia, nella quale il primo ha dichiarato che Mendès-France non si sarebbe sentito di raccomandare al Parlamento francese l’ammissione della Germania nel NATO a meno che l’organizzazione del Patto di Bruxelles presenti la consistenza politica e militare voluta. Si pensa così ad un atteggiamento rigido di Mendès-France e ci si domanda se questi non si accinga a fare a Londra lo stesso gioco fatto a Bruxelles presentando cioè una proposta che egli già sa inaccettabile.

Adenauer è d’accordo e con l’appoggio degli americani si ripromette pure di sostenere a Londra la necessità di riprendere il principio della integrazione europea fra i sei della CED proponendo di darvi inizio con un pool degli armamenti. Eden d’altra parte, fermo restando il principio dell’assistenza automatica dell’Inghilterra, avrebbe già dichiarato di nulla avere in contrario a vedere i sei Paesi avviarsi per conto loro su questa strada.

Blankhenhorn mi ha anche detto che il progetto di Mendès-France è stato accolto a Washington con senso di viva preoccupazione. Secondo una conversazione avuta da Bedell Smith con l’Ambasciatore di Germania e confidenzialmente riferitami le perplessità su Mendès-France permarrebbero e si teme che lo scopo essenziale di questi sarebbe di rinviare l’ammissione della Germania nel NATO. Si teme anzi colà che proprio su questo punto la conferenza di Londra possa fallire ma, ha aggiunto Bedell Smith e riferisco testualmente la frase, in caso di atteggiamento negativo francese «non arriveremo a Londra impreparati». Si prevede infatti a Washington che un intervento di Mosca sia da attendersi subito dopo la conferenza di Londra inserendosi cioè tra questa e la riunione del Consiglio Atlantico.

L’atmosfera di Bonn non mi è apparsa stamane certo serena. Il colloquio svoltosi ieri fra Adenauer e Ollenhauer mi è stato descritto da Blankhenhorn come burrascoso avendo quest’ultimo chiesto decisamente al Cancelliere Federale di farsi promotore di una conferenza a quattro. Si giunge a sospettare perfino che possano esistere collegamenti che partendo da Ginevra si allarghino non solo a Parigi, ma anche qui nel partito social-democratico diretti contro la persona di Adenauer per costringerlo ad abbandonare il Governo. Puesservi in tutto cifantasia od esagerazione ma quel che è certo è che tale stato d’animo cui probabilmente, anzi certamente, gli americani sono partecipi, non faciliteranno la distensione delle prossime conversazioni di Londra e non sembrano giustificare quel cauto ottimismo che nonostante tutto appare diffuso in questi ambienti diplomatici e nelle stesse alte Commissioni inglese e francese.

DGAP, Uff. IV, Versamento CED, 1950-1954, b. 25, fasc. 91.

98

IL MINISTRO DEGLI AFFARI ESTERI, MARTINO, ALL’AMBASCIATORE DEL REGNO UNITO A ROMA, CLARKE(1)

L. 4/470. Roma, 22 settembre 1954.

Signor Ambasciatore,

ho l’onore di accusare ricevuta della comunicazione di V.E. in data 20 settembre n. 10716/159/542, con cui ella mi ha trasmesso l’invito del Governo di S.M. Britannica a prendere parte ad una riunione da tenersi a Londra il 28 corrente con la partecipazione dei Ministri degli Esteri del Belgio, del Canada, della Francia, del Lussemburgo, dei Paesi Bassi, del Regno Unito, della Repubblica Federale Tedesca e degli Stati Uniti d’America.

Il Governo italiano concorda sull’opportunità della riunione proposta che ha lo scopo di proseguire l’esame dei problemi dell’associazione della Germania all’Occidente e del contributo tedesco alla difesa occidentale. Esso condivide inoltre il punto di vista del Governo britannico sul carattere preparatorio della predetta Conferenza rispetto alla riunione ministeriale del Consiglio del NATO, che è stata proposta per la metà del prossimo mese di ottobre.

A nome del Governo italiano ho pertanto l’onore di accettare l’invito del Governo di S.M. britannica a partecipare alla Conferenza di Londra, che avrà inizio il mattino del 28 corrente.

Le sargrato se ella vorrà rendersi interprete presso il Segretario di Stato per gli Affari Esteri Signor Eden della mia personale soddisfazione di incontrarmi prossimamente con lui.

Mi è gradita l’occasione, signor Ambasciatore, per trasmettere a V.E. i sensi della mia pialta considerazione.

[Gaetano Martino]

1 DGAP, Uff. I, Serie Affari Politici, 1951-1957, b. 331, fasc. 1-14 settembre 1954. 2 Vedi D. 90.

99

IL CAPO DELLA SEGRETERIA DELLA DIREZIONE GENERALE DEGLI AFFARI POLITICI ORLANDI CONTUCCI(1)

Appunto. Roma, 22 settembre 1954.

OSSERVAZIONI SUL PIANO EDEN E SUL MEMORANDUM DI MENDÈS-FRANCE

La proposta di Eden di servirsi del Patto di Bruxelles, debitamente trasformato, per riempire il vuoto creatosi con la caduta della CED, ha suscitato vari interrogativi: ci si è domandati, fra l’altro, perché fra le varie soluzioni di ricambio possibili, la Gran Bretagna abbia scelto proprio questa. Le risposte date da piparti a tale interrogativo si fondano principalmente sulla considerazione che tale soluzione sarebbe la piadatta tanto ad appagare le esigenze tedesche quanto ad acquistare le apprensioni francesi.

Vi è tuttavia un altro elemento che non è stato sufficientemente rilevato: il Patto di Bruxelles, che seguì a breve distanza quello firmato a Durkerque fra Gran Bretagna e Francia, è uno strumento di marca inglese, da cui ha avuto origine un vero e proprio «sistema», la Western Union, che vive ed opera nell’orbita britannica. Il Segretariato Permanente risiede a Londra ed il Consiglio Consultivo è costituito dagli Ambasciatori dei Paesi firmatari, accreditati nella Capitale britannica. Chiunque abbia lavorato negli ultimi anni in organi internazionali (per es. la NATO), ha avuto modo di constatare quotidianamente – sopratutto nei Comitati – quanto questi legami siano stretti e quanto la leadership britannica si faccia sentire sui membri del Trattato di Bruxelles.

Proponendo un allargamento o un potenziamento della Western Union, la Gran Bretagna viene dunque a sostituire un congegno «proprio», al sistema CED, plasmato sotto l’impulso delle forze europeiste continentali ed anche sotto il «coaching» americano. È bene tenerlo presente.

È ancora difficile dire fino a che punto l’adesione data da Mendès-France al Piano di Eden sia sincera e se – e in quale parte – il Governo francese intenda o possa realmente accettarlo. A quanto riferisce l’Ambasciatore Quaroni2, il Parlamento francese non sarebbe disposto ad accettare alcuna soluzione che contemplasse il riarmo tedesco immediato, prima di avere avuto una nuova conferma della impossibilità di una distensione con la Russia.

Comunque, a parte ogni altra considerazione sulla opportunità per la Francia di non rigettare le proposte di Eden nell’attuale momento, non vi è dubbio che un aspetto di tali proposte deve avere colpito Mendès-France: la prospettiva, cioè, che alla CED, nel cui meccanismo anche preparatorio gli Stati Uniti erano riusciti ad assicurarsi una certa ingerenza, venga sostituito uno strumento britannico al quale gli Stati Uniti, ormai palesemente favorevoli al riarmo integrale tedesco, sarebbero estranei.

Una simile possibilità è stata subito affermata da Mendès-France che, rielaborando la proposta britannica, è giunto – nel suo noto Memorandum(3) e nel discorso di Strasburgo – a proporre un meccanismo in forza del quale i limiti del riarmo tedesco ed il controllo su tale riarmo diverrebbero un fatto interno europeo, sul quale gli Stati Uniti avrebbero ben poco da dire. (Ciche del resto corrisponde anche al suo dichiarato proposito di fare dell’Europa un elemento di equilibrio tra Oriente e Occidente). Tutto cicomporterebbe un radicale cambiamento del sistema attualmente in atto, non solo per quanto riguarda la fissazione degli obbiettivi di forze assegnati ad ogni Paese, ma anche per i controlli che attualmente vengono esercitati in seno all’Alleanza affinché gli obbiettivi siano raggiunti: controlli che sono poi direttamente connessi con l’erogazione degli aiuti americani.

In base al sistema attuale, premesso che il divario fra il mondo occidentale e il blocco sovietico (in termini di divisioni: 140 unità!) è tale da rendere necessario il massimo sforzo da parte di ogni Paese del NATO ogni stato membro è tenuto ad allestire il maggior contingente di forze consentito dalla sua condizione economica: ed è appunto sulla capacità di compiere tale massimo sforzo che verte la Revisione annuale, costituita da un vero e proprio contraddittorio fra ogni Paese esaminato ed i Paesi esaminatori, affiancati dai Rappresentanti americani dei MAAG nel Paese esaminato e della MSA.

Secondo il progetto di Mendès-France, ai termini del quale il livello minimo delle forze stabilito in sede NATO diverrebbe livello massimo entro la Western Union, tutta la concezione dell’allestimento della difesa occidentale sulla base del massimo sforzo possibile viene sovvertito, così come il sistema dei controlli e la distribuzione degli aiuti americani non avrebbero pimodo di concretarsi.

A questo punto viene quindi fatto di domandarsi se puoggi il mondo occidentale fare a meno di chiedere ad ogni membro dell’Alleanza di fare, nell’interesse collettivo, il massimo sforzo di riarmo. Che cosa è intervenuto di positivo negli ultimi mesi che permetterebbe di considerare diminuito il rischio di aggressione da parte sovietica? Fra il pericolo di nuove aggressioni sovietiche e quello di nuove aggressioni germaniche è lecito ritenere oggi meno grave o meno attuale la minaccia sovietica? A questi interrogativi la Francia – e non solo la Francia – dà ora una risposta diversa da quella di altri Paesi del NATO. Comunque il fatto stesso che interrogativi del genere possano oggi essere posti, mostra quale sia stata l’evoluzione avvenuta, nel giro degli ultimi mesi, in Europa e come *s’impongano*4 un confronto dei rispettivi punti di vista, una chiarificazione delle idee e una revisione della «dottrina» ufficiale della NATO, finora basata su una gerarchia di rischi, all’apice della quale era il pericolo dell’aggressione sovietica.

Per quanto riguarda la posizione dell’Italia nei confronti delle proposte francesi, l’Ambasciatore Quaroni ha suggerito di continuare nell’atteggiamento moderato e comprensivo, tenuto durante la visita di Eden a Roma e di non unirsi alle critiche e a quanto verrà certamente fatto da altri per *respingere* le proposte stesse, dato che cipotrebbe portare, con la caduta del progetto francese, quella di Mendès-France e conseguentemente una grave crisi politica francese e forse dell’Alleanza.

Indipendentemente da tali considerazioni, occorre tuttavia tener presente che il Memorandum Mendès-France contiene punti pericolosi per noi e difficilmente accettabili:

1) L’Italia non ha alcun interesse ad una soluzione che allontani dall’Europa gli Stati Uniti o che riduca la loro diretta partecipazione alla nostra organizzazione difensiva. Come l’Inghilterra non lo permetterà, così neppure noi possiamo prestarci a manovre che portino l’Europa a posizioni terzaforziste e che spingano l’America all’«agonizing reappraisal» minacciato lo scorso anno da Dulles e all’attuazione del piano per una difesa periferica.

Mendès-France, mentre avrebbe assicurato Eden di accettare che le «salvaguardie» relative al riarmo tedesco vengano esercitate in sede NATO, ha invece sostenuto a Strasburgo che tali controlli dovrebbero aver luogo in seno agli organi del Trattato di Bruxelles. Non possiamo comunque accettare di deferire al Trattato di Bruxelles, ove gli Stati Uniti sono assenti e dove saremmo esposti al continuo ricatto francese, i controlli sull’armamento europeo: a meno che non si trovasse il modo di associare gli Stati Uniti al Patto di Bruxelles (sancendo – ad esempio – il diritto di parteciparvi per tutti i Paesi che hanno forze dislocate nei Paesi del Patto).

2) Prescindendo dalla questione delle zone strategicamente esposte, già prevista dalla CED, la suddivisione dell’Europa in zone sottoposte a servitmilitari di ordine decrescente dall’est all’ovest colpirebbe l’Italia nella stessa misura della Germania. La questione punon avere una portata pratica immediata, in quanto l’Italia non sembra attualmente in grado di allestire forze superiori a quelle assegnatele dallo specchio allegato al Trattato di Parigi, ma ha una notevole importanza politica e psicologica, perché annulla praticamente tutto il lavoro faticosamente compiuto dall’Italia in questo dopoguerra sulla via dell’emancipazione dalle clausole del Trattato di Pace, che limitavano il suo armamento. A distanza di dieci anni dalla fine del conflitto essa verrebbe a trovarsi nuovamente assimilato [sic] alla Germania.

3) L’obbligo di ottenere l’autorizzazione del Consiglio della Western Union per l’esportazione delle armi, si trasformerebbe in un privilegio economico o in una forma di pressione anche politica a favore dei Paesi che hanno interessi imperiali (e che quindi non avrebbero limitazioni di armamento) e a danno di Paesi minori; in particolare a danno dell’Italia, per la quale l’esportazione di armi costituisce un notevole cespite d’introiti.

4) La necessità dell’autorizzazione del Consiglio alla creazione di nuove industrie belliche, cristallizza le posizioni attualmente esistenti nei vari Paesi. Occorrerebbe far studiare dagli organi economici se, o con quali limitazioni, tale concetto possa essere accolto.

1 Gabinetto, 1953-1961, b. 23, fasc. 1. 2 Vedi D. 86. 3 Vedi D. 82. 4 Le aggiunte e correzioni manoscritte sono segnalate da asterischi.

100

L’AMBASCIATORE A BRUXELLES, GRAZZI, AL MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI(1)

T. s.n.d. urgentissimo 12080/180-181. Bruxelles, 23 settembre 1954, ore 11,25 (perv. ore 14,30).

Il piano esposto da Mendès è considerato da Spaak come una base di possibili discussioni, dato che il Presidente francese ha finito per ammettere che la Germania entri nel NATO. Spaak prevede tuttavia le seguenti difficoltà:

- - - -

Spaak si è non solo dichiarato d’accordo, ma ha pregato sottoporre a V.E. le seguenti idee:

- - -

Questo potrebbe costituire un progresso verso una pifattiva cooperazione inglese. Il Ministro prega V.E. fargli conoscere le sue idee in proposito(2).

1 DGAP, Uff. IV, Versamento CED, 1950-1954, b. 25, fasc. 91. 2 Per la risposta vedi D. 106.

101

L’AMBASCIATORE A BONN, BABUSCIO RIZZO, AL MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI(1)

T. s.n.d 12112/142-143. Bad Godesberg, 23 settembre 1954, ore 20,45 (perv. ore 8 del 24).

Rispondendo al telegramma di V.E. n. 8991/c.2 riassumo qui di seguito il mio pensiero sulla situazione italiana nella presente contingenza internazionale alla luce degli ultimi sviluppi e delle ultime informazioni.

1) L’allargamento del Patto di Bruxelles appare concepito come una pura alleanza militare. L’Italia non ha percialcun interesse diretto alla nuova organizzazione difensiva avendo già la sua piena copertura nella NATO (si veda il mio rapporto n. 1967 del 9 corrente)3.

2) La nostra adesione all’iniziativa britannica è quindi dovuta, come è stato ampiamente illustrato a Roma ad Eden, da un lato al preminente interesse italiano a collaborare agli sforzi per associare la Germania alla difesa a parità di condizioni e dall’altro all’intento di mantenere vivi i germi del movimento europeo in previsione di futuri sviluppi.

Potrebbe essere questa una nostra pregiudiziale all’adesione.

3) Il piano francese che è stato da noi come dagli altri accettato come base della discussione sembra comportare gravi svantaggi per l’Italia. Infatti, dato ormai per concesso che restano svincolate dal patto le forze armate, e pare ora anche le industrie belliche, destinate a giudizio di ciascun paese ai servizi oltremare, tutto il sistema di restrizioni e di controlli finirebbe praticamente per applicarsi, se non contiamo il Lussemburgo, oltre che alla Germania soltanto a noi e cidopo otto anni dal Trattato di Pace.

4) Non vedo quale interesse potrebbe avere l’Italia ad un allargamento del Patto alla Danimarca e alla Norvegia. Se il Patto è concepito infatti solo come una pura associazione di difesa si arriverebbe sempre di piad un doppione ridotto del Patto Atlantico con la sola grande differenza dell’assenza dell’America, cosa che non mi pare nell’interesse italiano: se concepito invece come punto di partenza di una Europa integrata politicamente, il fatto di diluire in partenza il nucleo di sei, ne rende pidifficile una concreta attuazione e se poi vi si arrivasse ugualmente, significherebbe per noi l’aggiunta nei futuri organi direttivi di due voti non certo a nostra disposizione.

5) Mi rendo perfettamente conto che in questo momento l’Italia non puné deve sollevare obiezioni che potrebbero ulteriormente complicare le difficoltà che nel contrasto franco-tedesco la Conferenza di Londra inevitabilmente incontrerà.

Pernessuno potrebbe rimproverarci non favorire affatto od opporsi ad eccessive limitazioni e controlli che ricadessero anche su di noi. Resta da vedere, ripeto, se il Patto di Bruxelles per sua natura ed i suoi partecipanti non si presti a costituire un embrione per sviluppi politici; nel caso perdi una alternativa tra il Patto di Bruxelles e la NATO sembra a me che convenga mantenere l’atteggiamento assunto in linea di massima rimanendo dalla parte del sistema che assicura a tutti i membri una piena parità di diritti e cioè dalla parte della NATO.

Non avremo nemmeno in ciforse la necessità di prendere una posizione di punta. Vi penseranno verosimilmente gli americani ancora piche i tedeschi. E mi sembra che un nostro atteggiamento su queste basi ci manterrebbe anche per l’avvenire la solidarietà degli Stati Uniti.

1 DGAP, Uff. IV, Versamento CED, 1950-1954, b. 25, fasc. 91. 2 Vedi D. 94. 3 Vedi D. 44.

102

COLLOQUIO DEL MINISTRO DEGLI AFFARI ESTERI, MARTINO, CON L’AMBASCIATORE DEL REGNO UNITO A ROMA, CLARKE (Roma, 23 settembre 1954)1

Appunto segreto(2).

Dopo lo scambio di complimenti d’uso, l’Ambasciatore britannico espone al Ministro quanto gli risulta circa l’imminente Conferenza di Londra. Le accettazioni all’invito per la Conferenza sono ormai tutte giunte o comunque assicurate. Quanto al memorandum francese, esso ha determinato reazioni piuttosto sfavorevoli a Bonn, perché non contiene menzione alcuna della immissione della Germania nel NATO. Dato ci l’Alto Commissario britannico a Bonn, Hoyer Millar, ha ritenuto opportuno di far presente al Cancelliere tedesco, dopo essersi consultato con il proprio Governo, che Mendès-France aveva dato assicurazioni agli inglesi di essere favorevole all’ammissione della Germania al NATO. Da parte olandese si è disposti a considerare il memorandum francese come base di negoziazione per la Conferenza. Così anche da parte belga.

Spaak ha avuto anch’egli assicurazioni da Mendès-France circa le buone disposizioni di quest’ultimo per l’ammissione della Germania al NATO; a Spaak perrisulta che il Premier francese vorrebbe che la maggior parte possibile delle salvaguardie fosse contenuta nel Trattato di Bruxelles modificato. Su tale punto l’Ambasciatore esprime l’avviso che vi sia una certa latitudine di negoziazione.

Alla richiesta di Clarke sulle sue impressioni sulla Conferenza, il Ministro risponde che anche noi consideriamo che il memorandum francese possa costituire una base di discussione. Per parte nostra collaboreremo con gli inglesi perché la Conferenza abbia il successo da tutti auspicato.

Egli non nasconde tuttavia che noi prevediamo si andrà incontro a non poche difficoltà; difficoltà anzitutto sulla partecipazione della Germania al NATO; altre difficoltà circa il trasferimento di funzioni militari dal NATO al nuovo Patto di Bruxelles, trasferimento al quale gli americani saranno probabilmente contrari; difficoltà infine in materia di discriminazioni. È vero che il memorandum francese non prevede formalmente discriminazioni a danno di un particolare Paese in materia di controlli e di limitazioni, giacché si parla soltanto di zone esposte; ma è chiaro che con cisi intende designare la Germania e, noi temiamo un poco, forse anche l’Italia.

L’Ambasciatore risponde subito che, a suo avviso, Mendès-France doveva avere di mira soltanto la Germania quando escogitla formula delle zone esposte. Domanda al Ministro perché noi pensiamo che la cosa possa riferirsi anche a noi.

Il Ministro chiarisce che il dubbio nasce appunto da quali Paesi si intenda di voler considerare come esposti. Comunque, anche se la questione dovesse riguardare soltanto la Germania, potrà questa accettare le limitazioni e controlli richiesti? Conclude auspicando che tutto possa mettersi per il meglio.

Clarke ricorda, in proposito, che nelle conversazioni avute con Eden prima della di lui venuta a Roma, il Cancelliere Adenauer indical Segretario di Stato britannico di esser pronto a fare certe dichiarazioni unilaterali (da non includersi nel trattato) di carattere tale da rassicurare i francesi.

Il Ministro si domanda se i francesi riterranno sufficienti delle dichiarazioni unilaterali dei tedeschi. Anche l’Ambasciatore Clarke appare dubbioso a tale riguardo.

S.E. Martino, dopo essersi dichiarato lieto che la Conferenza di Londra gli fornisca l’occasione di prendere contatto con Eden e con il Foreign Office, conclude sottolineando la necessità che alla conferenza si raggiunga una soddisfacente soluzione; oltre alle sue disastrose ripercussioni in campo internazionale, un fallimento della Conferenza di Londra avrebbe anche serie e gravi conseguenze sulla situazione politica interna in Italia.

Alla domanda del Ministro se il criterio della contemporaneità dell’ammissione della Germania al NATO e del nuovo accordo di Bruxelles possa considerarsi acquisito, l’Ambasciatore Clarke risponde che gli inglesi credono di sì. Riconosce perche cinon emerge né dal testo del memorandum francese né dal discorso pronunziato da Mendès-France a Strasburgo. Comunque, aggiunge Clarke, è proprio considerando che tale criterio fosse acquisito che noi abbiamo indetta definitivamente la Conferenza. Secondo l’Ambasciatore, Beyen ritiene che un certo numero di salvaguardie potrebbero esser incluse nel nuovo accordo di Bruxelles, mentre da parte inglese si guardava a quest’ultimo picome l’aspetto politico di un’organizzazione di cui il NATO rappresenti l’aspetto militare e SHAPE l’organo cui viene affidata l’esecuzione.

L’Ambasciatore ed il Ministro convengono che, pio meno dovunque, sussistono incertezze ed apprensioni sull’atteggiamento di Mendès-France. Clarke tuttavia soggiunge che, secondo gli inglesi, «questa volta egli è davvero intenzionato di assumere la sua piena responsabilità nei riguardi di quanto potrà essere concordato a Londra».

Indubbiamente il Premier francese deve far fronte, in Parlamento, a serie difficoltà. È vero d’altronde che esse sono in buona parte il frutto di una sua colpa, giacché egli non ha spiegato chiaramente in Parlamento – come avrebbe dovuto – che il fallimento della CED non rappresentava affatto l’accantonamento del riarmo tedesco, bensì anzi apriva tale problema in forma anche piacuta eliminando le garanzie insite nello stesso trattato istitutivo della Comunità di Difesa. Va inoltre tenuto presente che oggi Mendès-France trova schierata contro di sé la maggioranza dei parlamentari francesi cedisti, e particolarmente di quelli dell’MRP i quali forse immaginano di potere – rovesciando il Governo attuale – ridar vita in un qualche modo alla CED. Cosa questa, precisa Clarke, che da parte britannica si considera praticamente ormai irrealizzabile («it is no longer a practical proposition»).

Il Ministro, concordando con le osservazioni dell’Ambasciatore sull’atteggiamento del Parlamento francese, rileva che di tali difficoltà occorre tener tutto il debito conto durante i negoziati londinesi.

Clarke annuncia che il Segretario di Stato americano giungerà a Londra la sera di sabato 25 corrente. Ha già informato il Segretario Generale sui colloqui avuti da Eden con Dulles in occasione della visita effettuata da quest’ultimo a Londra.

Alla domanda dell’Ambasciatore se abbiamo altre particolari indicazioni sull’atteggiamento degli Stati Uniti nei riguardi della Conferenza, il Ministro risponde negativamente: non vi è dubbio perche il memorandum francese lascia dubbiosi gli americani.

Clarke concorda e sottolinea come il Governo americano sia quanto mai preoccupato delle reazioni del Congresso, dove si erano nutrite molte illusioni sulla CED.

Il Ministro si dichiara d’accordo ed esprime l’avviso che appunto per questo sia difficile che gli americani accettino che si trasferiscano gli aspetti militari al nuovo accordo di Bruxelles.

Alla richiesta dell’Ambasciatore su quali siano i nostri intendimenti per quanto riguarda la questione di Trieste in seguito alle proposte alternative presentateci da Murphy, S.E. Martino risponde che una delle due soluzioni siamo disposti ad accettarla. Ma riteniamo indispensabile di effettuare ancora un tentativo per conseguire un miglioramento. Infatti, mentre da un lato consideriamo *non facilmente accettabile*3 la alternativa che porta gli jugoslavi troppo vicini a Trieste nella zona costiera (è un miglioramento di soli 200 metri rispetto alle precedenti richieste jugoslave), l’altra alternativa presenta il grave inconveniente di non darci nemmeno un compenso territoriale simbolico in Zona B contro le cessioni territoriali in Zona A a cui dovremo sottostare a beneficio degli jugoslavi. A tale riguardo non bisogna dimenticare che il Ministro Piccioni aveva assicurato il Senato che il Governo non avrebbe mai accettato una soluzione che fosse meno favorevole di quella contemplata nella decisione dell’8 ottobre 19534. All’osservazione, avanzata a questo punto da Clarke che Piccioni non aveva specificato di riferirsi all’aspetto territoriale della questione, il Ministro replica che effettivamente nel previsto accordo vi è anche il regolamento del trattamento delle minoranze, ecc. ma che la questione territoriale rimane in tutta la sua evidenza. Abbiamo pertanto impartito istruzioni all’Ambasciatore Brosio di incontrarsi con Velebit e di fare il possibile per ottenere un qualche emendamento a nostro favore rispetto alle proposte recateci da Murphy; naturalmente perBrosio non dovrà porre alternative di rottura. Ma è bene sottolineare agli jugoslavi che vale la pena essi facciano un piccolo sforzo per venirci incontro, affinché l’accordo possa essere concluso – anche di fronte alla nostra opinione pubblica – su una nota di cordialità anziché sotto l’impressione che dobbiamo sottostare a tutte le pretese di Tito.

Alla domanda dell’Ambasciatore se Brosio avrebbe informato di questo suo passo Harrison e Thompson, il Ministro risponde affermativamente.

Clarke se ne compiace anche perché così si pustare sicuri che non sorgano equivoci all’ultimo momento. Egli sottolinea come la conclusione dell’accordo per Trieste darà molto maggior respiro e libertà all’Italia ed al Governo e – «last but not least» – contribuirà certamente ad un miglioramento delle relazioni italo-britanniche.

Il Ministro concorda con l’avviso espresso dall’Ambasciatore e ringrazia Clarke per i sentimenti amichevoli dimostrati verso di noi nell’assolvimento della sua missione.

1 DGAP, Uff. IV, Versamento CED, 1950-1954, b. 25, fasc. 91.

2 Trasmesso con Appunto segreto 1/3003, pari data, a Zoppi, Del Balzo e Magistrati.

3 Tra asterischi aggiunta manoscritta.

4 Il riferimento è alla Dichiarazione anglo-americana su Trieste dell’8 ottobre 1953, proposta bilaterale, con cui si annunciava l’intenzione di ritirare le truppe anglo-americane dalla Zona A e di trasferire quest’ultima all’amministrazione italiana. Vedi al riguardo DPII, serie A, Il fallimento della CED e della CPE cit., D. 56, nota 3.

103

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI AFFARI ESTERI, ZOPPI, ALL’AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI(1)

L. segreta 21/2375. Roma, 23 settembre 1954.

Caro Ambasciatore,

ho tenuto ad attirare l’attenzione di S.E. il Ministro Martino su quanto hai riferito con il rapporto 13434 dell’11 corrente(2) in merito alla questione della ratifica italiana della CED.

Il Ministro, mentre condivide gli argomenti da te utilizzati nelle conversazioni con codeste autorità circa l’impossibilità di una prosecuzione del processo di ratifica come tale del Trattato CED, conviene sulla necessità di una qualche iniziativa parlamentare che possa costituire quel surrogato politico-psicologico del mancato completamento del processo di ratifica.

Egli mi ha, pertanto, pregato di farti conoscere che nel corso del prossimo dibattito al Parlamento sul bilancio del Ministero degli Affari Esteri, che dovrà concludersi entro la prima quindicina di ottobre, il Governo non mancherà di promuovere l’iniziativa di una mozione o di un ordine del giorno che sia atta a soddisfare all’esigenza politica sopraccennata(3).

Credimi, caro Ambasciatore, con viva cordialità

[Vittorio Zoppi]

1 DGAP, Uff. IV, Versamento CED, 1950-1954, b. 23, fasc. 85. 2 Vedi D. 57. 3 Per la risposta vedi D. 133.

104

L’AMBASCIATORE A BRUXELLES, GRAZZI, AL MINISTRO DEGLI AFFARI ESTERI, MARTINO(1)

R. 3914/1909. Bruxelles, 23 settembre 1954.

Signor Ministro,

ho trovato Spaak, al suo ritorno da Strasburgo, particolarmente depresso. Egli mi ha detto di considerare il piano francese «senza nessun entusiasmo se pure senza allarmismo», e mi ha indicato quelle che, a suo avviso, potrebbero essere le principali obiezioni da parte dei vari Paesi, e che ho riassunto con il mio telegramma n. 180-181 odierno(2). Tuttavia, Spaak non ha accennato alla obiezione principale fra tutte, e cioè che se il piano costituisce, come egli ha anche pubblicamente ripetuto, una base di discussione, cisuppone che una discussione abbia luogo e quindi che delle modifiche e degli alleggerimenti possano venirvi apportati: il che, invece, renderebbe ancora piproblematica l’accettazione da parte del Parlamento francese. Pertanto, alla Conferenza di Londra, si rischia di trovarsi ad un duplicato di quella di Bruxelles ossia ad una posizione ultimativa francese la quale presenti possibilità di accomodamento e di intesa piche scarse.

Ma il vero motivo della depressione di Spaak risiede nella sconfitta o meglio nella nessuna possibilità che l’europeismo ha ormai di affermarsi. Depressione, non soltanto perché il Ministro ha giuocato sulla carta dell’europeismo la propria posizione politica di uomo europeo, ma perché egli, come ormai la maggior parte degli uomini responsabili belgi, ha compreso che sono proprio i Paesi pipiccoli analogamente a quelli pideboli che dall’idea confederativa (non parliamo di quella federativa) avevano o avrebbero tutto da guadagnare.

In oltre due anni di mia permanenza qui, il cambiamento dell’opinione belga a tale riguardo è sintomatico. Due anni or sono scrivevo che nel carrozzone europeista il Belgio avrebbe esercitato pila parte del freno che quella del motore, ma che il carrozzone sarebbe andato avanti lo stesso. Oggi scriverei che il Belgio è invece disposto a trasformarsi in motore. Di fatti, qui si è poco a poco compreso che l’uguaglianza di fatto, oltre che quella di diritto con i Paesi pigrandi è assicurata ai piccoli soltanto se la loro voce, in un consesso di Ministri, ha lo stesso valore di quella dei Rappresentanti delle potenze pigrandi (si ricordi la posizione a Ginevra di un Beneš e di un Titulescu) così come in un qualsiasi Parlamento, e quindi anche in quello europeo, i Rappresentanti di minoranza ottengono da un Governo, assai pise appartengono all’opposizione pio meno potenziale invece che se fanno parte della maggioranza.

Oggi, Spaak vede tali possibilità tramontate. Ecco perché egli avrebbe preferito una quasi-CED a qualsiasi altra soluzione che dovesse sostituire la Comunità di Difesa: ed in fondo egli rimpiange, anche se non me lo ha detto, le primitive idee di Mendès-France, allorché scartando l’entrata della Germania al NATO, il Capo del Governo francese pensava in un primo momento di riportare tutto sull’organismo che avrebbe potuto nascere dal ricostituito Patto di Bruxelles, quasi come una NATO piccola da inserire nella NATO grande.

Se una simile soluzione avesse potuto venire raggiunta, non v’è dubbio (almeno così pare) che essa sarebbe stata preferibile. La Gran Bretagna avrebbe davvero messo le dita nell’ingranaggio, e con il temperamento empirico che le è proprio avrebbe col tempo finito con associarsi sempre piefficacemente alla fortuna od alle sfortune della vecchia Europa.

Malauguratamente, le idee di Mendès-France sono state palesate per ultime al Sig. Eden. Se egli avesse avuto l’accortezza di farle conoscere in anticipo ai partners europei, forse questi avrebbero potuto caldeggiarle presso Eden in luogo di dichiararsi d’accordo subito sul progetto inglese. Almeno un tale atteggiamento sarebbe stato adottato, ne sono certo, dal Benelux, credo dalla Germania, e spero dall’Italia.

Oggi, tutto cinon è pipossibile: ed occorrerà contentarsi – se le cose andranno bene a Londra – che il Trattato di Bruxelles ritorni, o meglio divenga, un organismo diretto a valorizzare quello che rimarrà in piedi della collaborazione europea.

Lasciamo da parte se ed in quanto esso potrà occuparsi dei controlli militari, cioè se ed in quanto, in altre parole il nuovo Trattato di Bruxelles, ammesso che ad un nuovo Trattato si arrivi, avrà funzioni ed importanza militari. Ma ricordiamo che il vecchio Trattato aveva un contenuto o piuttosto una etichetta cooperazionista fra i Paesi firmatari: v’era un lato economico, un altro giuridico e sociale, un altro culturale. Tale contenuto cooperazionista verrebbe esteso, è ovvio, anche ai futuri partners: e sta quindi proprio a loro, e quindi anche a noi, a vegliare perché tale contenuto possa, invece che venir passato agli atti, divenire col tempo, come non è mai accaduto al Trattato originario, una realtà.

Certo vi sono realtà e realtà. Ma non è detto che, visto che di notte non si puavere la luce del sole, si debba rinunciare per partito preso a quella della luna se non addirittura a quella della candela.

In mancanza di federazione – ho spesso scritto – meglio una Confederazione: e durante la Conferenza di Bruxelles mi sono addirittura permesso di sostenere, urtando qualche delegato, esser meglio quasi una CED che uno zero CED. Oggi di fronte al crollare, per colpa britannica, di tante illusioni, riterrei che meglio sia il Patto di Bruxelles che nulla. C’è un proverbio toscano il quale dice che in tempo di carestia si mangia il pan di vecce.

Ora, a fabbricare un tale pane, in quest’epoca di carestia nerissima, il Belgio, e personalmente Spaak, saranno sempre disposti ad aiutare: ed è per segnalare ci alla vigilia della Conferenza di Londra, che ho inviato il presente rapporto.

Voglia gradire signor Ministro gli atti del mio ossequio.

Grazzi

1 DGAP, Uff. I, Serie Affari Politici, 1951-1957, b. 331, fasc. 15-30 settembre 1954. 2 Vedi D. 100.

105

L’AMBASCIATORE AD OTTAWA, BALDONI, AL MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI(1)

Telespr. riservato urgente 2930/8342. Ottawa, 23 settembre 1954.

Oggetto: Riarmo tedesco.

Riferimento: Mio telespresso n. 48/751 del 7 settembre e comunicazioni successive.

1. Ho già segnalato a V.E. le impressioni sostanzialmente ottimistiche di cui mi ha fatto parte questo Sottosegretario per gli Affari Esteri circa la possibilità che, attraverso la Conferenza di Londra prima ed il Consiglio Ministeriale della NATO poi, sia raggiunta una intesa operante nella questione del riarmo tedesco, anche qui considerata vitale. Ho riferito pure come tali impressioni apparissero soprattutto incoraggiate dalle pirecenti notizie qui giunte da Washington.

Ove si tenga presente – mi ha detto oggi Léger – la profonda delusione dell’opinione pubblica americana per il siluramento della CED, l’acuta diffidenza che le è seguita e l’accresciuta pressione che ne deriva per una revisione radicale della posizione degli Stati Uniti nei riguardi non solo della Francia, ma anche dell’Europa, bisogna riconoscere che l’atteggiamento osservato oggi dall’amministrazione repubblicana è, tutto considerato, saggio ed ammirevole per coraggio e determinazione.

C’erano state, è vero, le note mosse un po’ brusche di Dulles e di altri. Ma non era detto che, nel richiamare i francesi «e non soltanto essi» ad una valutazione piesatta degli umori del Congresso e del paese, anche costoro non avessero fatto sostanzialmente opera costruttiva di chiarificazione.

Evidentemente le idee che Pearson si accinge ad esporre doman l’altro a Eden hanno trovato adesso apprezzabile rispondenza in Dulles: ed è attenuata la piviva preoccupazione dei canadesi, che è quella che gli americani possano orientarsi davvero verso un abbandono della cosiddetta strategia avanzata e cioè, praticamente, verso un indebolimento della NATO, che è oggi – per tutte le ragioni note – il principale pilastro della politica estera di questo Paese.

2. Il Vice Sottosegretario, che ho visto successivamente, ha tenuto a rilevare con compiacimento come, alla vigilia della Conferenza a nove, la posizione italiana – che ho illustrata anche a lui – fosse tanto vicina a quella canadese: forse – mi ha detto – la pivicina di tutte.

Anche altri ed in particolare gli olandesi – ha aggiunto Chapdelaine – condividevano le nostre comuni direttive fondamentali: ma questi ultimi continuavano pure a porre, a parer suo, un esagerato o quanto meno intempestivo accento sugli aspetti economici dell’unità europea.

I canadesi pensavano come noi che dovesse essere accuratamente evitato ora tutto quello che poteva pregiudicare questi ed altri sviluppi unitari. Ma ritenevano anche che non fosse né conveniente, né possibile, affrontare tutte le questioni in una volta sola.

Nella grave ora attuale – egli ha concluso – questo Governo riteneva evidente che convenisse dare la precedenza ai problemi piurgenti.

1 DGAP, Uff. IV, Versamento CED, 1950-1954, b. 25, fasc. 91. 2 Sottoscrizione autografa.

106

IL MINISTRO DEGLI AFFARI ESTERI, MARTINO, ALL’AMBASCIATA A BRUXELLES(1)

T. s.n.d. 9062/117. Roma, 24 settembre 1954, ore 22,30.

Suo 1802.

Nostro punto di vista risulta da telegramma di questo Ministero n. 8991/c.3 e da telespressi n. 21/2353 del 22 settembre e n. 21/2370 del 23 u.s. Esso pucosì riassumersi:

1) Siamo d’accordo che progetto francese possa costituire – entro certi limiti – base per inizio discussione e ricerca accordo;

2) siamo favorevoli a che entrata Germania Patto Bruxelles e NATO siano simultanee;

3) siamo favorevoli a che nell’ambito Trattato Bruxelles siano assunte e scambiate garanzie atte soddisfare preoccupazioni francesi;

4) preferiamo che questioni di carattere militare (seconda parte punto 4 Suo telegramma), anche se in applicazione principi stabiliti nel quadro Bruxelles, siano riservate a competenza NATO. Interessi nostri e del Benelux sarebbero infatti meglio tutelati in un foro piampio e nel quale americani siano presenti;

5) punti 1 e 2 idee Spaak saranno da esaminarsi in relazione competenze che verranno riconosciute a organismo Bruxelles;

6) d’accordo in massima su punto 3 proposte Spaak.

1 DGAP, Uff. IV, Versamento CED, 1950-1954, b. 25, fasc. 91. 2 Vedi D. 100 3 Vedi D. 94.

107

L’AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI, AL MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI(1)

T. s.n.d. 12116/542. Washington, 24 settembre 1954, ore 9,51 (perv. ore 11,45).

Il Dipartimento ha ripetuto che le direttive fondamentali della politica americana mirano ad ottenere nel pibreve limite di tempo il ripristino della sovranità della Germania, l’ammissione alla NATO ed il riarmo.

A seguito degli intensi contatti di questi giorni con Londra e Parigi si è deciso, pur senza abbandonare le riserve precedentemente segnalate, di discutere a Londra con intendimenti conciliativi le proposte francesi, cercando di avvicinarle quanto pipossibile al piano originario britannico. Quest’ultimo appare come il tentativo pimeritevole di appoggio sia per i criteri realisti cui è ispirato sia per aver già ottenuto l’adesione dei vari Governi interessati.

Il Dipartimento ritiene inoltre che i due progetti vanno comunque integrati e si riserva di prendere le proprie iniziative se l’atteggiamento degli altri Governi e lo svolgimento della Conferenza di Londra lo consiglieranno.

Non si prevede qui che la Conferenza possa giungere a soluzioni complete; si spera perche, pur lasciando agli esperti le questioni di dettaglio, essa possa concordare formule chiare ed inequivoche la cui successiva applicazione non debba suscitare ulteriori contestazioni e ritardi.

In questo senso il Dipartimento ritiene debba mettersi alla prova l’atteggiamento dell’attuale Governo francese.

Circa «Timing» il Governo americano accetterebbe l’impegno di Mendès-France di sottoporre eventuali intese all’approvazione del Parlamento francese circa trenta giorni dopo la chiusura dei lavori del Consiglio Atlantico.

Convenuto con Dipartimento ulteriori nostri contatti su punti dettaglio.

DGAP, Uff. IV, Versamento CED, 1950-1954, b. 25, fasc. 91.

108

L’AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI, AL MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI(1)

T. s.n.d. 12166/544. Washington, 24 settembre 1954, ore 19,43 (perv. ore 7 del 25).

Mio 5422.

Nella riunione del Dipartimento presieduta da Dulles è stato deciso quanto segue:

la delegazione americana non presenterà per ora alcuna sua proposta. Parteciperà perattivamente all’esame delle proposte inglesi e francesi cui si aggiungono ora quelle tedesche.

Circa il memorandum francese osservatosi:

1) l’assenza di ogni accenno all’ammissione della Germania alla NATO che è invece considerata indispensabile dagli americani;

2) le formule circa i controlli e le limitazioni della produzione bellica tedesca devono essere rielaborate eliminando ogni apparenza di imposizione e discriminazione;

3) il meccanismo militare cui darebbesi vita entro il quadro del Patto di Bruxelles deve essere armonizzato con gli organi della NATO, in modo da assicurare l’unità di direttive militari.

Shape dovrà essere consultato nel corso della Conferenza di Londra.

Qualunque sia la soluzione che verrà concordata a Londra, il meccanismo degli aiuti e delle garanzie americane previsti in connessione alla CED dovranno essere riadattati alla nuova situazione e riesaminati dal Congresso. Questo ratificherà solo dopo l’approvazione del Parlamento francese.

Gli americani stimano urgente concretare le intese con i tedeschi circa il ripristino della sovranità.

1 DGAP, Uff. IV, Versamento CED, 1950-1954, b. 25, fasc. 91. 2 Vedi D. 107.

109

COLLOQUIO DEL MINISTRO DEGLI AFFARI ESTERI, MARTINO, CON L’AMBASCIATORE DELLA REPUBBLICA FEDERALE DI GERMANIA A ROMA, VON BRENTANO (Roma, 24 settembre 1954, ore 11,30)1

Appunto(2).

L’Ambasciatore dichiara che teneva in particolar modo a prendere contatto con il Ministro prima della sua partenza per la Conferenza di Londra. Circa la Conferenza è lieto di far presente che, in base ad informazioni pervenutegli da Bonn, egli è assai piottimista che per il passato. Infatti un funzionario del Quai d’Orsay, e precisamente il Direttore Generale degli Affari Politici (che egli considera persona quanto mai seria e responsabile) ha fornito al Rappresentante tedesco a Parigi delucidazioni circa il memorandum francese. Margerie ha assicurato che Mendès-France ha in animo di patrocinare l’ammissione della Germania al NATO, oltre alla sua inclusione nel nuovo Patto di Bruxelles, e spera di ottenere al riguardo l’approvazione del Parlamento francese.

Il Ministro risponde che anche da parte nostra avevamo avuto indicazioni nel medesimo senso. Noi avevamo lamentato con i francesi che il loro memorandum non menzionasse l’ammissione della Germania nel Patto Atlantico ed avevamo avuto da loro assicurazioni che tale ammissione era invece da loro contemplata; così come avevamo pure avuto assicurazione sul criterio della contemporaneità del nuovo Patto di Bruxelles e dell’inclusione della Germania nel NATO.

Von Brentano precisa che le cautele che la Francia desidera di prendere, quali risultano dai chiarimenti forniti da Margerie sono a suo avviso ragionevoli. Si tratta cioè di demandare al Comando Supremo Atlantico la fissazione del numero massimo delle forze; quanto all’inquadramento delle divisioni, esso dovrà aver luogo indiscriminatamente per tutti i Paesi ad eccezione delle forze destinate oltre mare. Sempre secondo Margerie, Mendès-France è disposto a giuocare su tutto cila sorte del suo Governo ponendo la questione di fiducia dinanzi al Parlamento. E questo, conclude l’Ambasciatore, rappresenta un innegabile progresso.

Von Brentano aggiunge che, del resto, egli è stato sempre piottimista, nei confronti di Mendès-France, di quanto lo fosse il Cancelliere Adenauer. Ricorda che il 20 giugno scorso, trovandosi presso suo fratello in Germania insieme al Cancelliere, egli trovquest’ultimo molto montato contro il Premier francese; e si adoperper calmarlo. Non vi è dubbio comunque che Mendès-France è non soltanto una persona molto intelligente, ma anche un Presidente del Consiglio che gode di larga popolarità nel suo Paese. Secondo informazioni pervenute a Bonn le ovazioni con cui il Premier francese è stato accolto nei giorni scorsi a Strasburgo sarebbero state veramente eccezionali e spontanee.

Il Ministro si augura, per parte sua, che le cose vadano bene. Quando nel corso di un viaggio in Germania aveva incontrato il Cancelliere, in un momento in cui ormai il voto negativo francese sulla CED si dava già come scontato, anche egli aveva rilevato questo pessimismo di Adenauer nei riguardi di Mendès-France. Quanto a noi, è nostro vivo desiderio di agevolare il non facile compito del Cancelliere e di facilitare l’ingresso della Germania nel sistema delle Nazioni occidentali.

L’Ambasciatore rileva che vi era un grande pericolo – di cui molti forse non si sono resi conto – che Adenauer si trovasse forzato a dimettersi e la Germania occidentale finisse a scivolare verso la Russia.

Il Ministro ricorda, a tale proposito, come il Cancelliere gli avesse appunto accennato all’esistenza di molti ex-generali «poco ragionevoli». Al che l’Ambasciatore replica che non si tratta solo di ex-militari ma anche di grandi industriali ed altri e ricorda l’opera svolta in tal senso dall’ex-Cancelliere Bring.

S.E. Martino sottolinea come sia interesse dell’Occidente di rafforzare la posizione di Adenauer; ed esprime l’augurio che Mendès-France si renda pienamente conto, oltre che delle difficoltà proprie, anche di quelle altrui. Egli domanda all’Ambasciatore come si considerino da parte tedesca, i controlli e le limitazioni previsti nel memorandum francese.

Von Brentano risponde che, a suo avviso, il Cancelliere è disposto a fare delle concessioni in questo campo.

Precisando che desidera essere molto franco in argomento, egli non nasconde di essere perfettamente d’accordo sulla necessità di un certo controllo e di considerare pericoloso di lasciare la mano libera ai militari tedeschi. Von Brentano afferma di ritenere, anzi di sapere, che Adenauer la pensa come lui in proposito; e che tale avviso è condiviso dalla maggioranza dei tedeschi, anche se poche sono le persone che hanno il coraggio di formularlo apertamente.

Il Ministro rileva come sia particolarmente importante di escogitare una formula che non dia l’impressione che vengano adottati criteri di discriminazione nei confronti della Germania.

Von Brentano osserva che la formula indicata da Margerie, secondo cui il numero massimo delle forze sarebbe fissato da SHAPE, sembra rispondere a tale criterio. Egli critica apertamente quei tedeschi – e non sono pochi – che definiscono Mendès-France «uno sporco ebreo». Il Premier francese è una persona rispettabile, è stato aviatore in guerra, è stato membro attivo della resistenza. Ed i tedeschi sono gli ultimi che possono parlare di ebrei; anzi debbono tener conto come, per un ebreo, l’essere semplicemente cortese nei riguardi della Germania sia cosa già molto dura e difficile.

Il Ministro si dichiara d’accordo; occorre evitare i pregiudizi razziali e tener presente che vi sono elementi buoni ed elementi cattivi sia tra gli ebrei che tra gli ariani.

L’Ambasciatore sottolinea come il pericolo sovietico sia assai pigrave, in realtà, di quanto l’opinione pubblica europea – che ama cullarsi nelle illusioni – non voglia credere. Concorda quindi pienamente con il Ministro nel ritenere che occorre fare ogni sforzo perché nella Conferenza di Londra si giunga ad un accordo.

E condivide anch’egli l’avviso di S.E. Martino che, da un lato, deve trattarsi di un accordo accettabile per il Parlamento francese; e dall’altro lato un fallimento della Conferenza rappresenterebbe un pericolosissimo passo indietro rispetto alla già difficile situazione attuale.

Secondo Von Brentano, il Premier francese aveva tutte le ragioni di non volere la CED se questa doveva passare in Parlamento con una maggioranza irrisoria; era una cosa troppo basilare e rivoluzionaria al tempo stesso, per ottenere una approvazione così misera.

Adenauer, a suo avviso, conserva ancora un certo ottimismo, tanto piche è un ottimista di natura. Sarebbe perquanto mai utile se il Ministro si adoperasse per influenzarlo un poco in senso favorevole a Mendès-France. Sono sicuro, prosegue Von Brentano, che egli Vi ascolterà: l’Italia è un Paese nel quale abbiamo la massima fiducia, è il nostro migliore amico anche se punon essere opportuno di strombazzarlo ai quattro venti.

Il Ministro sottolinea in proposito l’importanza dei vincoli culturali che uniscono da secoli i nostri due Paesi.

L’Ambasciatore rileva a sua volta come l’interesse e la simpatia dei tedeschi nei riguardi dell’Italia siano quotidianamente dimostrati dal larghissimo afflusso di turisti tedeschi di ogni categoria sociale nel nostro Paese. È questo non soltanto un sintomo in sé, ma anche una garanzia di una sempre maggiore reciproca conoscenza.

1 DGAP, Uff. IV, Versamento CED, 1950-1954, b. 25, fasc. 91.

2 Il documento reca il timbro: «visto dal Ministro» e fu trasmesso con Appunto segreto I/3004, pari data, da Milesi Ferretti a Zoppi, Del Balzo e Magistrati.

110

LA DIREZIONE GENERALE DEGLI AFFARI POLITICI(1)

Appunto riservato. Roma, 24 settembre 1954.

L’Ambasciatore d’Olanda, nel consegnare in via strettamente confidenziale a questo Ministero un appunto contenente osservazioni del suo Governo sull’ultimo Memorandum di Mendès-France e un altro concernente talune idee olandesi sul contributo tedesco alla difesa occidentale, ha fornito le seguenti informazioni:

1) Un telegramma di Stikker, a seguito di una sua conversazione con l’Ambasciatore Brosio, afferma che quest’ultimo si sarebbe espresso in senso favorevole alla ammissione di un osservatore americano nella Commissione che dovrebbe studiare le modifiche da apportarsi al Patto di Bruxelles, sempreché tuttavia sia messo bene in chiaro che tale partecipazione americana sia limitata ai lavori di Londra.

L’Ambasciatore Brosio avrebbe altresì detto che Palazzo Chigi non muove obiezioni alla proposta di inclusione dell’Italia nel Patto di Bruxelles conscio di portare così un notevole contributo alla soluzione del problema tedesco. Tale soluzione non è tuttavia attraente in quanto lascia intravedere il pericolo che le limitazioni agli armamenti verrebbero a gravare anche sull’Italia. Se poi l’Italia e la Germania fossero le uniche discriminate cicreerebbe senza dubbio una grave difficoltà.

Gli Inglesi sarebbero pronti ad accettare, se gli altri non fanno obiezioni, l’idea di Mendès-France relativa al pool degli armamenti, pur dichiarando che detto progetto non li soddisfa completamente.

Da parte sua Stikker avrebbe detto a Brosio che l’Olanda è estremamente riluttante a ripresentare il Patto di Bruxelles al proprio Parlamento per una nuova ratifica. Si sta studiando se è possibile di fare a meno della ratifica nel caso di accessione della Germania e dell’Italia al Patto, ma la ratifica si renderebbe assolutamente indispensabile qualora si modificasse qualche articolo del Trattato stesso. Ed è questa una seria difficoltà.

Stikker avrebbe infine detto constargli che gli Americani non sono entusiasti della attuale organizzazione interna del Patto di Bruxelles (Consiglio dei Ministri e Comitato Permanente).

2) In un colloquio con l’Ambasciatore Starkenborgh, Rappresentante permanente olandese al Consiglio Atlantico, l’Ambasciatore Bruce avrebbe dichiarato che l’America è assolutamente contraria a che si distribuiscano aiuti ed end-items per il tramite degli organi del Patto di Bruxelles. 3) In una conversazione recentemente avuta con l’Ambasciatore olandese a Washington, Bedell-Smith si sarebbe mostrato di pessimo umore ed irritato per il discorso di Mendès-France a Strasburgo2, pronunciato nonostante il contrario avviso di Eden. Bedell-Smith avrebbe dichiarato che gli obiettivi politici di Mendès-France destano vive preoccupazioni al Dipartimento di Stato, anche perché il Primo Ministro francese si lascerebbe influenzare da cattivi consiglieri. Costoro gli suggeriscono di portare in lungo la discussione sul riarmo della Germania, almeno fino alle elezioni americane, nella speranza di una vittoria democratica. Bedell-Smith avrebbe espresso l’avviso che in queste condizioni sarebbe forse meglio lasciare che la Francia voti contro l’ammissione della Germania al NATO per poter poi procedere senza di essa ad un riarmo della Germania mediante accordi bilaterali con l’America. «La Francia – avrebbe detto il Sottosegretario di Stato americano – non è del tutto indispensabile». Tutto lascia prevedere – concludeva l’Ambasciatore Boon – che l’America assumerà a Londra un atteggiamento molto fermo nei riguardi della Francia. Concilianti invece saranno presumibilmente gli Inglesi.

Allegato I

Appunto.

COMMENTAIRE NÉERLANDAIS AU MÉMOIRE FRANÇAIS DU 19 SEPTEMBRE

Du cé néerlandais on est en ligne générale d’accord avec les cinq principes fondamentaux, ainsi qu’avec le contenu du paragraphe I concernant la transformation du Traité de Bruxelles et avec le paragraphe IV ayant trait aux rapports entre les organes du Traité de Bruxelles modifié et les services de l’OTAN. Le Gouvernement néerlandais n’a a priori pas d’objection à l’égard du paragraphe II.

Le régime concernant les armements du par. III rencontre des objections très sérieuses decé néerlandais. À la rigueur on pourrait encore envisager un arrangement en ce qui concerne les armes visées à l’annexe II de l’article 107 du Traité CED, (paragraphe III du mémorandum français) obligeant l’Allemagne à ne point entreprendre la fabrication de certaines armes (bombes atomiques, avions et armes biochimiques): pareille obligation pourrait être conçue dans la forme de l’article du Traité, tenant également compte de la nécessité d’un contre. Selon l’opinion du Gouvernement il semble douteux si l’annexe dans sa forme est acceptable pour l’Allemagne.

L’arrangement, proposé dans les mémoires français pour tout autre forme d’armement, va encore au-delà des clauses du Traité de la CED parce que les propositions françaises visent à un programme de production compréhensif: d’autre part le programme sera réalisé sans la structure et les organes de la CED. Le Traité de la CED contenait – malgré la complication de ses règles – un nombre d’éléments qui font défaut dans le projet français actuel:

- - -

D’après les propositions françaises le Conseil des Ministres obtient des pouvoirs quasi supranationaux dans le domaine de l’armement sans avoir la responsabilité de l’équipement des troupes, de la distribution des fonds disponibles et de l’accomplissement des obligations militaire vis à vis du NATO.

« Malgré la participation formelle anglaise la Grande Bretagne reste en dehors de ce système du fait que les interdictions de production seront limitées au continent européen.

Les Français aussi restent à l’écart du système pour ce qui concerne les productions en dehors de la France territoriale.

Il est à prévoir que le système proposé comporterait des négociations longues et difficiles.

Le système du paragraphe III de l’aide-mémoire français est inspiré d’un cé par une crainte compréhensible de l’apparat producteur allemand tandis qu’il vise d’autre part nettement à une position privilégiée de l’industrie française.

Le Gouvernement néerlandais est d’avis que – pour tâcher d’éliminer la crainte des Français – on pourrait prendre en considération un système obligeant un nombre restreint de pays NATO à fournir des renseignements sur leurs productions d’armement dans le cadre de l’«Annual Review» de l’OTAN.

Comme l’OTAN dispose des informations au sujet du nombre et de la composition des forces armées contribuées par les différents membres, l’on pourrait contrer par là si les productions d’armement de certains pays sont excessives. On pourrait établir une discussion de ces renseignements dans le cadre d’un groupe limité de pays dans une sorte d’«Annual Review» préliminaire. Les contres indispensables pourraient être effectués par les Missions SHAPE dans le domaine strictement militaire et par la direction logistique du Secrétariat de l’OTAN dans le domaine de la production.

L’Aide-Mémoire français suggère au paragraphe IV déjà le concours des services de l’OTAN pour les contres et les inspections nécessaires.

Allegato II

Appunto.

IDÉES NÉERLANDAISES CONCERNANT UNE CONTRIBUTION ALLEMANDE À LA DÉFENSE OCCIDENTALE

I. L’admission de l’Allemagne au système de la défense occidentale devrait être conditionnée par certaines garanties, à savoir :

a) des garanties en forme de certaines restrictions imposées à l’Allemagne,

- - - - - - - -

Les deux derniers buts pourraient être atteints soit en liant l’Allemagne par une convention internationale, soit en faisant adopter par le Conseil de l’OTAN (avant l’admission de l’Allemagne) une résolution délimitant les régions, oen considération de la vulnérabilité stratégique, la production de certains types d’armement et l’emmagasinage de stocks de réserve importants ne soit pas permis.

IV. Les garanties mentionnées ci-dessus sous I b, visant une assimilation étroite des forces allemandes dans l’Organisation de la Défense Occidentale, pourraient être conçues ainsi:

- - - - - - -

L’«Annual Review» et les attributions des commandants opérationnels n’ont pas englobées jusqu’à présent les forces territoriales et devraient donc être étendues à ces forces armées de six des sept pays du Traité de Bruxelles (l’Angleterre n’aura pas des forces territoriales dans la zone continentale).

VI. Les mesures indiquées sous V permettraient d’obtenir par le jeu de l’«Annual Review» des renseignements et de faire des recommandations relatives à

- - -

Ces dispositions permettront en outre aux commandants opérationnels de contrer l’exécution des recommandations militaires découlant de l’«Annual Review».

1 DGAP, Uff. I, Serie Affari Politici, 1951-1957, b. 331, fasc. Conferenza a 9 per questioni europee dopo il fallimento della CED a Brusselle, dal 1° ottobre in poi.

2 Si tratta del discorso pronunciato da Mendès France nella seduta del 20 settembre dell’Assemblea Consultiva del Consiglio d’Europa. Vedi ISPI, Annuario di Politica Internazionale, 1954, p. 315.

111

L’AMBASCIATA DEL REGNO UNITO A ROMA(1)

Memorandum segreto.

GERMAN ASSOCIATION WITH THE WEST AND GERMAN DEFENSE CONTRIBUTION

During his recent tour of European capitals, Mr. Eden proposed a solution under three headings: the termination of the occupation regime, the accession of the Federal German Republic and Italy into the Brussels Treaty, and German membership of NATO with accompanying arrangements of a non-discriminatory character designed to increase the efficiency of western defense and to determine the character and size of the German defense contribution.

2.[sic] These arrangements might cover the following subjects:

- - -

ii) integrated as far as military efficiency requires,

iii) inspected by Saceur, this inspection to cover the levels and effectiveness by forces, their armaments, logistics and reserve formations.

- - - - - - -

a) not duplicating the NATO machinery or command structure, and

b) ensuring, accordingly, that any arrangements agreed between the members of the enlarged Brussels Treaty Organization shall operate within the NATO framework and be carried out by NATO machinery.

1 Gabinetto, 1953-1961, b. 23, fasc. 3. 2 Vedi D. 82.

112

L’AMBASCIATORE A BONN, BABUSCIO RIZZO, AL MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI(1)

Telespr. urgente 13840/2029. Bonn, 24 settembre 1954.

Oggetto: Conferenza di Londra. Atteggiamento tedesco.

Con Telegramma n. 144 di ieri(2) ho trasmesso a codesto Ministero il testo del Memorandum che il Governo federale ha fatto ieri stesso pervenire ai Governi dei Paesi partecipanti alla Conferenza di Londra.

Al Memorandum non è stata sinora data qui pubblicità:

tuttavia i principi base in esso contenuti sono ripetuti nei chiarimenti ufficiosi apparsi in questi giorni negli organi governativi. In particolare il Bollettino dell’Ufficio Stampa federale in data odierna riassume nelle seguenti linee la posizione tedesca:

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Quanto sopra rappresenta il pensiero del Governo Federale su quella che potrà essere da parte sua la condotta delle conversazioni di Londra. Negli ambienti governativi si manifesta oggi un certo ottimismo; occorre vedere se esso sia veramente sentito o se non costituisca un atteggiamento esteriore destinato a facilitare l’incontro con la delegazione francese a Londra.

Non altrettanto evidentemente pudirsi sull’atteggiamento dell’opposizione socialdemocratica la quale sta in questo momento valorizzando se pure entro determinati limiti costituiti dalla solidarietà nazionalistica dei tedeschi in un momento così delicato per la storia del loro paese, le atouts che le sono venute dal rigetto della CED.

Ritengo che se un apprezzamento puemettersi su quello che sarà l’atteggiamento della delegazione tedesca a Londra, pudirsi senz’altro che esso sarà condizionato da due limiti: uno di sostanza, rappresentato dall’ampiezza dei risultati che in materia di concessione di sovranità, riarmo privo di ogni discriminazione, e, in una parola, posizione di parità della Germania rispetto agli altri Paesi, esso potrà ottenere; uno di tempo, in quanto è indubbio che il Governo di Adenauer, che ha subito una scossa non indifferente dagli ultimi avvenimenti, ha bisogno di poter annoverare al pipresto qualche successo al suo attivo per poter controbattere l’azione che l’opposizione oggi pusvolgere con dovizia di argomenti.

1 DGAP, Uff. IV, Versamento CED, 1950-1954, b. 25, fasc. 91.

2 T. s.n.d. 12125/144-145 (in realtà dello stesso 24 settembre), con il quale Babuscio Rizzo comunicava la decisione del Governo Federale di inviare un proprio memorandum in vista della Conferenza di Londra e ne trasmetteva in traduzione il testo integrale, con preghiera di farlo pervenire al Governo italiano.

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L’AMBASCIATORE A LONDRA, BROSIO, AL MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI(1)

Telespr. riservato 4053/2055. Londra, 24 settembre 1954.

Oggetto: Conferenza di Londra, Progetto Mendès- France. Discriminazioni.

Riferimento: Telespresso di questa Ambasciata n. 4020/2047 del 21 settembre(2).

A seguito del mio rapporto in riferimento, ritengo utile prospettare alcuni ulteriori interrogativi che emergono dall’esame del progetto di Mendès-France e la cui risposta è necessariamente destinata ad influire sul nostro atteggiamento alla conferenza di Londra.

Non vi è dubbio che l’aspetto pidelicato dell’intero progetto francese risiede nel carattere discriminatorio che lo impronta. Fermo restando il concetto – espresso nel rapporto citato – del nostro interesse politico a fornire la massima cooperazione per un risultato positivo della conferenza, e della possibilità che una conciliazione dei principali interessi in contrasto offra soluzioni accettabili anche per noi, occorre esaminare quale debba essere il nostro atteggiamento nei confronti delle discriminazioni che si vorrebbero imporre.

La questione mi sembra vada esaminata sotto due angoli visuali: quello tattico-politico e quello tecnico.

Rispetto al primo, è da domandarsi come dovremmo regolarci di fronte al contrasto che si potrà manifestare al tavolo della conferenza. Se la Francia dovesse trovarsi sola a sostenere le proprie posizioni è ovvio che non possiamo né schierarci al suo fianco né assumere una posizione di mediatori.

L’eventualità piprobabile è perquella che la Francia non rimanga isolata ma abbia un certo grado di appoggio da parte della Gran Bretagna (il progetto Mendès-France, nelle sue successive interpretazioni lascia infatti chiaramente intendere che Londra è chiamata a partecipare al sistema a nove in una posizione di privilegio e comunque senza alcun sacrificio delle pregiudiziali da essa poste per la partecipazione ad un sistema politico-militare europeo); e che, d’altra parte, l’atteggiamento di resistenza della Germania venga puntellato da un certo grado di appoggio da parte degli Stati Uniti.

È con l’eventuale formarsi di questi due gruppi (che noi dovremmo fare ogni sforzo per evitare) che si pone quindi per noi un problema di scelta, di fronte al quale, mi sembra, il nostro interesse politico e pratico dovrebbe indurci a seguire il binomio Germania-Stati Uniti.

Pudarsi, d’altra parte, che la Germania si dichiari disposta ad accettare talune discriminazioni a condizione perche esse vengano assunte anche da altri paesi e forse specialmente dall’Italia. In tale eventualità la nostra posizione è certamente molto pidelicata. Noi avremmo ogni diritto di invocare una posizione diversa da quella tedesca perché siamo già nel NATO in situazione di piena parità e sarebbe quindi singolare che, a cinque anni dalla sua costituzione, noi dobbiamo accollarci delle servitche non avevamo al momento in cui sottoscrivemmo il Patto Atlantico.

Di fronte a questa considerazione di principio dobbiamo pertenere anche conto di una situazione di fatto. Se la Germania accetta di assumere delle limitazioni a condizione che le assumano anche altri, è molto probabile che essa lo faccia dietro pressione statunitense: ed è egualmente probabile che le medesime pressioni vengano esercitate anche nei nostri confronti. Dovremmo a questo punto valutare se ci convenga seguire gli interessati consigli dei nostri amici, oppure quali sarebbero le conseguenze e le possibilità per noi di restare nel NATO senza perentrare nel Patto di Bruxelles e silurare quest’ultimo.

Ho voluto accennare a questa ipotesi per tener conto di ogni eventualità, anche se mi sembra si tratti di un caso limite e piuttosto teorico.

L’ipotesi piprobabile resta secondo me quella che una scelta si renda necessaria tra una posizione francese, sostenuta dalla Gran Bretagna, ed una posizione tedesca, appoggiata dagli Stati Uniti. Ma anche questo, ripeto, implicherebbe un fallimento della conferenza che noi abbiamo tutto l’interesse di evitare al costo di fare alcuni ragionevoli ed accettabili sacrifici.

Consideriamo adesso la questione sotto l’aspetto tecnico. Si tratta di stabilire quali misure di discriminazione saremmo eventualmente disposti ad accettare, ovverosia quale prezzo saremmo indotti a pagare perché si realizzi il Patto a Nove.

Le ipotesi che si possono fare sono le seguenti:

1) Gran Bretagna. Consideriamo accettabile la posizione britannica di controllore e di non controllata? Per quanto giuridicamente illogica non mi sembra che politicamente potremmo svolgere una efficace opposizione.

2) Forze armate. Poiché si tratta di trasferire al Patto di Bruxelles i vincoli che noi avremmo assunto nella CED non vi dovrebbe essere per noi difficoltà ad avallare le proposte francesi. Mi riferisco in proposito alle considerazioni già svolte nel mio rapporto in riferimento.

3) Armamenti. Il problema sorge invece per le limitazioni in fatto di armamenti le quali rappresentano una servitassai grave, oltre che sotto l’aspetto politico, dal punto di vista militare, dal punto di vista finanziario (aiuti americani), dal punto di vista economico generale (produzione industriale italiana), tenuto conto non soltanto della nostra situazione attuale ma anche delle possibilità future.

In relazione a tali limitazioni si presentano i seguenti interrogativi:

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In conclusione, anche per noi la grossa difficoltà sta, dunque, nella questionedegli armamenti. È sperabile e probabile che non si pongano per noi problemi troppo rigidi di scelta. Ma l’avere in vista anche le estreme conseguenze credo possa essere utile a regolare la nostra azione, anche se l’andamento della conferenza sarà, come si spera, normale e costruttiva.

1 DGAP, Uff. I, Serie Affari Politici, 1951-1957, b. 331, fasc. 15-30 settembre 1954. 2 Si tratta in realtà di un rapporto. Vedi D. 93.

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IL CAPO DELL’UFFICIO STAMPA, GIUSTINIANI, AD AMBASCIATE E LEGAZIONI(1)

T. 9136/c.2. Roma, 25 settembre 1954, ore 22.

Oggetto: Discorso Presidente Scelba.

Trascrivesi stralcio discorso odierno Presidente Scelba al Senato3:

«Scopo fondamentale politica estera italiana rimane pace partecipazione attiva difesa mondo libero attraverso solidarietà nazioni occidentali, soluzione negoziata dei problemi lasciati aperti dalla guerra e da trattati di pace e, nel quadro della solidarietà internazionale, la pivigile tutela interessi nazionali.

Mancata ratifica CED da parte francese ha lasciato insoluti problemi che con essa intendevasi risolvere. Trattasi quindi trovare nuovi strumenti (omissis) CED rafforzava speranza popoli (omissis) percirimaniamo fedeli suoi principi informatori. A Bruxelles Italia ha avuto modo riaffermare criteri ispiratori propria politica:

1) a dieci anni da fine guerra distinzione fra vincitori e vinti non puregolare rapporti tra nazioni. Per tutte nazioni va riaffermato principio parità diritti;

2) Rafforzamento dell’Occidente attraverso solidarietà militare politica economica est imposto da squilibrio forze nei confronti blocco sovietico e costituisce elemento mantenimento pace. Miraggio rapide conquiste puinfatti rappresentare facile tentazione.

3) Partecipazione Germania a difesa occidente appare indispensabile e percinon puessere respinta dilazionata anche se tale partecipazione deve avvenire con necessaria garanzia perché non risolvasi pregiudizievole per pace o possa compromettere buone relazioni tra Francia e Germania, condizione essenziale per solidità Occidente.

4) Una piimpegnativa presenza Inghilterra nel continente essendo ritenuta elemento decisivo per fugare legittime preoccupazioni non puche essere auspicata da quanti sono interessati rafforzamento mondo libero.

5) Amicizia con USA stretti a noi da tanti vincoli e che tanto hanno contribuito nostra ricostruzione rimane cardine fondamentale politica italiana. Nel rafforzamento tale amicizia vediamo importante fattore per ulteriore progresso economico sociale nostro Paese anzi il piimportante fra fattori internazionali almeno sinché principi pivasta e attiva solidarietà Europa cui CED schiudeva cammino saranno diventati realtà».

1 DGAP, Uff. IV, Versamento CED, 1950-1954, b. 25, fasc. 91.

2 Indirizzato alle Ambasciate a Belgrado, Bruxelles, Instanbul, L’Aja, Ottawa, ed alle Legazioni a Copenaghen, Lisbona, Lussemburgo e Oslo.

3 Il testo del discorso è in Atti Parlamentari, Senato, legislatura II, Discussioni, seduta del 25 settembre 1954, pp. 7293-7357: pp. 7313-7314. Il 30 settembre Scelba pronunciava analogo discorso alla Camera dei deputati, a conclusione del dibattito sul rimpasto di Governo.

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[IL CAPO DELL’UFFICIO STUDI E DOCUMENTAZIONE TOSCANO]1

Appunto segreto(2). Roma, 25 settembre 1954.

Lineamenti di una possibile azione italiana alla Conferenza di Londra.

1. Le proposte ed i suggerimenti contenuti nel presente Appunto discendono dalle seguenti premesse:

a) Necessità di escogitare un qualche sistema di pressione per mantenere viva sul piano diplomatico l’istanza europeistica;

b) Convincimento che, nonostante alcune dichiarazioni ufficiali agli atti, allo stato attuale delle cose, l’Assemblea Nazionale francese respingerà ogni proposta di ammissione immediata della Germania nella NATO e di soluzione definitiva (cinquantennale) del problema tedesco;

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2. Sulla base di queste premesse, una soluzione autonoma italiana che sembra corrispondere in larga misura alle molteplici esigenze dei singoli Governi interessati potrebbe essere così articolata:

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Francia.

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Germania.

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c) Possibilità di placare l’accresciuta opposizione socialista non chiudendo la porta alla politica di riunificazione e di riprendere a breve scadenza ed in condizioni migliori quella dell’integrazione europea.

Stati Uniti.

Concessione immediata della sovranità alla Germania, sollecito inizio del suo riarmo e rapido agganciamento del Governo di Bonn al sistema Occidentale.

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Gran Bretagna.

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Italia.

a) Messa in opera di un forte meccanismo in favore dell’istanza europeistica;

b) Eliminazione del duplice pericolo di una umiliazione della Francia; delle conseguenze imprevedibili sulla nostra situazione politica interna e di reazioni drastiche degli Stati Uniti nell’eventualità di un fallimento della Conferenza di Londra;

c) Trionfo di una soluzione moderata meglio rispondente ai nostri interessi.

4. Trovandoci già in presenza di altre proposte concrete britanniche e francesi le possibilità di presentazione di un progetto autonomo italiano appaiono minime. Tuttavia, le linee del progetto indicato sopra aiutano a meglio comprendere una eventuale soluzione di compromesso, che, tenendo conto delle proposte attualmente in discussione, cercasse di trovare una via di uscita all’attuale impasse.

Principi ispiratori della nostra azione potrebbero pertanto essere i seguenti:

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5. Contropartita sul piano europeistico ed esclusivamente per l’Italia dell’azione in favore del Governo di Parigi qui preconizzata potrebbe eventualmente essere ricercata, in un impegno di Mendès-France in favore della ratifica del Trattato per l’Unione Doganale italo-francese.

1 DGAP, Uff. IV, Versamento CED, 1950-1954, b. 25, fasc. 91.

2 Il documento reca il timbro: «Visto dal Segretario Generale» e l’annotazione manoscritta: «appunto di studio del prof. Toscano».

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LA DIREZIONE GENERALE DELLA COOPERAZIONE INTERNAZIONALE, UFFICIO I(1)

Appunto. Roma, 25 settembre 1954.

Conferenza di Londra. Orientamenti americani.

Un segretario dell’Ambasciata degli Stati Uniti mi ha comunicato le linee dell’orientamento con il quale il Governo americano si reca alla Conferenza di Londra, secondo un telegramma pervenuto ieri all’Ambasciata da Washington.

Tali linee sono le seguenti:

Gli Stati Uniti non sottometteranno dal canto loro proposte, perché essi ritengono che la Conferenza sia in primo luogo interesse dei Paesi europei.

Essi sono pronti ad appoggiare qualsiasi proposta costruttiva atta a trovare soluzione ai problemi lasciati scoperti dal fallimento della CED e cioè a) associazione della Repubblica Federale all’occidente come potenza sovrana (in sostanza «sovereign equality»), b) contributo tedesco alla difesa occidentale, c) impulso della integrazione europea.

Circa il progetto francese essi pensano, ed hanno già fatto sapere ai francesi, quanto segue:

- - - - - - -

Per quanto riguarda le assicurazioni date da parte americana alla CED, non deve darsi per scontato che esse verranno senz’altro rinnovate. Molto dipenderà dal risultato finale della Conferenza di Londra e della riunione del Consiglio Atlantico.

Infine la proposta di incanalare l’assistenza per la mutua difesa attraverso il Consiglio di Bruxelles è un criterio molto differente di quello a suo tempo previsto per la CED (in cui tale canale era il Commissariato) e richiede, pertanto, nuovo attento esame.

DGAP, Uff. IV, Versamento CED, 1950-1954, b. 25, fasc. 92.

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IL DIRETTORE GENERALE DEGLI AFFARI ECONOMICI CORRIAS(1)

Appunto. Roma, 25 settembre 1954.

La Convenzione per l’Unione doganale italo-francese – firmata a Roma il 2 giugno 1950 e mai ratificata dai Parlamenti(2) – trae le sue origini dalla dichiarazione di Parigi del 13 settembre 19473 con la quale i due Governi si impegnavano a provvedere ad un esame approfondito dei dati ed elementi che avessero potuto consentire di raggiungere una pistretta unione nel campo economico.

L’idea, quindi, è sorta nell’immediato dopoguerra, quando l’unione doganale con la Francia rappresentava una affermazione politica oltre che un allargamento del nostro circuito economico. L’Europa non era ancora giunta al concetto di una generale collaborazione – se non integrazione – europea e si seguiva la strada della formazione di gruppi regionali dei Paesi pivicini per cultura, tradizione, civiltà. Questi gruppi avrebbero dovuto costituire una cospicua forma di attrazione nei riguardi delle singole Nazioni europee, e in un secondo tempo fondersi fra loro.

Nel momento in cui la Germania era ancora prostrata dalla sconfitta, la creazione di unioni quale quella italo-francese e il realizzato Benelux, avrebbero potuto condurre ad una ripresa economica e ad una ricostruzione dell’Europa occidentale da cui la Germania sarebbe stata momentaneamente assente. Il processo avrebbe poi dovuto completarsi con la fusione delle varie unioni (il Fritalux) per assorbire da ultimo la Germania.

Ma il Governo francese, dopo averci richiesto modifiche alla Convenzione, che ne svuotavano il contenuto economico, non ha mai affrontato il voto del Parlamento. Ne sono state cause principali l’opposizione dei socialisti, il timore che l’unione comportasse il riversarsi in Francia della disoccupazione italiana, il dubbio che l’industria francese fosse sacrificata a vantaggio di quella italiana, il timore che l’abolizione delle barriere doganali si risolvesse in un danno per l’agricoltura e, in particolare, il settore vitivinicolo francese.

Nel frattempo la funzionalità dimostrata dall’OECE tanto nel campo delle liberalizzazioni del commercio europeo, quanto in quello dei pagamenti «Unione Europea dei Pagamenti» e il rapido inserimento della Germania nell’economia europea, hanno modificato i termini del problema. Il sistema basato sulle unioni regionali pilimitate è stato superato da quello del multilateralismo generale che è attualmente in atto e che, anche di fronte al probabile e pio meno prossimo affermarsi della convertibilità delle monete, è intenzione di tutti, in Europa ed in America, mantenere e sviluppare.

Da questo multilateralismo, anzi, si è passati al concetto di integrazione economica europea, che nella Comunità Europea del Carbone e dell’Acciaio ha avuto la sua prima realizzazione e che, pur nelle alterne vicende politiche, mira alla formazione di un mercato unico europeo.

Sotto questo punto di vista il principio di una unione doganale italo-francese è quindi superato dagli eventi.

Né potrebbe presentare aspetti rilevanti per l’espansione economica italiana. Da un lato infatti, sono venute meno le ragioni per le quali è sorta l’idea, e dall’altro è noto che l’unificazione pura e semplice di due mercati porta a risultati globalmente positivi per l’area unificata e le sue parti piprogredite, ma non per il mercato pidebole il cui potenziale economico viene assorbito dal Paese che dispone di maggiori risorse. Ed è indubbio che, sia strutturalmente, sia per lo sforzo che sta compiendo nel Mezzogiorno, l’economia italiana si presenta oggi pidebole di quella francese.

È perpossibile che il Governo francese ritorni sul vecchio piano che a suo tempo ha accantonato. A cipuesservi indotto per equilibrare in qualche modo il potenziale industriale germanico, per dar vita ad una economia pivasta e quindi piatta a sopportare un regime di convertibilità, per agire positivamente sul campo dell’unione europea seguendo questa strada in luogo di quella, rigettata, dell’integrazione a sei con una Autorità supernazionale.

Eventuali accenni in questo senso sarebbero per noi – sempre dal punto di vista economico – interessanti. Scartata, come sopra detto, una pura e semplice riesumazione della convenzione del 1950, occorrerebbe passare dal concetto di unione doganale a quello di una piprofonda integrazione delle economie dei due Paesi. I motivi che possono spingere la Francia in questo senso sono, almeno in gran parte, validi anche per noi di fronte all’incertezza dello sviluppo del processo di integrazione economica e ad un prossimo, anche se non immediato instaurarsi della convertibilità.

Non appare quindi sia il caso di opporre un fin de non recevoir ad una iniziativa francese: vi sarebbero anzi argomenti in favore di una iniziativa da parte nostra.

Due condizioni sono perindispensabili: che vi sia la garanzia politica che, incamminati su questa strada, il Governo francese non ci abbandoni mettendoci in una posizione delicata di fronte agli altri Paesi europei e, in particolare, alla Germania. Inoltre è per noi necessario porre la questione sul piano di una unione economica (come del resto era la primitiva idea al 1947) e non su quello di una semplice unione doganale. Perché infatti l’unione rappresenti un fatto positivo per le due zone occorre un completo coordinamento delle politiche economiche dei due Paesi, specie nel campo fiscale e nel settore della politica commerciale; occorre, e le caratteristiche dei due Paesi ne offrono la possibilità, che l’unione elimini gli squilibri esistenti, anziché accrescerli come ineluttabilmente avverrebbe con la semplice abolizione delle barriere doganali.

Su queste basi schematicamente tracciate l’unione economica con la Francia presenta per noi motivi di vivo interesse attuale. In sintesi mi pare che di fronte ad un eventuale accenno francese ci [sic] potrebbe rispondere:

1) – che non è stato per nostra colpa che il progetto si è insabbiato. L’Italia anzi aveva predisposto anche l’opinione pubblica all’accettazione e alla realizzazione di tale programma. Spetterebbe quindi alla Francia a prendere l’iniziativa per la riesumazione ed il riesame di tale progetto;

2) – una tale riesumazione dovrebbe quindi essere condizionata ad una seria revisione in profondità del progetto stesso, alla luce degli sviluppi della situazione economica sia nazionale che internazionale. È evidente, ripeto, che detta riesumazione dovrebbe essere accompagnata da solide ed efficaci cautele politiche che evitino la possibilità di un insabbiamento nella direzione intrapresa.

1 Gabinetto, 1943-1958, b. 67, fasc. s.n.

2 In Ministero degli Affari Esteri, Trattati e convenzioni fra l’Italia e gli altri Stati, vol. LXXII, Roma, Tipografia riservata del Ministero degli Affari Esteri, 1980, pp. 623 - 628. Vedi anche al riguardo DDI, serie undicesima, vol. IV, D. 268.

3 Vedi DDI, serie decima, vol. VI, D. 455. Il testo della Dichiarazione è in «Relazioni Internazionali», 1947, p. 606.

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IL CONSOLE GENERALE A STRASBURGO CITTADINI CESI(1)

Appunto. Strasburgo, 25 settembre 1954.

Appunto sulla risoluzione dell’Assemblea Consultiva n. 63, relativa alla situazione risultante dal rigetto del Trattato di Parigi ed alle possibili soluzioni di ricambio(2).

Oggetto del dibattito politico della corrente sessione dell’Assemblea Consultiva è stata la ricerca di possibili soluzioni di ricambio alla CED.

L’Assemblea si è venuta a trovare in una situazione particolarmente difficile. Da un lato essa non poteva, dopo il voto del parlamento francese, sconfessare una politica europeistica che, se agganciata nelle contingenze del momento alla ratifica del Trattato di Parigi, aveva delle basi e delle prospettive pilarghe della semplice integrazione militare. Si trattava fra l’altro di non abbandonare i parlamentari «cedisti» francesi di fronte alla loro opinione pubblica, e di non comprometterne l’avvenire.

D’altro lato, l’Assemblea non poteva non trarre le sue conclusioni dalla situazione determinatasi in Francia.

Era in atto l’iniziativa per la convocazione di una conferenza diplomatica a Londra. La proposta di rivitalizzare ed allargare il Trattato di Bruxelles, aveva trovato una eco favorevole nel discorso pronunciato dal Ministro degli Esteri francese a Strasburgo(3).

Questa è stata la genesi della risoluzione n. 63. La sua formulazione puparere ambigua e contraddittoria. Ma in realtà il ragionamento che ne è alla base, è semplice: premesso che dobbiamo riarmare la Germania al pipresto possibile, approviamo la iniziativa di Londra, che mira alla ricerca di nuove forme di organizzazione europea basata sull’allargamento del Trattato di Bruxelles. Cionondimeno non perdiamo di vista la possibilità di una ripresa delle trattative interrotte a Bruxelles, e non rinunciamo nemmeno alla realizzazione delle aspirazioni politiche contenute in germe nella Dichiarazione del Lussemburgo del 10 settembre 19524.

Pur restando nella ortodossia «europeistica», la Risoluzione n. 63 vuol dunque lasciare tutte le porte aperte. Dalle due soluzioni che esse propone, la prima, utilizzazione del Trattato di Bruxelles, è concepita ad uso della Conferenza di Londra, e rappresenta un «minimo» dal punto di vista «europeistico»; la seconda, ripresa delle trattative a sei, basata sul concetto della integrazione, rappresenta il «massimo».

È chiaro, quindi, che agli occhi dell’Assemblea anche la soluzione del Trattato di Bruxelles si presenta sotto un profilo europeistico; e poiché la Conferenza di Londra appare oggi come la sola via di uscita dall’impasse, l’Assemblea ha voluto portare un contributo utilizzabile appunto a Londra, e suscettibile in qualche modo di correggere la tendenza verso il temuto ritorno agli schemi classici delle coalizioni e delle garanzie.

Secondo la risoluzione, infatti, il Trattato di Bruxelles dovrebbe servire di base per la creazione di un nuovo organismo europeo (comprendente tutti gli stati europei presenti alla Conferenza di Londra), che abbia «una forma di direzione politica e di controllo democratico europeo accettabile per gli Stati partecipanti alla Conferenza ivi compresa la Gran Bretagna».

È questo uno dei punti della risoluzione che ha dato luogo alle maggiori difficoltà sia in Commissione che in Assemblea.

In un primo progetto, il paragrafo era formulato in termini piperentori; era prevista «l’istituzione di una direzione politica e di un controllo parlamentare europeo comportante la piena eguaglianza di diritti e di responsabilità per tutti gli stati partecipanti». Veniva in tal modo posto l’accento sugli aspetti istituzionali e sul potere direttivo del nuovo organismo, in cui taluni volevano vedere un surrogato di «comunità europea», comprendente la Gran Bretagna ed inquadrato nella NATO.

Gli inglesi si sono chiaramente dissociati da tale concezione, avanzando a loro volta la tesi della ammissione della Germania nella NATO e contemporaneamente dell’allargamento e della trasformazione del Trattato di Bruxelles, non tanto in vista dello sviluppo di una nuova politica europeistica nel quadro di detto Trattato, quanto al fine di offrire alla Francia determinate garanzie in contropartita all’ingresso della Germania nella NATO.

Ancora una volta l’Assemblea ha dovuto trovare una via di compromesso, e ne è risultato un testo abbastanza sibillino che, sul piano politico, come sopra detto, si limita a prevedere per il nuovo organismo, una forma di direzione politica e di controllo parlamentare accettabile anche dalla Gran Bretagna (sic!) e sul piano militare, sottintende l’ammissione della Germania nella NATO. Circa la questione delle limitazioni e dei controlli (sugli effettivi, gli armamenti e la produzione bellica), il testo non specifica in quale misura questi avrebbero la loro sede nella NATO o nell’istituendo organismo di Bruxelles.

Solo grazie a questo suo carattere possibilistico, la risoluzione ha potuto essere approvata dall’Assemblea a grande maggioranza. In realtà la votazione del testo rappresenta la conclusione soltanto interlocutoria di un dibattito, che ha mostrato l’esistenza di un notevole disorientamento ed ha rivelato fra gli stessi sostenitori del principio dell’integrazione, divergenze significative.

I socialisti francesi ed il belga Dehousse, fino all’ultimo si sono dichiarati contrari ad ammettere la possibilità di una soluzione alternativa che non fosse quella della ripresa delle trattative interrotte a Bruxelles. Questa, inizialmente, sembrava essere anche la posizione del ministro Spaak e dei democristiani tedeschi, che nella Commissione degli affari generali, attraverso il loro rappresentante Gerstenmaier, si sono battuti contro ogni deviazione dalla linea cedista.

Spaak, pitardi, nel suo discorso all’Assemblea Consultiva, ha dichiarato che, ove si fosse mostrata irrealizzabile la ripresa delle trattative di Bruxelles, egli avrebbe, sia pure a malincuore, accettato la soluzione dell’ingresso della Germania alla NATO.

Quanto ai democristiani tedeschi, questi, in Assemblea hanno preso una posizione di pimarcato attendismo. Durante tutta la sessione il leader del gruppo, von Brentano, ha fatto soltanto delle brevi apparizioni, senza mai prendere la parola. Ma una apertura verso la possibile soluzione alternativa indicata da Spaak, è stata fatta da Gerstenmaier. Pur riaffermando che la via maestra, la sola che non presentasse il rischio di una rinascita del militarismo tedesco, restava quella della integrazione, egli ha finito con il non escludere la possibilità di un ingresso della Germania nella NATO, ed ha votato a favore della risoluzione, che nella sua formulazione finale comprende le due soluzioni, quella del Trattato di Bruxelles - NATO e quella della ripresa delle trattative a sei.

Si sono invece astenuti i socialisti francesi e Dehousse. Per questi ultimi la risoluzione era inaccettabile poiché coonestava una deviazione dalla politica della CED, mentre al contrario tutto occorreva tentare per riprendere tale politica attraverso «la partecipazione o l’associazione pistretta della Gran Bretagna ed eventualmente di altri paesi europei».

I democristiani francesi hanno appoggiato la risoluzione.

Tuttora convinti assertori della politica di integrazione e quindi favorevoli alla ripresa delle trattative interrotte a Bruxelles, essi hanno sopratutto voluto mettere in guardia l’Assemblea contro la proposta di annettere la Germania nella NATO. De Menthon ha detto che non ci sarebbe mai stata alla Camera francese una maggioranza disposta ad accettare la ricostituzione dell’esercito nazionale tedesco, e che, se la soluzione a carattere «sopranazionale» si dimostrasse oggi irrealizzabile, molto meglio sarebbe soprassedere, anziché bruciare le tappe del riarmo della Germania.

Anche le proposte fatte dal presidente del Consiglio francese nel suo discorso del 20 settembre, hanno trovato un’accoglienza fredda da parte dei parlamentari MRP. Tali proposte sono state vagliate e giudicate sopratutto per ciche esse presentano di possibilità «sopranazionali» nella struttura del costituendo organismo europeo di Bruxelles. Teitgen ha domandato se e in quale misura a questo organismo, che a detta di Mendès-France avrebbe dovuto avere un certo carattere di sopranazionalità, sarebbero stati attribuiti degli effettivi poteri di direzione; e se sarebbe stato possibile, in caso affermativo, ottenere la partecipazione della Gran Bretagna.

L’atteggiamento dei repubblicani popolari verso il piano Mendès-France, è parso, in fondo, alquanto «nuancé». L’intenzione, proclamata dal presidente del Consiglio, di «rimettere in cantiere l’idea europea» nel quadro del nuovo organismo di Bruxelles, non è dispiaciuta.

Il gruppo britannico, nel complesso, si è adoperato per far superare dall’Assemblea, a questo punto, l’impostazione «cedista», e per attenuare quanto pipossibile ogni riferimento al carattere «europeistico» della soluzione di ricambio ricercata nel quadro del Trattato di Bruxelles. Per il resto, sia i conservatori che i laburisti si sono limitati a dire lo stretto indispensabile. Lo stesso sottosegretario Nutting, mentre è stato fermo sulla necessità e l’urgenza del riarmo della Germania, non è entrato nel merito delle soluzioni del problema. Il conservatore MacLay, ed altri, hanno chiesto l’ammissione della Germania nella NATO, senza perspecificarne le modalità nemmeno in rapporto alla creazione del nuovo organismo di Bruxelles.

Unica voce discordante è stata quella del laburista Callaghan, che ha contestato la necessità del riarmo tedesco, ed ha proposto la ripresa delle trattative con l’Unione Sovietica per la unificazione della Germania.

Una posizione a parte hanno preso i socialisti tedeschi, che hanno bensì ammesso la necessità del riarmo, ma sostenendo che questo dovrebbe essere effettuato in modo tale da non compromettere la possibilità di una ripresa delle trattative di cui sopra. La loro è parsa peraltro una opposizione dettata pida motivi di politica interna nei confronti del partito al governo, che da un diverso orientamento sul fondo del problema.

Notevole parte al dibattito, infine, hanno preso i nostri parlamentari. Tutti, ad eccezione dell’on. Lucifero, hanno votato a favore della risoluzione, vedendo in essa la sola risposta, anche se necessariamente vaga, che la Assemblea Consultiva poteva dare, nelle presenti circostanze, al grave interrogativo che pesa sulla situazione europea(5).

1 DGAP, Uff. IV, Versamento CED, 1950-1954, b. 25, fasc. 92.

2 Per il testo della risoluzione vedi ISPI, Annuario di Politica Internazionale, 1954, pp. 316-317, nota 1.

3 Vedi D. 110, nota 2.

4 Si tratta della risoluzione con la quale i Ministri degli Esteri dei sei Paesi membri della Comunità del Carbone e dell’Acciaio riuniti il 9 e il 10 settembre a Lussemburgo, approvarono la proposta italo-francese di attribuire all’Assemblea della CECA opportunamente allargata, i compiti federalistici europei già previsti per l’Assemblea della CED, non ancora varata. Vedi ISPI, Annuario di Politica Internazionale, 1952, pp. 219-220 e nota 1.

Per il tenore del discorso di Mendès France ed un sunto delle sedute dell’Assemblea consultiva del Consiglio d’Europa dal 17 al 24 settembre vedi ISPI, Annuario di Politica Internazionale, 1954, pp. 314 -317.

119

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI AFFARI ESTERI, BENVENUTI, AL MINISTRO DEGLI AFFARI ESTERI, MARTINO(1)

L.2. [Roma], 25 settembre 1954.

Caro Ministro,

mi permetto accluderti un breve appunto relativo alle recentissime prese di posizione di Mendès-France(3) e di Guy Mollet quali risultano dallo stenografico della seduta dell’Assemblea Consultiva del 20 corrente.

Non dispongo dello stenografico del 19 e me ne duole perché in quel giorno Spaak pronunziegli pure un discorso, probabilmente anticipatore delle sue posizioni di Londra.

Ti rinnovo tutti i miei fervidi auguri – con fervida e sincera amicizia – per la tua missione europea: missione tanto pimeritoria per chi ne misura le difficoltà, tutte le difficoltà. Comprese le difficoltà che al valoroso combattente di prima linea vengono dal fronte interno: quel fronte interno che ha tanto e tanto peso nella valutazione del fattore italiano sul piano internazionale. Questo discorso naturalmente supera il mio «livello» ma sartanto lieto di riprenderlo con un amico eminente come te!

Mia moglie si unisce a me nel ringraziarti vivamente per i tuoi gentili auguri e per il tuo tanto amichevole interessamento.

Buon ritorno!

Tuo aff.mo

L. Benvenuti

Allegato

Appunto.

BREVE COMMENTO AI DISCORSI TENUTI DA M. MENDÈS-FRANCE E DA M. GUY MOLLET ALL’ASSEMBLEA DI STRASBURGO DEL 20 SETTEMBRE 1954

Il discorso di Mendès-France presenta alcuni elementi negativi ed un elemento positivo. Elementi negativi:

- - -

degli effettivi autorizzati in ciascun Paese, nonché la natura e la quantità degli armamenti di ciascun paese, – credo che essa potrà altresì, sul continente, vegliare con rigore al rispetto di tali limitazioni per mezzo di ispezioni e di controlli: i quali si applicheranno all’assieme dei paesi interessati sulla superficie continentale coperta dalla convenzione che sarà stata firmata dai paesi associati».

Da tale testo emerge chiaramente che nel pensiero di Mendès-France i controlli e le ispezioni sarebbero esercitati soltanto sul continente: cosicché la Gran Bretagna avrebbe un controllore non controllato. Il sistema avrebbe il vantaggio di mantenere in vita l’Europa a sei: ma con una discriminazione a suo danno.

Dal complesso del discorso sembra emergere infatti che, nel pensiero di Mendès-France, gli impegni di limitazione vincolerebbero tutti i Paesi, mentre le norme relative alle ispezioni ed ai controlli non si eserciterebbero nel territorio britannico: è questa l’interpretazione meno discriminatoria delle dichiarazioni presidenziali.

c) Mendès-France precisa inoltre che l’organo centrale del nuovo Patto di Bruxelles dovrebbe anche avere il compito di ripartire l’aiuto esterno in natura fornito all’Europa dall’America per la sua difesa.

È evidente, in linea di principio, l’inaccettabilità di una tale clausola.

In linea di fatto, poi, l’Ambasciatore Luce che pregai di esprimere il suo pensiero su tale clausola, mi rispose che, a suo avviso, essa non ha pratica importanza perché non sarà mai applicata: che se poi fosse seriamente applicata, cesserebbero «ipso facto» gli aiuti americani.

d) Ma ciche sembra piradicalmente grave è il concetto ripetuto con convinzione da Mendès-France che «il controllo e la limitazione degli armamenti costituiscono antiche rivendicazioni di tutti coloro che sono attaccati alla causa della pace».

È chiaro quindi che nel pensiero del Presidente francese l’Europa dovrebbe stipulare un contratto di «auto-limitazione» dei propri armamenti: il controllo sarebbe applicato per evitare che si eludano le cifre massime, – con la conseguenza che il blocco sovietico potrebbe indefinitamente riarmare, e distanziare senza limite gli armamenti europei, dato che i popoli d’Europa avrebbero, unilateralmente e senza alcuna contropartita, vincolato se stessi a dei massimi invalicabili.

Ma v’è nel discorso un elemento positivo.

Ha detto Mendès-France:

«Se noi domani confideremo al Consiglio dei Ministri del Trattato di Bruxelles delle

responsabilità esecutive, che si eserciterebbero nel campo militare, bisognerà pure introdurre certi elementi di autorità, e quindi, perché non dirlo, una certa dose di sopranazionalità». Con tale ammissione il Presidente del Consiglio Francese si è ricongiunto alle posizioni assunte dall’on. Moch (anticedista) nel recente dibattito all’assemblea nazionale(4). L’on. Moch ha proposto il rigetto della CED accusando fra l’altro il trattato di non ammettere alcuna autorità politica ed al contrario di avere stabilito oltre cinquanta casi di veto.

Ma l’affermazione del Presidente Mendès-France va incontro altresì al pensiero del Segretario del Partito Socialista, Guy Mollet (cedista), il quale nel suo discorso del 20 settembre a Strasburgo, ha dichiarato:

«Taluni pensano di risolvere il problema tedesco con lo stabilire delle garanzie e dei controlli unilaterali. Questo sarebbe Versailles: questo non si potrà mai fare col nostro accordo.

Il secondo metodo prospettato sarebbe una soluzione strettamente inter-governativa: una specie di codice morale europeo con delle obbligazioni ma senza sanzioni.

Cici condurrebbe alla resurrezione dell’esercito tedesco e del suo stato maggiore, soluzione anche questa per noi inaccettabile.

Non resta che una terza soluzione: l’integrazione della Germania».

Particolarmente interessante, per quanto riguarda i rapporti con l’Inghilterra, è un altro passo del discorso di Guy Mollet:

«Non esito a ripetere – egli ha detto – che noi siamo pronti a fare molti sacrifici per ottenere una piena partecipazione britannica; molti sacrifici, ma non tutti.

Se si tratta di pagare la presenza britannica col ritorno alla politica adottata fra le due guerre, ossia alla politica delle alleanze fra stati sovrani, questo non potrà mai farsi con il nostro accordo.

Per contro, se un accordo è possibile, ed io lo credo, io lo sento possibile su una formula di integrazione limitata».

In questo senso si era già espresso anche il Presidente Spaak. Ed un concetto simile emerge, per quanto si pucomprendere dal resoconto dei giornali, nel testo della mozione finale votata dalla Assemblea del Consiglio d’Europa.

In ogni modo quello che sembrerebbe allo stato degli atti molto imprudente, – sarebbe l’adozione della formula di una pura e semplice alleanza militare comprendente la Germania e priva di ogni garanzia sopranazionale: tutte le previsioni, almeno in questo momento, sembrano essere nel senso che una tale soluzione difficilmente troverebbe una maggioranza nella assemblea nazionale francese.

1 Gabinetto, 1953-1961, b. 23, fasc. 1. 2 La lettera è manoscritta e con firma autografa. 3 Vedi D. 110, nota 2. 4 Vedi ISPI, Annuario di Politica Internazionale, 1954, pp. 272-273.

120

IL MINISTRO DEGLI AFFARI ESTERI, MARTINO, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, SCELBA(1)

T. s.n.d. 12303/3062. Londra, 27 settembre 1954, part. il 28, ore 0,50 (perv. ore 6,40).

Riassumo il lungo colloquio avuto stasera con Mendès-France:

1) egli si dice convinto che occorre agire con la massima rapidità per evitare un ulteriore deterioramento della situazione.

2) Non sottovaluta le difficoltà della Conferenza di Londra (aggravate per lui dalla pesante situazione interna) ma ritiene che nessuna di queste sia insuperabile giacché a differenza dell’incontro di Bruxelles non ci troviamo questa volta «tutti da una parte ed uno solo dall’altra». Infatti i tre documenti finora presentati (francese, tedesco e britannico) pur essendo molto diversi non appaiono in contraddizione tra loro e consentiranno diversi schieramenti a seconda dei singoli argomenti che verranno in discussione.

3) La sua formula è «rifare una CED con meno sopranazionalità e piInghilterra» anzi con quel tanto di sopranazionalità che la Gran Bretagna risulterà disposta ad accettare. Questa formula definisce i propositi che lo muovono nell’insistere (ciche ha fatto con molta energia) sul principio che le decisioni sulla politica militare per quanto concerne i Paesi del Patto di Bruxelles dovrebbero spettare al Consiglio dei sette che impartirebbe istruzioni agli organi militari del NATO. Questi avrebbero dunque in tale materia soltanto compiti esecutivi.

4) La Germania deve obiettivamente riconoscersi zona esposta ed è giusto che accetti limitazioni nel campo della produzione bellica: tuttavia taluni armamenti medi e leggeri potrebbero essere prodotti in talune regioni della Germania Occidentale. In cambio, il Belgio, l’Olanda e la Francia potrebbero accettare a loro volta alcune limitazioni in certe parti del proprio territorio. Secondo Mendès-France l’Italia si trova in posizione relativamente meno esposta e non si potrà quindi chiederle maggiori limitazioni di quelle previste in sede CED. D’altronde egli riconosce che va tenuto conto del fatto obiettivo che la maggior parte delle nostre industrie trovansi nell’Italia settentrionale e che pertanto l’eventuale differenziazione potrebbe riferirsi solo agli impianti futuri.

5) La Germania così controllata potrebbe entrare nel NATO ed il Governo francese si rassegnerebbe a raccomandare tale ammissione al parlamento purché fosse posto in grado di dimostrare che con gli accordi presi in seno al nuovo Patto di Bruxelles è stata data adeguata risposta alle obiezioni mosse. Il Premier francese non nasconde che anche in tal modo vi sarebbero grandi difficoltà nell’Assemblea nazionale.

Mendès-France ha chiesto ad Eden che il Regno Unito lasci quattro divisioni sul Continente come ora. Non si illude sull’accettazione della sua richiesta ma ritiene che la Gran Bretagna potrà impegnarsi comunque maggiormente di quanto abbia fatto verso la CED.

L’impressione generale che ho tratto dal colloquio è che Mendès-France, nonostante la grande abilità e la duttilità dimostrata nella sua esposizione, parta da posizioni di sostanziale intransigenza e comunque assai lontane da quelle tedesche e americane. Insomma egli pare pronto ad ammettere l’inclusione della Germania nel NATO soltanto se gli altri Paesi accetteranno la maggior parte del memorandum francese(3).

1 DGAP, Uff. IV, Versamento CED, 1950-1954, b. 25, fasc. 92. 2 Trasmesso tramite l’Ambasciata a Londra. 3 Vedi D. 82.

121

IL MINISTRO DEGLI AFFARI ESTERI, MARTINO, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, SCELBA(1)

T. s.n.d. 12902/3072. Londra, 27 settembre 1954, part. il 28, ore 0,05 (perv. ore 6,40).

Dal complesso dei colloqui avuti oggi con Eden, Dulles, Pearson e Mendès-France (sul quale ultimo riferisco piampiamente a parte) ritengo utile segnalare i seguenti punti schematici:

1) Procedura Conferenza. Su proposta di Dulles si è d’accordo di affidare ad Eden la Presidenza permanente. Si è delineato inizialmente un certo contrasto fra la tesi francese diretta ad impostare la discussione sul memorandum di Mendès e la tesi anglo-americana a discutere per separati argomenti senza riferimento ai documenti finora presentati. Tale contrasto sarà probabilmente superato con un compromesso per cui dopo l’illustrazione dei singoli memorandum da parte dei Governi proponenti, si procederà alla discussione per separati documenti. Si eviterà così anche il pericolo di polarizzare i contrasti sul memorandum francese isolando ancora una volta Mendès-France.

2) Idea europeistica. Dulles da un lato e Mendès-France dall’altro hanno sottolineato la necessità di salvare ed attuare progressivamente l’idea europea attraverso il Patto di Bruxelles. Dulles ha suggerito ad Eden, che l’ha adottata, l’idea di includere nel nuovo Trattato di Bruxelles un articolo impegnante i firmatari a promuovere e incoraggiare l’unità europea.

3) Oltre a sottolineare la nostra fedeltà alle idee europee, la nostra preferenza ad attuare controlli attraverso la Organizzazione della NATO e il nostro desiderio di ottenere maggiori impegni britannici ed americani in Europa, ho ritenuto utile esprimere particolarmente le nostre preoccupazioni circa le clausole relative alle zone esposte in rapporto al controllo degli armamenti. Ho fatto presente che l’Italia non potrebbe accettare discriminazioni nei riguardi della sua industria sugli armamenti né riconoscersi come zona esposta pidella Francia o del Benelux. Ho avuto al riguardo, benché le posizioni siano molto fluide, concordi assicurazioni da Eden, da Dulles e da Mendès-France.

4) Graduazione controllo armamenti. Secondo gli inglesi i francesi avrebbero tendenza a vincolare in minima parte il territorio francese, italiano e del Benelux al fine di giustificare il totale controllo del territorio della Germania occidentale. Viceversa Eden mi ha detto che gli anglo-americani starebbero studiando la proposta di rimettere la definizione delle zone esposte a SACEUR.

5) Impegni britannici. Mentre tutti sono pio meno d’accordo che i britannici dovrebbero sforzarsi ad aumentare i loro impegni militari in Europa, Eden mi ha detto confidenzialmente che sta al riguardo studiando una proposta di impegno la quale andrebbe al di là degli obblighi già assunti dalla Gran Bretagna verso la CED e sarebbe anche indipendente dagli impegni americani.

6) Eventuale rivedibilità dei controlli sugli armamenti. Ho ventilato tale idea come mezzo per facilitare l’adesione della Germania, ma ho trovato da Mendès-France un’opposizione assai netta.

1 DGAP, Uff. IV, Versamento CED, 1950-1954, b. 25, fasc. 92. 2 Trasmesso tramite l’Ambasciata a Londra.

122

L’AMBASCIATRICE DEGLI STATI UNITI D’AMERICA A ROMA, BOOTHE LUCE, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, SCELBA(1)

L.2. Roma, 27 settembre 1954.

My dear Mr. President,

The Secretary of State has asked me to transmit to you the following letter from him:

«Your letter of August 263 delivered to me by Ambassador Tarchiani arrived at a particularly difficult moment for me, and therefore its expressions of friendship and cooperation were doubly appreciated. I regret that my long absences from Washington have not permitted an earlier adequate reply.

Italy and the United States now face new and grave tasks. The rejection of EDC by one of the six treaty nations places upon all Western governments which seek solidarity in opposing world domination by communism, a burden of decision and action which will require the noblest efforts of us all. The forthcoming conferences offer us, however, a renewed opportunity to find solutions to our mutual problems in this field. In these conferences, to know that the Italian Government under your direction seeks the same security, the same defense, the same unity, which the Government of the United States seeks, augurs well for the future and will maintain the solid friendship of our two nations.

I look forward to the mutual cooperation that I confidently anticipate between your new Foreign Minister Sig. Martino, and myself at London».

Please accept, Mr. President, the renewed assurances of my highest consideration.

Clare Boothe Luce

TRADUZIONE

Caro Presidente,

Il Segretario di Stato mi ha chiesto di trasmetterLe la seguente lettera:

«La Sua lettera del 26 agosto consegnatami dall’Ambasciatore Tarchiani è giunta in un momento per me particolarmente difficile e pertanto le Sue espressioni di amicizia e di cooperazione sono state doppiamente apprezzate. Sono spiacente che le mie lunghe assenze da Washington non mi abbiano permesso di risponderLe prima adeguatamente.

L’Italia e gli Stati Uniti fronteggiano attualmente nuovi e gravi problemi. Il rigetto della CED da parte di una delle sei Nazioni firmatarie, pone a carico di tutti i Governi occidentali che desiderano mantenersi solidali nell’opporsi ad una dominazione del mondo da parte del comunismo la necessità di prendere delle decisioni e intraprendere azioni che richiederanno i maggiori sforzi da parte di noi tutti. Le prossime conferenze ci offrono tuttavia una rinnovata opportunità di trovare in questo campo delle soluzioni ai nostri comuni problemi. Il fatto di sapere che in queste conferenze il Governo Italiano posto sotto la Sua direzione perseguirà la ricerca di quella stessa sicurezza, di quella stessa difesa, di quella stessa unità che sono ricercate dal Governo degli Stati Uniti fa bene sperare per il futuro e contribuirà a mantenere la solida amicizia esistente fra le nostre due Nazioni. Conto già sin d’ora sulla scambievole cooperazione che sono fiducioso si stabilirà tra il Suo nuovo Ministro degli Affari Esteri, Signor Martino, e me a Londra».

La prego di accogliere, Signor Presidente, la rinnovata assicurazione della mia pialta considerazione.

1 DGAP, Uff. IV, Versamento CED, 1950-1954, b. 25, fasc. 91. 2 Ed. in FRUS, 1952-1954, Western European Security, vol. V, Part 2, D. 90. 3 In realtà del 25 agosto. Vedi DPII; Serie A, Il fallimento della CED e della CPE cit., D. 286.

123

COLLOQUIO DEL MINISTRO DEGLI AFFARI ESTERI, MARTINO, CON IL SEGRETARIO DI STATO AGLI ESTERI DEL REGNO UNITO, EDEN (Londra, 27 settembre 1954)1

Appunto segreto(2).

Nel corso del colloquio sono emersi, in sostanza, i seguenti punti:

- - - - -

1 DGAP, Uff. IV, Versamento CED, 1950-1954, b. 26, fasc. 93.

2 Redatto verosimilmente da Brosio, l’appunto reca il seguente sottotitolo: «Presenti l’Ambasciatore Brosio, Sir Ivone Kirkpatrick e Sir Anthony Rumbold».

124

COLLOQUIO DEL MINISTRO DEGLI AFFARI ESTERI, MARTINO, CON IL SEGRETARIO DI STATO DEGLI STATI UNITI, DULLES (Londra, 27 settembre 1954)1

Appunto segreto(2).

- - - - - -

1 Gabinetto, 1953-1961, b. 23, fasc. 1.

2 L’appunto, redatto verosimilmente da Brosio, reca il seguente sottotitolo: «presenti l’Ambasciatore Brosio, il Ministro Del Balzo e il Sottosegretario Merchant».

3 Vedi D 82.
4 nota 4. Il riferimento è alla Dichiarazione anglo-americana su Trieste dell’8 ottobre 1953: vedi D. 102,
5 Dulles incontrò Scelba ed il Ministro degli Esteri Piccioni il 3 maggio 1954 nella Villa Carminati, nei pressi di Gallarate vicino Milano: vedi DPII, Serie A, Il fallimento della CED e della CPE cit., DD.

187 e 189.

125

COLLOQUIO DEL MINISTRO DEGLI AFFARI ESTERI, MARTINO, CON IL MINISTRO DEGLI AFFARI ESTERI DEL CANADA, PEARSON (Londra, 27 settembre 1954)1

Appunto segreto(2).

Il Ministro degli Esteri canadese ha particolarmente insistito sull’assoluta necessità che non si giunga ad un fallimento della Conferenza. È indispensabile di assicurare l’agganciamento della Germania al mondo occidentale attraverso il suo inserimento nell’Organizzazione Atlantica.

Pearson vede, nell’allargamento del Patto di Bruxelles, anche un mezzo per preservare il processo di unificazione progressiva dell’Europa, impegnando maggiormente al tempo stesso la Gran Bretagna sul continente. Secondo Pearson anche altri Paesi del Commonwealth, oltre al Canada, sono ormai convinti che questo rafforzamento di legami tra Regno Unito ed Europa occidentale sia nell’interesse di tutto il mondo libero.

1 DGAP, Uff. IV, Versamento CED, 1950-1954, b. 26, fasc. 93.

2 L’appunto, redatto verosimilmente da Brosio reca il seguente sottotitolo: «presenti l’Ambasciatore Brosio, il Ministro Del Balzo, l’Ambasciatore canadese a Bonn».

126

IL MINISTRO DEGLI AFFARI ESTERI, MARTINO, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, SCELBA(1)

T. s.n.d. 12370/3092. Londra, 28 settembre 1954, ore 7,50 (perv. ore 7,30 del 29).

Stamane prima della seduta inaugurale della Conferenza mi sono recato da Adenauer con il quale ho avuto un lungo cordiale colloquio.

Egli ha iniziato ripetendo che la posizione del Governo tedesco si è indebolita a seguito del fallimento della CED e che per evitare una pigrave crisi psicologica dell’opinione pubblica tedesca nonché l’affermarsi di tendenze neutraliste prevalenti nei settori della socialdemocrazia germanica («che è a metà strada tra Saragat e Nenni») egli deve tornare da Londra con qualche risultato concreto.

Dopo i viaggi di Eden e di Dulles e i suoi ulteriori contatti anche con il Benelux ritiene che l’ingresso della Germania nella NATO sia un fatto acquisito. Così dicendo lasciava chiaramente intendere di non essere disposto a pagare per tale ammissione l’alto prezzo che Mendès-France sembra oggi pretendere non in termini di controllo armamenti ma forse anche in termini SAAR.

Adenauer ha soprattutto insistito sull’inammissibilità delle discriminazioni previste dal memorandum francese(3) che, sotto il pretesto delle zone esposte, mirerebbe anche ad imporre all’Europa un quasi totale monopolio della Francia nella produzione degli armamenti. Ha vivamente raccomandato anche a noi di far studiare da tecnici questo aspetto della questione nonché i gravi inconvenienti logistici e d’altro genere che deriverebbero dal collocare i centri di produzione delle armi troppo lontani dalle prime linee di difesa dell’Occidente.

Ha detto di rendersi conto della difficoltà di Mendès-France ma d’essere altresì convinto che questa volta egli non possa pagarsi il lusso di rientrare a Parigi a mani vuote. Egli dovrebbe, pertanto, secondo Adenauer mostrarsi piconciliante. Adenauer ha aggiunto che la chiave della soluzione è nelle mani della Gran Bretagna e che quindi tutti i Paesi europei sarebbero egualmente interessati ad insistere sul Regno Unito affinché assuma il massimo delle responsabilità in Europa non solo militari ma soprattutto politiche sul che ho pienamente convenuto.

Nel nostro colloquio ho esposto a mia volta il nostro punto di vista avendo cura di mettere anche in rilievo l’opportunità di evitare di porre Mendès-France in posizione di isolamento che lo costringerebbe ad assumere sin dall’inizio una posizione di pericolosa rigidità.

Il colloquio ha confermato l’impressione mia di ieri circa la grande distanza che separa i due punti di partenza germanico e francese specie sui rapporti fra Bruxelles e NATO nonché sulle limitazioni degli armamenti.

1 DGAP, Uff. IV, Versamento CED, 1950-1954, b. 25, fasc. 92. 2 Trasmesso tramite l’Ambasciata a Londra. 3 Vedi D. 82.

127

IL MINISTRO DEGLI AFFARI ESTERI, MARTINO, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, SCELBA(1)

T. s.n.d. 12373/310-3112. Londra, 28 settembre 1954, ore 20,30 (perv. ore 7,45 del 29).

In seduta inaugurale Eden, eletto Presidente, ha illustrato sommariamente il punto di vista britannico circa l’ordine dei lavori della Conferenza. Prima di passare all’esame delle singole questioni Mendès-France ha voluto esprimere i concetti generali cui ispiransi le note proposte francesi e sui quali mi aveva intrattenuto ieri (vedi telegramma 306)3. Egli ha insistito sulla necessità di giungere ad una rapida conclusione dei lavori, per uscire dalla paralisi del rigetto della CED.

Scelta quadro Bruxelles sarebbe dovuta al desiderio del Governo francese di continuare su strada europeistica e alla impossibilità di utilizzare soltanto la NATO cui finalità sono dirette al potenziamento dell’organizzazione militare dei paesi occidentali e non agevolmente orientabili verso l’applicazione dei controlli e delle limitazioni. NATO continuerebbe quindi a fissare i livelli minimi mentre la nuova organizzazione Bruxelles statuirebbe per paesi partecipanti i livelli massimi, realizzando i lati positivi della CED senza gli inconvenienti di una eccessiva supernazionalità. Inoltre l’organizzazione di Bruxelles permetterebbe assicurare maggiori impegni da parte inglese.

Non si tratterebbe creare organismi nuovi in quanto responsabilità esecutive rimarrebbero su SACEUR.

Venendo a parlare del controllo del materiale bellico Mendès-France ha illustrato le linee generali del promemoria(4) non aggiungendo pernessun nuovo elemento. Non si tratterebbe di diminuire la potenza difensiva dell’Occidente ma di stabilire i livelli anche per evitare pericolo corsa agli armamenti.

Mentre egli sarebbe d’accordo per l’immediata restituzione della sovranità alla Repubblica Federale, non nasconde che l’ammissione della Germania nella NATO susciterebbe reazioni psicologiche e critiche nell’Assemblea Nazionale, che egli sente poter superare solo ove si è in grado giustificarle con l’accettazione delle linee generali del progetto francese, assicurazioni circa presenza delle truppe anglo-americane in Europa ed equa soluzione per Spaak. In questo caso egli sarebbe pronto impegnarsi a fondo in discussione parlamentare anche nella settimana successiva al raggiungimento degli accordi. Ho ritenuto parlare immediatamente dopo in tono distensivo secondo linee già concordate Roma anche allo scopo di evitare che le dichiarazioni di Mendès-France rimanessero isolate, e di facilitare ad Adenauer un sia pur breve intervento.

Questi ha rinnovato l’assicurazione che la Germania, una volta riacquistata la sovranità, intende fare uso pidiscreto e ragionevole del riarmo ed è pronta ad accettare sin d’ora i limiti previsti nel quadro CED.

Nella seduta pomeridiana Eden ha annunciato i principi sui quali a suo avviso la Conferenza dovrebbe concordare in merito a: dimensioni e carattere del contributo tedesco difesa (come stabilito nel Trattato CED), schieramento e movimento delle forze sotto Saceur, integrazione forze, questioni logistiche, ispezioni, limiti forze.

Mendès-France ha dato l’adesione di massima su alcuni vitali principi, sostenendo perla necessità di istituire un ispettore generale alle dipendenze di Bruxelles incaricato di controllare che i sei membri continentali del nuovo Patto si attengano ai limiti massimi stabiliti per ciascuno, nonché enunciando il principio secondo cui ogni aumento delle forze dei paesi membri dovrebbe essere sottoposto al Consiglio dei Ministri di Bruxelles che deciderebbe all’unanimità.

La discussione su tali punti è stata rinviata a domani.

Circa pool fabbricazione armi, Mendès-France ha fornito, a richiesta Spaak, qualche maggiore dettaglio su Agenzia controllo prevista dai francesi nel quadro del nuovo Patto di Bruxelles.

Beyen si è espresso fermamente contro il pool che, a suo avviso avrebbe per effettivo scopo la sola limitazione dalla produzione del materiale bellico.

Domani si inizieranno, parallelamente alla conferenza, i lavori del Consiglio permanente del Trattato di Bruxelles con la partecipazione dei Rappresentanti italiano e tedesco per il necessario riadattamento del testo del Trattato.

1 DGAP, Uff. IV, Versamento CED, 1950-1954, b. 25, fasc. 92. 2 Trasmesso tramite l’Ambasciata a Londra. 3 Vedi D. 120. 4 Vedi D. 82.

128

L’AMBASCIATORE A L’AJA, BENZONI, AL MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI(1)

Telespr. 2300/1209. L’Aja, 28 settembre 1954.

Oggetto: Progetto Mendès-France – Conferenza di Londra.

Per quanto l’essenziale del pensiero di questo Governo sul memorandum francese(2) sia stato già segnalato telegraficamente da questa Ambasciata e la cosa abbia comunque, a Conferenza di Londra iniziata, valore puramente retrospettivo, credo opportuno fornire, a titolo di documentazione le seguenti precisazioni in argomento.

La prima reazione e reazione sgradevole di questo Governo, al Memorandum francese è che un Memorandum francese ci sia e che si debba discuterne a Londra; «Eden ci aveva fatto sapere, mi ha detto il Segretario Generale di questo Ministero degli Esteri, di aver ottenuto da Mendès-France l’assicurazione che la Francia non avrebbe presentato, in attesa della Conferenza, controproposte al progetto britannico».

A prescindere da tale circostanza, della quale non trovo conferma nelle comunicazioni di codesto Ministero e che costituirebbe un ulteriore elemento di confusione in questa già confusa vigilia, resta il fatto che qui, dopo le amarissime esperienze della Conferenza di Bruxelles e dei suoi strascichi, si sperava di poter evitare a Londra, almeno nelle prime fasi del negoziato, un passe-d’ormes con Mendès-France.

Il progetto francese investe il Consiglio del nuovo Patto di Bruxelles di poteri supernazionali ma, a differenza di quanto prevedeva la CED, tali poteri supernazionali non sono integrati dalla «responsabilité» supernazionale in quanto di tale responsabilità non vengono disvestiti i Governi degli Stati membri.

È questa agli occhi di questo Governo una vera e propria mostruosità giuridica. Ma è sopratutto sul capitolo terzo del progetto (salvo il par. a) che si appuntano qui le critiche in quanto il congegno previsto di controlli, limitazioni, autorizzazioni, sembrerebbe porre la Francia in una intollerabile situazione di privilegio di fatto – anzitutto a causa di fattori geografici-strategici ed anche avuto riguardo alla circostanza che la Francia manterrebbe parte non trascurabile delle sue forze armate al di fuori del quadro NATO.

A tale riguardo mi si è detto qui che il progetto Mendès-France sembrerebbe ispirarsi agli interessi dell’industria pesante francese, – sospetti questi non disgiunti da quelli che scorgerebbero in Mendès-France dissimulate simpatie per un pacifismo neutralista. Al posto del potere attribuito nel progetto francese al Consiglio del Patto di Bruxelles si preferirebbe, secondo il punto di vista olandese, un patto sussidiario tra i sette membri sulle limitazioni quantitative e qualitative dei rispettivi armamenti – patto della durata di due o tre anni, rinnovabile a seconda delle circostanze, che avrebbe oltre il vantaggio della flessibilità quello di non necessitare ratifiche nei successivi rinnovamenti o modificazioni.

Ignoro se tale punto di vista olandese abbia preso forma concreta e se qui si abbia intenzione di farne oggetto specifico di proposta alla Conferenza di Londra.

Come già segnalato si è qui nettamente favorevoli all’idea di affidare al NATO i problemi militari coperti dal paragrafo III del promemoria francese; debbo aggiungere peraltro che qui non ci si nasconde, a quanto mi ha detto lo stesso Ministro della Guerra, che il NATO, nella sua presente struttura sembra essere organo scarsamente adatto in attribuzioni di limitazioni e controlli.

La Delegazione olandese è partita ieri per Londra. Nessun commento ufficioso né notizia stampa di ispirazione governativa lasciano divedere con quale grado di ottimismo e di pessimismo essa sia per affrontare il negoziato.

Ebbi a segnalare nelle more dell’allora progettata Conferenza di Londra che questo paese non era favorevole all’inclusione del Canadà nella conferenza stessa. Ho appena bisogno di aggiungere che nel pensiero di questo Governo l’esclusione del Canadà fu esclusivamente motivata dal desiderio di limitare la Conferenza, nata dalla fine della CED, ai membri della CED stessa; desiderio comunque morto sul nascere.

1 DGAP, Uff. I, Serie Affari Politici, 1951-1957, b. 331, fasc. 15-30 settembre 1954. 2 Vedi D. 82.

129

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI AFFARI ESTERI, BENVENUTI, ALLE AMBASCIATE(1)

T. 9272/c.2. Roma, 29 settembre 1954, ore 24.

Oggetto: Elezioni Assemblea CECA.

Sassen, Presidente Gruppo Democristiano Assemblea Comune, in colloqui ad alto livello avuti durante recente visita a Roma ha manifestato sua impressione che candidatura Pella alla Presidenza predetta Assemblea incontrerebbe successo elezione che avrà luogo in occasione sessione straordinaria che *si riunirà prossimo 29 novembre*3.

Legazione in Lussemburgo ha segnalato che opinione Sassen trova conferma nel Segretariato.

Come noto, con le modifiche al Regolamento dell’Assemblea approvate nella Sessione dello scorso maggio, il Presidente è eletto alla prima sessione successiva al 30 giugno(4). In questo caso il mandato cesserebbe, salvo rielezione, all’Assemblea straordinaria che si riunirà presumibilmente l’ottobre 19555.

Pregasi sondare atteggiamento che assumerebbero codesti ambienti parlamentari Assemblea Comune, facendo presente che tale soluzione permetterebbe mantenere inalterato bureau nel quale dovremmo altrimenti trovare compensi.

Qualora fosse obiettato che abbiamo già presidenza Corte Giudiziaria, V.E. potrà eventualmente e se necessario lasciare intendere che, per mantenere ripartite presidenze istituzioni Comunità, potremmo non riproporre tale candidatura se Presidenza Assemblea fosse assunta da personalità italiana.

Ambasciatore in Bonn puanche accennare che in questo caso, non avendo Germania alcuna presidenza, saremmo disposti appoggiare candidatura tedesca per presidenza Corte.

Pregasi telegrafare(6).

1 Telegrammi segreti originali 1954, partenza, vol. I.

2 Indirizzato alle Ambasciate a Parigi, Bonn, Bruxelles e L’Aja.

3 Tra asterischi correzione manoscritta aggiunta.

4 La sessione ordinaria di maggio si era svolta dall’11 al 21 maggio. La prima sessione successiva al 30 giugno fu quella straordinaria che si svolse dal 29 novembre al 2 dicembre 1954. Vedi ISPI, Annuario di Politica Internazionale, 1954, pp. 739-741.5 La sessione straordinaria dell’Assemblea si tenne in realtà dal 22 al 25 novembre 1955: il presidente Pella fu rieletto. Vedi ISPI, Annuario di Politica Internazionale, 1955, pp. 715.

6 Da Bruxelles Grazzi rispose con T. 12493/184 del 1° ottobre (Telegrammi ordinari 1954, arrivo, vol. I) nei seguenti termini: «Ho parlato con i piautorevoli rappresentanti belga Struye e Wigny. Premesso che la personalità dell’Onorevole Pella e le simpatie di cui gode in Belgio assicurerebbero pieno appoggio al suo nome, i predetti mi hanno obiettato che esistono già affidamentimolto concreti a favore di un Presidente di nazionalità tedesca. Essi suggeriscono perciuna nostra azione diretta a Bonn allo scopo eventualmente di scambiare la presidenza dell’Assemblea con lapresidenza della Corte. In caso di intesa tra noi e la Germania i predetti parlamentari oltre al proprio voto credono potermi garantire a favore dell’Onorevole Pella anche i voti dei loro colleghi. Struye chesarà dopodomani a Lussemburgo ne parlerà confidenzialmente con i parlamentari belgi ed al ritornomi darà assicurazioni ulteriori sempre persotto condizione di una intesa diretta italo-tedesca». Poi con T. 12769/190 del 6 ottobre (ibidem): «Il senatore Struye tornato da Lussemburgo mi informa diaver preso contatti con molti colleghi anche belgi: ferma restando la vivissima simpatia per il nome dell’Onorevole Pella, la situazione resta quella già segnalata ossia la necessità di previ accordi fra noie i tedeschi per offrire a questi ultimi la Presidenza della Corte di Giustizia contro il ritiro della loro candidatura alla Presidenza dell’Assemblea Comune e per la quale già esistono impegni di massima».A seguito della posizione presa dai Belgi, Zoppi scriveva a Bonn con T. segreto 9604/137 dell’8 ottobre (Telegrammi segreti originali 1954, partenza, vol. II): «Ambasciata in Brusselle riferisce cheparlamentari belgi Struye e Wigny assicurerebbero pieno appoggio candidatura Pella, qualora fosseritirata candidatura tedesca per la quale esistono forti affidamenti. Essi pertanto segnalano necessità accordo con parlamentari e Governo tedeschi. V.E. vorrà far presente costì che da parte nostra, qualoraci fosse assicurata presidenza Assemblea, appoggeremmo candidatura tedesca per presidenza Corte». Babuscio Rizzo rispondeva da Bad Godesberg con T. segreto 13086/160 del 12 ottobre (Telegrammi segreti originali 1954, arrivo, vol. II): «Dopo i sondaggi eseguiti in questi ambienti ho potuto avere oggi un diretto scambio di vedute sulla candidatura Pella alla presidenza dell’Assemblea Comunedella CECA con il Presidente del gruppo democristiano Von Brentano. Egli che era perfettamente alcorrente della questione mi ha detto francamente che le complicazioni sono state create dalla candidatura del deputato Pder il quale si sarebbe mosso non solo negli ambienti parlamentari tedeschima anche al Lussemburgo e altrove. Ho fatto presente a Brentano che secondo informazioni in nostro possesso era questa sola difficoltà che si frapponeva ad un pieno successo della candidatura italiana edè venuto naturale nel corso della conversazione accennargli la possibilità per l’Italia di non riproporre la candidatura per la Corte di Giustizia dando invece il nostro appoggio per questa carica a personalità tedesca. Brentano ha mostrato di gradire molto questa mia dichiarazione affermando di essere da parte sua pienamente favorevole alla candidatura Pella e di essersi anzi già adoperato presso i liberalied attraverso essi presso i socialisti per conoscerne il pensiero incontrando dappertutto favorevoleaccoglienza al candidato italiano. Brentano mi ha aggiunto che la Delegazione tedesca alla CECA non presenterà pertanto una propria candidatura. Egli prega mantenere la notizia ancora riservata, credoper riguardo a Pder con cui dovrà riparlare per chiarire definitivamente la questione. Von Brentano

prevede che la candidatura Pella presentata a Lussemburgo dal gruppo democristiano verrà accolta all’unanimità. Circa la candidatura tedesca alla Presidenza della Corte, Brentano mi ha detto senza specificare il nome esservi già candidato in possesso dei pieni requisiti per adempiere l’alto incarico». E di seguito con T. segreto 13118/161 del 13 ottobre (Ibidem): «Mi sono intrattenuto ieri sera anche con il Deputato Gerstenmaier Presidente della Commissione Esteri del Bundestag in merito alle candidature alla Presidenza dell’Assemblea Comune CECA. Gerstenmaier non sembrava sicuro che la candidatura di Pder potesse riscuotere i suffragi necessari e mi ha chiesto se la Delegazione italiana a Lussemburgo inclusi socialisti fosse unanime nell’appoggiare la candidatura Pella; ho creduto di rassicurarlo su questo punto. Essendosi venuti a parlare della possibilità per la Germania di ottenere con l’appoggio italiano la presidenza della Corte esso si è mostrato incline a spostare la candidatura Pder verso quest’ultima carica e mi ha anzi promesso che si sarebbe espresso in questo senso con Adenauer che avrebbe visto domani. Questo atteggiamento di Gerstenmaier, il quale non è sempre d’accordo con Brentano ed il cui peso in seno al partito appare in progressivo aumento, servirà certo a facilitare l’attuazione della decisione presa da Brentano quale Presidente del gruppo per il ritiro della candidatura tedesca dalla presidenza dell’Assemblea CECA. Mi permetto di rinnovare il suggerimento di mantenere ancora il riserbo su quanto precede».

Per il seguito vedi D. 157.

130

IL MINISTRO DEGLI AFFARI ESTERI, MARTINO, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, SCELBA(1)

T. segreto 12425/3142. Londra, 29 settembre 1954, ore 21,45 (perv. ore 7,30 del 30).

La giornata odierna è stata caratterizzata da importanti dichiarazioni fatte nella seduta pomeridiana da Dulles e da Eden circa i futuri impegni militari americani e britannici sul continente europeo.

Dulles ha dato al suo discorso un tono di serio ammonimento sottolineando la delusione che la CED ha creato nel Congresso e nell’opinione pubblica americana e la conseguente impossibilità – allo stato attuale dei fatti – di rinnovare gli impegni assunti da Stati Uniti verso la Comunità di difesa. Egli ha lasciato tuttavia intendere che ove dalla Conferenza di Londra e del Consiglio Atlantico scaturisca una nuova organizzazione che offra serie possibilità ripresa unificazione europea, gli Stati Uniti non mancheranno di confermare a loro volta gli impegni verso l’Europa occidentale alla quale da anni hanno fornito solidarietà ed aiuti.

Eden ha dato al proprio intervento carattere di particolare solennità. Rileva necessità di mostrare Stati Uniti volontà sempre pistretta unione europea, ha dichiarato che il Regno Unito non solo rinnoverà nei riguardi della nuova organizzazione dell’Europa gli impegni militari assunti verso la CED ma è pronto ad impegnarsi anche a mantenere sul continente quattro divisioni e le forze aeree ivi attualmente dislocate ed a non ritirarle senza l’approvazione a maggioranza del Consiglio di Bruxelles. Essendo stato deciso che le singole Delegazioni erano libere d’illustrare alla stampa la portata della seduta odierna, ho ritenuto opportuno convocare i corrispondenti dei giornali italiani cui ho fatto ampie dichiarazioni.

1 DGAP, Uff. IV, Versamento CED, 1950-1954, b. 25, fasc. 92. 2 Trasmesso tramite l’Ambasciata a Londra.

131

IL DELEGATO PRESSO LA CONFERENZA DI LONDRA BOMBASSEI(1)

Appunto riservato. Londra, 29 settembre 1954.

Le notizie dateci confidenzialmente da parte tedesca circa la buona atmosfera creatasi nel corso del lungo colloquio odierno fra il Cancelliere Adenauer e il Presidente Mendès, mi sono state confermate da un autorevole membro della Delegazione francese, molto vicino al Presidente.

Anche secondo lui la conversazione è stata dedicata sopratutto a creare un clima favorevole. Non sono state pertanto esaminate questioni particolari.

Sulla Saar sono state scambiate solo poche parole: Il problema appare tuttora aperto e rappresenta indubbiamente una grave preoccupazione per Mendès, convinto che una soluzione per lui soddisfacente sia indispensabile per la presentazione parlamentare dell’insieme degli accordi che verranno raggiunti a Londra.

Il Presidente francese ha avuto la sensazione che Adenauer si renda ora conto – in tema di relazioni franco-tedesche e di rapporti fra il suo Governo e quello di Mendès – di alcuni punti importanti:

1) non vi sono situazioni di particolare difficoltà nello stato d’animo dell’opinione pubblica francese nei confronti della Germania; l’evoluzione verso il definitivo abbandono delle antiche prevenzioni, antipatie e paure è pigenerale e profonda di quanto non si creda di solito;

2) Mendès, nonostante l’origine ebraica, non nutre sentimenti antitedeschi; anzi ha l’ambizione di essere uno degli artefici della riconciliazione tra i due Paesi (pare che su questo punto Mendès abbia specialmente insistito, abbordandolo con grande franchezza);

3) non è facile oggi rovesciare Mendès, la cui posizione nel Paese si va sempre pirafforzando;

4) lo scontento dell’MRP da un lato non deve essere tenuto in eccessivo conto perché il gruppo è fuori del Governo e non sembra sia in grado di sostituirvisi a breve scadenza a Mendès; dall’altro ha probabilmente carattere temporaneo (specialmente per quello che concerne la base elettorale) perché è prevedibile che possa, una volta sbarazzato il campo dalle controversie passionali di politica estera, essere trovato un punto di convergenza con Mendès, al quale gli MRP – se non vogliono rinnegare le loro origini – sono pivicini, sul piano interno, che non, per esempio, a Laniel;

5) Mendès non puabbandonare certi «cattivi amici» finché non sia sicuro che, con la sua politica, ne troverà dei nuovi; a questo proposito il Presidente avrebbe fatto intendere che, se la Conferenza di Londra avrà lo sperato successo, non gli sarà difficile di rompere definitivamente i ponti col neutralismo;

6) il recente viaggio di Mendès in Savoia è stato significativo; i deputati MRP locali erano presenti (ad eccezione di de Menthon) sia pure di cattivo umore per il successo del Presidente proprio nella loro roccaforte tradizionale; ma sopratutto le gerarchie e le forze cattoliche hanno partecipato alle manifestazioni, Vescovo in testa; da notare particolarmente la soddisfazione con cui è stato accolto un gesto di Mendès inteso a dimostrare che egli considera su uno stesso piede le scuole laiche e quelle cattoliche e a dissipare il sospetto di essere l’uomo della divisione ma di nutrire piuttosto idee di conciliazione.

Da ultimo, ricordando anche le parole dirette l’altro giorno all’Italia nel discorso pronunciato da Mendès a Annecy, il mio interlocutore mi ha detto che il Presidente desidera e ricerca pistretti contatti con noi per portare su un terreno piconcreto e fecondo l’amicizia fra i due Paesi. Mi ha lasciato comprendere chiaramente che qualunque iniziativa che potesse essere presa a questo scopo sarebbe molto gradita a Mendès.

Gabinetto, 1953-1961, b. 23, fasc. 1.

132

IL MINISTRO DEGLI AFFARI ESTERI, MARTINO, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, SCELBA(1)

T. s.n.d. 12478/3182. Londra, 30 settembre 1954, part. il 1° ottobre, ore 0,10 (perv. ore 7,50).

Nelle due sedute odierne sono stati lungamente discussi i problemi relativi al progetto di adesione dell’Italia e della Germania al Trattato di Bruxelles, le limitazioni alle forze armate ed il controllo degli armamenti.

Sul primo punto l’accordo è stato praticamente raggiunto.

Quanto alla limitazione degli effettivi, dopo lunghissime discussioni, si è addivenuti ad un accordo di massima secondo cui il Consiglio di Bruxelles fisserà i limiti massimi iniziali sulla base di quelli previsti per la CED, salvo revisione qualora il NATO richieda livelli superiori.

Circa la limitazione degli armamenti, la discussione si è svolta su tre aspetti distinti: divieto di fabbricazione di armamenti speciali in zone strategicamente esposte, limitazione della fabbricazione di armi pesanti, e pianificazione della produzione e distribuzione. Per i divieti e le limitazioni ci si è orientati verso una base di accordo ed ulteriori formulazioni sono state rinviate agli esperti.

Circa il terzo aspetto Mendès-France ha insistentemente ribadito la sua tesi secondo cui gli accordi attuali debbono prevedere l’istituzione in seno alla organizzazione Bruxelles una agenzia destinata ad esercitare una larga pianificazione e fabbricazione degli armamenti riguardante sopratutto le nuove installazioni ed incaricata della distribuzione degli aiuti esterni e del monopolio delle commesse, sostenendo i vantaggi tecnici ed economici che ne deriverebbero e la intensificazione della cooperazione europea che cicomporterebbe. La tesi stessa è fortemente avversata specialmente da parte di Beyen e ha suscitato – per quanto riguarda gli aiuti e le commesse offshore – molte riserve da parte di Dulles.

Nel mio intervento pomeridiano ho suggerito che la questione venisse rimessa alla competenza della nuova organizzazione di Bruxelles alla quale la presente conferenza conferirebbe il mandato e le direttive. Il mio suggerimento è stato accettato e sia Mendès-France che Beyen hanno tenuto ad esprimere la loro particolare riconoscenza per il carattere costruttivo di tale proposta che servirà di base al lavoro degli esperti convocati per domani.

Per quanto non vi nascondo che la conferenza debba ancora far fronte a difficoltà di non poco momento, pure l’atmosfera generale al termine della giornata odierna si presenta orientata a qualche ottimismo: ne sono alla base l’avviamento, avvenuto dopo sufficiente delibazione politica, di tutte le questioni al livello degli esperti e la sensazione di ragionevole cedevolezza della posizione francese.

1 DGAP, Uff. IV, Versamento CED, 1950-1954, b. 25, fasc. 92.

2 Trasmesso tramite l’Ambasciata a Londra. Ritrasmesso con Telespr. segreto 21/2422 del 1° ottobre dall’Ufficio I della Direzione Generale della Cooperazione Internazionale alle Ambasciate ad Ankara, Atene, Bonn, Bruxelles, L’Aja, Ottawa, Parigi e Washington, alla Rappresentanza presso il Consiglio Atlantico a Parigi, alle Legazioni a Copenhaghen, Lisbona, Lussemburgo e Oslo, e per conoscenza, alla Direzione Generale degli Affari Politici.

133

L’AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI, AL SEGRETARIO GENERALE AGLI AFFARI ESTERI, ZOPPI(1)

L. personale 143362. Washington, 30 settembre 1954.

Caro Zoppi,

mi riferisco alla tua lettera 21/2375 del 23 corrente(3).

Ho fatto conoscere al Dipartimento di Stato l’intenzione del Governo di provocare una mozione parlamentare che possa sostituire, psicologicamente e politicamente, la ratifica della CED. Tale intenzione è stata vivamente apprezzata.

A. Tarchiani

1 DGAP, Uff. IV, Versamento CED, 1950-1954, b. 25, fasc. 92.

2 Il documento reca i timbri: «Visto dal Ministro» e «Visto dal Segretario generale» con la sigla di Zoppi; «Inviato in copia al Presidente della Repubblica» e «Inviato in copia ai Sottosegretari».

3 Vedi D. 103.

134

IL MINISTRO DEGLI AFFARI ESTERI, MARTINO, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, SCELBA(1)

T. s.n.d. 12523/3192. Londra, 1° ottobre 1954, part. il 2, ore 2,58 (perv. ore 8).

Nella riunione antimeridiana è stato completato l’accordo per la limitazione ed il controllo delle forze armate. Esso prevede la conclusione tra le potenze dell’organizzazione di Bruxelles di una convenzione fissante i massimi; tale massimo sarà, per quanto riguarda la Repubblica Federale, corrispondente a quello previsto dall’accordo speciale per la CED; se in seguito in sede di revisione annuale del NATO fosse raccomandato l’aumento oltre i detti massimi, tale aumento necessiterà l’approvazione unanime delle potenze del Patto di Bruxelles; tutte le forze dei Paesi NATO stazionate sul continente europeo saranno piazzate sotto l’autorità della SAUCER salvo le eccezioni che il NATO ha riconosciuto o riconoscerà; i poteri della SAUCER relativamente allo spiegamento e alla dislocazione delle truppe vengono sottolineati; i controlli relativi alle forze armate verranno effettuati dalla SACEUR che invierà anche i dati relativi alla organizzazione di Bruxelles; impegni sono previsti anche per le forze armate di difesa interna, e, in forma che ho ottenuto soddisfacente per noi, di polizia.

Nella seduta pomeridiana i Ministri si sono principalmente occupati di nuovo dei problemi relativi alle limitazioni ed al controllo degli armamenti, essendo state manifestate in seno al Comitato degli esperti vedute assai divergenti soprattutto da parte francese e tedesca sia per quanto riguarda la determinazione delle zone strategicamente esposte e delle categorie delle armi speciali cui applicare i divieti di produzione sia per quanto riguarda le limitazioni ed il controllo degli armamenti.

La divergenza tra le impostazioni francese e tedesca si è manifestata con notevole intensità anche nelle riunioni dei Ministri. Dulles e Pearson hanno presentato proposte intese a raggiungere in qualche modo un limitato inizio del riarmo tedesco rinviando alla organizzazione del Trattato di Bruxelles le definitive decisioni sui punti in discussione. Peraltro al termine della riunione serale i problemi sono rimasti aperti e la discussione sull’argomento rinviata a domani. Il Ministro Eden ha effettuato a conclusione un caloroso intervento ricordando la vitale importanza per l’Occidente che la Conferenza giunga a risultati positivi e che alla base delle discussioni e delle decisioni stiano criteri di mutua fiducia e comprensione e non diffidenza e sospetto.

Previsioni circa la data della fine della Conferenza che stamane sembravano orientate a sabato sera [il 2], stasera si orientano verso domenica al pipresto.

1 DGAP, Uff. IV, Versamento CED, 1950-1954, b. 25, fasc. 92.

2 Trasmesso tramite l’Ambasciata a Londra. Ritrasmesso con Telespr. segreto 21/2435 del 2 ottobre dall’Ufficio I della Direzione Generale della Cooperazione Internazionale alle Ambasciate ad Ankara, Atene, Bonn, Bruxelles, L’Aja, Ottawa, Parigi e Washington, alla Rappresentanza presso il Consiglio Atlantico a Parigi, alle Legazioni a Copenhaghen, Lisbona, Lussemburgo e Oslo, e per conoscenza, alla Direzione Generale degli Affari Politici.

135

IL MINISTRO DEGLI AFFARI ESTERI, MARTINO, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, SCELBA(1)

T. s.n.d. 12558/3222. Londra, 2 ottobre, part. il 3, ore 10,15 (perv. ore 10,45).

Nella riunione antimeridiana la questione dei controlli sugli armamenti e sulla produzione ha provocato nuove difficoltà e vivaci contrasti che sono stati rimossi soltanto dopo una riunione ristretta svoltasi su nostra proposta, che ha portato alla definizione della delicata questione costituita dalla proibizione di armi speciali. Il Cancelliere Adenauer ha, a tale proposito, annunciato l’autolimitazione nei confronti della Germania.

Contemporaneamente, a mezzo di appositi Comitati, sono stati portati a termine i lavori relativi al riconoscimento della sovranità tedesca, all’accessione dell’Italia e della Germania al Patto di Bruxelles, alla dichiarazione da parte della Germania e delle Tre Potenze alleate circa la sicurezza in Europa.

Esaurito così anche il difficile problema della definizione delle così dette zone strategicamente esposte, è stato possibile raggiungere un accordo finale e generale e si è già provveduto alla compilazione e all’approvazione dell’Atto finale della Conferenza che sarà firmato domani alle ore 15 dai nove Ministri e reso pubblico.

Conto di partire subito dopo per Roma via aerea.

1 DGAP, Uff. IV, Versamento CED, 1950-1954, b. 25, fasc. 92. 2 Trasmesso tramite l’Ambasciata a Londra.

136

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI AFFARI ESTERI, BENVENUTI, ALL’AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI(1)

L. Roma, 2 ottobre 1954.

Caro Ambasciatore,

[...]

Ho letto il Suo bellissimo rapporto(2).

Mi consenta di mandarle copia di tre appunti(3) che ho inviato a suo tempo ai miei «superiori».

La mia prosa, tanto meno brillante della Sua, non sarà forse stata letta: cosa che (posso dichiararlo da buon testimone oculare) non succede mai per i Suoi rapporti i quali formano oggetto, in genere, di appassionati commenti, a livello politico ed a livello diplomatico.

Come vedrà l’ispirazione di questi appunti è orientata verso una relativa diffidenza alla politica franco-britannica.

Non v’è dubbio, come dice Brosio(4) e come Lei giustamente richiama, che alla fine la Gran Bretagna non romperà con l’America.

È peranche vero che fin quando non vi sarà sul continente europeo un pilastro sicuro della politica occidentale nel senso del «non appeasement», ‒anche l’America non pu fronteggiare efficacemente la politica di Eden-Churchill-Attlee-Bevan [sic]5.

E tutte le difficoltà che incontra una politica di organizzazione della resistenza europea nascono appunto, a mio modesto avviso, da tale dato di fatto.

Per contro resto convinto che, se il Signor Dulles non avesse preso l’aereo, e non fosse volato a Bonn, si sarebbe continuato coi comunicati al lattemiele, nei quali niente si diceva di ciche era duramente necessario di dire.

Oggi mentre Le scrivo sembra che la Conferenza sia tuttora in crisi.

Sono convinto che con quel tipo di maggioranza parlamentare che mi sono permesso di descrivere a pag. 3 e a pag. 6 del mio appunto n. 1, difficilmente si realizzerà qualcosa di concreto fin quando gli altri Paesi non si decideranno a dimostrare coi fatti a M.F. che si procede anche senza di loro, e anche contro di loro. Non dimentichiamo che non basta un buon comunicato, né un discreto trattato, ma occorre tutta una volontà politica decisa (dopo i comunicati e i trattati) a schierare sull’Elba le divisioni tedesche.

Giustamente Ella scrive «Per i francesi ci vuole una prova che con la Russia non ci si puintendere». Senonché tale prova è impossibile: perché l’intesa è possibilissima. Basta una piccola piccola Monaco.

Questo è il «Mal Francese» (M.F.) da cui rischiamo di essere appestati.

Io non dico con questo che si debba scatenare l’offensiva per abbattere l’attuale Governo M.F. Dico perche non è assolutamente indispensabile che ci mettiamo in Otto intorno a lui per salvarlo a tutti i costi.

Sartanto lieto di vederla presto, caro Ambasciatore, e mi creda, con vivissima, salda ed affettuosa amicizia, coi pidevoti omaggi a Sua moglie(6).

Aff.mo

Benvenuti

1 Ambasciata a Parigi, 1951-1960, b. 40, pos. 11/18.12. Si omettono le frasi legate a situazioni puramente personali.

2 Vedi D. 86.

3 Vedi DD. 65, 71 e 83.

4 Vedi D. 56.

5 Aggiunta a margine di Benvenuti: «è questa la scaletta».

6 Per la risposta vedi D. 154.

137

[LA DIREZIONE GENERALE DELLA COOPERAZIONE INTERNAZIONALE] AL MINISTRO DEGLI AFFARI ESTERI, MARTINO(1)

Appunto. Roma, 4 ottobre 1954.

SCHEMA DI RIASSUNTO DELLA CONFERENZA DI LONDRA

1° -Atmosfera internazionale pre-Conferenza.

Conseguenze del fallimento della Conferenza di Bruxelles e del voto dell’Assemblea Nazionale francese contro il Trattato della CED. Diffidenza degli uomini di Governo del Benelux nei confronti del Presidente Mendès-France. Atteggiamento di disillusione e sospetto degli ambienti americani.

2° -Nuova impostazione del problema della cooperazione occidentale a seguito della caduta del Trattato CED.

Iniziativa del Governo britannico e visita del Ministro Eden nelle capitali europee e viaggio esplorativo del Segretario di Stato Foster Dulles a Bonn e a Londra a sostegno dei «desiderata» tedeschi.

Necessità di valorizzazione di un nuovo organismo politico europeo con conseguente impostazione della «contemporaneità» dell’allargamento del Patto di Bruxelles del 1947 all’Italia e alla Germania e dell’ingresso della Germania nella Organizzazione Atlantica. Netta tendenza francese per il consolidamento del Patto di Bruxelles per permettere un accrescimento della collaborazione inglese con l’Europa continentale ed al tempo stesso l’istituzione di forme di controllo europeo nei confronti del riarmo della Germania.

3° -Importanza e peso dell’azione francese in seno alla Conferenza di Londra.

Chiara intenzione del Governo di Parigi di ottenere una effettiva limitazione del riarmo tedesco e comunque una qualche discriminazione nei confronti di Bonn. Conseguente presentazione di progetti francesi, tanto in merito al livello ed alla efficienza delle forze quanto alla produzione degli armamenti. Necessità per la Francia di potenziare un nuovo organo europeo di controllo (Agenzia speciale nel quadro del Patto di Bruxelles), al di fuori della NATO, atto a delimitare i «maxima» nei confronti dei «minima» richiesti ed imposti annualmente dalla Organizzazione Atlantica ai Paesi membri.

4° -Durata e sviluppo della Conferenza di Londra.

Latente ma continuo contrasto tra le tesi francesi e quelle dei Paesi del Benelux, tutti contrari ad immaginare la possibilità di un «pool» degli armamenti ed un controllo, alla base, della produzione bellica. Atteggiamento riservato e prudente della Germania intesa, comunque, ad ottenere il riconoscimento della sovranità ed un primo riarmo. Azione equilibratrice italiana. Interesse dell’Inghilterra ad un successo della Conferenza di Londra e ad un consolidamento del Patto di Bruxelles. Importanza e significato della dichiarazione del Ministro Eden in merito alla permanenza nell’Europa continentale di quattro divisioni britanniche e delle forze di aviazione tattica ed in merito all’impegno del Governo di Londra di non ritirare tali forze contro il desiderio della maggioranza dei Paesi membri del Trattato di Bruxelles, Dichiarazioni ammonitrici del Segretario di Stato americano Foster Dulles, intese pera permettere – nel caso di un prossimo favorevole sviluppo della collaborazione occidentale – una rinnovata cooperazione e permanenza delle forze americane in Europa conformemente alla strategia nord-atlantica.

5° -Risultati della Conferenza di Londra.

A) Progresso effettivo nel processo di riconoscimento della sovranità alla Germania da parte dei tre Alleati occupanti. Dichiarazione di intenzioni da parte dei tre Governi alleati per associare la Repubblica Federale tedesca, su piede di eguaglianza, ai loro sforzi per la pace e per la sicurezza e per mettere fine al pipresto al regime di occupazione. Progressiva diminuzione dei poteri degli Alti Commissari Alleati in Germania.

B) Adesione dell’Italia e della Germania al Patto di Bruxelles, collegata con il rinforzamento ed il riadattamento di tale Trattato con la creazione di un Consiglio Direttivo con poteri di decisione. Compiti di tale Consiglio in merito alla formazione ed al controllo del contributo dei sette Paesi membri alla difesa comune nel quadro della NATO: conseguente fissazione del principio che tale contributo, da parte della Germania, sarà conforme a quello già in precedenza fissato nel Trattato per la CED. Abolizione del primitivo concetto limitativo delle «zone strategicamente esposte», e cia causa della rinuncia volontaria da parte del Governo di Bonn e dei Governi del Benelux di iniziare la fabbricazione di armi atomiche, batteriologiche e chimiche, mentre per i missili, le navi da guerra di tonnellaggio superiore alle 3.000 tonnellate e per le forze aeree strategiche la Germania stessa si impegna a non iniziarne la costruzione salvo future autorizzazioni da concedersi, a maggioranza qualificata, dal Consiglio Direttivo del Trattato di Bruxelles. Creazione, sempre nel quadro di Bruxelles, della speciale «Agenzia» destinata ad esercitare gli opportuni controlli. Impegno da parte dei Governi degli Stati Uniti e del Canada di portare a conoscenza dell’Agenzia stessa, preventivamente, i dati relativi alla concessione di loro aiuti militari a favore dei membri dell’Organizzazione di Bruxelles.

C) Adozione della proposta per l’ingresso della Germania nella Organizzazione Atlantica. Prossima Conferenza Atlantica a Parigi (22 ottobre) preceduta dalla riunione (21 ottobre) dei rappresentanti dei nove Paesi della Conferenza di Londra per l’adozione delle norme finali, predisposte da appositi Comitati di Esperti (da tenersi in queste settimane a Parigi) intese a definire i dettagli del rifacimento del Patto di Bruxelles in merito all’ingresso dell’Italia e della Germania e nei confronti dei poteri della prevista «Agenzia» di controllo. Riconferma dei poteri del Comando Supremo Atlantico in merito all’impiego delle forze in Europa e della strategia atlantica.

6° -Dichiarazione politica del Governo della Repubblica Federale Tedesca, per confermare la propria adesione al Trattato di Bruxelles ed al Patto Atlantico e per ripetere la propria intenzione di non fare alcun ricorso alla forza per procedere alla riunificazione della Germania o per modificare gli attuali confini della Repubblica stessa. Contemporanea dichiarazione dei tre Governi degli Stati Uniti, del Regno Unito e della Francia, intesa a prendere nota della dichiarazione germanica, a confermare i propri intendimenti di pace e a ripetere il riconoscimento del Governo di Bonn quale solo Governo tedesco liberamente e legittimamente costituito.

DGAP, Uff. IV, Versamento CED, 1950-1954, b. 25, fasc. 92.

138

IL DIRETTORE GENERALE DELLA COOPERAZIONE INTERNAZIONALE MAGISTRATI(1)

Appunto riservatissimo 21/24462. Roma, 4 ottobre 1954.

APPUNTO RELATIVO ALLA CONFERENZA DEI NOVE PAESI INTERESSATI ALLA COOPERAZIONE OCCIDENTALE (Londra, Lancaster House, 28 settembre-3 ottobre 1954)

A norma degli inviti rivolti dal Governo del Regno Unito per una riunione, a Londra, dei Paesi maggiormente interessati alla cooperazione occidentale, i Ministri degli Affari Esteri dei Paesi stessi si sono incontrati nella Lancaster House della Capitale britannica alla data del 28 settembre 1954.

Presidente della riunione e Delegato del Regno Unito è stato il Ministro degli Affari Esteri, Anthony Eden, mentre gli altri otto Paesi vi sono stati così rappresentati: l’Italia dal nuovo Ministro degli Affari Esteri, On. Martino; la Francia dal Presidente del Consiglio e Ministro degli Esteri, Mendès-France; la Repubblica Federale Tedesca dal Cancelliere, Konrad Adenauer; gli Stati Uniti d’America dal Segretario di Stato, Foster Dulles; il Belgio dal Ministro degli Affari Esteri, Spaak; i Paesi Bassi dal Ministro degli Affari Esteri, Beyen; il Lussemburgo dal Presidente del Consiglio, Bech; ed infine il Canada dal Ministro degli Affari Esteri, Pearson.

I Ministri erano accompagnati da Delegazioni numerose e dagli Ambasciatori residenti a Londra. Presenti, inoltre, i tre Alti Commissari in Germania.

La riunione, come è noto, era stata predisposta dal Foreign Office a seguito e a conclusione del viaggio esplorativo eseguito, nella seconda decade di settembre, nelle capitali europee maggiormente interessate, dal Ministro Eden: viaggio che aveva egregiamente servito a fissare taluni punti preliminari dei nuovi contatti resisi necessari, tra i Paesi occidentali, a seguito dell’insuccesso della Conferenza di Bruxelles e del respingimento, da parte dell’Assemblea Nazionale francese, del Trattato per la CED.

Se, per quel viaggio era apparso un primo passo in avanti di una qualche importanza, non si pudire che esso avesse effettivamente servito a rasserenare una atmosfera resa particolarmente pesante e dubbiosa tanto per l’incertezza regnante circa la tattica e le finalità del Governo di Parigi quanto per gli interrogativi sollevati dalla rapida ed improvvisa visita del Segretario di Stato americano Foster Dulles a Bonn ed a Londra, visita da molti interpretata come una mossa del Governo di Washington intesa a dimostrare contemporaneamente il malcontento americano per la caduta della CED ed il desiderio del Dipartimento di Stato di vedere sostenuti ed appoggiati i «desiderata» tedeschi in tema di riacquisto della sovranità e di riarmo.

Tutto cispiega come le prime battute della Conferenza di Londra, apertasi, come si è detto, con notevole solennità, nella mattina del 28 settembre, siano state ispirate ad alquanta incertezza e ad indubbia reciproca diffidenza. Basterà accennare al fatto che al discorso di impostazione dei problemi fatto, in termini alquanto risoluti, dal Presidente del Consiglio di Francia, ebbero subito a far seguito momenti di assoluto silenzio, quasi che nessuno volesse prendere posizione: situazione di disagio che poté risolversi soltanto dopo un intervento del Rappresentante italiano, Ministro Martino, il quale, nel riaffermare lo spirito di collaborazione del Governo di Roma e nel dichiarare urgente ed indispensabile la restituzione della sovranità alla Repubblica Federale Tedesca, ebbe pera porre in rilievo come si rendesse ormai necessario, nei riguardi degli armamenti dei Paesi europei occidentali, un sistema di garanzie da realizzarsi mediante opportuni controlli anche se su di un piano di parità e senza discriminazioni.

In tale suo intervento iniziale, l’On. Martino aggiungeva poi come il Governo italiano vedesse con favore un’impostazione del problema della cooperazione occidentale, dopo la mancata realizzazione della Comunità di Difesa, sulla base di una ammissione dell’Italia e della Germania al Patto di Bruxelles del 1948, opportunamente riadattato, e del contemporaneo ingresso della Germania nell’Organizzazione Atlantica.

Ad onta di una tale impostazione ‒che del resto era già apparsa evidente nei contatti avuti dal Ministro Eden nel corso del suo viaggio, già sopra ricordato, nelle capitali europee ‒destinata ad indicare, in qualche modo, la via da percorrere, i primi due giorni di discussione sono stati, si ripete, caratterizzati da un continuo contrasto tra le tesi sostenute dal Presidente del Consiglio Mendès-France, ed intese ad ottenere in qualche modo l’istituzione di forme di un forte controllo europeo nei confronti del riarmo della Germania e della conservazione di una certa discriminazione ai danni di Bonn, e quelle caldeggiate particolarmente dai Rappresentanti del Benelux, e specialmente dal Ministro Spaak, dirette ad impedire che, in realtà, quella discriminazione giocasse soltanto a favore della Francia e cioè di quella Francia che aveva tanto clamorosamente respinto il Trattato per la CED, già solennemente approvato dai Parlamenti di Bruxelles, L’Aja e Lussemburgo.

Situazione, questa, che rese necessario, al terzo giorno della Conferenza, un drammatico ed importantissimo intervento del Ministro Eden, costituito dall’annuncio della decisione britannica di mantenere in Europa ‒a titolo di permanente ed effettivo contributo alla cooperazione occidentale nel continente ‒ben quattro divisioni sostenute dalle relative forze aeree di impiego tattico: decisione di indubbio grande e «storico» significato alla quale veniva ad aggiungersi l’altra, di non minore valore, per cui quelle divisioni non potrebbero venire, in futuro, ritirate (a meno, naturalmente, di gravi eventi britannici) se non con l’approvazione della maggioranza dei Paesi firmatari del Trattato di Bruxelles.

Con tale annuncio, interpretato, nei corridoi della Conferenza, come una rinuncia ed un abbandono della tradizionale e secolare «insularità» dell’Inghilterra, il Presidente Mendès-France non poteva non segnare un primo e grosso punto di vantaggio, in quantoché troppo noti erano gli sforzi tante volte compiuti dai suoi predecessori i quali per anni, e allo scopo di varare in qualche modo il Trattato per la CED, si erano senza successo adoperati per ottenere l’ancoramento definitivo delle forze militari britanniche sul continente europeo a sostegno delle forze francesi.

Alla dichiarazione di Eden venivano poi, inoltre, subito ad affiancarsi quelle del Segretario di Stato, Foster Dulles, e del Ministro degli Affari Esteri del Canada, Pearson. La prima, in qualche modo ammonitrice nei confronti dei Paesi europei, ma intesa a rinnovare, nel caso di prossimi favorevoli sviluppi della cooperazione occidentale, la collaborazione di forze armate americane in Europa per la difesa congiunta dell’area atlantica, e la seconda destinata anch’essa a ripetere la fedeltà del Governo di Ottawa alla causa atlantica ed ai rapporti con i Paesi del Trattato di Bruxelles.

Con tali dichiarazioni, che dimostravano, da una parte, l’ormai decisa volontà del Governo di Londra di vedere costituita, con la propria diretta e decisiva partecipazione, una nuova forma di unità europea sulla base del Trattato di Bruxelles, definito quale il fulcro dell’Europa occidentale e, dall’altra, l’intenzione americana di «non rompere pi con l’Europa ad onta del fallimento della CED, la Conferenza pareva destinata ad avviarsi senz’altro a favorevoli conclusioni. Ma, viceversa, nuovi ed aspri contrasti non mancarono di verificarsi in merito alla grave e delicata questione dell’istituzione dei controlli in merito agli effettivi ed agli armamenti dei Paesi continentali aderenti al Patto di Bruxelles.

La Francia, infatti, mostrin ripetute occasioni e con l’abile dialettica del Signor Mendès-France, di voler assolutamente disgiungere, mediante la creazione di una apposita «Agenzia di controllo» nel quadro del Trattato di Bruxelles, la questione della fissazione del mantenimento dei livelli di forze e di armamento dalla normale revisione annuale affidata alla Organizzazione Atlantica: quasiché, in definitiva, i «maxima» da definirsi in seno a Bruxelles, potessero essere di molto diversi dai «minima» richiesti ed imposti dalle necessità militari dell’Alleanza Atlantica. Essa inoltre, insistendo duramente per ottenere o un vero e proprio «pool» della produzione bellica tra i Paesi di Bruxelles o, almeno, un controllo alla base della produzione stessa, finì per suscitare vivaci reazioni che portarono persino a ripetute sospensioni di seduta ed interruzione delle conversazioni nella aula delle riunioni. E si pudire che soltanto la proposta avanzata dal Ministro Martino ed intesa ad ottenere la sostituzione delle riunioni plenarie con altre a carattere privato e con la presenza dei soli Ministri degli Esteri accompagnati ciascuno da un solo esperto, finì per provocare la creazione di un’atmosfera di minore drammaticità e di maggiore serenità.

Così, attraverso una serie ininterrotta di «alti e bassi», si poté giungere alla giornata conclusiva della Conferenza ed alla formulazione di un vero e proprio suo «Atto Finale» destinato ad essere contemporaneamente il documento ufficiale ed il comunicato riassuntivo della Conferenza stessa; e i nove Ministri potevano ad esso apporre la loro firma nel pomeriggio di domenica 3 ottobre decidendo, al tempo stesso, di promuovere una loro nuova riunione a Parigi alla data del 21 ottobre per definitivamente approvare il lavoro che gli esperti compiranno nei prossimi giorni, sempre a Parigi, per tradurre in dettaglio, in merito sopratutto al problema del controllo della produzione bellica, i «principii» stabiliti a Londra. Subito dopo, e cioè alla data del 22 ottobre, avrà luogo, con ogni probabilità, la speciale Conferenza Atlantica destinata a sancire l’ingresso della Repubblica Federale Tedesca nell’Organizzazione Atlantica.

Quali i risultati effettivi e formali della Conferenza?

A) Progresso effettivo nel processo di riconoscimento della sovranità della Repubblica Federale Tedesca da parte dei tre Alleati occupanti. I tre Governi alleati, in una loro «dichiarazione di intenzioni», riaffermano il loro intendimento di vedere la Repubblica Federale associata, su piede di eguaglianza, ai loro sforzi per la pace e per la sicurezza. Si avrà, quindi, ora, una progressiva diminuzione dei poteri degli Alti Commissari Alleati in Germania, fino al definitivo esaurimento dell’attuale regime di occupazione.

B) Adesione dell’Italia e della Germania al Patto di Bruxelles del 1948, collegata, come si è già accennato, con il rinforzamento ed il riadattamento di tale Trattato e con la creazione di un Consiglio Direttivo con poteri di decisione. Tale Consiglio avrà anche compiti in merito alla formazione ed al controllo del contributo dei sette Paesi membri alla difesa comune nel quadro della NATO, con conseguente fissazione del principio che tale contributo, da parte della Germania, sarà conforme a quello già in precedenza fissato nel Trattato per la CED(3).

In tale settore è stato abolito il primitivo concetto limitativo delle cosiddette «zone strategicamente esposte», e cia causa della rinuncia volontaria, da parte del Governo di Bonn e dei Governi del Benelux, ad iniziare la fabbricazione di armi atomiche, batteriologiche e chimiche, mentre per i missili, per le navi da guerra da superficie di tonnellaggio superiore alle tremila tonnellate, per i sottomarini di tonnellaggio superiore alle trecentocinquanta tonnellate ed, infine, per gli aerei da impiego strategico la Repubblica Federale Tedesca si impegna a non iniziarne la costruzione salvo future esplicite autorizzazioni da concedersi, a maggioranza qualificata, dal Consiglio Direttivo previsto dal Trattato di Bruxelles.

È prevista, infine, sempre in questo quadro, la creazione di quella speciale «Agenzia» destinata ad esercitare gli opportuni controlli ed alla quale si è sopra accennato: ad essa, tra l’altro, i Governi degli Stati Uniti e del Canada comunicheranno i dati relativi alla concessione di loro aiuti militari a favore dei membri dell’Organizzazione di Bruxelles.

C) Adozione della proposta per l’ingresso della Repubblica Federale tedesca nella Organizzazione Atlantica. Su tale argomento gli otto Paesi che sono già membri della NATO riaffermano la loro intenzione ed il loro desiderio di vedere il meccanismo dell’Organizzazione Atlantica rinforzato da speciali misure intese a porre in rilievo l’autorità del Comando Supremo (SACEUR) sulle forze stazionanti sul continente europeo, ad eccezione di quelle destinate a rimanere sotto comando nazionale. Si suggerisce, inoltre, che l’interpretazione da darsi all’articolo 13 del Patto Atlantico sia che quest’ultimo appare di durata «indefinita» anche se, dopo 20 anni dalla sua firma, ogni Paese membro possa annunciare il suo ritiro dall’Organizzazione.

D) Dichiarazione politica del Governo della Repubblica Federale Tedesca per confermare la propria adesione al Trattato di Bruxelles ed al Patto Atlantico e per ripetere la propria intenzione di non compiere alcun ricorso alla forza per procedere alla riunificazione della Germania o per modificare gli attuali confini della Repubblica stessa. Contemporanea dichiarazione dei Governi degli Stati Uniti, del Regno Unito e della Francia intesa a prendere nota della dichiarazione germanica, a confermare i propri intendimenti di pace, e a ripetere il loro riconoscimento del Governo di Bonn quale solo Governo tedesco liberamente e legittimamente costituito e atto, quindi, a «parlare» a nome della Germania.

In riassunto:

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5. La Repubblica Federale Tedesca ha mostrato, con l’atteggiamento calmo, prudente, conciliante e persino, in taluni momenti, remissivo del Cancelliere Adenauer, di volere, sopratutto, non compromettere, con pericolose frizioni e polemiche, i tre scopi principali perseguiti dal suo Governo: il riconoscimento della sovranità con la fine del regime di occupazione, il suo definitivo ingresso nelle Organizzazioni occidentali, ed il suo limitato riarmo. Anche essa pu evidentemente, dichiararsi non insoddisfatta, sotto il profilo suindicato, dei risultati di Londra.

6. Il Governo degli Stati Uniti sembra avere ormai, in qualche modo, «digerito» l’insuccesso della CED e se un’amarezza tuttora sussiste è piuttosto nel riconoscere di essersi troppo esposto e compromesso, nel quadro delle ripercussioni internazionali, per sostenere e difendere la CED. Deve quindi presumersi che, almeno per il prossimo avvenire, il Dipartimento di Stato sarà estremamente guardingo e prudente prima di dare entusiastiche approvazioni a questa o a quella nuova organizzazione occidentale, preferendo attenderne i risultati positivi. Il Governo americano, infine, sembra abbastanza fiducioso ‒e ciò lo tranquillizza non poco ‒nel fatto che il Regno Unito, nelle attuali circostanze, difficilmente potrà accedere ad un desiderio francese di vedere riprese al pipresto le eventuali conversazioni con il Governo sovietico.

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1 DGAP, Uff. IV, Versamento CED, 1950-1954, b. 25, fasc. 92.

2 Sottoscrizione autografa. Inviato da Magistrati con lettere riservate 21/2454, 21/2455, 21/2456 del 4 ottobre rispettivamente a Bombassei, Brosio, Canali e con lettera riservata 21/2449 del 5 ottobre a Alberto Rossi Longhi, a Taviani, Vanoni, Mancinelli, Urbani, Ferreri, Ferrari Aggradi, Cattani, Caruso, Grazzi, Di Stefano, Benzoni di Balsamo, Guidotti, Tarchiani, Babuscio Rizzo, Quaroni, Pietromarchi, Alessandrini, Baldoni, Venturini, Soardi di S. Antonio, De Vera d’Aragona, Cavalletti, Mosca, Cittadini Cesi. Il documento reca il timbro: «Visto dal Segretario Generale» con la sigla di Zoppi.

3 Nota del documento: «ossia 12 divisioni e 1300 aerei leggeri».

139

IL MINISTRO A LUSSEMBURGO, CAVALLETTI, AL MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI(1)

T. segreto 12662/477. Lussemburgo, 5 ottobre 1954 (perv. ore 17,53).

Oggetto: Accordo di Londra.

Per quanto Bech certamente ha già avuto occasione di manifestare a V.E. a Londra il suo pensiero sulla Conferenza preliminare, mi permetto per debito d’ufficio di riferire il colloquio avuto con lui. Secondo Bech l’accordo a Londra si è realizzato sopratutto per «magnanimità» di Adenauer che ha mostrato spirito veramente superiore nel decidere i problemi delicatissimi per la Germania. Mendès-France ha cercato tirare troppo il suo arco ad ha continuato come alla Conferenza di Bruxelles a raccogliere antipatie. Tuttavia mentre a Bruxelles era stato chiarito a tutti che Mendès-France era personalmente contrario alla CED, a Londra egli è sembrato abbastanza sinceramente convinto della necessità di fare approvare l’accordo dal Parlamento francese. Bech ritiene che tale approvazione non dovrebbe mancare.

Il giudizio di Bech sulla portata dell’accordo è che esso non elimina completamente le preoccupazioni, molto forti nel Benelux per la rinascita del militarismo tedesco. Bech mi ha detto di aver particolarmente apprezzato gli sforzi fatti da V.E. a Londra affinché lo spirito d’integrazione europea venisse mantenuto e gli interventi che Ella ha fatto a tale scopo.

1 DGAP, Uff. IV, Versamento CED, 1950-1954, b. 28, fasc. 99.

140

LA DIREZIONE GENERALE DELLA COOPERAZIONE INTERNAZIONALE(1)

Appunto(2).

Il Ministro Martino illustra i risultati della recente conferenza internazionale tenutasi Londra(3) alla quale hanno partecipato i Ministri degli Esteri del Belgio, del Canada, della Francia, della Gran Bretagna, dell’Italia, del Lussemburgo, dei Paesi Bassi, della Repubblica Federale di Germania e degli Stati Uniti. Egli riassume la critica situazione venutasi a creare dopo il fallimento della Conferenza di Bruxelles ed il rigetto del Trattato per la Comunità di Difesa da parte del Parlamento francese, ed accenna al viaggio del Ministro britannico Eden attraverso le capitali dell’Europa occidentale nel corso del quale sono state gettate le basi della Conferenza di Londra.

Rileva che i risultati di Londra sono incoraggianti: l’aver potuto in brevi settimane uscire dalla situazione critica sovradescritta testimonia della vitalità dell’idea europea e della coscienza che gli Stati dell’occidente europeo hanno della necessità di mantenersi uniti.

Riassume le decisioni della Conferenza di Londra. L’Italia e la Germania aderiranno al Trattato di Bruxelles del 1948 ampliato e modificato sì da renderlo da un lato strumento atto ad assicurare la limitazione ed il controllo delle Forze Armate e degli armamenti dei paesi membri in Europa e dall’altro quadro idoneo allo sviluppo di iniziative europeistiche. Le tre potenze occupanti porranno fine al regime di occupazione nella Repubblica Federale di Germania e questa, con la restituzione dei poteri sovrani, parteciperà allo sforzo difensivo dell’Occidente entrando a far parte dell’organizzazione atlantica e portando il suo contributo in reparti ed armamenti nei limiti fissati e che corrispondono a quelli concordati nel 1952 nel quadro CED.

Il Ministro Martino sottolinea due elementi di particolare importanza che hanno contribuito in modo determinante ad imprimere alla conferenza favorevole corso. Il primo è l’impegno assunto da parte britannica di mantenere sul continente europeo in tempo di pace le attuali forze, e cioè quattro divisioni ed un grande reparto aereo. Il secondo è l’impegno assunto dalla Germania, e della cui osservanza sarà garante un organo internazionale di controllo, di non fabbricare sul proprio territorio armi atomiche, biologiche e chimiche nonché altre armi principali.

Il Ministro Martino sottolinea infine il contributo costruttivo apportato alle discussioni di Londra dalla Delegazione italiana, a tutela degli interessi del nostro Paese e nella ricerca di una soluzione, in spirito di armoniosa collaborazione, ai gravi problemi cui l’occidente europeo si trovava di fronte.

I risultati della Conferenza di Londra, che aveva carattere preparatorio, verranno elaborati da appositi gruppi di lavoro a Londra ed a Parigi. È prevista per il 21 ottobre una nuova riunione a Parigi dei Ministri degli Esteri onde procedere alla conclusione e firma degli atti formali in cui le decisioni prese a Londra troveranno la loro formulazione.

1 DGAP, Uff. IV, Versamento CED, 1950-1954, b. 29, fasc. 102.

2 Consegnato il 9 dicembre in risposta a L. 1/3996 del 7 dicembre di Milesi a Plaja, il cui tenore era il seguente: «Caro Eugenio, dalla Presidenza del Consiglio ci chiedono elementi per redigere in maniera definitiva i verbali del Consiglio dei Ministri del ... 5 ottobre nel corso del quale il Ministro Martino ha riferito circa l’esito della Conferenza di Londra e l’opera ivi svolta dalla nostra Delegazione. Al momento il Sottosegretario verbalizzante non prese nota; potresti farmi avere una mezza paginetta a macchina per accontentarli? Grazie vivissime e molti cordiali saluti, tuo aff. Gian Luigi Milesi». Si tratta della riunione straordinaria del Consiglio dei Ministri per autorizzare Brosio a sottoscrivere l’Accordo su Trieste: Oggi Trieste e la «zona A» tornano all’Italia, «La Stampa», 5 ottobre 1954.

Vedi DD. 126, 127, 130, 132, 134, 135 e 137.

141

L’AMBASCIATORE A BRUXELLES, GRAZZI, AL MINISTRO DEGLI AFFARI ESTERI, MARTINO(1)

R. 4057/19882. Bruxelles, 5 ottobre 1954.

Signor Ministro,

Mi consenta V.E. di felicitarmi per l’esito della Conferenza di Londra e per i risultati conseguiti che sembrano particolarmente profittevoli ai nostri interessi. Ci non solamente in quanto si è posto un arresto ad una situazione che, dopo la Conferenza di Bruxelles, si avviava ad un deterioramento definitivo, o in quanto si è salvata l’Alleanza Atlantica, o perché si è trovato maniera di procedere al riarmo della Germania: ma perché ‒tenendo conto che dovevamo ormai ripartire da zero ‒si sono raggiunti i risultati di cui sopra proprio nel modo che, se sapremo sfruttarlo, risulterà per noi il pifavorevole.

Nel brevissimo colloquio che ebbi l’onore di avere con V.E. all’aeroporto di Bruxelles non ebbi né tempo né maniera di esporLe in modo chiaro il mio pensiero, il quale, anche per essere troppo succinto, mancper lo meno di argomenti dimostrativi a sostegno della mia tesi.

Questa comunque si riassumeva nell’idea di puntare piuttosto sull’entrata nel Patto di Bruxelles, valorizzando l’esistenza e l’efficienza di quest’ultimo, anziché sul NATO, dato che mi sembrava che l’Alleanza continentale che ne sarebbe risultata avrebbe costituito la sola possibilità di tener in vita l’idea europeista, sminuita, è vero, delle tante delusioni subite in questo scorcio di anni, ma rafforzata grandemente dalla presenza della Gran Bretagna.

Telegrafavo infatti il 2 settembre (n. 165-166)3 quanto segue: «… È da chiedersi se non convenga considerare l’opportunità di un’Alleanza continentale insieme all’Inghilterra, dato che di fronte allo zero in cui ci troviamo in fatto di europeismo, essa rappresenterebbe il solo modo di riaprire qualche possibilità in materia europeista … Il Governo di Parigi ne sarebbe risospinto verso idee integrative, e quando gli inglesi fossero entrati nell’ingranaggio anche solo militarmente, non è da escludersi che col loro temperamento pragmatico essi non pervengano in modo progressivo a formule di pistretta collaborazione».

Tali idee sviluppai ulteriormente nel mio rapporto 1909 del 23 settembre4, e ne sono sempre rimasto convinto. Non che non mi renda conto dei vantaggi che per noi presenta il NATO ove si è pinumerosi e ove gli Stati Uniti sono presenti: non che sottovaluti il fatto che abbiamo bisogno dell’appoggio (purtroppo non soltanto morale) degli Stati Uniti: ma non vedevo il motivo di giuocare tutto e troppo ostensibilmente (anche ai fini dei riflessi sull’opinione pubblica interna) su una sola carta, e di lasciare in tal modo al signor Mendès-France il vantaggio della qualifica (che è stata riportata da un giornale belga) di «pieuropeista fra i Sei».

L’estensione del Patto di Bruxelles era stata probabilmente offerta da Eden come un contentino allo scopo unico di far ammettere l’entrata della Germania al NATO, il che costituiva invece la pillola amara da ingoiare: e non comprendevo perché a priori dovessimo scartare la possibilità di prendere in parola gli inglesi e di tentar di rovesciare le posizioni trasformando l’entrata al NATO in contentino per loro, e l’Alleanza di Bruxelles in medicina ricostituente per noi.

Anzitutto se, come è augurabile, le nostre relazioni con gli Stati Uniti rimarranno così strette, non potrà che giovare alla nostra posizione il fatto che nell’Alleanza continentale uno dei membri sia con loro in piintrinseche relazioni; in secondo luogo dimostrare che si vuole che l’Europa si difenda in Europa e non soltanto sull’Atlantico, è un’idea che non pudispiacere agli Europei, anche se si tratta di mediterranei come noi: in terzo luogo, se ci sappiamo fare (mi scuso di questa sottolineatura, ma essa rende bene il mio pensiero) il Patto di Bruxelles pudivenire una realtà, e una realtà non soltanto militare; il che è quello che conta.

Come durante la Conferenza di Bruxelles ebbi a dire essere preferibile una CED al 25 per cento, che non uno zero CED, così ritengo che valga meglio un europeismo al 30 per cento che non quello al 100 destinato ahimè ad essere tale solo sulla carta. Mentre che, con l’entrata della Gran Bretagna, c’è anche l’eventualità che si possa raggiungere un giorno un punteggio pifavorevole.

Mi sovviene un aneddoto su Federico il Grande, il quale si meravigliava perché un certo orologiaio non avesse chiesto neppure un tallero per la manutenzione degli orologi della caserma della Guardia, contrariamente ai suoi colleghi che chiedevano compensi esorbitanti: al che l’orologiaio rispose: «Maestà, a me basta poter mettere i piedi nella Caserma».

Ebbene, noi abbiamo posto i piedi nella caserma: e poiché il Patto di Bruxelles sarà d’orinnanzi, e contrariamente a quanto è stato finora, una realtà viva (e sarà viva proprio perché ha una funzione militare da esercitare e che nessuno vorrà trascurare), è probabile, oltre che augurabile, che la coscienza di sentirsi europei ne esca rafforzata e che essa porti a tonificare e rendere efficienti gli altri settori ai quali l’Alleanza dovrà statutariamente dedicarsi; cioè quello economico, quello sociale e quello culturale.

La frase del documento finale «le Pacte de Bruxelles sera renforcé et étendu en vue d’en faire un instrument plus efficace d’intégration européenne» risponde a pieno a tali speranze e a tali aspettative. Certo, molto dipenderà dal nostro Rappresentante permanente che sarà destinato presso l’istituzione, dalle istruzioni che gli verranno inviate, dai contatti che terremo e dalle intese che prenderemo con le nazioni interessate quanto e pidi noi in fatto di integrazione, e cioè il Belgio e l’Olanda. Perché, tra l’altro, negli eserciti moderni, parlare di difesa significa parlare di armamenti, e parlare di questi significa agire sull’economia. Un’alleanza moderna, soprattutto se intende essere una fusione di forze, è inconcepibile senza coordinamento di sforzi e senza distribuzione di compiti economici: né questo a sua volta è possibile senza coordinamento di legislazioni o senza deliberazioni comuni che finiranno poco a poco col far luogo ad un’autorità superiore.

Infatti, per la prima volta la Gran Bretagna accetta un voto a maggioranza: e per la prima volta essa è sul serio presente in un consesso europeo. L’OECE la contava già, è vero, tra i suoi membri, e con quale peso! Ma che cos’era l’OECE visto che vi si votava solo all’unanimità e vi si pretendeva di costruire livellando interessi di paesi così lontani e dissimili quali il Portogallo e l’Islanda o la Norvegia e la Turchia?

Ecco perché mi rallegro dei risultati conseguiti a Londra, in quanto le suesposte idee hanno sostanzialmente trionfato.

VedrSpaak e riferircirca le sue impressioni: per quanto esse mi sembrano già da ora potersi sintetizzare in questa sua frase: «La CED, militarmente, era meglio: ma sotto altri aspetti la situazione conseguita è ancora migliore».

Gradisca, Signor Ministro, gli atti del mio ossequio.

Grazzi

1 DGAP, Uff. I, Serie Affari Politici, 1951-1957, b. 331, fasc. Conferenza a 9 per questioni europee dopo il fallimento della CED a Brusselle, dal 1° ottobre in poi.

2 Ritrasmesso con Telespr. segreto 21/2556 del 14 ottobre a tutte le sedi.

3 Vedi D. 11.

4 Vedi D. 104.

142

L’AMBASCIATORE A LONDRA, BROSIO, AL MINISTRO DEGLI AFFARI ESTERI, MARTINO(1)

R. segreto 4169/21142. Londra, 5 ottobre 1954.

Signor Ministro,

dopo la felice chiusura della Conferenza di Londra non credo necessario dilungarmi a riferire sul suo svolgimento. Esso è ben noto alla E.V. che l’ha vissuta e penso che la Direzione Generale della Cooperazione Internazionale ne farà, come sempre, un chiarissimo quadro. Mi limito dunque ad alcune osservazioni d’insieme che forse vale la pena di fissare sulla carta.

Grandi erano le apprensioni alla vigilia di questa Conferenza. Tutti gli osservatori avevano condiviso le stesse ansietà circa il suo risultato. Era chiaro che, mentre il fallimento di Bruxelles aveva fatto saltare la CED, un fallimento di Londra avrebbe compromesso l’alleanza atlantica. Queste ansietà si polarizzavano attorno a un personaggio che si chiama Mendès-France. Il nuovo Presidente francese si presentava a Londra preceduto dal dubbio e dal sospetto. Ora, a conferenza chiusa, un primo rilievo da fare è certamente questo: l’osservatore spassionato dovrebbe essere tornato, non certo con una tranquilla fiducia, ma almeno con minor diffidenza sulle intenzioni del Governo francese.

Basterà ricordare quali erano i dubbi che sorgevano nell’analisi delle prospettive della Conferenza. Avrebbe Mendès-France rispettato senza riserve il suo impegno di ammettere subito la Germania nel NATO? Avrebbe consentito a ridare alla Repubblica Federale la sovranità, senza subordinarla a capziose condizioni? Avrebbe o no insistito sul suo macchinoso progetto di «pool» degli armamenti, questo strumento di monopolio economico piancora che di controllo militare?

Bisogna dire che dalla conferenza sono uscite risposte positive su questi tre punti. Non vi è stato, è giusto riconoscerlo, nemmeno un tentativo da parte della delegazione francese di rimettere veramente in discussione la restituzione della sovranità e l’entrata della Germania nel NATO. Quanto al «pool» degli armamenti, in sostanza si è visto dal corso della conferenza che esso costituiva per i francesi essenzialmente un’arma di negoziazione: essa è stata impiegata accanitamente e qualche volta pesantemente, ma alla fine è stata abbandonata col ripiego di un rinvio che forse diverrà un seppellimento. Anche a questo riguardo non si pudunque dire che la condotta francese sia apparsa irragionevole e tale da aumentare i sospetti.

Piuttosto si potrà dire che Mendès-France da abile avvocato e duro negoziatore ha giocato le sue carte fin troppo e qualche volta è giunto a dare una impressione di irragionevole intransigenza che gli ha nuociuto. Basterà ricordare qualche dettaglio. Il martedì 28 settembre e la mattina di mercoledì 29 i francesi apparivano irremovibili sul loro piano di controllo comune della produzione. Non si vedeva alcuna possibilità di schiarita. Dopo la sensazionale dichiarazione di Eden del pomeriggio di mercoledì si delinegiovedì mattina la prima flessione di Mendès-France. Egli accettin linea di massima il piano Spaak di controllo degli armamenti, ma mantenne nello stesso tempo il proprio progetto di «pool». Che cosa significava questo? I due punti sembravano incompatibili: non si potevano avere insieme due sistemi di controllo diversi. Qualcuno interpretla contraddizione come un segno di irremovibilità di Mendès-France. In realtà era un segno di ripiegamento, come si vide allorché, nel pomeriggio di giovedì, il Presidente francese approfittsubito dello spunto offertogli dal tempestivo intervento di V.E. per dichiararsi disposto a rinviare il suo piano alla futura conferenza di Bruxelles, sia pure insistendo affinché ne fossero fin d’ora accettati i principi essenziali. A questo momento l’accordo sembrava ormai bene avviato.

Il giorno seguente invece, venerdì, la situazione si complicava di nuovo. Gli esperti, premuti dal tempo e messi in difficoltà dall’irrigidimento dei loro colleghi tedesco e olandese, ritornavano alla conferenza con un documento che prospettava tutte le difficoltà senza indicare soluzioni e riduceva il progetto Spaak a un’ombra. Sulla definizione delle aree strategiche e delle armi vietate regnava la piena confusione e il controllo era ridotto a un sistema di semplice registrazione statistica. Mendès-France reagì aspramente rifiutando le conclusioni degli esperti e ricordando con vivacità che egli aveva consentito il rinvio soltanto a condizione che il progetto Spaak fosse seriamente messo in atto. Questo rigido atteggiamento provocun disagio acuto e parve compromettere di nuovo le sorti della conferenza. A che scopo la generosa offerta britannica – esclamEden – se Mendès-France ci dice che il punto piimportante è il controllo e il solo controllo? Dulles e Pearson suggellarono il pessimismo imperante con la proposta di lasciare tutta la questione degli armamenti insoluta, rimandandola al Consiglio di Bruxelles per due anni, dopodiché i tedeschi sarebbero stati liberi di fare quel che volevano: «All bats will be off». Sarebbe stato un modo, sia pure inevitabile, di mascherare l’insuccesso della Conferenza.

In realtà apparve chiaro il sabato 2 ottobre che Mendès-France non voleva realmente risuscitare il suo «pool» di armamenti, ma soltanto ottenere un sistema serio di divieti e di controlli. Questo risultato fu raggiunto con negoziati diretti fra Adenauer e Mendès-France nella mattinata, prima della riunione plenaria. Vi fu ancora molta polemica, molto spreco di parole e di scontri tra Spaak e Mendès-France prima che questo accordo venisse alla luce: e poté venire alla luce soltanto nella riunione ristretta, proposta dall’E.V., ove in sostanza l’intesa si fece sulle linee che già ci avevano confidenzialmente comunicato Soutou e Blankenhorn subito dopo l’incontro fra i loro due Ministri.

Mendès-France, ottenuto lo scopo, lascicadere completamente il «pool» degli armamenti, del quale nell’atto finale è rimasto soltanto un timido ricordo, senza neppure quella accettazione di alcuni principi che il Presidente francese aveva mostrato di considerare essenziale.

La domenica vi fu un’ultima battuta di arresto ed un’ultima espressione di malumore. Spaak e Mendès-France si scontrarono ancora una volta sugli armamenti atomici. Spaak, che con molta disinvoltura aveva dichiarato per il Belgio di rinunciare al riarmo atomico il sabato per dimenticare velocemente la sua enfatica proposta la domenica mattina, rimprovera Mendès-France di rifiutare per la Francia il divieto di produrre armi atomiche sul continente. Anche qui la risposta francese fu sgraziata, ma la sua logica era ineccepibile. I francesi avevano accettato in precedenza controlli di quantità, ma nessun divieto di qualità: rimettendo al NATO la decisione sulla necessità di armi atomiche per le loro forze armate continentali, essi si sarebbero praticamente esposti alla possibilità di un divieto qualitativo indiretto. Era questione di formula, non di sostanza: ed anche la nuova ultima formula fu trovata.

Malgrado questa logica, e forse a motivo di questa eccessivamente dura logica delle posizioni successive di Mendès-France, il suo contegno nella conferenza fu circondato fino alla fine da una atmosfera di costante e direi eccessiva sfiducia. È questo un secondo aspetto della Conferenza che deve essere sottolineato. Specialmente le delegazioni del Benelux non fecero mistero della loro insofferenza ed ostilità; ma anche qualche delegato britannico non andimmune da analoghi sentimenti apertamente espressi. Taluno arriva paragonare Mendès-France a Hitler, non per la mania di grandezza ma per la tecnica di negoziazione, involuta e incapace di vere concessioni, con costanti ritorni a posizioni già superate. Un francese, pimoderatamente e piesattamente, mi parlinvece di una analogia con Poincaré per la sottigliezza giuridica unita a durezza di posizione e a scarso senso delle reazioni altrui. Fatto è che Mendès-France giunse circondato da sospetti e, dopo aver oggettivamente rimosso quasi tutte le ragioni che potevano confermarli, lascila conferenza in una quasi uguale scia di commenti malevoli. Sono questi sopratutto gli effetti del fallimento della CED, che il Benelux non gli ha ancora perdonato, e della Conferenza di Bruxelles che ha lasciato una eco penosa negli animi. È chiaro che Spaak e Mendès-France, forti personalità entrambi, nutrono una reciproca antipatia, particolarmente viva nel primo verso il secondo. Beyen, apparentemente pimite, non è meno ostinato nel suo risentimento, e persino il volto bonario di Bech aveva dei lampi di irritazione di fronte al sorriso ebraico del Presidente francese. Un delegato olandese mi diceva alla fine della conferenza: «È un brutto giorno per l’Europa. Mendès-France ha ottenuto un successo immediato di prestigio di fronte al suo Parlamento, ma noi lo pagheremo tutti caramente con uno stato di sfiducia che avrà frutti dolorosi. I tedeschi hanno preso quel che è stato loro dato con la mentalità decisa di rifarsi appena possibile. Gli americani ci hanno dato una approvazione con la riserva mentale di lavarsene le mani al pipresto».

Io credo che questo disastroso sommario dei lavori di Londra fosse assolutamente errato, ma vale la pena di riferirlo per avere un’idea dei residui psicologici che la Conferenza ha lasciato, o meglio che non è riuscita a dissipare dopo lo scontro di Bruxelles. Esso serve pure a fotografare abbastanza esattamente lo stato d’animo in cui i delegati del Benelux, chi pichi meno, hanno lasciato Londra.

Quanto agli americani, non si pudire che essi si siano dimostrati entusiasti né al principio né alla fine della Conferenza. Il sabato pomeriggio, quando ormai il successo era certo, Dulles richiesto delle sue impressioni, mi disse: «Sta bene che l’accordo sia raggiunto, ma è il suo spirito animatore che non mi piace». Egli si riferiva ovviamente ai sospetti dei francesi verso i tedeschi. Del resto la dichiarazione di Dulles, che precedette quella di Eden il mercoledì 29 settembre, e fu ad essa accomunata nell’apprezzamento ufficiale, non fu affatto una vera promessa, ma invece un serio ammonimento. Si deve dire anzi che l’offerta calcolatamente sensazionale di Eden trasse maggiore effetto dal precedente monito, espresso in tono preoccupato dal Segretario di Stato americano. Ed anche all’ultimo minuto, in sede di redazione dell’atto finale, le poche correzioni formali suggerite da Dulles sul punto riguardante la sua dichiarazione di mercoledì furono nel senso di attenuarne il valore impegnativo. Ognuno finse di non accorgersene e di ringraziare. In sostanza dunque gli americani vollero mantenere in tutta la Conferenza la posizione di osservatori riservati e critici, se pur tendenzialmente benevoli. Ed in tale posizione essi rimarranno nei riguardi dei risultati e degli sviluppi dell’accordo di Londra. Non dobbiamo illuderci che essi, malgrado le ottimistiche dichiarazioni ufficiali anche di Eisenhower, ne siano rimasti soddisfatti, senza riserve. La mia netta impressione è che Washington starà in posizione di osservazione e di attesa, non ancora ben certa che il sistema funzionerà, e guardinga circa la politica di Mendès-France e l’atteggiamento che assumerà il parlamento francese. La Conferenza di Londra ha certo allontanato il disastro di un disinteressamento americano, ma non l’ha ancora definitivamente evitato, e di questo i paesi europei dovrebbero rimanere ben consci.

La figura statuaria e patriarcale di Adenauer ha dominato la delegazione germanica e ne ha caratterizzato l’atteggiamento. I tedeschi parlarono pochissimo in Conferenza plenaria. Soltanto nelle sedute degli esperti sull’armamento e nelle discussioni sulla sovranità essi mostrarono il loro gioco e manifestarono piuttosto brutalmente la loro decisa volontà di non subire alcuna discriminazione. Alla tranquillità olimpica della loro delegazione faceva eccezione soltanto il signor Blank, questo strano tipo di tradunionista cattolico, Ministro della Difesa, il quale di tanto in tanto rientrava affannato e gesticolante dalle riunioni private del gruppo, sempre scontento e quasi furioso, senza tuttavia che i suoi appassionati suggerimenti sembrassero turbare la tranquillità del Cancelliere.

In definitiva la delegazione tedesca accettun accordo conforme alla sua generale impostazione: assumere volontariamente il massimo di limitazioni tollerabile, ma rifiutare ogni discriminazione negoziata. Offrendo spontaneamente limitazioni unilaterali, essa taglifuori la questione delle zone strategiche ed ogni altra clausola che attribuisse alla Germania una posizione obiettiva e permanente di inferiorità. Fino a che punto i tedeschi fossero irritati delle diffidenze francesi è difficile stabilire, benché le esplosioni di Blank lo lasciassero capire. Fatto è che i tedeschi hanno scelto una linea freddamente realistica: ottenere l’ottenibile, mettersi in condizioni di armare le loro dodici divisioni, rinunciare per ora alle armi che non potrebbero facilmente fabbricare e che del resto otterranno dagli Stati Uniti, salvo riprendere la discussione a suo tempo quando saranno piliberi e piforti. Non vi è dubbio che Adenauer è uscito dalla conferenza con aumentato prestigio e con rinomanza di uomo europeo, non certo usurpata. Ma non bisogna nascondersi che dietro di lui stanno uomini e forze decise ad affermarsi e non disposte a tollerare che la Germania sia a lungo avvilita dal sospetto e da uno stato di inferiorità.

Quanto alla Gran Bretagna, l’importanza del suo contributo sta non solo nell’impegno assunto di tenere le sue divisioni in Europa indipendentemente da ogni analogo impegno americano, ma anche nella funzione di iniziativa che Eden seppe assumere coraggiosamente subito dopo la caduta della CED, persistendo nel suo progetto di conferenza e preparandolo abilmente malgrado le diffidenze americane e tedesche e le difficoltà francesi.

Quanto all’impegno, non vorrei lasciarmi prendere la mano dal linguaggio giornalistico, col sottolinearne la portata storica: ma tale impegno costituisce certo una svolta importante nella posizione della Gran Bretagna verso l’Europa. I britannici hanno abbandonato la loro tradizionale concezione della necessità di una politica di equilibrio in Europa, hanno compreso che ormai l’ago della bilancia si è spostato a oriente verso l’Unione Sovietica e che, per riequilibrarlo verso occidente, la loro costante presenza è necessaria. Per raggiungere tale scopo essi si sono in sostanza impegnati a mantenere indefinitamente la loro coscrizione obbligatoria, impegno grave e certamente nuovo nella storia del Regno Unito. Non vi è dubbio che questo gesto piacerà anche ai nazionalisti britannici i quali lo intenderanno come un atto di maggiore indipendenza dagli Stati Uniti. «Ormai ‒mi diceva ieri sera una autorevole personalità del giornalismo britannico ‒noi (intendendo noi europei) non siamo piil numero 2: possiamo stare alla pari con gli Stati Uniti». Naturalmente il mio interlocutore intendeva alludere ad una Europa in cui la Gran Bretagna fosse inclusa in posizione di guida.

Stando del resto ai termini specifici del negoziato di Londra, mi pare chiaro che l’offerta di Eden è andata al di là delle aspettative francesi ed è stata calcolata come proposta pubblica e clamorosa, tale da costringere Mendès-France ad uscire dall’equivoco, a scoprirsi, rifiutando, oppure a impegnarsi, accettando. L’E.V. ricorderà quanto Le disse sorridendo Mendès-France la sera di lunedì 17 [recte: 27]: «Ho chiesto ai britannici quattro divisioni in Europa ma non mi attendo che me le diano. Essi contratteranno». E ricorderà pure come, dopo la colazione di mercoledì 29, preannunciando-Le la dichiarazione del pomeriggio, alla Sua domanda se non sarebbe stato opportuno ritardare e negoziare questo decisivo intervento britannico, Eden Le rispose: «Ho pensato a questa possibilità ma l’ho meditatamente esclusa. Ho voluto offrire subito il massimo pubblicamente, evitando i mercanteggiamenti e mettendo la Francia di fronte a una pubblica responsabilità».

Questo confronto fra la moderata aspettativa di Mendès-France e la calcolata larghezza di Eden mi pare dia la misura dell’importanza cosciente del gesto britannico. Cinon toglie, come dicevo prima, che la delegazione britannica abbia manifestato molto spesso il suo malumore di fronte alla resistenza francese. Sopratutto è spiaciuto, forse oltre misura, il fatto che Mendès-France, pur ringraziando per la generosa offerta inglese, abbia continuato impassibile a negoziare sulla misura dei controlli cedendo terreno solo a poco a poco. Di tutto questo bisognerà tenere conto per valutare le future azioni e reazioni britanniche. A molti inglesi Mendès-France non piace, e pur avendo contribuito a tenerlo in piedi, parecchi al Foreign Office se ne rammaricano. Ma è da ritenere che a questo riguardo lo stato d’animo personale di Eden ‒benché egli stesso abbia avuto due manifestazioni di impazienza verso Mendès-France, una in seduta pubblica e l’altra (secondo quanto mi disse l’E.V.) in seduta ristretta ‒sia più tollerante e piflessibile di quello di taluni suoi funzionari.

Non credo meriti speciale attenzione la posizione del Canadà, che non uscì dalle sue prevedibili tendenze mediatrici; e debbo aggiungere senza particolare vigore e autorità.

Quanto alla nostra posizione, sarebbe puerile esagerarne qui l’influenza e il successo. È onesto perdire che non sono mancate alla conferenza una posizione ed una influenza italiane nei limiti di moderazione che la delegazione si era deliberatamente prefissi. Nell’atmosfera di eccitazione antifrancese che spesso si è quasi morbosamente diffusa fra i partecipanti, creando momenti delicati e inutilmente drammatizzando prevedibili contrasti, bisogna dire che la nostra delegazione ha mantenuto la sua calma e cercato di influire nel senso di ridurre i sospetti e riportare le differenze alla loro obiettiva realtà. Questa non fu solo una posizione psicologica ma anche politica. Meno di ogni altra la delegazione risentiva degli amari ricordi di Bruxelles: in tal modo poteva esercitare la sua funzione di sostenitrice di ogni iniziativa europea prospettando prudentemente la tesi che era indispensabile non isolare una seconda volta Mendès-France e, anziché metterlo sotto accusa, dargli il credito di una ulteriore prova.

La nostra delegazione poté fare questo senza che fosse mai minimamente messa in dubbio la sua assoluta lealtà nei riguardi della politica americana e britannica e la sua determinazione di ridare alla Germania un posto di uguaglianza e di fiducia in Europa. Qualche volta ebbi anzi l’impressione che talune delegazioni fossero ben liete di trovare in quella italiana una parola serena e moderatrice. Circostanze e direi anche fortunate occasioni diedero infatti modo alla nostra delegazione di puntualizzare questo nostro generale orientamento. Se non sbaglio esse furono: 1) Il primo intervento dell’E.V. (28 settembre) che seguì alla dichiarazione di apertura di Mendès-France e impedì che questa rimanesse isolata dal silenzio delle altre delegazioni.

2) Il Secondo intervento di giovedì 30, dopo la dichiarazione di Eden e dopo l’aspra discussione sul controllo e sul «pool» degli armamenti. Questo intervento, che ci era stato sollecitato dagli stessi olandesi, ansiosi di non apparire i soli e costanti oppositori delle tesi francesi, costituì una chiara presa di posizione italiana contro il piano Mendès-France, scevra tuttavia di ogni asprezza ed ostilità. Essa diede anzi modo al Primo Ministro francese di giustificare il ritiro del proprio piano di fronte alla unanime opposizione. 3) I due interventi circa il controllo degli armamenti e le zone strategiche (specialmente il secondo di sabato 2 ottobre) i quali, mentre riaffermarono la resistenza italiana di fronte a eccessive rigidità della posizione francese e l’interesse dell’Italia settentrionale a non essere colpita da servitdi produzione d’armi, tennero aperta la strada a un compromesso. 4) La proposta dell’E.V. di passare la discussione alla riunione ristretta (2 ottobre) che sbloccla conferenza da un punto morto e consentì alla delegazione germanica di confermare l’accordo privatamente raggiunto quel mattino coi francesi. 5) Infine, la proposta del compromesso sulla maggioranza dei due terzi per la revisione delle limitazioni di armamenti colla quale l’E.V. diede modo di superare l’ultimo ostacolo che ritardava la soluzione in sede di riunione ristretta. Senza compiacenze né autoelogi si pudire legittimamente che la delegazione italiana ha avuto nella conferenza una sua linea politica, l’ha manifestata senza ostentazioni e ne è uscita circondata da un rispetto tanto maggiore, quanto pimoderate furono le sue prese di posizione.

Ritornando per un momento al punto di partenza, non si pudire certo che la conferenza abbia superato tutte le difficoltà e risolto tutti i dubbi. Sopratutto rimane un certo grado di incertezze [sic] sullo sviluppo della linea politica di Mendès-France. Che farà egli dopo l’approvazione della Camera francese e prima della ratifica? Porrà il problema della Saar come condizione sine qua non? Approfitterà dell’intervallo fra i due voti per porgere orecchio alle lusinghe sovietiche? Solo i fatti del prossimo avvenire potranno dare una risposta a tali interrogativi: ma per intanto non vi è dubbio che la conferenza di Londra ha vincolato Mendès-France alla politica dell’inserimento e del riarmo della Germania in una misura che finora non era stato possibile ottenere e nemmeno sperare.

Superato lo scoglio delle riunioni degli esperti, occorrerà adesso che la nuova organizzazione dell’Unione Occidentale, emersa dall’allargamento del trattato di Bruxelles, possa lavorare in modo positivo al superamento delle prevenzioni tra francesi e tedeschi, da un lato, fra francesi e Benelux, dall’altro. A questo riguardo la Gran Bretagna avrà certo da dire una parola spesso decisiva, ma anche la nostra potrà avere qualche volta un peso non indifferente. Studiare e attuare in pratica i modi di tale superamento sarà uno dei nostri principali compiti nel prossimo avvenire.

Voglia gradire, Signor Ministro, gli atti del mio devoto ossequio.

M. Brosio

1 DGAP, Uff. I, Serie Affari Politici, 1951-1957, b. 331, fasc. Conferenza a 9 per questioni europee dopo il fallimento della CED a Brusselle, dal 1° ottobre in poi.

2 Il documento reca i seguenti timbri: «Inviato in copia al Presidente della Repubblica», «Inviato in copia ai Sottosegretari», «Visto dal Ministro», «Visto dal Segretario Generale» con la sigla di Zoppi. Ritrasmesso con Telespr. segreto 21/2557 del 14 ottobre a tutte le sedi.

143

IL MINISTRO DEGLI AFFARI ESTERI, MARTINO, AL CANCELLIERE E MINISTRO DEGLI AFFARI ESTERI DELLA REPUBBLICA FEDERALE DI GERMANIA, ADENAUER(1)

L. 1/3137. Roma, 6 ottobre 1954.

Signor Cancelliere,

al ritorno dalla Conferenza di Londra ho trovato la lettera che Vostra Eccellenza, in data 17 settembre u.s.2, ha voluto dirigere al mio predecessore, On. Piccioni, in merito a quanto aveva fatto oggetto delle sue prese di contatto con il Ministro degli Affari Esteri del Regno Unito e con il Segretario di Stato degli Stati Uniti d’America. Nel ringraziarLa vivamente, mi è grato confermarLe quanto ebbi già occasione di dire a S.E. l’Ambasciatore von Brentano in merito all’utilità di tali scambi di notizie.

Mi è grata l’occasione per ripeterLe, Signor Cancelliere, quanto sia stato lieto di averLa vista personalmente a Londra e di avere iniziato con Lei rapporti ispirati all’amicizia tra i nostri due Paesi.

Gradisca, Signor Cancelliere, l’espressione della mia pialta considerazione.

[Gaetano Martino]

1 DGAP, Uff. IV, Versamento CED, 1950-1954, b. 25, fasc. 92.

2 Non rinvenuta nel fascicolo.

144

L’AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI,

AL MINISTRO DEGLI AFFARI ESTERI, MARTINO(1)

R. segreto 145482. Washington, 6 ottobre 1954.

Oggetto: Conversazione con l’Ambasciatore di Francia.

Signor Ministro,

il mio collega francese, col quale l’altro giorno ho avuto occasione di intrattenermi a lungo, si è mostrato soddisfatto dell’accordo di Londra, senza peresserne entusiasta, avendo sempre parteggiato per la ratifica della CED. (Egli afferma anche che Mendès-France, se avesse voluto impegnarsi a fondo, sarebbe riuscito ad ottenere la ratifica).

Bonnet non mi ha nascosto che, a suo avviso, le concessioni fatte da Mendès-France a Londra, che hanno permesso di raggiungere un accordo, sono state ispirate da una cosa soltanto: dalla paura che il Governo americano è riuscito ad incutere in quello francese, minacciandolo di isolamento. (Anche Dulles personalmente ha usato un linguaggio molto duro, tanto con Bonnet quanto con le personalità francesi incontrate a Londra).

Il mio collega si rende pienamente conto che il raggiunto accordo, pure evitando il peggio nelle relazioni franco-americane, non puavere riparato il danno prodotto dalle vicende degli ultimi mesi. Soprattutto il Congresso, per dirla con le parole di Bonnet, «n’oubliera pas si vite».

Gradisca, Signor Ministro, l’espressione del mio pidevoto ossequio.

Tarchiani

1 DGAP, Uff. IV, Versamento CED, 1950-1954, b. 28, fasc. 99.

2 Il documento reca i seguenti timbri: «Inviato in copia al Presidente della Repubblica», «Inviato in copia ai Sottosegretari», «Visto dal Ministro» e la sigla di Zoppi.

145

COLLOQUIO DEL MINISTRO DEGLI AFFARI ESTERI, MARTINO, CON L’AMBASCIATORE DI FRANCIA A ROMA, FOUQUES-DUPARC (Roma, 7 ottobre 1954, ore 12,45)1

Appunto riservato(2).

Il Ministro dice all’Ambasciatore che ha desiderato di vederlo per trasmettergli i suoi ringraziamenti per quanto egli e il Governo francese hanno sempre cercato di fare per la questione di Trieste, finalmente conclusa con l’Accordo parafato avant’ieri a Londra.

Il discorso passa poi ai risultati della Conferenza di Londra che sia il Ministro che Fouques Duparc rilevano essere stati veramente ottimi.

L’Ambasciatore manifesta la speranza che il Parlamento francese approvi i risultati di quanto a Londra è stato concordato ma, nonostante quanto Mendès-France ha detto a Londra a S.E. Martino circa la sua convinzione di poter ottenere 320 voti favorevoli all’Assemblea Nazionale, teme un poco che prevenzioni personali dei cedisti piaccesi possano prevalere su un obiettivo giudizio circa i risultati raggiunti.

Il Ministro osserva che, nell’insieme, quanto si è concluso a Londra è forse anche meglio della CED; vi sarà effettivamente meno supernazionalità, ma vi è in compenso la presenza inglese.

Fouques Duparc condivide pienamente tale avviso ed aggiunge come per la Francia l’impegno britannico, oltre che costituire un concreto apporto militare, soddisfa anche ad esigenze sentimentali molto sentite nell’opinione pubblica del suo Paese.

Il Ministro riconosce che vi è ancora un considerevole lavoro da compiere, specie nel campo degli armamenti. Ma l’importante è che con la Conferenza di Londra il clima è cambiato.

1 DGAP, Uff. IV, Versamento CED, 1950-1954, b. 28, fasc. 99.

2 Trasmesso con Appunto 1/3147 del 7 ottobre da Milesi Ferretti al Segretario Generale, al Direttore Generale degli Affari Politici e alla Direzione Generale della Cooperazione Internazionale.

146

IL CANCELLIERE E MINISTRO DEGLI AFFARI ESTERI DELLA REPUBBLICA FEDERALE DI GERMANIA, ADENAUER, AL MINISTRO DEGLI AFFARI ESTERI, MARTINO(1)

L. Bonn, 7 ottobre 1954.

Eccellenza,

di ritorno da Londra desidero esprimerLe la soddisfazione di aver potuto rinnovare con Lei le relazioni personali in occasione di questa Conferenza così importante per la politica mondiale. Credo che il risultato di Londra significhi un sostanziale rafforzamento del mondo libero e con ciuna sicura speranza per il mantenimento della pace.

Permetta che ringrazi sinceramente V.E. di avere, nonostante il breve tempo di preparazione concessoLe, apportato, con tanta simpatia per la Germania e con spirito realmente europeo, il Suo prezioso contributo alla felice conclusione della Conferenza.

Sarmolto lieto di poter presto continuare la collaborazione personale con Vostra Eccellenza, iniziata a Londra in modo così gradito e felice(2).

Con cordiali saluti Suo devotissimo

[Konrad Adenauer]

1 DGAP, Uff. IV, Versamento CED, 1950-1954, b. 25, fasc. 92. 2 Per la risposta vedi D. 159.

147

L’AMBASCIATORE A BONN, BABUSCIO RIZZO, AL MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI(1)

Telespr. 025. Bonn, 8 ottobre 1954.

Oggetto: Sviluppi dopo la Conferenza di Londra

I due avvenimenti della settimana che pidirettamente toccano la Repubblica Federale, e cioè il dibattito al Bundestag imperniato sugli accordi di Londra e il discorso di Molotoff a Berlino non hanno, né l’uno né l’altro, assunto il carattere di avvenimenti straordinari nell’atmosfera politica di Bonn.

Coloro che si attendevano che dagli accordi di Londra potesse essere facilitata la ricerca di una piattaforma comune di politica estera con l’opposizione, sono restati delusi poiché, come ho riferito separatamente, non solo non è stato compiuto nessun passo in avanti in questa direzione, ma le dichiarazioni di Ollenhauer al Bundestag hanno forse ancora appesantito l’atmosfera. Il Capo della socialdemocrazia infatti, pur dichiarando che gli accordi di Londra rappresentavano un progresso rispetto alla CED, ha ripreso integralmente le vecchie argomentazioni contro ogni riarmo della Repubblica Federale prima che siano esaurite tutte le possibilità di raggiungere la riunificazione del paese attraverso negoziazioni con l’Unione Sovietica. In altri termini si è rimasti fra Governo ed opposizione all’atmosfera burrascosa che caratterizzl’ultimo incontro fra il Cancelliere Federale ed Ollenhauer alla vigilia della Conferenza a Nove.

Se tutto questo non ha migliorato il clima politico generale, occorre riconoscere subito che esso non è stato nemmeno aggravato dalle dichiarazioni del Ministro degli Esteri sovietico a Berlino. Come ho riferito a suo tempo, negli ambienti tedeschi ed americani si era già convinti che un intervento di Mosca sarebbe stato da attendersi subito dopo la Conferenza di Londra e ciè avvenuto. Questo Alto Commissario americano che mi è apparso alquanto preoccupato per l’atteggiamento della socialdemocrazia tedesca che a suo giudizio sembra lentamente avviarsi verso la tesi di una neutralizzazione della Germania, mi ha detto ieri sera che dovrebbe ora ritenersi imminente una risposta formale del Governo sovietico alla nota alleata del 10 settembre scorso(3). Gli ho chiesto come avrebbero reagito le Potenze alleate se questa volta Mosca dovesse veramente acconsentire alla richiesta di libere elezioni. Conant è del parere che un’assicurazione di principio non sarebbe sufficiente, almeno per gli Stati Uniti, per arrivare ad una nuova conferenza a quattro, e che potrebbero aprirsi due vie: o provocare per via diplomatica nuovi chiarimenti da Mosca sul significato di una eventuale, ma ancora ipotetica accettazione sovietica di libere elezioni, o ripiegare su una riunione dei quattro Alti Commissari a Berlino.

Circa la Conferenza di Londra ho avuto l’impressione dal mio colloquio con Conant, che la soluzione colà trovata continui a non soddisfare completamente gli americani i quali ammettono tuttavia che essa rimane ugualmente «the second best» dopo la CED.

Le favorevoli previsioni che si fanno a Bonn sugli sviluppi delle intese raggiunte potrebbero per a giudizio americano, incontrare l’ostacolo della Saar, né Conant mi è parso condividere l’atteggiamento assunto da Adenauer a Londra il quale ha rifiutato di parlare della cosa colà con Mendès-France. Sulle prospettive di ratifica da parte dell’Assemblea Nazionale francese Conant si è mostrato con me ottimista qualora per egli ha precisato, Mendès-France possa sottoporre, con gli accordi di Londra, anche un vantaggioso accordo sulla Saar.

1 DGAP, Uff. IV, Versamento CED, 1950-1954, b. 28, fasc. 99. 2 Il documento reca il timbro: «Visto dal Ministro». 3 Nota alleata del 10 settembre 1954 in risposta alla nota sovietica del 4 agosto: vedi ISPI, Annua

rio di Politica Internazionale, 1954, pp. 54-55.

148

L’AMBASCIATORE A LONDRA, BROSIO, AL MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI(1)

Telespr. riservato 4259/21712. Londra, 8 ottobre 1954.

Oggetto: Gruppo di lavoro di Londra per le modifiche del Trattato di Bruxelles.

Invitato da questo Ambasciatore di Francia, Presidente della «Commissione Permanente del Trattato di Bruxelles», ho partecipato ieri alla prima seduta della Commissione stessa, riunitasi quale «gruppo di lavoro» per la redazione del progetto di protocollo che modifica il Trattato di Bruxelles in conformità alle decisioni della Conferenza a nove. Vi ha assistito quale «osservatore» questo Incaricato d’Affari degli SUA.

Trasmetto qui unita copia del verbale della riunione, facendo perpresente che esso non è stato ancora approvato e potrà quindi subire qualche modifica nella prossima seduta plenaria che avrà luogo domani mattina (all. 1).

Dopo brevi parole di saluto rivolte dal Presidente ai rappresentanti dell’Italia e della Germania, il gruppo di lavoro ha esaminato l’ordine delle questioni sollevate dalla necessaria trasformazione del Trattato di Bruxelles ed ha indicato i criteri direttivi da seguire. Considerando che quelle pispecificamente tecniche rientrano nella competenza del corrispondente gruppo di lavoro che siede a Parigi, è stato deciso di studiare le seguenti questioni:

- - - -

Quale criterio direttivo di massima per l’elaborazione delle proposte di modifiche è stato deciso di attenersi per quanto possibile a formule non troppo precise e vincolanti, prendendo ad esempio l’art. IX del Patto Atlantico.

Così è stato deciso di proporre che non sia tassativamente stabilito che il Consiglio sia composto esclusivamente dai Ministri degli Esteri, come era previsto finora dal Trattato di Bruxelles.

È stata esaminata la questione del sistema di voto, tenendo conto che il Consiglio della nuova organizzazione avrà poteri deliberativi e non piconsultativi e a questo proposito è stato convenuto di adottare nel progetto di protocollo una formulazione che consenta ogni possibilità, prevedendo che come regola sarà richiesta l’unanimità ad eccezione dei casi indicati negli accordi complementari.

In relazione a quanto indicato nel paragrafo 12 della parte dell’Atto finale della Conferenza di Londra dedicata al Patto di Bruxelles, è stata affrontata la questione del «rapporto a un’assemblea».

È stato accennato alla questione del bilancio dell’organizzazione e in vista di una nuova ripartizione dei tributi il Segretario Generale della Commissione permanente è stato incaricato di preparare un memorandum da presentare ai Governi italiano e tedesco.

È stata sollevata la questione della denominazione ufficiale da dare alla nuova organizzazione e a questo riguardo ho creduto di dover fare subito presente – senza con questo voler minimamente oppormi alla denominazione «di Bruxelles» ‒l’opportunità che, per motivi psicologici, sia adottato un nome che risponda anche all’esigenza politica di vedere sorgere qualche cosa di nuovo sul piano dell’unificazione europea. Ho quindi proposto che sia adottata la denominazione «Consiglio dell’Unione Europea Occidentale». I rappresentanti dei vari paesi si sono dichiarati consenzienti con riserva tuttavia della definitiva approvazione dei rispettivi Governi. Comunque tale denominazione è già adottata nei documenti di lavoro.

Il gruppo di lavoro ha poi demandato a un comitato l’incarico di procedere alla redazione delle proposte di modifiche.

Tale comitato ha tenuto finora due sedute dedicate alla redazione dell’articolo relativo alla composizione del Consiglio e all’interpretazione da dare al testo del paragrafo 12 dell’Atto finale di Londra.

Trasmetto gli acclusi documenti (all. 2, 3 e 4) che saranno presentati domani dal Comitato stesso.

Attiro l’attenzione in particolare sul n. 4 sul quale gradirei eventuali urgenti istruzioni.

Ho inviato direttamente copia del presente rapporto all’Ambasciatore Alessandrini(3).

1 DGAP, Uff. I, Serie Affari Politici, 1951-1957, b. 331, fasc. Conferenza a 9 per questioni europee dopo il fallimento della CED a Brusselle, dal 1° ottobre in poi. Verbali editi nell’Appendice II.

2 Sottoscrizione autografa. Il documento reca il timbro: «Visto dal Segretario Generale» con la sigla di Zoppi. La prima riunione ebbe luogo il 7 ottobre 1954.

3 Per il seguito vedi D. 152.

149

L’AMBASCIATORE A BRUXELLES, GRAZZI, AL MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI(1)

Telespr. riservato 4148/2043. Bruxelles, 9 ottobre 1954.

Oggetto: Belgio e Accordi di Londra.

Le impressioni del Ministro Spaak sui risultati raggiunti a Londra sono in un certo senso contraddittorie. Egli mi ha detto che la CED sarebbe stata a suo avviso un molto miglior istrumento, anzitutto dal punto di vista militare (in quanto avrebbe assai meglio imbrigliato il militarismo tedesco) ed in secondo luogo dal punto di vista europeista. Infatti solo lo spirito che la pervadeva avrebbe condotto agli sviluppi che uomini di Stato come Adenauer e De Gasperi (e lui, evidentemente!) si erano assegnati. Tuttavia, data la situazione catastrofica da cui ripartivamo, i risultati di Londra erano non soltanto i migliori che era lecito sperare, ma addirittura ottimi in loro stessi.

Mi sono permesso di dirgli che condividevo in pieno quest’ultimo suo parere. Ero d’accordo con lui che la CED e lo spirito che l’animavano sarebbero stati migliori: ma ad una condizione: che essi avessero potuto raggiungere i risultati sperati. Ora, tutto quanto era successo ‒o piuttosto non era successo ‒in questo ultimo biennio stava a dimostrare che o lo spirito era svanito o che non doveva essere di troppo buona lega, visto che non aveva condotto assolutamente a nulla.

Per ci mi pareva che allo stato anche potenziale delle cose, la Conferenza di Londra aveva aperto un’altra via che anche se fosse un sentiero, invece che una strada maestra, avrebbe avuto il vantaggio di essere percorribile, mentre la seconda aveva dimostrato di essere sbarrata. La presenza della Gran Bretagna avrebbe eliminato molti ostacoli ed avrebbe reso possibile di considerare le cose sotto un aspetto certo pilento nei risultati, ma più pratico: a condizione ‒naturalmente‒che la volontà e l’abilità dei paesi europei rimanessero efficienti.

Spaak mi ha risposto che tutto sommato ciera giusto, ma che in tal caso occorreva che gli europeisti fossero decisi e concordi a sfruttare, se non addirittura a creare, le possibilità che si potranno loro presentare in questa nuova situazione che si apre loro dinanzi.

E a tal proposito Spaak ha aggiunto di nutrire molti dubbi quanto all’atteggiamento francese. Il suo ragionamento è il seguente. Ci troveremo di fronte ad una nuova e vigorosa offensiva sovietica, di cui i discorsi Viscinsky e Molotov non sono se non le avanguardie. Ora, due mesi passeranno, per lo meno, prima che il Parlamento francese approvi (se mai li approverà, cosa della quale il Ministro ha molti dubbi) gli atti di Londra. È quindi da temere, in questo frattempo, che gli allettamenti sovietici influiranno sul Governo francese ai fini della non approvazione, e, in un secondo momento che il movimento integrativo europeo venga sabotato dalla Francia, per partito preso e sempre in vista di far piacere a Mosca.

Ho chiesto a Spaak se egli continuava dunque a diffidare di Mendès-France, visto che la sua descrizione non pareva ottimista. Spaak mi ha risposto che a parte le opinioni che si possono avere o non avere sul Gabinetto francese (a meno che i socialisti non entrino a farne parte) egli diffidava sopratutto della Francia, o per essere piesatti, dello spirito neutralista che è alla base di ogni azione e reazione francese.

La Francia è stanca e non vuole né la guerra, né i rischi di guerra: essa non aspira che a guadagnar tempo, nella speranza anche se riconosciuta fallace che si possa giungere ad una convivenza pacifica fra i due opposti mondi. Epper diffidare di Mendès-France non significa altro che ritenere che il Capo del Governo, desideroso come quasi tutti i Capi di Governo di rimanere al potere, segua, si faccia interprete e qualche volta anticipi l’opinione media della sua propria nazione.

Per rimediare nei limiti del possibile a tale stato di cose, Spaak non vede che un mezzo: trattare con Mosca, e far conoscere che si è disposti a trattare tanto sul disarmo quanto sulla sicurezza collettiva, a parte che cinon intralci né ritardi la costituzione della difesa atlantica ed europea: così, egli pensa, i francesi non saranno condotti a prepararci sgradevoli sorprese.

Gli ho fatto osservare che mi pareva di discernere una «nuance» fra il suo pensiero e quello di Van Zeeland. Questi diceva: facciamo prima la CED e poi trattiamo. Egli dice trattiamo e facciamo contemporaneamente l’Alleanza occidentale. L’idea di Van Zeeland era dunque che la CED non poteva costituire una posta di negoziato, mentre mi sembrava che l’idea dell’attuale Ministro fosse che l’Alleanza Atlantica possa anche essere una contropartita da negoziare. Al che Spaak mi ha risposto che trattative e alleanza dovrebbero procedere contemporaneamente, e che dire di pisarebbe fare delle anticipazioni teoriche.

Per mio conto rimango perdell’avviso, che del resto già ebbi a segnalare molto tempo fa, che la «nuance» fra il vecchio ed il nuovo Gabinetto esiste; e che dipenderà (un poco dunque come in Francia) da avvenimenti e pressioni esteriori o superiori se essa potrà dar luogo a sviluppi di carattere e di contenuto pratici.

1 DGAP, Uff. I, Serie Affari Politici, 1951-1957, b. 331, fasc. Conferenza a 9 per questioni europee dopo il fallimento della CED a Brusselle, dal 1° ottobre in poi.

2 Sottoscrizione autografa. Il documento reca i seguenti timbri: «Inviato in copia al Presidente della Repubblica», «Inviato in copia ai Sottosegretari», «Visto dal Ministro», «Visto dal Segretario Generale» con la sigla di Zoppi.

150

L’AMBASCIATORE A L’AJA, BENZONI, AL MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI(1)

Telespr. 2317/12532. L’Aja, 9 ottobre 1954.

Oggetto: Conferenza di Londra.

Per quanto l’aver evitato la catastrofe di «un nulla di fatto» alla Conferenza dei Nove sia stato e permanga nel pensiero di queste sfere governative un elemento essenziale di soddisfazione, non si vedono qui senza perplessità le prossime tappe del negoziato. Le funzioni dell’«Agenzia di Controllo», i rapporti tra il neo Patto di Bruxelles ed il NATO, le pregiudiziali francesi circa la Saar appaiono nell’immediato futuro gli ostacoli piseri ad un accordo generale.

Ma è l’atteggiamento psicologico della Francia nei confronti del riarmo tedesco e della Germania stessa che qui soprattutto preoccupa. Non è a cuor leggero che il Governo olandese ha accettato l’idea del riarmo tedesco sia entro sia fuori di un quadro comunitario; e nessun altro Governo che non l’attuale avrebbe potuto assumersi

davanti al Paese la responsabilità di lasciare indifese ‒e indifendibili nell’opinione delle supreme autorità del SACEUR ‒le Provincie ad oriente della linea Reno-Ijssel:

un terzo cioè dei Paesi Bassi.

Ma una volta che si è investita la Repubblica Federale Tedesca della funzione di associato indispensabile nella difesa militare dell’Europa Occidentale, si pensa in queste sfere responsabili, come ha sinteticamente ben detto in un suo recente discorso il Ministro degli Esteri, che occorre preoccuparsi pidi quale Germania si riarma che del come si riarma.

Non sarà facile su questa politica lungimirante accordarsi con la Francia; che s’intenda evitare oggi una rottura è ovvio, che s’intenda perseguire ogni sforzo per ménager la Francia è probabile, ma una politica comune una volta perfezionati gli accordi di Londra, appare qui una pratica irta di ostacoli e di attriti.

Ogni possibile comprensione per la Francia è un elemento inderogabile anche della nostra politica; comprensione legittima fintantoché non si conceda alla Francia di atteggiarsi e di imporsi come Paese avente diritti superiori e diversi in vista della salvaguardia contro futuri ipotetici pericoli germanici, quasi che [per] gli altri paesi continentali tale ipotetico pericolo non incombesse in eguale misura e che il loro apporto nell’Alleanza fosse già scontato come politicamente dubbio o militarmente insufficiente.

1 DGAP, Uff. I, Serie Affari Politici, 1951-1957, b. 331, fasc. Conferenza a 9 per questioni europee dopo il fallimento della CED a Brusselle, dal 1° ottobre in poi.

2 Sottoscrizione autografa. Il documento reca il timbro: «Visto dal Segretario Generale» con la sigla di Zoppi.

151

IL MINISTRO A LUSSEMBURGO, CAVALLETTI, AL MINISTRO DEGLI AFFARI ESTERI, MARTINO(1)

R. 0066682. Lussemburgo, 9 ottobre 1954.

Signor Ministro,

come V.E. sa, la Comunità carbosiderurgica fu concepita dai suoi stessi ideatori come una tappa di un processo che si iniziava e che avrebbe dovuto condurre, attraverso le tappe della CED e della CPE, a una vasta integrazione della vita economica sociale, politica e militare dei sei Paesi. È naturale quindi che il fallimento della CED, per non parlare di quello, implicito, della CPE, ponga nell’animo di tutti gravi interrogativi.

E la Conferenza di Londra, trovando nel patto di Bruxelles la formula di rimpiazzo per la CED, non ha diminuito anzi, in un certo senso, ha aggravate le apprensioni. Poiché l’accordo di Londra, pur risolvendo, fortunatamente, certi problemi vitali della difesa, sembra voler avviare i paesi dell’Europa Occidentale, con la Gran Bretagna alla testa, verso forme associative assai differenti da quelle delle cosidette comunità, e non picaratterizzate da una autorità sopranazionale munita di ampi poteri.

Che cosa pensano i dirigenti della CECA di questa situazione? Monnet, che ha trovato in Mendès-France un suo nemico personale, non si mostra abbattuto e si sforza con la realizzazione di un accordo associativo fra la Gran Bretagna e la CECA di infondere rinnovato prestigio alla Comunità. Anche gli altri membri dell’Alta Autorità, pur non sentendosi forse, nel loro animo, pienamente rassicurati, fanno mostra di serenità e di relativo ottimismo, Essi affermano che nel vacuum europeista che si è venuto a creare, la CECA ha ancora la sua missione da svolgere e sarà in grado di eseguire il trattato, essendosi ormai stabilita una solida rete di interessi diretti alla conservazione e allo sviluppo del pool.

Personalmente credo che la Comunità non corra nessun rischio immediato. Nessun governo, nessuna categoria di industriali o di utilizzatori ha immediato interesse a iniziare ora una offensiva contro la CECA. Lo stesso governo di Mendès-France, pur essendo per definizione contrario alla supernazionalità, è troppo sospetto, per permettersi un attacco frontale alla CECA. Mi è stato anzi detto, da buona fonte, che Mendès-France avrebbe dato istruzioni di evitare accuratamente qualsiasi mossa che possa apparire come contraria alla CECA in questo momento.

Ma a lunga scadenza le cose potrebbero cambiare, né è da escludere che qualche pericolo di «deterioramento» sovrasti la CECA. In miei precedenti rapporti ho rilevato che il principale difetto della Comunità stava nella relativa debolezza dell’Alta Autorità, debolezza rimediabile se una autorità politica europea fosse venuta a infonderle nuovo vigore. Questa ipotesi non si è realizzata e quella debolezza puperdurare e aggravarsi.

I governi, nella poco propizia congiuntura europeista o sotto la pressione delle categorie interessate, potrebbero essere tentati, per ragioni egoistiche, di fare ostacolo all’azione dell’Alta Autorità, che pur essendo diretta all’utile comune, pucomportare in alcuni casi seri sacrifici di qualche interesse singolo. Né va dimenticato che la CECA dipende finanziariamente, a differenza delle altre organizzazioni internazionali, non dai contributi governativi, ma dalle tasse (prelievo) pagate dai produttori del carbone e dell’acciaio. Questi quindi si troverebbero in una posizione favorevole per esercitare le loro pressioni, se l’appoggio governativo all’Alta Autorità venisse meno.

Se quanto sopra indicato si verificasse, la CECA non verrebbe con cia scomparire, ma sarebbe forse obbligata a cambiare gradualmente carattere. Da organizzazione sopranazionale diverrebbe un centro di confluenza degli interessi di determinate categorie, di interessi su cui l’Alta Autorità si limiterebbe a esercitare una coordinazione

o un blando arbitrato. In altre parole sorgerebbe a Lussemburgo una nuova forma di cartello internazionale, non privo di utilità per i produttori, ma evidentemente diretto a finalità assai differenti e forse anche assai lontane da quelle che si proponeva il trattato della CECA.

Le sorti della CECA quindi, dopo il fallimento della CED, sono ancora in sospeso. Esse sono nelle mani dei suoi partecipanti, e soprattutto dei governi. Nella mancanza di un nuovo impulso politico, proveniente dalla creazione di nuove comunità, spetta ai governi il compito di conservare agli organi della CECA, perseverando in una collaborazione disciplinata e efficiente, l’autorevolezza e i poteri che sono ad essi indispensabili.

Se almeno cinque dei sei governi manterranno un simile atteggiamento, sarà difficile al sesto tirarsi indietro. Se invece, l’eventuale disinteresse o riluttanza di un governo dovessero essere motivo per una eguale condotta da parte degli altri, allora le sorti della CECA sarebbero segnate e il processo di decadenza e di trasformazione sarebbe fatale.

Nella politica europeista – come in tutte le politiche – nulla vi è di definitivo. Abbiamo visto, in due anni, il Benelux da netto oppositore divenire uno dei piferventi sostenitori della CED, e della integrazione economica. Nessuno è in grado di escludere che la Francia ideatrice della politica comunitaria e ora unica oppositrice, possa tornare ai suoi primi sentimenti, specie quando si constatasse che la partecipazione della Gran Bretagna alla nuova politica europea non permette nessun vero progresso.

Forse la principale ragione dell’attuale crisi della politica comunitaria è stata la necessità che si è avuta, per l’urgenza del riarmo tedesco, di fissare come prima meta, dopo la CECA, la realizzazione della CED, cioè della integrazione che tocca il settore pidelicato e geloso della vita nazionale.

Risolto fuori della comunità a sei il problema militare, la CECA potrebbe costituire il centro della ripresa europeista, se a un certo momento vi fossero nuovamente le volontà convergenti dei sei paesi: l’attività della CECA in questi due anni ha, tra l’altro, individuato, nei settori contigui a quelli del carbone e dell’acciaio, le mete piprossime e meno difficili della situazione economica (ad esempio il mercato comune del carbone ha mostrato la necessità della integrazione delle fonti di energia in generale). La CECA, per poco che il «non possumus» francese si attenuasse, avrebbe già davanti a sé obiettivi designati e per così dire naturali. L’integrazione europea iniziatasi sul piano economico, sviata a un dato momento verso fini militari, riprenderebbe il suo corso normale e procederebbe, pilenta ma pimetodicamente, sviluppandosi intorno a un nucleo centrale già esistente, costituito dalla comunità carbosiderurgica(3).

Voglia gradire, Signor Ministro, gli atti del mio pidevoto e profondo ossequio

[Francesco Cavalletti]

1 DGAP, Uff. I, Serie Affari Politici, 1951-1957, b. 334, fasc. Piano Schuman. Comunità Europea Carbone Acciaio.

2 Il documento reca i seguenti timbri: «Inviato in copia al Presidente della Repubblica», «Inviato in copia ai Sottosegretari» e «Visto dal Segretario Generale».

3 Per il seguito vedi D. 153.

152

L’INCARICATO D’AFFARI A LONDRA, THEODOLI, AL MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI(1)

Telespr. 4317/2200. Londra, 12 ottobre 1954.

Oggetto: Unione dell’Europa Occidentale – Gruppo di Lavoro di Londra.

Riferimento: seguito mio telespresso 4259/2171 dell’8 corrente(2).

Il Gruppo di Lavoro per la redazione del progetto di protocollo che deve modificare e completare il Trattato di Bruxelles ha tenuto due altre sedute, una il 9 e l’altra l’11 corrente. Trasmetto qui unito il verbale provvisorio della seduta del giorno 11 (All. 1).

1. È stato approvato il progetto di protocollo che trasmetto qui accluso (all. 2). Come si vede è stata adottata la denominazione «Consiglio dell’Unione dell’Europa Occidentale», sulla quale si è avuta l’unanimità dei consensi, compresa quella del rappresentante belga.

Per quanto riguarda poi la procedura per il voto del Consiglio è stato deciso di sottoporre all’approvazione dei Ministri due testi alternativi del paragrafo 4 dell’Art.

4. L’uno, picorto, stabilisce semplicemente la regola dell’unanimità tranne i casi previsti dal protocollo (che non vengono permenzionati esplicitamente). L’altro testo invece elenca tutti i vari casi in cui è stato deciso dalla Conferenza che le decisioni debbono essere prese all’unanimità, a maggioranza dei 2/3 e a maggioranza semplice.

- - -

1 DGAP, Uff. I, Serie Affari Politici, 1951-1957, b. 331, fasc. Conferenza a 9 per questioni europee dopo il fallimento della CED a Brusselle, dal 1° ottobre in poi. Verbali editi nell’Appendice II. 2 Vedi D. 148. 3 Per il seguito vedi D. 155.

153

IL MINISTRO A LUSSEMBURGO, CAVALLETTI, AL MINISTRO DEGLI AFFARI ESTERI, MARTINO(1)

R. 0067052. Lussemburgo, 12 ottobre 1954.

Signor Ministro,

nel mio precedente rapporto n. 006668 del 9 corr.3, ho avuto l’onore di esporre a V.E. quale è, a mio avviso, l’attuale situazione politica della CECA, giungendo alla conclusione che, se i Governi non le ritireranno l’appoggio, essa sarà ancora in grado di sopravvivere e di prosperare.

Con questo presupposto e in questo quadro, vorrei esaminare ora se convenga al nostro Governo di mantenere il suo appoggio alla Comunità carbosiderurgica e, in generale, alla politica «comunitaria» o se sia preferibile di concentrare prevalentemente i nostri sforzi in favore del nuovo sistema associativo, che sembra esser nato a Londra, caratterizzato dalla presenza della Gran Bretagna e dalla assenza di poteri sopranazionali.

L’Italia, come è ben noto a V.E., con la CECA, la CED e la CPE, aveva in animo di risolvere, oltre ai problemi generali del riarmo e della integrazione della Germania nell’occidente, anche, e direi sopratutto, suoi particolari problemi. L’Italia aveva anzi accettato la rinunzia al suo esercito nazionale, solo alla condizione che si aprisse così la via a una pivasta integrazione negli altri settori.

Con la formula federativa o «comunitaria» l’Italia intendeva infatti di ottenere, in un mercato comune di merci e di capitali, un piampio respiro per la sua vita economica, intendeva di alleggerire la sua situazione sociale mediante la libera circolazione delle persone; intendeva di migliorare la sua situazione politica interna e inserendosi in una Comunità in cui la pressione comunista fosse minore, additare alle giovani generazioni ideali nuovi e atti a controbattere il comunismo.

La «Comunità» a sei dava all’Italia anche un altro vantaggio: quello di una posizione politica di particolare prestigio. Riconosciuta, sui testi, la nostra piena parità con Francia e Germania (dalla partecipazione agli organi comunitari, alla votazione in consiglio di Ministri CED), il nostro atteggiamento acquistava importanza e poteva divenire decisivo, nell’inevitabile contrasto di interessi franco-tedeschi. E anche nel caso di una intesa franco-tedesca, eventualmente pregiudizievole ai nostri interessi, l’Italia con il Benelux costituiva un forte contrappeso.

L’esperimento della CECA per quanto breve e limitato, ha fatto constatare che molte di queste speranze non erano infondate, particolarmente nel campo economico. L’associazione dei meno abbienti con i piabbienti, fatta con il concetto sopranazionale di un utile comune, non rende, come a torto si è andato affermando dalle opposizioni, pipoveri i poveri e piricchi i ricchi, ma va sopratutto a beneficio dei primi. La formula che si è vista spesso sulla stampa straniera secondo cui l’Italia è stata l’unico paese avvantaggiato dal pool è errata, se vuol dire che tutti gli altri non ne hanno avuto che danni, ma è vera se si intende che l’Italia vi ha trovato vantaggi relativamente maggiori.

Non è questa la sede per ripetere quanto sono venuto scrivendo in questi due anni, ma non è fuori posto ricordare che è in gran parte dovuto al pool, alle facilitazioni che esso ha apportate, se in Italia i prezzi dell’acciaio sono ribassati, se il consumo pro capite è aumentato, se la produzione siderurgica ha toccato massimi insperati.

Nel settore del carbone si è visto, in esecuzione del trattato, le miniere olandesi e tedesche pagare la metà del deficit delle nostre miniere e nel settore sociale si sta realizzando per la prima volta, naturalmente nei limiti del settore, la libera circolazione della mano d’opera, mentre sono in elaborazione presso l’Alta Autorità provvidenze per vari miliardi in favore dei 7 mila nostri disoccupati siderurgici.

Anche dal punto di vista del nostro prestigio, l’esperienza della CECA ci è stata favorevole, malgrado che, per ragioni evidenti, l’Italia, nel settore del carbone e dell’acciaio, non avrebbe potuto avere che un peso secondario. Non solo, dopo un primo periodo di incertezza, siamo riusciti ad affermarci nei vari uffici e nelle varie istituzioni, ma abbiamo visto gli altri venirci ad offrire, dopo la presidenza della Corte, la Presidenza dell’Assemblea.

Pula nuova forma di associazione a sette e senza (o quasi) poteri sopranazionali garantirci, in altri settori e con modalità differenti, prospettive simili e analoghi vantaggi?

Puanzitutto condurci tanto lontano quanto noi necessitiamo e desideriamo? Molti non credono che le concessioni, importantissime certo, fatte dalla Gran Bretagna nel campo militare, preludano a una revisione generale, di quell’atteggiamento negativo che per cinque anni la Gran Bretagna ha tenuto con albionica fermezza a Strasburgo. Fu questo atteggiamento inglese, che condusse il Consiglio d’Europa a indirizzarsi verso le «autorità specializzate», dopo aver constatato l’impossibilità di ottenere l’adesione inglese alla formula piampia di collaborazione europea, alla cosiddetta «autorità politica europea munita di poteri limitati ma reali». Sembra ora impossibile che tutta questa strada percorsa sia rifatta a ritroso. Purtroppo lo slogan: facciamo l’Europa, ma con l’Inghilterra sembra tuttora lo slogan di quelli che non vogliono farla affatto.

Comunque sia, è certo che l’Italia in questa associazione a sette avrà un peso modesto. L’associazione sarà inevitabilmente dominata dall’Inghilterra, a cui si affiancherà la Francia. La Germania lotterà, per il secondo posto. A noi resterà un gioco assai limitato e si dovrà aver cura affinché un malcauto ma probabile atteggiamento francese non ci spinga a fare i brillanti secondi della Germania. Le difficoltà cominceranno già nella distribuzione dei posti nei segretariati ‒ben più gravi di quelle che ho visto al sorgere del Consiglio d’Europa o della CECA‒e nello stesso regime delle lingue, per cui difficilmente otterremo la quadrilinguità in vigore a Lussemburgo.

Vorrei trarre da queste considerazioni due conseguenze: che da parte italiana l’appoggio alla CECA dovrebbe essere mantenuto e eventualmente aumentato, in vista appunto delle attuali difficoltà; che, anche nelle presenti circostanze, dovremmo mantenere l’associazione sopranazionale a sei come principale obbiettivo della nostra politica.

Si puobbiettare che per fare la politica della «Comunità», bisogna essere in sei e che la Francia sembra non volerne pisentir parlare. Senza dire poi che la Gran Bretagna, favorevole finora o per lo meno non contraria alla Comunità a sei, potrebbe adesso, dopo aver lanciato a Londra una nuova formula di collaborazione europea, cambiare il suo atteggiamento.

Circa la Gran Bretagna, è un sintomo incoraggiante che, proprio durante la Conferenza di Londra, essa si sia decisa, dopo esser stata per lungo tempo riluttante, a gettare le basi per l’accordo associativo con la CECA.

Quanto alla Francia, evidentemente tutto il problema è lì. Si potrebbe osservare che il Governo di Mendès-France non sarà eterno, ma è doveroso riconoscere che l’atteggiamento di Mendès-France verso l’Europa a sei corrisponde, in parte, a tendenze e a sentimenti a lui preesistenti, e che lo stato d’animo francese in sé ‒indipendentemente da Mendès-France ‒non è favorevole: se non minaccia, almeno io ritengo, l’esistenza della CECA, non fa per ora sperare in progressi.

Ne consegue che ora non sono pensabili iniziative le quali, fra l’altro, potrebbero turbare pericolosamente il lavoro di ratifica degli accordi di Londra. Ma passato questo momento nevralgico, non si puescludere che la via possa esser ripresa, che vi possano essere impulsi per nuove integrazioni accettabili anche per la Francia.

La CECA, ne ho già accennato nel precedente rapporto, con la sua azione è giunta, talvolta, a toccare settori dove il coordinamento e l’integrazione si presentano come naturali e necessari. Per sua natura la CECA ha in sé una certa forza espansiva, solo che venga alquanto agevolata e appoggiata dai Governi. Se ciavvenisse, la CECA potrebbe costituire il centro degli ulteriori sviluppi; essa potrebbe non solo sopravvivere, ma aumentare la sua importanza.

Vi è ad esempio, nel settore dei trasporti della CECA, il problema della canalizzazione della Mosella, in cui la Francia ha forti interessi e che non è risolvibile senza uno spirito sopranazionale. Non è impossibile che la Francia voglia in questo settore fare un passo avanti e risolvere al tempo stesso altri problemi, connessi, di tariffe e di mercato. Situazioni non molto dissimili esistono in vari altri campi della CECA; fonti di energia (oltre il carbone), tasse, gravami sociali, riconversioni ecc.

Infine non va dimenticato che nella CECA esiste una Assemblea parlamentare composta dei piimportanti uomini politici europei. Essa puavere, anche nelle contingenze attuali, una forza propulsiva, la sua azione puavere larga risuonanza sui parlamenti e quindi sui governi dei sei paesi.

Non vorrei, con questo rapporto, apparire a V.E. poco realistico e troppo influenzato dall’ambiente o dal sentimento. In realtà sono ben conscio delle difficoltà che esistono, ma ho creduto mio dovere di sottoporre a V.E. tutti gli eventi [recte: elementi] di giudizio in mio possesso per le decisioni superiori che V.E. vorrà prendere sull’atteggiamento dell’Italia in questa importantissima materia.

Voglia accogliere, Signor Ministro, gli atti del mio piprofondo e devoto ossequio.

F. Cavalletti

1 DGAP, Uff. I, Serie Affari Politici, 1951-1957, b. 334, fasc. Piano Schuman. Comunità Europea Carbone Acciaio.

2 Il documento reca i seguenti timbri: «Inviato in copia al Presidente della Repubblica», «Inviato in copia ai Sottosegretari» e «Visto dal Segretario Generale» con la sigla di Zoppi.

3 Vedi D. 151.

154

L’AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI, AL SOTTOSEGRETARIO AGLI AFFARI ESTERI, BENVENUTI(1)

L. riservata 1376. Parigi, 12 ottobre 1954.

Caro Benvenuti,

vivamente La ringrazio per la Sua lettera, con gli interessantissimi allegati, del 2 corrente(2). Ma, anzitutto, desidero inviare alla Contessa ed a Lei i picordiali e partecipi rallegramenti, di mia moglie e miei, per la nascita del Loro bambino. È con memore cuore che ci associamo alla Loro letizia.

I Suoi tre appunti, così perspicui e che vanno così efficacemente dritti allo scopo, mi hanno veramente avvinto. Per quanto ne riguarda la sostanza, vorrei richiamare alcune mie idee che Ella, come mi dice così gentilmente, ha già avuto occasione, del resto, di trovare in mie recenti comunicazioni ufficiali. Circa le responsabilità di Mendès-France di fronte all’europeismo ed agli europeisti (di Europa e di America), esse esistono e sono indubbie. Ma Mendès-France non ha fatto un giochetto «in proprio». Egli rappresenta

una maggioranza che è scaturita dal Parlamento, perché essa era ‒per tante e multiformi ragioni ‒nel Paese. Bisogna pur vedere in faccia quella che è una realtà dei nostri paesi

democratici: il Parlamento, pio meno, rappresenta il Paese e vota a nome di tutti. Ella è stata, per ragioni tecniche e di rappresentanza italiana nei consessi europeisti, a contatto sopratutto di personalità francesi che si sono, almeno, sbagliate quando annunciavano che una maggioranza per la CED c’era: invece, essa non c’era e, nonostante la perplessità che pususcitare un Mendès-France, la sua abilità non bastava certo per volere e sopratutto ottenere il voto negativo. È vero che «c’è un’altra Francia», ma questa è stata

battuta ed era ‒la prova è fatta ‒in minoranza. Se questa classe politica «rappresentante

la Francia nuova e giovane, fosse stata al potere in questo momento», la CED sarebbe passata. Ho dei dubbi, personalmente, su questa ipotesi, ma comunque questa classe non era al potere e c’erano ragioni di numero, di peso e di voto che l’avevano appunto scartata dal potere. Tutto questo, mi permetto ripeterlo soltanto per chiarirLe il mio pensiero, nel senso che è inutile guardare a come avrebbe potuto svolgersi altrimenti la sorte della CED. Io ho sempre visto nella CED, come Lei, qualcosa di molto alto e qualcosa di molto nobilmente ardito per il bene futuro di questo continente. Ma la sovranazionalità era, sì, l’essenza stessa di quella formula, ma non costituiva l’indispensabile ideologia motrice. Se veramente andranno in porto gli accordi di Londra, avremo qualcosa di piantiquato, cioè una grande coalizione ed una grande alleanza invece di una sintesi sovranazionale. Ma tutto questo, a sua volta, pupresentare degli aspetti positivi in momenti, nei quali è necessario fare qualcosa, presto e concretamente. Cioè, io mi permetto di essere meno pessimista e di pensare che anche una «soluzione di ricambio» pucontenere un’alta percentuale di quello che è vitale per la difesa comune e per la coesistenza dei popoli europei. Se i «Cedisti» francesi, in futuro, diranno di no a quello che uscirà definitivamente dalla Conferenza di Londra, ripudieranno il «molto» per non avere avuto il «tutto» e sarà una grande responsabilità anche se un Henri Frenay profetizza che i Ce-disti si opporranno al riarmo della Germania nella sua nuova forma (del resto, vorrei Ella domandasse a Pacciardi quanto il Frenay sia riuscito a combinare e quanti sia riuscito riunire al momento della sua ultima conferenza in Francia: è gente rispettabilissima, che tutti conoscono in Europa, perché, essendo dei francesi europeisti e quindi per onore di firma, viaggiano per tutta l’Europa: ma qui non hanno nessun peso nella vita pubblica e sull’opinione pubblica e sopratutto non sono capaci di organizzare e di agire).

I credenti nell’«Europa europeista» hanno comunque il giusto diritto di pensare che, senza i loro nobili sforzi, non avremmo oggi neanche il meno e che il seme gettato germoglierà, purché stia in terra il tempo necessario (anche nella storia vi sono delle stagioni) per spuntare. E bisognerà, in avvenire, non credere alle parole degli europeisti francesi, ma chiedere loro dei fatti. Sarà un’opera santa anche nei loro riguardi.

Cordialissimi saluti e, spero, a presto,

Quaroni

1 Ambasciata a Parigi, 1951-1960, b. 40, pos. 11/18.12. 2 Vedi D. 136.

155

L’INCARICATO D’AFFARI A LONDRA, THEODOLI, AL MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI(1)

T. segreto 13146/334. Londra, 13 ottobre 1954, ore 20,35 (perv. ore 7,30 del 14).

Mio telespresso 2200 del 12 corr.2.

Stamane il Gruppo Lavoro ha definitivamente approvato lo schema del protocollo che modifica e completa il Trattato di Bruxelles. Il Rappresentante tedesco su istruzioni di Bonn ha proposto che la nuova denominazione fosse semplicemente Unione Europea per richiamare quanto pipossibile il nome della CED. Il delegato belga viceversa ha insistito per denominazione Unione Europa occidentale che si discosta meno da quella originale; ed è stato appoggiato dai delegati francese e britannico il quale ultimo ha fatto anche presente l’opportunità di non dare carattere troppo largo alla nuova organizzazione per evitare richieste di adesioni da parte di Stati non occidentali. È stato quindi deciso di mantenere la denominazione già approvata pur prendendo nota della richiesta tedesca nel rapporto finale.

Circa i poteri deliberativi del Consiglio, l’Ambasciatore belga ha comunicato la richiesta di Spaak che la regola della maggioranza semplice fosse adottata per tutti i casi non altrimenti stabiliti. Contro tale proposta tendente a dare alla nuova organizzazione un carattere sopranazionale ancora maggiore che nella CED vi è stata la netta opposizione dei delegati inglese e francese nonché di Stikker il quale aveva sempre cercato invece di mettere in evidenza regola unanimità e non dare risalto alle eccezioni previste dall’atto finale della Conferenza di Londra. È stato quindi deciso di non accettare la richiesta belga neppure come alternativa da sottoporre ai Ministri; ma di menzionarla nel rapporto finale.

Per quanto riguarda la questione dell’articolo dodici dell’atto finale della Conferenza di Londra, i delegati belga e tedesco hanno precisato che secondo intenzione proprio Governo dovrebbe essere Assemblea distinta da quella Consiglio Europa la quale non dovrebbe necessariamente sedere Strasburgo. Comunque è stato convenuto trattarsi di questione che dovrà essere esaminata il 21 corrente a Parigi ma non necessariamente risolta in tale riunione dato anche il tempo ristretto previsto per la riunione stessa.

È stato poi esaminato il progetto inviato dal lord Ismay circa i futuri collegamenti fra il NATO e la nuova organizzazione. Partendo dal principio che tale organizzazione dovrà avere una configurazione politica precisa e non apparire in alcun modo come appendice del NATO da cui si differenzia fra l’altro sia per minori membri che per scopi distinti, il Gruppo Lavoro è stato unanime nel ritenere che il Consiglio debba essere costituito e debba funzionare in maniera analoga al Consiglio del Patto Atlantico ma risiedere a Londra. D’altra parte data la necessità della massima collaborazione con il NATO per le questioni militari la maggioranza si è espressa in favore della tesi che l’agenzia controllo armamenti risieda a Parigi. Il delegato tedesco invece su espresse istruzioni da Bonn ha proposto che anche l’Agenzia abbia per ora sede a Londra.

Per quanto riguarda poi progetto Steering Group Parigi secondo cui l’Agenzia dovrebbe dipendere da speciale commissione Armamenti dipendente Consiglio Bruxelles ma residente Parigi, esso è stato respinto perché costituente un inutile doppione non necessario per assicurare collegamento. Roberts in particolare ha affermato non (dico non) trattarsi in alcun modo di iniziativa britannica ed ha dato lettura del telegramma d’istruzioni in tal senso inviato ieri da Eden e Steel.

Domattina avrà luogo altra riunione che prevedesi conclusiva(3).

1 Telegrammi segreti originali 1954, arrivo, vol. II. 2 Vedi D. 152. 3 Per il seguito vedi D. 158.

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L’AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI, AL MINISTRO DEGLI AFFARI ESTERI, MARTINO(1)

R. riservato 13962. Parigi, 14 ottobre 1954.

Signor Ministro,

non è facile dare un’interpretazione esatta dell’ultimo voto alla Camera francese sugli accordi di Londra: sarebbe permolto azzardato interpretarlo come una sincera accettazione degli accordi stessi. È stato un voto di rassegnazione, motivato pidalla difficoltà di votare contro Mendès-France che dalla convinzione della necessità o dell’opportunità di accettarli.

Tipico, a questo riguardo, è stato l’atteggiamento del Partito Socialista: in sé e per sé i socialisti anticedisti erano contro gli accordi di Londra, perché la maggior parte di loro sono contrari al riarmo tedesco sotto qualsiasi condizione, sono su di una posizione bevanista, per intenderci: gli ex-cedisti erano pure contro, come pio meno tutti i cedisti, considerando, e giustamente, che i controlli previsti dagli accordi di Londra non valgono i controlli CED. Nonostante questo hanno votato tutti a favore di Mendès-France, e ne hanno salvata la posizione, perché non potevano, di fronte ai loro elettori, far la figura, come socialisti, di votare contro un Presidente del Consiglio che aveva deciso l’aumento delle categorie pibasse di salari.

È questa l’indiscussa abilità di Mendès-France che, mescolando politica estera e politica interna, riesce a farsi votare a favore da tutta gente che in realtà non è affatto d’accordo con lui.

Ma sul piano reale, parlamentare, è bene tener conto che nel settore anti-CED gli accordi di Londra hanno dato soddisfazione solo alle esigenze dei militari, della grossa industria e di qualche gruppetto nazionalista: il che, in termini pratici, si putradurre in un centinaio di voti già contro la CED che ora sono andati a favore dei recenti accordi. Gli altri duecento e pideputati che avevano votato contro la CED, lo hanno fatto perché su posizioni neutraliste; come tali, essi non sono intimamente rassegnati nemmeno agli accordi di Londra.

Quanto ai partigiani della CED, è bene non dimenticare che la vecchia formula era stata qui accettata e sostenuta non tanto per le sue implicazioni europee, ma in quanto essa permetteva un controllo efficace dell’esercito tedesco e, soprattutto, impediva il risorgere dello Stato Maggiore tedesco, che qui è una specie di spauracchio. Ora, da questo punto di vista, non c’è dubbio la CED era meglio degli accordi di Londra: soprattutto perché non si sa ancora se sarà possibile ottenere l’accordo degli altri a tutte le formule di controllo richieste da Mendès-France. Poiché, quale che sia il pensiero personale di Mendès-France, è indubbio che, se vuole i voti dei Cedisti, per la ratifica finale (e ne ha bisogno), deve insistere sui controlli.

La conclusione, alla quale bisogna venire, è dunque che il voto favorevole della Camera francese non garantisce affatto che, all’atto della ratifica, verso la fine di novembre, gli accordi saranno accettati dal Parlamento francese.

Anche in questa occasione non ritengo sia di nessuna utilità fare ancora il processo alle intenzioni di Mendès-France. Va solo notato che, per difendere una formula accettata da lui, ha posto la questione di fiducia ed ha manovrato bene in modo da ottenere il voto favorevole.

Per me l’uomo, piche alla politica estera, si interessa alla politica interna e finanziaria: è convinto che la Francia ha bisogno di essere riformata da capo a fondo, e che lui è la persona piqualificata per farlo. La politica estera lo interessa in quanto era ed è necessario sgomberare il terreno da una serie di problemi esteri, che dividevano quella che egli considerava la sua maggioranza naturale. Ha già fatto un passo avanti con i socialisti, di cui sembra ora possibile anche l’ingresso al Governo: vuole avere anche gli MRP, per lo meno la frazione sociale e progressista, che è la piimportante e numerosa, in modo da costituire un Governo che abbia socialisti, MRP, una parte dei radicali e dei gaullisti, isolando i moderati, ossia la destra. Il tutto con un marcato sfondo nazionalista in quanto convinto che è l’immobilismo dei moderati che paralizza la Francia e la mette in condizioni di non poter avere nel mondo la posizione che essa potrebbe avere.

E potrebbe anche riuscirci: e la sua politica estera è, in parte almeno, subordinata a questo suo desiderio di riuscire.

Per cui egli pucerto influire sul Parlamento, ma non al di là di certi limiti: non si puaspettare da lui che impegni una battaglia che non sa di poter vincere. Sarà quindi la preoccupazione del suo Parlamento, assai piche considerazioni di carattere internazionale, a determinare la sua azione.

E la situazione al Parlamento francese resta fondamentalmente quella che ho già esposto a V.E, dubbia ed incerta, ma sostanzialmente non favorevole agli accordi di Londra, perché è, nella sua maggioranza, ancora contraria al riarmo della Germania.

La maniera con cui verrà risolto il problema del controllo degli armamenti avrà senza dubbio la sua importanza; ma il punto su cui tutto punaufragare, è la questione della Sarre. È un vecchio préalable, non è Mendès-France che lo ha tirato fuori, lo avevano già posto tutti i suoi predecessori. Se i francesi ottengono soddisfazione sulla questione della Sarre, anche se il resto degli accordi non è del tutto soddisfacente, o se Mendès-France ha la volontà e la possibilità di manovrare bene come lo ha fatto questa volta, il complesso di Londra puprobabilmente passare. Se non si arriva ad un accordo soddisfacente per la Francia sulla questione della Sarre, è molto poco probabile che gli accordi di Londra vengano ratificati dal Parlamento francese. Da rilevare che, fedele alla tattica che gli è riuscita a Ginevra, anche per questo Mendès-France ha messo una data limite, dichiarando che presenterà gli accordi di Londra alla ratifica del Parlamento verso il 20 novembre, se, per quella data, sarà stata trovata una soluzione alla questione della Sarre.

Ma piimportante di tutto, ai fini di quella che potrà essere l’atmosfera al momento della ratifica vera e propria degli accordi stessi, saranno gli sviluppi che potrà avere, in questo frattempo, la questione delle conversazioni con la Russia. È un argomento che è affiorato, pio meno apertamente, in tutto il recente dibattito. Mendès-France se l’è cavata abilmente affermando che non c’è incompatibilità fra gli accordi di Londra e le conversazioni con la Russia: una formula molto simile ‒è stato rilevato – a quella pronunciata da Churchill a Blackpool.

La formula, che va sempre piguadagnando simpatie, è la formula di cui ho già accennato a V.E.: mettere un periodo di tempo, per esempio, uno o due mesi, fra la ratifica degli accordi di Londra e la loro entrata in funzione: e dire ai russi formalmente che essi hanno due mesi di tempo per arrivare ad una soluzione della questione tedesca, basata evidentemente sull’accettazione delle elezioni libere in Germania orientale: altrimenti si procederà al riarmo tedesco.

Il ragionamento di tutta questa brava gente è il seguente: il riarmo della Germania significa la frattura definitiva del Paese: l’unificazione della Germania diventa un problema che non potrà essere risolto che con la guerra, e che sarà quindi causa di guerra. Prima di compiere un passo irreparabile, facciamo un ultimo tentativo. Il tentativo che è stato fatto a Berlino non è probante; esso partiva dal principio che la Russia dovesse accettare la CED: bisogna invece offrire alla Russia qualche cosa in cambio della sua accettazione di elezioni libere che significano per lei l’abbandono della Germania orientale: questo qualche cosa non puessere che la neutralizzazione della Germania.

Se i russi accettano, è un passo avanti nel cammino della distensione. La seconda tappa, senza la quale la prima è illusoria, dovrà essere il disarmo controllato. Se i russi non accettano, sarà allora fatta la prova che con loro non c’è realmente niente da fare, ed allora molti degli attuali oppositori saranno i primi a sostenere il riarmo tedesco.

E perché i russi non abbiano la tentazione di trascinare le cose per le lunghe, senza concludere, si ripeterà la formula di Ginevra, la data catenaccio, breve. Non voglio discutere qui il merito del suggerimento: l’ho già fatto del resto in un mio precedente rapporto. Ripeto solo che qui prende: presentati con questa clausola di salvaguardia, gli accordi di Londra troverebbero al Parlamento una larga maggioranza, anche con poco controllo e con poca Sarre.

Il voto di fiducia è stato strappato un po’ di sorpresa ad un Parlamento impressionato da un’opinione pubblica che, nella sua grande maggioranza, era entusiasta del successo riportato da Mendès a Londra. Perché fra gli elementi di cui bisogna tener conto, adesso, da parte di tutti, è la crescente popolarità di Mendès-France in tutti i ceti e in tutte le regioni. Le centrali neutraliste non hanno avuto il tempo di iniziare la campagna contraria; si comincia perqui a svalutare il suo successo pispettacolare che è stato poi la concessione inglese di impegnare sul continente quattro divisioni.

È difficile adesso, specialmente a Parlamento chiuso, fare delle previsioni su quello che saranno le forme ed il successo di questa campagna neutralista. Mi permetto soltanto di segnalare a V.E. che essa continua e che per me questo sfondo neutralista è una delle difficoltà maggiori che si incontreranno sulla strada della ratifica degli accordi di Londra. Vorrei ancora precisare: anche se, per un complesso di circostanze fortunate, si potesse superare questo ostacolo ed avere la ratifica, tutte le affermazioni di qualsiasi Governo francese di fedeltà alla politica atlantica, alla politica europea, debbono essere accettate con una certa riserva. Resta il fatto che la maggioranza del Parlamento francese non è convinta che non ci sia altro da fare: e il Parlamento francese resterà sempre reticente e dubbio fino a che non si sarà trovata la maniera di convincere almeno quel centinaio di deputati che sono ancora suscettibili di essere convinti.

Per quello che riguarda noi, alla prossima Conferenza, credo ormai superfluo ricordare che la difficoltà principale resta quella di far passare gli accordi che si potranno raggiungere davanti al Parlamento francese.

Se la conferenza sarà o non sarà un successo, cidipenderà molto dagli inglesi: specialmente per quello che concerne il problema pidelicato, quello della conversazione con la Russia: mi sembra difficile infatti, che da parte francese, almeno fino a che prevale il raggruppamento politico attuale, si abbia il coraggio e la possibilità di andare piin là di quello che vorranno fare gli inglesi. E d’altra parte non c’è ragione di pensare che gli inglesi, a loro volta, vorranno su questo argomento rischiare di rompere con gli americani: è del resto un argomento in cui non tocca a noi di prendere delle iniziative.

Per la questione della Sarre, che, fra le questioni piconcrete, è la pidifficile, noi non possiamo fare gran cosa: mediare è difficile e delicato e il rischio di rendersi malvisti sia dai francesi che dai tedeschi è troppo grande.

Per tutto il resto, mi permetterei di suggerire di mantenere la linea di condotta che con tanto successo è stata tenuta a Londra: ossia restare in genere un po’ al di sopra, resistere solidamente quando si tratta di interessi nostri da difendere, e cercare di fare opera di mediazione, quando è possibile.

Mendès-France – me lo ha detto qualche giorno addietro – è rimasto molto soddisfatto della comprensione mostrata da noi. È sensibilissimo, quasi morbosamente, alla diffidenza che lo circonda. Non mi illudo che potremo fare molto, ma se potremo fare qualcosa, al seguito degli inglesi, per impedire che la Conferenza si incagli, è mantenendoci al di fuori di reazioni personali, come abbiamo fatto.

Dopo tutto, lo scopo di questa conferenza, come fu a Londra, è quello di far passare davanti al Parlamento francese ‒visto che né americani né inglesi sembrano per ora decisi ad altra alternativa ‒il riarmo della Germania e il suo ingresso al NATO. Una volta ottenuto questo, vorrei vedere fra qualche anno cosa resterà di tante formule di limitazione e di controllo.

E, quanto a salvare quello che si pusalvare, e che per me è ancora molto, dell’idea europea, anche questo ce ne potremo occupare meglio in un secondo tempo, una volta superato lo scoglio principale.

La prego di gradire, signor Ministro, gli atti del mio devoto ossequio.

P. Quaroni

1 DGAP, Uff. I, Serie Affari Politici, 1951-1957, b. 331, fasc. Conferenza a 9 per questioni europee dopo il fallimento della CED a Brusselle, dal 1° ottobre in poi.

2 Il documento reca i seguenti timbri: «Inviato in copia al Presidente della Repubblica», «Inviato in copia ai Sottosegretari», «Visto dal Ministro», «Visto dal Segretario Generale» con la sigla di Zoppi.

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IL MINISTRO A LUSSEMBURGO, CAVALLETTI, AL MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI(1)

T. segreto 13215/493. Lussemburgo, 15 ottobre 1954, ore 11,10 (perv. ore 11,20).

Spaak ha detto ieri al Segretario Generale dell’Assemblea Comune di essere fautore della presidenza di Pella alla predetta Assemblea per varie ragioni e particolarmente perché egli considera essenziale che la presidenza sia affidata a personalità esperta nelle questioni economiche, onde potenziare gli eventuali sviluppi dell’integrazione economica europea facendo centro sulla CECA.

Anche Monnet in una recente conversazione si è manifestato favorevole alla presidenza di Pella(2).

1 Telegrammi segreti originali 1954, arrivo, vol. III.

2 Sull’elezione di Pella riferì Cittadini Cesi con T. 15554/95 del 29 novembre, ritrasmesso con Telespresso 23/599 del 3 dicembre dall’Ufficio III della Direzione Generale della Cooperazione Internazionale alle Ambasciate a Ankara, Atene, Bonn, Bruxelles, Londra, L’Aja, Parigi e Washington, alle Legazioni a Dublino,Copenaghen, Lussemburgo, Oslo e Stoccolma, alla Rappresentanza presso il Consiglio Atlantico a Parigi, alle Direzioni Generali degli Affari Politici e degli Affari economici e al Servizio Stampa: «Per opportuna informazione si trascrive qui di seguito quanto comunicato in data 29 novembre scorso dal Console Generale in Strasburgo circa l’argomento in oggetto: “Stamane si è aperta, sotto la presidenza del Vice Presidente Fohrmann, la sessione dell’Assemblea Comunità carbone e acciaio. Fohrmann ha commemorato il defunto Presidente De Gasperiricordandone l’opera ed esaltandone la figura di statista e di europeista. Alla commemorazione si sono associati il Presidente dell’Alta Autorità Monnet ed il Sottosegretario Battista, a nome del Consiglio speciale Ministri. Ha ringraziato a nome dei colleghi italiani il senatore Schiavi; dopo di che la seduta è stata sospesa in segno dilutto. Alla ripresa si è proceduto per acclamazione all’elezione del nuovo Presidente nella persona dell’Onorevole Giuseppe Pella. L’onorevole Pella ha pronunciato un applaudito discorso impegnando l’Assemblea a continuare il cammino verso l’unificazione europea, tracciato da Alcide De Gasperi. L’Assemblea si è quindi aggiornata eriprenderà i suoi lavori domani mattina”» (Ambasciata a Parigi, 1951-1960, b. 41 bis, pos. 12/12).

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L’INCARICATO D’AFFARI A LONDRA, THEODOLI, AL MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI(1)

Telespr. riservato 4373/22442. Londra, 15 ottobre 1954.

Oggetto: Unione dell’Europa Occidentale.

Riferimento: seguito mio telespresso n. 4317/2200 del 12 corr. e telegramma del 13 corr.3.

Il Gruppo di Lavoro di Londra ha terminato i suoi lavori dopo altre due sedute in data 13 e 14 corr. Trasmetto qui acclusi i verbali relativi (allegati 1 e 2). Trasmetto altresì i seguenti documenti:

1) Rapporto Finale del Gruppo di Lavoro per la riunione di Parigi del 21 (all. 3);

2) Protocollo n. 1 modificante e completante il Trattato di Bruxelles (all. 4);

3) Protocollo n. 2 che incorpora gli impegni del Governo britannico e del Governo Federale tedesco figuranti nella Sezione 2 dell’Atto Finale della Conferenza di Londra (all. 5);

4) Nota del Gruppo di Lavoro circa i problemi che sorgono dal Paragrafo 12 della Sezione 2 dell’Atto Finale (all. 6):

5) Progetto di lettere che i Governi dell’Italia e della Repubblica Federale tedesca dovrebbero inviare agli altri Governi firmatari del Protocollo n. 1 (all. 7). Circa tali documenti osservo quanto segue:

- - - - -

1 DGAP, Uff. I, Serie Affari Politici, 1951-1957, b. 331, fasc. Conferenza a 9 per questioni europee dopo il fallimento della CED a Brusselle, dal 1° ottobre in poi. Verbali editi nell’Appendice II.

2 Indirizzato, per conoscenza, alla Rappresentanza presso il Consiglio Atlantico a Parigi.

3 Vedi DD. 152 e 155.

4 Per il seguito vedi D. 163.

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IL MINISTRO DEGLI AFFARI ESTERI, MARTINO, AL CANCELLIERE E MINISTRO DEGLI AFFARI ESTERI DELLA REPUBBLICA FEDERALE DI GERMANIA, ADENAUER(1)

L.2. Roma, 16 ottobre 1954.

Signor Cancelliere,

l’Ambasciatore von Brentano mi ha rimesso oggi la Sua lettera(3) con la quale Ella ha voluto così cortesemente esprimere il Suo apprezzamento per la parte svolta alla Conferenza di Londra dalla Delegazione italiana che ho avuto l’onore di presiedere.

Non ringraziarLa del Suo messaggio e delle espressioni che Ella ha voluto rivolgermi personalmente, desidero dirLe a mia volta con quanta gioia mi sia incontrato con Lei e con quanta soddisfazione abbia partecipato al comune lavoro in favore di una pistretta e permanente intesa fra le Nazioni occidentali, per la cui causa Ella, Signor Cancelliere, ha così tenacemente ed autorevolmente operato.

Sono anch’io convinto che gli sforzi comuni compiuti a Londra hanno realmente valso a rafforzare il mondo libero e che la via intrapresa permetterà di recare un contributo decisivo al mantenimento della pace. È con questa intima fiducia che mi accingo a recarmi a Parigi, ove mi sarà assai gradito collaborare nuovamente con Lei a questo fine.

Con i picordiali saluti

Suo aff.mo

[Gaetano Martino]

1 DGAP, Uff. IV, Versamento CED, 1950-1954, b. 25, fasc. 92.

2 Trasmessa da Milesi Ferretti all’Ambasciata d’Italia a Bonn e per conoscenza alla Direzione Generale degli Affari Politici e alla Direzione Generale della Cooperazione Internazionale con Telespr. 1/3268 del 17 ottobre con la seguente istruzione: «Si trasmette qui unito, in originale, con preghiera di volerlo far pervenire al Cancelliere Adenauer, un messaggio a lui diretto da S.E. il Ministro in risposta a quello consegnato all’On. Martino il 16 corr. dall’Ambasciatore von Brentano, messaggio del quale si acclude copia per opportuna documentazione».

3 Vedi D. 146.

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L’AMBASCIATORE A BRUXELLES, GRAZZI, AL MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI(1)

Telespr. 4268/21192. Bruxelles, 16 ottobre 1954.

Oggetto: Documento belga sul funzionamento del Patto di Bruxelles.

Poiché è augurabile che si tragga dalla situazione creata dalla Conferenza di Londra il meglio che essa consente, e dato che questo meglio (eccezione fatta di quanto ha tratto al riarmo tedesco) non puiscriversi che nel quadro del Patto di Bruxelles, ho chiesto a questo Ministero degli Esteri un giudizio su quanto è stato realizzato fin qui nell’ambito del Trattato relativo.

Mi è stato dato il promemoria interno che onoromi trasmettere qui accluso3, accompagnandolo con talune considerazioni; il tutto potrà forse servire quale elemento ulteriore agli studi che i nostri Uffici già staranno compiendo in materia.

Nell’appunto redatto dalla Direzione Generale Cooperazione Internazionale è infatti detto, tra l’altro, che la presente situazione «non impedirà che si possano con prudenza e con calma, studiare domani, in seguito all’organizzazione di Bruxelles, maggiori accorgimenti atti a consolidare un qualche processo integrativo dell’Europa»4. Forse, piche «a consolidare» potrebbe dirsi «a creare» poiché è difficile affermare che si sia già fatto tanto in materia, da doversi occupare a rafforzarlo, mentre, con l’entrata della Gran Bretagna nell’ingranaggio è possibile sperare che in via del tutto pragmatica e progressiva qualche punto possa essere segnato a favore di un’organizzazione efficiente fra i partecipanti alla nuova comunità.

Ora, il quadro previsto dal Patto di Bruxelles dovrebbe di per sé – ossia in teoria – fornire le basi di partenza di ogni futura azione. Nel preambolo si parla di «resserrer les liens économiques, culturels et sociaux qui les unissent déjà» (le Parti contraenti); e vi si afferma la necessità di «constituer en Europe Occidentale une base solide pour la reconstruction de l’économie européenne». D’altra parte, il concetto di coordinare le attività economiche ai fini di armonizzare la produzione e sviluppare gli scambi è chiaramente esposto all’art. I°. Mentre poi il settore sociale e quello culturale sono esposti dall’art. 2 e 3 rispettivamente, nulla invece è detto od accennato quanto alla formazione di un’autorità politica comune, o, meglio, allo sviluppo del concetto di una volontà politica che o esca dall’ambito dell’esecutivo (Ministri degli Esteri) per risalire ad un’assemblea di rappresentanti, o crei, magari mediante la votazione a maggioranza, un direttorio che imponga una volontà superiore a quella dei singoli Governi partecipanti.

Oggi ‒cioè dopo Londra – esistono però in questo campo due novità: il voto a maggioranza per talune questioni, in prevalenza se non addirittura esclusivamente militari, e il rapporto all’Assemblea di Strasburgo.

Quindi, da un lato la Conferenza di Londra ha segnato un passo in avanti nel campo politico rispetto alla situazione creata dal Trattato originario, mentre dall’altro l’applicazione nei settori economico e sociale che già esistevano non ha dato finora risultati apprezzabili.

Se si esamina il documento di studio redatto dal Ministero belga, si possono fare le seguenti osservazioni:

1) Il Comitato Consultivo ha l’incarico soltanto di sorvegliare l’esecuzione del Trattato e di controllare l’attività dei Comitati.

2) L’organo politicamente dirigente è invece il Consiglio Consultivo, composto di funzionari, alti sì, ma sempre funzionari.

Sembra che converrebbe proporre che le parti siano in un certo senso invertite e che l’azione piche la responsabilità venga accertata nel Comitato Consultivo. Su questo punto il Governo belga sarà certamente d’accordo. Inoltre, per rendere piefficiente la Commissione permanente, essa potrebbe venir costituita non già dagli Ambasciatori «in loco», che hanno già altre incombenze, bensì da rappresentanti di rango corrispondente interessati unicamente al funzionamento ed allo sviluppo del Patto. Il che sarà del resto tanto pinecessario, in quanto questioni militari vaste ed effettive sorgeranno «ex novo» e renderanno indispensabile un «full-time job».

3) I Comitati o Gruppi di lavoro sono oggi soltanto tre: sociale, culturale e di protezione civile.

Poiché esisterà un’estensione al terreno militare, il quale a sua volta abbraccerà una serie di obiettivi di indole anche economica, sembra che la creazione di uno o pigruppi economici dovrebbe imporsi ed essere addirittura facilmente sostenibile. Su questo punto pure, i belgi saranno d’accordo. Sorgerà, evidentemente la solita questione dell’OECE, e saranno proprio gli inglesi a riferirvisi. A tal proposito se si conviene di voler creare fra i 7 qualcosa di valido e di effettivo, occorre, a mio avviso, che non si cada in tale tranello e che sulla base di considerazioni politiche e pratiche insieme si cerchi invece di stabilire fra i 7 dei legami pistretti e piintrinseci che non quelli intercedenti fra tutti i membri dell’OECE.

Gli inglesi diranno che nel campo doganale esiste il GATT, in quello monetario l’EPU e in quello commerciale il codice della liberazione: tutte cose giuste in se stesse, ma che dovrebbero venire ribattute col concetto che nella CED e nella CEP era prevista fra i partecipanti una ben altra collaborazione ‒almeno potenziale ‒di quella stabilita dall’OECE e che, se anche si tratta oggi di 7 paesi invece che di 6, la Gran Bretagna, attraverso il preambolo del Patto, ha già accettato a suo tempo di collaborare pistrettamente con gli altri paesi partecipanti che non con tutte le Nazioni dell’OECE. Purtroppo, anche la Francia sarà dalla parte della Gran Bretagna: ed è da chiedersi se, per ammollirne la resistenza, non convenga a noi avvicinarsi ad essa in materia di «pool» di armamenti, visto che in questo campo i nostri interessi sono di mole minore, allo scopo di facilitare presso gli ambienti economici francesi l’accettazione di progressi sostanziali nel campo che pici interessa.

4) Nel settore dell’Organizzazione Sociale esiste già un Sottocomitato della Mano d’opera (il quale si occupa o dovrebbe occuparsi tra l’altro della Convenzione sui lavoratori di frontiera, e sulla cooperazione dei servizi dei paesi partecipanti ai fini dello scambio della mano d’opera). Sarebbe troppo chiedere alle Autorità italiane se si domandasse loro di non lasciarci una volta tanto affascinare dal miraggio delle parole «mano d’opera» e di non sprecare tutti i loro sforzi su questo settore nel quale si rischia (e non soltanto si rischia) di spaventare molto o di conseguire ben poco?

5) In tutti gli altri Sottocomitati pare, almeno a prima vista, che si sia abbondato nell’elencazione a tutto detrimento della serietà della trattazione. Non sono per mia parte molto competente in questioni culturali, e non so quindi discernere quanto vi sia di utile e di consistente nelle quattro pagine di argomenti accennati nel documento belga: ma, d’altro canto, non sottovaluto l’importanza delle relazioni culturali ai fini della formazione di un nuovo spirito europeo. Per altro, non so dimenticare che la Società delle Nazioni fondava molte speranze nella corrispondenza interscolare o nel divieto di fabbricazione di giuocattoli guerreschi. Sarebbe forse bene di non lasciarci giuocare da chi ha tutto l’interesse (sbagliato, ovviamente, ma comunque creduto tale) a farci trastullare con le quisquilie allo scopo di farci dimenticare l’essenziale.

Se da quanto precede si putrarre una conclusione, essa potrebbe essere la seguente. La «charpente» originaria del Trattato al quale siamo chiamati ora ad accedere presenta, da un punto di vista delle affermazioni di principio, delle basi favorevoli per un’espansione ed un utilizzo conforme agli interessi della nostra politica. Non altrettanto invece pudirsi quanto alle autorità istituzionali ed ai loro poteri ed ancora meno, quanto all’uso che in pratica è stato fatto delle possibilità, poche o molte che fossero, che lo strumento originario offriva.

Tuttavia, partendo dalla circostanza che le incombenze di ordine militare renderanno necessariamente vivente tanto l’associazione quanto i mezzi di cui essa sarà chiamata a disporre, sarà possibile, a parte di non spaventare né con un cartesianismo eccessivo la Gran Bretagna, né con delle pretese estremiste la Francia, stabilire alcuni, anche se non numerosi, punti base dai quali partire per un’azione progressiva. Questa dovrebbe anzitutto abbracciare il settore economico anche per poter contare sull’interessamento di paesi come quelli del Benelux; e solo empiricamente riunire le attività di questo come dei settori culturale e sociale in una Commissione permanente efficiente ed in un Consiglio Consultivo (di cui tra l’altro bisognerebbe cambiare il nome) il quale divenga di fatto un Direttorio Europeo. Lasciar quindi tempo al tempo, da un lato: ma dall’altro chiedere sin dall’inizio un insieme molto ristretto di determinazioni di base.

Tali sembrano essere le osservazioni che possono farsi dalla lettura, in verità assai poco incoraggiante, del documento belga.

1 DGAP, Uff. IV, Versamento CED, 1950-1954, b. 28, fasc. 100.

2 Sottoscrizione autografa. Il documento reca il timbro: «Visto dal Segretario Generale» con la sigla di Zoppi.

3 Annotazione a margine: «Trasmesso al C(ooperazione) I(nternazionale)». Allegato non presente nel fascicolo.

4 Vedi D. 138.

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LA DIREZIONE GENERALE DELLA COOPERAZIONE INTERNAZIONALE AL MINISTRO DEGLI AFFARI ESTERI, MARTINO(1)

Appunto segreto 21/2575. Roma, 17 ottobre 1954.

PREPARAZIONE PROSSIMA CONFERENZA A NOVE E RIUNIONE ATLANTICA

Le Commissioni di Parigi e di Londra hanno praticamente completato la stesura dei documenti che verranno sottoposti alla prossima Conferenza dei nove Ministri degli Esteri ed alla successiva Riunione Atlantica.

Si riassumono brevemente qui di seguito i risultati cui tali commissioni sono giunte:

I) Gruppo di Lavoro di Londra. Esso ha messo a punto il progetto di protocollo di accessione della Germania e dell’Italia al Patto di Bruxelles. Il testo redatto nel corso della Conferenza di Londra e allegato all’atto finale della Conferenza stessa è stato modificato. Innanzitutto vi è stata inserita la nuova denominazione che viene proposta per l’Organizzazione e cioè «Unione Europea Occidentale» (i tedeschi erano favorevoli alla denominazione «Unione Europea»); in secondo luogo si è ritenuto inserire un articolo che precisa che le deliberazioni del Consiglio dell’UEO sono prese all’unanimità, salvo le eccezioni (di maggioranza semplice o qualificata) specificamente concordate dalle 7 Potenze (i belgi erano favorevoli ad una formula per cui la maggioranza semplice sarebbe stata sufficiente per tutti i casi in cui non fosse espressamente stabilito un modo differente).

Il Gruppo di Lavoro di Londra si è anche occupato della decisione presa a Londra per cui il Consiglio dell’UEO dovrà presentare un rapporto annuale ai Delegati delle 7 Potenze nell’Assemblea Consultiva del Consiglio di Europa. Sono sorti alcuni interrogativi di ordine giuridico e pratico. Belgi e tedeschi pensano che i Delegati delle 7 Potenze costituirebbero, ai fini del citato rapporto annuale, un’Assemblea distinta da quella del Consiglio d’Europa. È da domandarsi, in tali condizioni, se avrebbe qualche possibilità di esser presa in esame una proposta intesa a riprendere in considerazione, sempre ai fini di detto rapporto, anziché l’Assemblea Consultiva del Consiglio d’Europa l’Assemblea CECA, opportunamente integrata da rappresentanti britannici, come era stato del resto in un primo tempo proposto alla Conferenza di Londra da Spaak. Comunque il Gruppo di Lavoro ha convenuto trattarsi di questione che dovrà essere esaminata dai Ministri.

Il Gruppo di Lavoro di Londra si è inoltre pronunziato sulla questione della Organizzazione e della sede del Consiglio dell’UEO questione che ha, come è evidente, fondamentale aspetto politico. Al riguardo il Segretario Generale del NATO, Lord Ismay, aveva fatto presente i motivi tecnici per cui riteneva che il Consiglio dell’UEO dovesse essere costituito in modo analogo a quello Atlantico, ossia avere dei Rappresentanti dei Ministri in sessione permanente; e per cui considerava conveniente che i Rappresentanti permanenti fossero gli stessi in entrambi i Consigli e che i Consigli fossero situati nella stessa località (Parigi). Il Gruppo di Lavoro di Londra ha invece concordemente ritenuto che il Consiglio dell’UEO, sia pure organizzato in sessione permanente come il Consiglio Atlantico, dovrà risiedere a Londra. Particolarmente decisi su questo punto sono stati gli inglesi che hanno al riguardo anche effettuato un passo presso questo Ministero. Gli americani, pur essendo in cuor loro decisamente in favore della proposta Ismay, hanno mantenuto, come del resto in generale su tutte le questioni, un atteggiamento prudente di «osservazione», e non danno l’impressione di volersi impegnare neppure su questo punto.

Circa la sede dell’Agenzia Controllo Armamenti la maggioranza si è pronunziata per Parigi (solo i tedeschi hanno suggerito Londra). Ed è stata respinta l’idea, pure venuta dal Gruppo di Lavoro di Parigi, di creare a Parigi una Commissione permanente del Consiglio UEO per assicurare il collegamento.

Il Gruppo di Lavoro di Londra ha poi ritenuto necessario che gli impegni presi dalla Gran Bretagna per il mantenimento delle truppe britanniche sul continente europeo e dalla Germania per la rinunzia a fabbricare determinati armamenti debbano ricevere una piprecisa e vincolante formulazione giuridica. A tale scopo ha redatto un progetto di protocollo che pure dovrebbe essere allegato al protocollo di accessione dell’Italia e della Germania al Patto di Bruxelles: tale progetto, ancora allo stadio di documento di lavoro, è stato inviato per la ulteriore definizione alla Commissione di Parigi.

Il Gruppo di Lavoro di Londra si è occupato inoltre delle questioni inerenti all’accettazione da parte tedesca e nostra della giurisdizione dell’Alta Corte di giustizia dell’Aja.

È stato accennato infine al problema della ripartizione delle spese della UEO.

II) Commissione di Parigi per le questioni relative all’organizzazione del Trattato di Bruxelles. Essa aveva vari compiti:

a) Fissazione dei massimi delle forze. È stato concordato, con specifica menzione che si tratta di accordo ad referendum per le decisioni definitive dei Ministri, l’accordo speciale previsto dalle decisioni di Londra che dovrà essere allegato al protocollo di accessione dell’Italia e della Germania al Patto di Bruxelles. Tale accordo è schematico indicando solo per ogni Paese il numero delle divisioni e degli aerei (l’indicazione del numero totale degli effettivi, contenuta in una prima stesura, è caduta nella stesura finale su desiderio espresso dallo Standing Group: la sostituisce praticamente un paragrafo che fissa a 41.500 persone gli effettivi massimi di una divisione). È previsto che tale accordo sia reso pubblico. Per l’Italia le cifre previste sono 16 1/2 divisioni per il tempo di pace (e con facoltà quindi di costituirne altre per la mobilitazione) e 1350 aerei: sono state cioè accolte le nostre richieste modificative rispetto all’Accordo Speciale CED.

Per quanto riguarda la marina, l’accordo non fissa livelli: viene fatto espresso rinvio alle decisioni da prendersi in sede di revisione annuale, con la precisazione, naturalmente, che per la Germania non potranno superarsi i livelli previsti a suo tempo dall’accordo speciale CED.

L’accordo in questione riproduce anche, in altro articolo, le decisioni di principio di Londra relative alle possibilità e metodi di eventuale modificazione dei massimi indicati nell’accordo stesso, nonché quelle relative alle ispezioni e controlli. È previsto specificamente che l’accordo debba essere ratificato.

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III) Commissione di Parigi per le questioni relative alla NATO. Essa aveva i seguenti compiti:

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dei poteri del Comando Atlantico per quanto riguarda la dislocazione delle forze;

3) all’integrazione delle forze; 4) all’accrescimento delle responsabilità e delle attribuzioni di SACEUR in materia logistica e 5) ai poteri ispettivi attribuiti al Comando Atlantico.

Questo documento ha suscitato particolare preoccupazione nel nostro Stato Maggiore il quale considera molte delle disposizioni in esame assai pesanti e tali da inceppare gravemente il libero movimento della nostra preparazione militare nonché da crearci nuove preoccupazioni di carattere finanziario. Il sistema previsto consente tra l’altro ai Comandi Atlantici non solo di intervenire per evitare evasione agli impegni massimi ma anche di reclamare per eventuali insufficienze rispetto ai minimi. Lo Stato Maggiore sottolinea di nuovo inoltre nelle sue osservazioni il fatto che le maggiori conseguenze di un sistema di vincoli, concepito per circondare di limitazioni il riarmo tedesco, finiscono in pratica per forza di cose per pesare, oltre che sulla Germania, su di noi in maniera pigrave che per gli altri Stati.

c) Adesione alla «Dichiarazione tripartita di sicurezza» fatta dalle 3 potenze occupanti nella Conferenza di Londra. La Commissione ha preparato al riguardo un testo che prende atto dell’adesione di tutti gli Stati NATO alla Dichiarazione in questione. Occorre dunque predisporre la nostra dichiarazione di adesione nella forma che riterremo piopportuna.

DGAP, Uff. IV, Versamento CED, 1950-1954, b. 28, fasc. 100.

162

RIUNIONE MINISTERIALE (Roma, Palazzo Chigi, 17 ottobre 1954)1

Verbale(2).

Alla riunione, tenuta sotto la presidenza di S.E. il Ministro degli Affari Esteri On.

Martino, hanno partecipato: il Ministro della Difesa, On. Taviani il Sottosegretario degli A.E., On. Badini Confalonieri il Capo di Stato Maggiore, Gen. Mancinelli il Direttore Generale della Cooperazione Internazionale, Ministro Magistrati il Direttore Generale degli Affari Politici, Ministro Del Balzo il Capo del Servizio Stampa, Ministro Giustiniani il Capo del Servizio Coordinamento della Segreteria Generale, Ministro Casardi il Capo del Contenzioso Diplomatico, Prof. Perassi il Capo di Gabinetto, Consigliere Prato il Direttore Generale Aggiunto della Cooperazione Internazionale, Consigliere Mazio il Consigliere della Rappresentanza Italiana presso il Consiglio Atlantico, Belcredi l’Ammiraglio Giuriati del Ministero della Difesa il Capo dell’Ufficio I della Cooperazione Internazionale, Plaja il Segretario dell’Ufficio I della Cooperazione Internazionale, Cornaggia.

Su invito del Ministro Martino, il Ministro Magistrati espone lo scopo della riunione. Si tratta di esaminare il lavoro svolto dai Comitati di esperti di Londra e di Parigi cui è stato dato il compito di tradurre i principi contenuti nell’Atto finale della Conferenza di Londra in documenti che dovranno essere approvati nella Conferenza dei Nove e nel Consiglio Atlantico di Parigi.

Il Ministro Magistrati fa distribuire l’appunto n. 21/25753 della Direzione Generale della Cooperazione Internazionale che riassume il lavoro compiuto dai Comitati e passa ad illustrarne i punti principali sulla scorta dei documenti redatti dai Comitati stessi.

In tale disamina si sofferma sul problema posto dal paragrafo 12 dell’Atto finale di Londra (rapporto annuale dell’Organizzazione di Bruxelles ai delegati dei sette in seno all’Assemblea consultiva del Consiglio d’Europa); accenna al desiderio manifestato in sede CECA sull’eventualità che sia ripresa in esame la possibilità di utilizzare l’Assemblea comune per tale rapporto e conclude osservando che si tratta di questione su cui dovranno pronunziarsi i Ministri a Parigi. Il Ministro Magistrati passa successivamente all’esame della questione della sede dell’Organizzazione di Bruxelles. Dopo aver chiarito l’atteggiamento inglese dando anche lettura di un Memorandum di questa Ambasciata, rileva che anche questo è problema che dovrà essere risolto dai Ministri a Parigi. Circa la costituzione del Consiglio dell’Organizzazione di Bruxelles (che avrà il nome di Consiglio dell’Unione Europea Occidentale), accenna all’inopportunità che esso sia formato dagli Ambasciatori delle sei Potenze accreditati a Londra, come è avvenuto finora per l’attuale Consiglio consultivo di Bruxelles. Fa presente che anche in tale senso si sono chiaramente espressi gli olandesi che hanno messo in rilievo la posizione di disagio in cui verrebbero a trovarsi gli Ambasciatori stranieri nei riguardi del Foreign Office nell’eventualità in cui si trovassero di dover prendere posizioni opposte a quelle del rappresentante britannico.

Aggiunge che da parte americana e canadese la proposta inglese di mantenere a Londra la sede dell’organizzazione non è vista con particolare favore. Osserva infine un interessante sviluppo verificatosi durante i lavori di Parigi secondo cui risulta che gli olandesi ed i belgi non hanno rinnovato l’impegno già assunto a Londra di non fabbricare armi A B C.

Su invito del Ministro Magistrati, il Prof. Perassi illustra il progetto di dichiarazione italiana sull’accettazione della giurisdizione della Corte Internazionale di Giustizia e spiega la portata delle riserve che si manifestano in tale accettazione.

Dopo aver accennato alla questione della ripartizione delle spese dell’Organizzazione di Bruxelles, il Ministro Magistrati passa all’esame del lavoro svolto dai Comitati di Parigi ed in particolare alla questione della fissazione dei massimi delle forze nonché al problema della pubblicità da darsi a tali intese.

Belcredi rileva che i delegati del Belgio hanno posto un’esplicita riserva sulla tabella proposta dallo Standing Group.

Il Ministro Magistrati passa ad esaminare il problema dell’Agenzia di Controllo degli armamenti. Osserva che da essa derivano impegni maggiormente gravosi per i paesi che non hanno esigenze militari oltremare. Dopo aver richiamato le preoccupazioni espresse dal nostro Stato Maggiore, rileva che vi è da attendersi una posizione francese assai rigida anche perché sembra che da parte francese si voglia non tanto controllare il prodotto quanto la macchina che lo produce.

Belcredi osserva che tale posizione francese ha sempre trovato il pieno appoggio degli inglesi. Circa la questione della comunicazione all’Agenzia degli aiuti esterni, è interessante osservare che è risultato a Parigi che i canadesi intenderebbero interpretare tale notifica come una notifica limitata alla procedura e non all’ammontare degli aiuti. Ciche costituirebbe un indice di diffidenza canadese nei riguardi della nuova Organizzazione.

Il Ministro Magistrati dopo aver accennato alla questione delle liste delle armi soggette a controllo, passa all’esame delle questioni relative al NATO e cioè al protocollo per l’accessione della Germania ed al problema dell’ampliamento dei poteri dei Comandi NATO. Circa tale problema Belcredi spiega come in sede di Comitato il delegato italiano si sia trovato quasi sempre isolato e che quindi nella sostanza sia stato accettato nella risoluzione approvata un considerevole rafforzamento dei poteri di SACEUR. Rileva tuttavia che, su richiesta del Delegato danese, il Comitato di Parigi ha approvato una dichiarazione con cui giuridicamente si attenua la portata delle disposizioni contenute nella risoluzione approvata, anche se in campo pratico tale portata sarà effettiva.

Il Ministro Magistrati accenna alla questione dell’adesione italiana alla dichiarazione tripartita di sicurezza.

Il Ministro Del Balzo assicura che essa sarà preparata dalla sua Direzione Generale.

Il Ministro Magistrati conclude la sua esposizione osservando che i lavori di Parigi e di Londra sono stati assai proficui e domanda quali siano le osservazioni e le istruzioni per la Delegazione italiana alla luce di quanto sopra esposto.

Il Ministro Martino osserva anzitutto che, per ciche riguarda il problema dell’organo parlamentare che dovrà ricevere il rapporto annuale dell’Organizzazione di Bruxelles, se cioè debba trattarsi del Consiglio d’Europa o della CECA, le decisioni raggiunte a Londra sono state di fare tale comunicazioni alle delegazioni dei sette paesi in seno all’Assemblea del Consiglio d’Europa. Si tratta cioè di un organo diverso dall’Assemblea Consultiva. Per conseguenza non vede la necessità di una procedura di autorizzazione da parte dell’Assemblea del Consiglio d’Europa e pertanto è d’avviso che occorrerà creare un nuovo Segretariato per tale Assemblea dei sette. Aggiunge che tuttavia non ha speciali preferenze per l’Assemblea di Strasburgo e sarebbe personalmente disposto a rivedere le decisioni di Londra a favore di un rapporto all’Assemblea della CECA.

Circa la questione della composizione del Consiglio dell’Unione Occidentale Europea, il Ministro Martino è d’avviso di appoggiare la proposta olandese che esso non sia composto dagli Ambasciatori in Londra. Comunica inoltre che questo Ambasciatore dei Paesi Bassi gli ha confermato l’intenzione olandese di ritirare a Parigi l’impegno preso a Londra dal Benelux di astenersi dalla fabbricazione di armi A B C. Osserva che cinon mancherà di provocare serie difficoltà a Parigi perché la Germania verrà a trovarsi in posizione apertamente discriminata.

Circa le questioni NATO il Ministro Martino rileva che già a Londra ebbe occasione di sottolineare l’errore dei francesi nell’insistere per far coincidere i minimi NATO con i massimi di Bruxelles. Non si tratta solo di una questione pratica ma sopratutto teorica. Manifesta l’avviso che a Parigi converrà insistere sull’opportunità di fissare dei limiti che non coincidano.

Belcredi fa notare che in sede di Comitato a Parigi il rappresentante dello Standing Group ha messo in rilievo che alcuni massimi di Bruxelles erano troppo bassi. Aggiunge che tuttavia nel sistema approvato è fatta salva la possibilità per il NATO di raccomandare dei livelli pialti dei massimi fissati a Bruxelles.

Il Ministro Martino esprime meraviglia per la dichiarazione canadese nel senso di limitarsi a comunicare la procedura e non il contenuto degli aiuti. Conclude accennando alla questione della definizione dei confini fra le armi maggiori e quelle minori.

Belcredi attira l’attenzione sull’elenco delle armi soggette a controllo, sottolineando l’azione svolta dall’Ambasciatore Alessandrini per mantenere tale elenco nei pistretti limiti. Accenna poi al problema delle zone geografiche oggetto degli accordi. Riferisce che, mentre a Londra si era parlato di «continente europeo», a Parigi si è avuta un’opposizione turca a tale formulazione. Le discussioni si sono concluse con un accordo sull’espressione «area di SACEUR» con l’esclusione del Nord Africa, delle forze navali americane nel Mediterraneo e delle forze britanniche di Malta.

Il Ministro Taviani rileva anzitutto che occorre non perdere di vista il problema di fondo. La Conferenza di Londra è stata un successo perché dopo la caduta della CED ha permesso di salvare il salvabile e di ottenere la partecipazione tedesca alla difesa dell’Europa. Occorre dare atto al Ministro degli Esteri della parte avuta dalla Delegazione italiana per condurre in porto la Conferenza.

Rimangono tuttavia molti problemi. In particolare l’esigenza dell’Unione Europea e le esigenze militari italiane. Circa queste ultime il Ministro Taviani osserva che è nostro interesse integrare il meno possibile in quanto in sede dei sette noi diventiamo il secondo dei due fronti. Occorre inoltre domandarci quale deve essere il nostro obbiettivo: se cioè dobbiamo potenziare la nuova organizzazione ovvero cercare di contenerla entro limiti ristretti. Quale è il nostro interesse? Consideriamo cioè che si tratti di un passo per arrivare all’integrazione politica? Il Ministro Taviani non nasconde di nutrire molti dubbi al riguardo. È possibile sperare di marciare con l’Inghilterra su questa strada? Il Ministro Taviani è d’opinione che ben difficilmente il patto di Bruxelles potrà essere qualcosa di pidi un’alleanza politico-militare. In tale caso occorre chiedersi se senza cercare di annullarlo non ci convenga cercare di evitare un’integrazione militare alla quale non corrispondano altre integrazioni. Non bisogna dimenticare inoltre che questo nuovo rigoroso controllo anglo-francese viene ad aggiungersi al controllo americano già in atto.

Dopo aver fatto cenno ai gravi aspetti del problema del finanziamento della difesa italiana, il Ministro Taviani esprime l’avviso che a Parigi pur senza esporci apertamente converrà seguire una linea di resistenza evitando di sostenere le richieste francesi, opponendosi al tentativo di accentrare nell’Organizzazione di Bruxelles la distribuzione degli aiuti, e cercando di diminuire al massimo le possibilità dei controlli. La questione della sede dell’Organizzazione non ha molta importanza: è nostro interesse che l’Organizzazione di Bruxelles non si identifichi con il NATO e sotto tale aspetto è preferibile accettare Londra a Parigi, visto che non sarebbe possibile avere Bruxelles o Lussemburgo. Ciche è importante ottenere è l’accettazione del criterio di rotazione nella direzione dell’Agenzia di controllo nonché di salvaguardare il pipossibile l’autonomia anche secondo la formula danese.

Il Ministro Taviani osserva che occorre fin d’ora impostare il problema dello Standing Group: occorre porre come condizione assoluta la nostra ammissione in caso di ammissione tedesca. Circa il problema dell’eventuale ammissione della Turchia nell’organizzazione di Bruxelles di cui è stato fatto parola da Adenauer, osserva che bisognerà cercare di ottenere che se vi sarà ammissione degli Stati scandinavi, sarà necessario che vi sia un’estensione anche a potenze mediterranee (Turchia) per mantenere un equilibrio geografico. Ciche occorre evitare è la creazione di una terza Europa accanto a quella della CECA ed a quella di Strasburgo.

Plaja accenna alla posizione inglese nei riguardi della accessione di nuovi paesi all’Organizzazione di Bruxelles e sottolinea l’opportunità di evitare la creazione di una nuova organizzazione tipo NATO da cui risultino esclusi solo gli Stati Uniti ed il Canadà.

Il Ministro Taviani conclude osservando che da un punto di vista strettamente militare sarebbe nel nostro interesse anche l’ingresso della Jugoslavia nell’Organizzazione di Bruxelles.

Il Ministro Martino afferma di esser piottimista del Ministro della Difesa ed osserva che la nuova organizzazione lascia sperare nella possibilità di ripresa del processo europeistico. È d’opinione che a Parigi occorrerà impegnarsi per cercare di ridurre i poteri di controllo. Accennando al problema del «pool» degli armamenti che dalla Conferenza di Londra è stato rinviato all’Organizzazione di Bruxelles, rileva che occorrerà evitare la soluzione di un «pool» franco-tedesco e puntare piuttosto su di un «pool» complessivo.

Il Ministro Taviani richiama la situazione della CECA anche in relazione alla posizione personale di Monnet ed osserva che sarà opportuno non perdere di vista la possibilità di ampliare anche a tale settore i poteri della CECA.

Il Generale Mancinelli premette che dal punto di vista militare il Patto di Bruxelles è una costruzione del centro Europa. La posizione italiana è perifica rispetto a tale sistema. È inoltre da tener presente che da parte degli Stati Uniti negli ultimi tempi si è venuta sempre pidelineando una tendenza a costituire un’organizzazione a carattere regionale mediterraneo che dovrebbe trovare la sua base nella Jugoslavia, nella Turchia, nell’Italia e nella Spagna. È perciopportuno non trascurare questa eventualità anche in considerazione del maggior peso che potrebbe avere la partecipazione italiana. Sembra perciopportuno mantenere un atteggiamento tiepido nei riguardi dell’organizzazione di Bruxelles anche per non compromettere questa possibilità di sviluppi con gli Stati Uniti.

La preoccupazione dello Stato Maggiore nei riguardi del rafforzamento dei poteri di SACEUR è che esso venga non tanto ad assumere la funzione di controllore di Bruxelles quanto quella di esattore del NATO.

Il Ministro Martino osserva che i nuovi controlli di Bruxelles non debbono preoccupare troppo perché riguardano solo i massimi.

Il Ministro Magistrati rileva che l’agenda di Parigi non comporterebbe altri argomenti oltre all’esame ed approvazione dei documenti predisposti a Londra e a Parigi. Tuttavia è stata esaminata la possibilità che il Ministro degli Affari Esteri italiano faccia una breve comunicazione in sede di Consiglio Atlantico sull’intesa raggiunta a Londra per la soluzione del problema di Trieste.

A tale scopo la Delegazione italiana predisporrà il testo di tale dichiarazione.

Per quanto riguarda invece la comunicazione da farsi al Consiglio Atlantico circa l’accordo italo-americano sulle «facilities» che si inquadra nel sistema del NATO, si è ritenuto opportuno disporre che detta comunicazione sia fatta dall’Ambasciatore Alessandrini in sede di Rappresentanti Permanenti a Parigi e non in sede di Consiglio Ministeriale.

Circa la questione delle truppe italiane in zona A il Ministro Magistrati domanda se sia opportuna una qualche precisazione italiana nei riguardi della garanzia NATO.

Il Generale Mancinelli precisa che è stata data comunicazione ai Comandi NATO dell’invio dei reparti italiani che sono «promessi» al NATO.

Il Ministro Taviani osserva che non è opportuno sollevare il problema in sede politica NATO ma bensì in sede militare NATO.

Il Ministro Del Balzo rileva che nei negoziati con gli alleati è stato sottolineato che le truppe italiane che vanno a Trieste a surrogare le truppe NATO hanno la garanzia NATO. Vi è un impegno anglo-americano a confermarci, ove lo richiedessimo, tale interpretazione.

Il Ministro Taviani conclude dichiarandosi d’accordo sull’inopportunità di sollevare tale questione in sede politica.

1 DGAP, Uff. IV, Versamento CED, 1950-1954, b. 28, fasc. 100. 2 Predisposto dalla Direzione Generale della Cooperazione Internazionale.3 Vedi D. 161.

163

L’AMBASCIATORE A LONDRA, BROSIO, AL MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI(1)

T. 13386/339. Londra, 19 ottobre 1954, ore 18,30 (perv. per fono).

Oggetto: Lavori Comitato redazione Parigi.

Stamane il Gruppo Lavoro Unione Europea Occidentale ha esaminato i risultati dei lavori del Comitato redazione Parigi che ha fuso in un unico documento 4 protocolli che modificano e completano il Trattato di Bruxelles. Sono state apportate alcune varianti che comunico telefonicamente a parte.

Su proposta britannica è stato deciso di prospettare ai rispettivi Governi l’opportunità che nel periodo intercorrente tra la firma dei protocolli e le ratifiche parlamentari possa funzionare una Commissione ad interim analoga a quella che esisteva per la CED. Roberts ha poi comunicato che a tale Commissione probabilmente il Canada chiederà di mandare un osservatore analogamente a quanto già fatto dagli Stati Uniti. Ha comunicato inoltre che il Segretario Generale della NATO ha espresso il desiderio di assistere alla prossima Conferenza dei nove e che il Governo inglese nel dare parere favorevole suggeriva che vi assistesse analogamente il Segretario Generale dell’Unione dell’Europa Occidentale che, come è noto, è il belga De Selys. Il che è stato deciso.

A sua volta Massigli ha prospettato l’opportunità che alla Conferenza dei nove ogni Delegazione abbia un esperto che ha partecipato ai lavori di Londra: cinell’eventualità che possano essere deliberate modifiche dei protocolli, a redigere le quali sarebbe indispensabile la cooperazione immediata dei partecipanti alle riunioni di Londra. Massigli che andrà personalmente a Parigi ha chiesto di conoscere i nomi degli esperti degli altri Paesi. Suggerirei quindi, ove V.E. concordi, che anche Theodoli sia presente a Parigi.

DGAP, Uff. IV, Versamento CED, 1950-1954, b. 28, fasc. 100.

164

IL CAPO DELLA RAPPRESENTANZA PRESSO IL CONSIGLIO ATLANTICO, ALESSANDRINI, AL MINISTRO DEGLI AFFARI ESTERI, MARTINO(1)

R. 3980/15522. [Parigi], 19 ottobre 1954.

Signor Ministro,

Ho l’onore di riferire a Vostra Eccellenza sui lavori di Parigi per la formulazione dei Protocolli previsti dalla Conferenza di Londra e per la preparazione delle Conferenze di Parigi.

I lavori si sono svolti in un’atmosfera che ha certamente risentito del senso di sollievo diffusosi negli ambienti occidentali dopo il raggiungimento dell’accordo di Londra. Essi sono tuttavia stati influenzati da perplessità e da preoccupazioni dei Rappresentanti dei vari Paesi, sopratutto nei riguardi della difesa dei singoli interessi nazionali.

Concordemente e tacitamente ammessa la necessità di assicurare la vitalità degli accordi londinesi, ed accettata quindi la consegna di uniformarsi allo spirito di tali accordi rispettandone nelle linee essenziali il testo, ogni Delegazione ha ‒ad eccezione dei tre Stati del Benelux ‒seguito un proprio piano e cercato di raggiungere un proprio fine.

La direzione dei lavori è stata essenzialmente ed esclusivamente britannica. Eletto Presidente su proposta, ovviamente concordata, del Canada, l’Ambasciatore Steel ha preso subito, e mantenuto durante tutto il corso dei lavori, un atteggiamento direttoriale, insofferente di ogni rilievo e di ogni interferenza. Egli ha installato, non richiesto, un Chairman inglese in ogni Commissione ed in ogni Gruppo di Lavoro ed ha provveduto, fin dal primo giorno, a presentare drafts non concordati, di pura fonte inglese.

Tale deciso atteggiamento non è stato persolamente il frutto di una determinazione della Delegazione britannica: lo si è visto a proposito della cosiddetta «Commissione degli armamenti» da lui pio meno concepita (così come ebbe egli stesso a dirmi) e da lui inserita nelle prime discussioni e nei primi drafts. Fu infatti dal Foreign Office che venne (pare con qualche rilievo nei riguardi personali di Steel) l’ordine di sopprimere ogni accenno alla «Commissione», unitamente ad istruzioni a questa Delegazione inglese di fare tutto il possibile affinché fosse accentrata a Londra la maggior parte degli organi previsti dal nuovo Patto.

La persistenza della decisione britannica di tenere la leadership della nuova Organizzazione europea è apparsa chiaramente durante tutti i lavori ed ad ogni livello. Devo riconoscere che è in pari tempo emersa costantemente la determinazione britannica di fare opera costruttiva, di evitare insabbiamenti, di attutire contrasti, di giungere insomma al successo dell’opera intrapresa. E va certamente posta in relazione a tali proponimenti la linea di condotta indipendente adottata dagli inglesi nei confronti delle altre Delegazioni. Anche in considerazione di ci oltreché dell’interesse generale di incoraggiare il pipossibile in questo momento gli inglesi a mantenere i loro commitments in Europa ho cercato di tenere, e di fare tenere dai nostri esperti, una linea di condotta aderente, per quanto possibile, a quella britannica.

Steel lo ha ben notato e me ne ha ringraziato.

L’atteggiamento francese è stato sempre estremamente cauto. Devo dire che ho trovato la condotta di Couve de Murville, costantemente obbligato a prender posizione ed a rispondere a domande senza essere in tempestivo possesso di istruzioni se non di carattere generale, assai realistico ed abile [sic]. Si è anche avuta l’impressione che egli abbia spesso cercato di venire, di sua iniziativa, incontro agli altri. Evidentemente Couve aveva istruzioni di approfittare per quanto possibile dei lavori di Parigi per tirare l’acqua al mulino francese e sopratutto per ottenere: a) le maggiori possibilità di controllo non solo sui livelli degli armamenti ma anche sui processi di produzione;

b) le minori obbligazioni possibili, e tutte le possibili eccezioni, in favore delle forze francesi d’oltremare e dei loro armamenti. Nei casi difficili, e di fronte a richieste imbarazzanti, la Delegazione francese aveva evidentemente istruzioni di richiamarsi alla lettera degli accordi di Londra.

Richieste e rifiuti francesi, sempre in base ai due predetti criteri, sono stati incessanti: molto spesso essi hanno bloccato decisioni fondamentali ed anche ora, a lavori compiuti, i testi dei Protocolli qui preparati sono pieni di riserve francesi o di riserve di altri paesi provocati da domande francesi. La conferenza a livello Ministeriale ne sarà certamente appesantita.

Malgrado ciò ‒malgrado cioè lo sforzo francese di realizzare in sede tecnica i maggiori possibili vantaggi a favore dei propri intendimenti e malgrado un costituzionale rigorismo che è qualche volta estraneo a tali scopi pur giungendo fino alla petulanza ‒è ben apparso il desiderio francese di non far naufragare le cose. Quanto e come tale desiderio del Governo di Parigi sia compatibile con la situazione interna francese e con la politica di Mendès-France non sta a me il dire né il prevedere. Devo perrilevare che Mendès-France ha posto, attraverso i suoi rappresentanti, una estrema cura non solo nell’affermare, da un lato, quei principi che sono classici per lo Stato Maggiore francese e cari a queste classi medie, ma anche nel tenere aperte, d’altro lato, tutte le porte e tutte le finestre per una composizione europea. Diranzi che, come sempre avviene dei timori e delle paure, che vengono avvertite e confessate solo dopo il pericolo, si finisce qui per ammettere ora che il pericolo dell’isolamento francese dopo Bruxelles è stato grave e preoccupante. E tale preoccupazione sembra essere stata operante sull’opinione pubblica almeno altrettanto quanto l’orgoglio indipendentistico e nazionalistico.

Oggi, a lavori finiti ed in attesa della Conferenza, ci si domanda al Palais de Chaillot se, dopo aver fatto tanto chiasso intorno alla defunta CED, la Francia non senta qualche pentimento e non cerchi di realizzare diretti accordi franco-tedeschi anche per controbilanciare i facili guadagni ottenuti dall’Inghilterra, che ha realizzato con sole quattro divisioni un holding ed una leadership su tutto il continente. Certo è, comunque, che la tendenza conciliativa francese si è manifestata in modo tangibile e con il concorso della pubblica opinione.

La nostra Delegazione ha avvertito tutto cied ha sentito tutta l’opportunità di non ostacolare troppo i francesi in questo difficile momento in modo da non rendere troppo difficile per questo Governo il tacitare quelle prevenzioni della pubblica opinione che sono già superate dalla realtà ma forse non ancora dagli animi. Eccettuate pertanto alcune occasioni, nelle quali evidentemente i francesi tendevano ad esagerare, ho tenuto, e fatto tenere dai nostri esperti, una linea di condotta comprensiva nei riguardi degli atteggiamenti francesi. E Couve de Murville me ne è, dichiaratamente, stato grato.

La condotta dei tedeschi è stata calma, piana e costantemente ricettiva. Rari i loro interventi, limitate le loro riserve. Come mi ha detto il Capo della loro Delegazione, ciche importa ai tedeschi è di far giungere le conferenze di Parigi a risultati positivi e di ottenere la ratifica di tali risultati. «Dopo si vedrà»: questa sembra essere la significativa formula adottata dai tedeschi. Su qualche punto essenziale, tuttavia, è probabile che essi si impegnino fin da ora: sulla sede dell’Agenzia, ad esempio, che sembra essi non desiderino a Parigi per sottrarla il pipossibile da influssi francesi. In tale intento le tendenze tedesche potrebbero identificarsi con quelle britanniche. In altri campi, quale ad esempio quello dei controlli i nostri desideri, ovviamente diretti ad alleggerire per quanto possibile tali controlli, potranno trovarsi in posizione parallela, se non congiunta, con quelli tedeschi.

Gli americani sono stati, e rimangono, silenziosi. È un silenzio che non mi piace. Si sente, dietro alla cautela degli americani ed ai propositi informativi che essi si sono imposti, permanere la disillusione, l’irritazione ed anche un poco la stanchezza.

È difficile non provare una simpatia quasi istintiva per questi americani che tanto hanno fatto per il mondo libero e che assistono ora, quasi con rassegnazione, al tentativo, altrettanto inglese quanto francese, di escludere l’America dalla partecipazione diretta agli affari europei. Credo che ancora una volta gli americani accetteranno i fatti compiuti e si adatteranno alla creazione, accanto alla NATO, della nuova WEU, dalla quale sono esclusi. Si avvertono tuttavia sintomi di insofferenza che non sono solo rappresentati dagli scatti di Dulles, ma anche da un sordo malcontento circolante fra tutti i Rappresentanti ed agenti americani a Parigi. Ogni occasione da noi colta per testimoniare agli americani, durante i giorni prossimi, la nostra fondamentale fedeltà alla Organizzazione Atlantica, da essi principalmente sostenuta ed a malincuore vista oggi accoppiata alla nuova Organizzazione di Londra, sarà certamente da essi sentita ed accolta con gratitudine.

Quasi analoga alla condotta americana è stato ed è, sebbene per quanto possibile pideferente verso Londra, l’atteggiamento canadese.

Le posizioni di punta sono state tenute qui, come a Londra, dai Paesi del Benelux. Essi sono stati piattivi nel difendere l’eredità della CED e nel tentare di opporsi il pipossibile a posizioni di privilegio francese. Sopratutto, olandesi e belgi avevano istruzioni di impedire, con accanite resistenze ed ostinate opposizioni e critiche, gli eccessi francesi nel tentare di far diventare la progettata Agenzia, il cui carattere inquisitivo si presenta già fin da ora scarsamente simpatico, un organo di carattere spionistico anche nel campo industriale. Non sono mancati accenti aspri nei dibattiti tra francesi, da una parte, ed olandesi e belgi dall’altra. Verso la fine dei lavori si è notata una certa détente, ma è prevedibile che Spaak e Beyen non mancheranno durante le prossime conferenze,

di riprendere posizione sulle questioni ‒numerose e non facili come Vostra Eccellenza rileverà dall’allegato esame ‒ tuttora lasciate sotto riserva.

Mi sono spesso associato alle dichiarazioni ed alle riserve belgo-olandesi, sopra-tutto quando non era proprio possibile altrimenti e quando l’ammettere certe impuntature francesi avrebbe significato ledere i nostri fondamentali interessi.

La nostra condotta complessiva è stata intermedia: né poteva essere altrimenti. Essa è stata improntata alla necessaria fermezza su alcune questioni per noi fondamentali‒e devo dire che ci è stata data soddisfazione su punti di basilare importanza quali quelli del livello delle forze e delle premesse per una equa rappresentanza in seno ai nuovi organismi.

I punti sui quali non è stato per noi possibile andare in profondità nel senso dei nostri principali interessi sono gli stessi sui quali neppure gli altri Paesi lo hanno potuto. E cigeneralmente per opposizione francese. Tali punti hanno fatto oggetto di riserve e di rinvii a livello Ministeriale.

Vostra Eccellenza troverà indicati tali rinvii e tali riserve negli allegati a questo rapporto3: essi offrono possibilità di osservazioni e di interventi sull’opportunità e sulla estensione dei quali solo Vostra Eccellenza pudecidere.

Le pirilevanti fra tali questioni sono quelle relative: a) alla sede del Consiglio della WEU; b) alla sede ed alla composizione dell’Agenzia; c) alla convenienza o meno di istituire, come si era originariamente progettato e come alcuni Paesi si sono riservati di riproporre, una «Commissione degli armamenti» quale organo intermedio tra il Consiglio e l’Agenzia; d) alla proposta di un «Working Group» destinato a preparare proposte per la produzione e la standardizzazione degli armamenti; e) alla determinazione dei livelli delle forze ed alla loro pubblicità; f) alla competenza dall’Agenzia; g) alle attribuzioni a SACEUR.

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poiché, se l’Agenzia non avrà sede a Londra, non si vede bene come essa possa funzionare senza avere la possibilità di riferirsi regolarmente, per le questioni, di media e piccola importanza, ad un organo investito in loco dei necessari poteri. Per quanto ci riguarda pidirettamente, non vi è dubbio che l’esistenza della Commissione assicurerebbe la presenza di un nostro Rappresentante nella Direzione immediata degli orientamenti dell’Agenzia, ciche mancherebbe ove la Commissione non fosse istituita e tutta la condotta dell’Agenzia fosse praticamente lasciata al suo Direttore.

- - -

La questione sopraesposta, last but not least fra quelle che mi sono permesso di segnalare a Vostra Eccellenza tra le pirilevanti, solleva tutto il problema dell’esistenza e della coesistenza delle due Organizzazioni occidentali, NATO e WEU: coesistenza che non sarà certo facile, così come è subito apparso da fatti minimi, significativi appunto perché tali. Lord Ismay ha infatti scritto ad Eden facendo presenti tutti i difetti e gli inconvenienti insiti nella creazione di due doppioni aventi pio meno gli stessi compiti, anche se tali compiti sono considerati alla stregua del «minimo» per la NATO, e del «massimo» per la WEU, nello sforzo dei vari paesi per la comune difesa. Lord Ismay, e con lui Steel, sono stati immediatamente richiamati all’ordine dal Foreign Office, e si sono subito calmati. Cinon significa tuttavia che i due meccanismi di Parigi o di Londra non appaiono assai complicati, interferenti, e qualche volta anche contradditori. Innumerevoli future contestazioni, incomprensioni e conflitti di competenze sono da prevedere per il futuro tra le due Organizzazioni, così come già appare dai testi, talvolta forzatamente ambigui ed oscuri, che Vostra Eccellenza si appresta a discutere con i Suoi colleghi a Parigi.

Se tuttavia le due Organizzazioni potranno, malgrado gli ovvii difetti che la loro contemporanea esistenza comporta, assicurare in definitiva la saldatura delle forze occidentali, anche gli inconvenienti derivanti dal loro futuro abbinamento potranno essere sopportati e finalmente, un giorno regolati. È ovvio nostro interesse il recare un sincero contributo, ed il sopportare la nostra parte di inconvenienti e di difficoltà, in ambedue le Organizzazioni. La creazione della WEU è infatti un nuovo innegabile passo verso quel processo integrativo europeo che ha rappresentato e continua a rappresentare un costante nostro obiettivo. Il potenziamento della NATO, d’altro lato, è destinato ad assicurare la continuità della collaborazione dei nostri migliori e piprovati amici: gli americani, che giustamente imperniano la loro politica e le loro speranze sull’Organizzazione Atlantica, intesa prima, base certa e garanzia suprema della sicurezza occidentale.

Voglia gradire, Signor Ministro, gli atti del mio profondo ossequio.

Alessandrini

1 DGAP, Uff. I, Serie Affari Politici, 1951-1957, b. 331, fasc. Conferenza a 9 per questioni europee dopo il fallimento della CED a Brusselle, dal 1° ottobre in poi.

2 Il documento reca il timbro: «Visto dal Segretario Generale» con la sigla di Zoppi.

3 Gli allegati consistono in una serie di appunti sulle questioni organizzative e sui punti fondamentali dei documenti che sarebbero stati sottoposti all’esame della Conferenza dei Nove del 21 ottobre e del Consiglio Atlantico del 22.

I punti sui quali non si era registrato l’accordo erano quelli sul controllo degli armamenti. A proposito dell’allegato IV del Protocollo n. III concernente il controllo degli Armamenti (PSG/I-D/14), Alessandrini osservava: «Definisce la lista completa di tutte le categorie di armamenti che saranno sottoposte al controllo dell’Agenzia. È questa una delle piimportanti questioni tuttora aperte e sulla quale dovranno pronunciarsi i Ministri. Il testo si presenta infatti con una serie di voci in parentesi quadra sulle quali non è stato possibile raggiungere un accordo e sulle quali quindi i Ministri dovranno decidere. Il mancato accordo è dovuto al persistere del contrasto tra la Delegazione francese che ha insistito per estendere quanto pipossibile le categorie di armamenti da sottoporre a controllo e le altre Delegazioni che si sono invece pronunciate a favore di un elenco molto piristretto. A sostegno della tesi contraria a quella francese, è stato fatto rilevare che estendere il controllo dell’Agenzia ad un gran numero di armamenti di importanza secondaria significava moltiplicare all’infinito le necessità di controllo, ciche si sarebbe risolto in definitiva in una diminuzione dell’efficacia stessa del controllo. È stato inoltre fatto presente che l’accettazione del punto di vista della Delegazione francese avrebbe significato l’estensione dei controlli a settori in cui era difficile se non impossibile fare una separazione tra produzioni civili e produzioni militari (ad esempio, in materia di esplosivi o di motori di aviazione) e che il controllo sui macchinari, come richiesto dalla Delegazione francese, avrebbe significato un grave intralcio per l’industria civile dei Paesi membri oltre che una estensione in pratica illimitata dei controlli dell’Agenzia. È stato infine osservato che il controllo sulle bocche da fuoco rendeva superfluo il controllo sul munizionamento e sugli esplosivi. Da parte nostra ci si è espressi in favore della soppressione dall’elenco di tutte le voci che vi figurano tra parentesi quadra. In particolare, si è da parte nostra insistito perché fossero sottratti ai controlli le categorie di calibro 90 ed i motori di aviazione a reazione, dato l’interesse che tali voci presentano per la nostra industria».

Quanto al Protocollo n. IV relativo all’Agenzia dell’Unione Europea Occidentale per il controllo degli Armamenti (PSG/1-D/14), l’Ambasciatore evidenziava l’importanza della scelta della sede dell’Agenzia nel corso delle Conferenze di Parigi: «In tale sede dovrà in ogni caso essere decisa la località nella quale dovrà essere costituita l’Agenzia, tenendo presente che è risultato nel corso dei lavori di Parigi il quasi unanime implicito accordo perché tale località sia Parigi. Dai resoconti delle riunioni del Gruppo di Lavoro di Londra risulterebbe peraltro che la Delegazione tedesca avrebbe proposto di fissare la sede dell’Agenzia altrove (a Londra). Su tali problemi della istituzione della Commissione di Armamenti e della sede influiscono considerazioni di ordine politico e di ordine organizzativo. Da quest’ultimo punto di vista, è indispensabile che sia opportuno che l’Agenzia, dati i compiti che è chiamata a svolgere esclusivamente sul Continente e dati i rapporti di costante collegamento con le autorità militari e con il Segretariato del NATO, abbia la sua sede a Parigi. In tali condizioni, sarebbe di indubbio vantaggio, sempre dal punto di vista organizzativo, che la direttiva politica del Consiglio sull’Agenzia si manifestasse, per le operazioni correnti, attraverso un organo del Consiglio (Commissione di Armamenti) da istituirsi nella stessa sede dell’Agenzia. Con la eventuale unione personale delle funzioni di Rappresentante permanente presso il NATO e di Delegato presso la Commissione di Armamenti si potrebbe inoltre assicurare quella opportuna unità di azione nella partecipazione di ciascun Governo alle due Organizzazioni. Non mi soffermo sugli ovvi aspetti politici della questione: mentre alcuni di essi consiglierebbero il potenziamento dell’Organizzazione Europea Occidentale attraverso un concentramento dei suoi organi in una località diversa da quella del NATO (a Londra), altri consiglierebbero, invece, di evitare un pericoloso indebolimento del NATO (e rilasciamento dell’interesse americano), quale conseguenza di un allentamento dei vincoli anche geografici, tra di esse e l’Organizzazione Europea. È questa una delle piimportanti questioni che dovranno essere decise a livello ministeriale».

Alessandrini osservava poi che, in merito alle funzioni dell’Agenzia, il testo del par. (a) del

n. 1 dell’Art. 7 conteneva una frase sulla quale non era stato possibile raggiungere un accordo e che era «intesa a precisare che l’Agenzia, in tale sua funzione di controllo, deve rivolgere la sua attenzione esclusivamente ai prodotti finiti e non già anche ai processi di fabbricazione. Infatti, la maggioranza delle Delegazioni ha ritenuto che fosse opportuno sancire esplicitamente tale principio al fine di evitare indebite ingerenze sui processi produttivi nei Paesi che hanno assunto impegni di non fabbricazione di certe categorie di armamenti e di non creare discriminazioni tra questi e gli altri Paesi che non hanno assunto simili impegni. La Delegazione francese, pur dichiarando di concordare nella sostanza, ha invece insistito perché tale principio non fosse esplicitamente menzionato adducendo motivi di “presentazione” nei confronti del pubblico e del Parlamento francesi. La questione riveste notevole importanza e comporta una grossa questione di principio circa i controlli sui processi produttivi dei Paesi che, come la Germania, e, eventualmente per le armi A, B e C, i Paesi del Benelux, hanno assunto impegni di non produzione. La questione dovrà essere decisa dai Ministri. Circa il nostro atteggiamento, si ritiene opportuno che si insista da parte nostra per il mantenimento della frase di cui sopra».

Alessandrini concludeva suggerendo di assicurarsi un’adeguata posizione qualitativa in seno agli organi dell’Agenzia dati gli estesi poteri per essa previsti.

165

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI AFFARI ESTERI, DOMINEDÒ, ALLE AMBASCIATE A BONN, BRUXELLES E L’AJA(1)

T. 9994/c. Roma, 20 ottobre 1954, ore 16.

Oggetto: Progetto Accordo su art. 69 CECA

Riunioni Comitato Coordinamento su progetto accordo relativo applicazione art. 69 trattato CECA hanno condotto, circa problema necessità o meno ratifica parlamentare, ad accertamento seguenti posizioni:

-Italia e Francia non ritengono necessaria ratifica parlamentare;

- - - -

Pregasi svolgere tempestivamente presso codesto Governo ogni utile azione in vista giungere, in sede Consiglio Ministri CECA che si riunirà 27 ottobre, a decisione favorevole alla non (dico non) necessità ratifica parlamentare Accordo applicazione art. 692.

1 Telegrammi ordinari circolari 1954, partenza.

2 Per il seguito vedi D. 176.

166

COLLOQUIO DEL MINISTRO DEGLI AFFARI ESTERI, MARTINO, CON L’AMBASCIATORE DI TURCHIA A ROMA, AÇIKALIN (Roma, 20 ottobre 1954, ore 10)1

Appunto(2).

L’Ambasciatore ha ricevuto urgenti istruzioni del suo Governo di comunicare a S.E. il Ministro il punto di vista della Turchia in merito al nuovo patto di Bruxelles. Secondo il Governo di Ankara un trattato del genere, inteso a consolidare la solidarietà europea, dovrebbe avere una clausola che lo lasci aperto alla adesione di altri membri della Comunità atlantica. Per il momento il Governo turco non intende ancora avanzare alcuna domanda di adesione, ma tiene a far presente di essere fermamente fautore della inserzione, nel trattato, di una clausola per l’adesione dei terzi.

Il Ministro ricorda, a questo punto, che della possibilità di adesioni si parlvagamente a Londra, ove vi fu anche qualche accenno ad eventuali aspirazioni del Portogallo e della Norvegia. Pur essendovi stati soltanto vaghi accenni, egli ebbe l’impressione che nell’insieme l’ambiente fosse piuttosto favorevole all’istituzione di un trattato aperto ad ulteriori adesioni: spera pertanto che non vi siano difficoltà da parte di altri. Quanto a noi, se la Turchia intendesse aderire al trattato, vedremmo la cosa con favore.

L’Ambasciatore ringrazia e sottolinea l’importanza che riveste, a suo avviso, il possibile allargamento del trattato ora in gestazione, trattato che caratterizza la nuova fase che si apre sulla scena politica internazionale. La sola arma di difesa dell’Europa è l’unità morale. Quando abbiamo saputo dimostrare di essere uniti, l’URSS ha dovuto cambiare tattica nei nostri riguardi: ha cessato ora la pressione diretta e cerca di aver l’aria di corteggiare l’Europa, riversando frattanto le sue energie offensive verso l’Asia; ma con ciessa mira al pipericoloso degli accerchiamenti del nostro continente, e cioè all’accerchiamento dal Sud. Da parte turca non si riesce assolutamente a comprendere l’atteggiamento di Nehru e si considera l’India come ormai perduta.

Il Ministro conclude il colloquio manifestando la speranza che gli accordi che dovranno raggiungere a Parigi a seguito della Conferenza di Londra valgano ad arrestare la pericolosa avanzata sovietica.

1 DGAP, Uff. IV, Versamento CED, 1950-1954, b. 28, fasc. 100.

2 Trasmesso con Telespr. 1/3259 del 20 ottobre da Milesi Ferretti alla Direzione Generale degli Affari Politici e alla Direzione Generale della Cooperazione Internazionale, e per conoscenza alla Segreteria Generale.

167

DICHIARAZIONI DEL MINISTRO DEGLI AFFARI ESTERI MARTINO (Parigi, 22 ottobre 1954)1

Je voudrais prier les membres du Conseil Atlantique de m’excuser si je prends quelques minutes de cette session, dont le programme est déjà si chargé. Mais il me semble qu’il est de mon devoir de vous rendre compte brièvement des accords auxquels nous sommes arrivés pour Trieste.

Vous connaissez tous le contenu de ces accords et le Conseil se rappellera certainement, du reste, comment le Gouvernement italien ‒avant même que les ententes fussent paraphées le 5 octobre à Londres ‒chargea son représentant permanent de faire au Conseil une communication préliminaire en la matière.

En cette occasion, on mit en relief du cé italien la valeur et la portée de ces accords aussi bien du point de vue atlantique qu’européen.

Ces protocoles mettent fin en effet à une âpre et longue controverse et à un dangereux état de tension entre l’Italie et la Yougoslavie, ce qui constituait sans aucun doute des causes de faiblesse, et j’oserais dire de risque, pour l’Alliance Atlantique elle-même.

Ils démontrent, en outre, qu’il n’y a pas de réelle controverse, même de nature grave et territoriale, qui ne puisse trouver une solution ou une composition pratique, si les parties s’y appliquent avec une bonne volonté sincère. Nous croyons pouvoir dire en conscience que cette bonne volonté n’a pas fait défaut du cé italien, au cours des longues et laborieuses négociations, comme peuvent en témoigner, pensons-nous, les deux Gouvernements atlantiques qui, dans un esprit constructif de compréhension et avec une persévérance exemplaire, ont aidé l’action diplomatique qui a abouti à ces ententes.

Ces accords ont été réalisés au prix de lourds sacrifices du cé italien. Mais ces sacrifices, nous les avons acceptés dans la mesure oils constituaient la nécessaire condition préalable à l’établissement d’une coexistence plus pacifique des groupes ethniques vivant dans les deux zones du territoire de Trieste. Si cette coexistence s’avère assurée, ces ententes sont destinées à ouvrir, selon nos intentions, selon notre conviction dirais-je, la voie à une nouvelle phase des relations entre l’Italie et la Yougoslavie; ce qui sera d’un grand profit non seulement pour la stabilité et la paix dans le secteur très délicat de l’Adriatique et de l’Europe sud-orientale, mais aussi aux fine d’une efficience défensive toujours plus grande de notre système atlantique, efficience dont le Gouvernement italien s’est constamment soucié au cours des négociations avec la partie yougoslave.

Je voudrais me permettre un dernier commentaire: l’accueil que l’Union Soviéti

que elle-même a réservé aux accords ‒en contraste avec la ligne de conduite constamment suivie pendant des années ‒constitue la preuve, à notre avis, de l’efficacité

de la méthode atlantique. Méthode qui consiste et devra consister de plus en plus, à l’avenir en la recherche patiente, tenace, et sourde aux menaces, de solutions basées sur l’équité et la raison.

En conclusion, je désirerais exprimer ici combien le Gouvernement italien a apprécié la constante sympathie qui lui a été témoignée en maintes occasions par les Gouvernements français, britannique et américain, la particulière assistance que ces deux derniers Gouvernements lui ont donnée au cours de la dernière phase des négociations, et la compréhension dont on fait preuve à son égard, à plusieurs reprises, tous les alliés atlantiques(2).

1 DGAP, Uff. IV, Versamento CED, 1950-1954, b. 28, fasc. 100.

2 Il testo delle dichiarazioni fu trasmesso con Telespr. Segr. Pol. 2152/c. del 29 ottobre dall’Ufficio IV della Direzione Generale degli Affari Politici a tutte le Rappresentanze diplomatiche, alla Presidenza del Consiglio dei Ministri (Gabinetto), al Ministero della Difesa (Gabinetto, Stato Maggiore, SIFAR), al Ministero dell’Interno e a tutte le Direzioni Generali del Ministero degli Affari Esteri.

168

IL MINISTRO DEGLI AFFARI ESTERI, MARTINO, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, SCELBA(1)

T. segreto 13567/944-945. Parigi, 23 ottobre 1954, ore 16,20 (perv. ore 16,20).

Conferenza dei nove e Consiglio Atlantico svoltisi in atmosfera distesa nella quale questioni lasciate in sospeso da Commissioni Esperti hanno trovato facile soluzione.

A) Conferenza dei nove:

1) Sede Consiglio Unione Europa Occidentale stabilita a Londra ove fin da ora e fino a ratifica Rappresentanti sette Potenze costituiranno Comitato interinale; sede agenzia controllo a Parigi. Non si prevede per ora costituzione Parigi Commissione Armamenti.

2) Circa rapporto Consiglio ad una Assemblea mio suggerimento riprendere eventualmente in esame Assemblea CECA è stato apprezzato nei suoi moventi europeisti; esso, anche se, come previsto, non ha ottenuto consenso maggioranza ha servito chiarire che riunione Rappresentanti sette Potenze ad Assemblea Consiglio Europa Strasburgo costituirà Assemblea ad hoc cui individualità distinta parmi non escludere auspicabili sviluppi europeistici.

3) Per tabelle massimi forze seguito intervento tedesco adottata formula generale rinvio a livelli e caratteristiche accordo speciale CED, con intesa che per Italia massimo aerei è elevato 1350.

4) Circa elenchi materiali da sottoporre a controllo minore insistenza francese su alcune categorie ha consentito accordo.

5) Per questione piani produzione armamenti e standardizzazione, a proposito della quale non ho mancato far presente in linea di principio interesse italiano, a seguito nuove pressioni francesi il previsto scambio di lettere è stato modificato in risoluzione che fissa al giorno 17 gennaio inizio attività gruppo di lavoro incaricato studiare questione. Attraverso questa formula Mendès-France sembra cercare guadagnare incondizionata adesione settori parlamentari favorevoli integrazione europea.

6) Circa Direttore Agenzia di controllo mio intervento inteso stabilire principio rotazione per nazionalità ha favorito raggiungimento accordo per non rieleggibilità Direttore stesso.

B) A Consiglio Atlantico ha partecipato come osservatore Delegazione tedesca. Riunione ha rapidamente preso atto risultati conferenza a quattro e conferenza a nove. Risoluzione aumento attribuzione e poteri Saucer approvata nei termini concordati da gruppo di lavoro e tutti i paesi si sono associati dichiarazione tripartita sicurezza fatta a Londra. Approvazione protocollo invito Germania accedere NATO accolta con dichiarazioni generale simpatia.

A termine breve seduta Dulles ha espresso in termini caldi favore con cui Governo americano ha seguito sforzi tempestivamente e rapidamente svolti per parare situazione critica, e soddisfazione con cui accoglie risultati raggiunti.

A fine conferenza ho commentato brevemente accordi Trieste mettendo in risalto loro valore atlantico ed europeo(2).

Firme accordi a nove ed a quattordici previste oggi ore 14,45 e sedici. In serata ieri a seguito riunione Consiglio Ministri francesi difficoltà circa Sarre mettevano elemento incertezza in situazione; *ritengo peraltro attribuire a tale incertezza sola portata tattica nel quadro ultime discussioni franco-tedesche relative al problema*3.

1 DGAP, Uff. IV, Versamento CED, 1950-1954, b. 28, fasc. 100.

2 Vedi D. 167.

3 Presumibilmente per errore di trascrizione, il brano tra asterischi manca nella copia del telegramma su velina e su registro ed è presente su una copia del telegramma conservata in Gabinetto, 19531961, b. 21, fasc. 1.

169

L’AMBASCIATORE A BONN, BABUSCIO RIZZO, AL MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI(1)

T. 13601/168. Bonn, 24 ottobre 1954, ore 14,10 (perv. ore 20).

Oggetto: Reazioni tedesche accordi Parigi.

Le prime reazioni negli ambienti politici tedeschi agli accordi di Parigi si concentrano quasi esclusivamente sulla soluzione del problema della Saar. Gli esponenti del partito democristiano definiscono l’intesa grande successo del Cancelliere Federale. Il Presidente del partito liberale Dehler invece, nonostante la sua adesione data a Parigi ad Adenauer, appare riservato ed ha tutta l’aria di mostrarsi scontento per non esser stato in condizioni di condividere la posizione nazionalistica assunta dai socialdemocratici dichiaratisi nettamente contrari alla soluzione intervenuta. Il giudizio degli ambienti tedeschi ed alleati è tuttavia che tali atteggiamenti di fronda se porteranno a vive polemiche al Bundestag, non provocheranno diserzioni in seno alla coalizione governativa al momento finale della ratifica. Conant, rientrato ieri sera da Parigi, mi ha detto che la Delegazione americana era certamente soddisfatta per i risultati conseguiti in quanto, nonostante l’assenza di ogni concezione europea e sopranazionale, la nuova organizzazione rappresentava la sola via di uscita da una situazione che avrebbe portato altrimenti ad incalcolabili conseguenze. Questo Alto Commissario americano, riflettendo evidentemente le idee di Dulles, si è mostrato convinto che Mendès-France non si presterà alle nuove manovre sovietiche e si impegnerà per sollecita ratifica. Conant, parlando dell’Italia ed associandosi al compiacimento unanime per l’atteggiamento della nostra Delegazione a Londra ed a Parigi, mi ha chiesto cosa prevedesi circa la probabile data della ratifica italiana, e se fosse esatto che essa non avrebbe potuto aver luogo prima di marzo. Gli ho risposto che non potevo essere preciso ma che si doveva tener conto in Italia dei lavori delle Commissioni. Conant si è mostrato preoccupato per un’eventuale prolungarsi del periodo intermedio previsto dagli accordi di Parigi per l’ingresso della Germania al NATO.

Presso questa Alta Commissione francese l’atmosfera era ieri sera palesemente distesa e compiaciuta e Berard mi ha detto che gran parte del successo della soluzione del problema saarese si doveva al conciliante spirito di comprensione mostrato da Blankenhorn e Soutou che avevano negoziato le basi dell’accordo.

Sulla nuova nota sovietica2, tanto Conant che Berard mi hanno detto che essa, richiamandosi sostanzialmente alle offerte già fatte da Molotoff nel suo ultimo discorso di Berlino, non sembrava ad un primo esame contenere elementi tali da turbare il normale decorso degli accordi di Parigi. Conant per parte sua mi ha poi aggiunto che un attento studio della nota sovietica sarebbe stato iniziato immediatamente tanto presso l’Alta Commissione che a Washington, che a suo giudizio tuttavia il Governo americano non avrebbe in ogni caso consentito alla Conferenza a quattro prima delle ratifiche e che anche di cisi sarebbe, come si prevedeva, parlato a Washington in occasione dell’imminente viaggio di Adenauer che partirà dopodomani.

1 DGAP, Uff. IV, Versamento CED, 1950-1954, b. 28, fasc. 100.

2 Nota del 23 ottobre, con la quale il Governo sovietico propose una conferenza quadripartita sull’unificazione della Germania, il ritiro delle truppe di occupazione e la convocazione di una conferenza sulla sicurezza collettiva: vedi ISPI, Annuario di Politica Internazionale, 1954, pp. 54-55.

170

L’INCARICATO D’AFFARI A WASHINGTON, LUCIOLLI, AL MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI(1)

T. segreto 13660/595. Washington, 25 ottobre 1954, ore 17 (perv. ore 7,25 del 26).

Gli accordi di Parigi sono accolti con viva soddisfazione da questi ambienti Governativi. Per marcare il suo compiacimento il Presidente Eisenhower, contrariamente alla prassi da lui stabilita, si è recato ad incontrare Dulles all’aeroporto. Il Segretario di Stato in una breve dichiarazione ai giornalisti ha sottolineato l’importanza dello spirito di collaborazione sorto in Europa dai nuovi accordi.

La stampa, che aveva seguito assiduamente le trattative, registra anche essa l’importanza degli obiettivi raggiunti. Tuttavia alcuni commenti denunciano qualche preoccupazione per gli effetti dilatori che la nuova iniziativa sovietica potrebbe avere sulla ratifica nonché per le possibili ripercussioni della soluzione per la Sarre sui partiti e l’opinione pubblica in Germania.

1 DGAP, Uff. IV, Versamento CED, 1950-1954, b. 28, fasc. 100.

171

IL DIRETTORE GENERALE DELLA COOPERAZIONE INTERNAZIONALE MAGISTRATI(1)

Appunto riservato 20/26412. Roma, 25 ottobre 1954.

APPUNTO RELATIVO ALLE CONFERENZE DI PARIGI (Parigi, Palais Chaillot, 20-23 ottobre 1954)

Secondo quanto era stato, in linea di massima, convenuto alla fine della Conferenza dei Nove Paesi interessati alla cooperazione occidentale, tenutasi a Londra tra il 28 settembre ed il 3 ottobre ‒ed a seguito della favorevole conclusione dei lavori dei Comitati degli esperti appositamente convocati ‒hanno avuto luogo a Parigi, nella sede dell’Organizzazione Atlantica al Palais de Chaillot, le tre Conferenze destinate, successivamente, a definire le modalità per il riconoscimento della sovranità della Repubblica Federale Tedesca, a realizzare l’adesione dell’Italia e della Germania al Patto di Bruxelles del 1948 e, infine, a rendere effettiva la proposta per l’ingresso della Germania stessa nella Organizzazione Atlantica.

Così nella giornata del 20 i Rappresentanti dei tre Paesi occupanti (Foster Dulles per gli Stati Uniti, Eden per il Regno Unito e Mendès-France per la Francia) hanno stabilito, in accordo con il Rappresentante del Governo di Bonn (Adenauer), le modalità ed i termini per la progressiva diminuzione dei poteri degli Alti Commissari Alleati in Germania, fino all’esaurimento definitivo dell’attuale regime di occupazione.

Subito dopo, e cioè nella giornata del 21, i Rappresentanti dei Nove Paesi già facenti parte della Conferenza di Londra (questa volta, per la maggior parte, essi si sono fatti accompagnare dai Rappresentanti della difesa dei loro rispettivi paesi e quindi con il Delegato italiano, Ministro degli Esteri On. Martino, ha preso parte ai lavori il Ministro della Difesa, On. Taviani) hanno preso in esame i protocolli ed i documenti preparati dagli esperti e destinati, come si è detto, a fissare le condizioni e le modalità per la adesione della Repubblica Italiana e della Repubblica Federale Tedesca al Patto di Bruxelles, la cui organizzazione è stata ribattezzata con il nome di «Unione dell’Europa Occidentale».

Infine, nella giornata del 22, si è svolta, rapidamente e sotto la presidenza del Ministro degli Esteri ellenico, la Conferenza straordinaria Atlantica, con la partecipazione dei Rappresentanti di tutti i 14 Paesi membri della NATO e con la presenza, per la prima volta, in qualità di osservatore, del Cancelliere tedesco Adenauer. Suo tema principale è stato la fissazione dei termini dell’invito rivolto alla Repubblica Federale per la sua entrata nell’Organizzazione.

Le tre Conferenze, tra loro strettamente connesse e, in certo modo, interdipendenti, si sono poi concluse nel pomeriggio di sabato 23 ottobre con la firma dei primi due accordi nella sede del Quai d’Orsay e del terzo nel Palais de Chaillot: cerimonie che hanno assunto, per la presenza dei rappresentanti della stampa internazionale e per la solennità che opportunamente è stata loro data, particolare significato.

Queste tre importanti riunioni internazionali che hanno portato alla stipulazione di strumenti di alto valore politico in merito alla cooperazione tra i Paesi occidentali, si sono svolte in atmosfera favorevole dovuta, evidentemente, alla persuasione di tutti i partecipanti della necessità di giungere a posizioni positive atte a definitivamente far superare il grave stato di disagio creatosi, come è noto, nella scorsa estate a causa del fallimento della Conferenza di Bruxelles e del successivo respingimento del Trattato di Parigi per la CED.

Appare anzi opportuno porre in rilievo come i lavori delle tre Conferenze siano stati proprio caratterizzati, nei confronti di quelli della precedente complessa e non facile Conferenza di Londra, da un senso generale di maggiore distensione e di minore diffidenza: quasi che, scelta oramai la nuova via per la cooperazione occidentale, i Governi dei Paesi interessati abbiano voluto dare prova della loro capacità di una effettiva e per quanto possibile rapida realizzazione dei programmi prescelti. E si deve anche aggiungere che a ciha indubbiamente concorso l’ottimo lavoro compiuto dai Comitati degli esperti, tanto nel quadro del Patto di Bruxelles, quanto in quello Atlantico, per il quale è stato possibile ai Rappresentanti dei Governi trovare già, nei termini indicati nei progetti di protocollo, il terreno sufficientemente sgombrato dalle precedenti difficoltà.

Puanzi dirsi, a tale proposito, che se, nell’immediata vigilia delle cerimonie di firma degli Accordi, una grave difficoltà è apparsa sorgere, essa è stata costituita non già da dissensi intervenuti in merito alle questioni trattate in seno alle tre Conferenze, ma invece dall’ultima drammatica fase della diretta trattativa franco-tedesca per il raggiungimento di una intesa atta a dare una soluzione provvisoria al problema della Saar: soluzione che, come è noto, era stata del resto sempre indicata dal Presidente del Consiglio di Francia quale una delle «conditions préalables» perché il Governo ed il Parlamento di Parigi potessero dare la loro definitiva approvazione al complesso degli atti internazionali destinati a porre le nuove basi per la cooperazione occidentale.

A questo spirito di distensione ed a questa comune volontà di intenti per il raggiungimento di risultati positivi hanno, infine, efficacemente concorso ‒come in seguito verrà maggiormente specificato ‒tanto la oramai palese e decisa volontà britannica di assumere la funzione di polo accentratore della politica europea occidentale quanto un maggiore avviamento americano verso una rinnovata collaborazione con l’Europa: avviamento, quest’ultimo, che, attraverso le parole picomprensive e picordiali di quelle da lui stesso pronunciate nel corso della Conferenza di Londra, il Segretario di Stato Foster Dulles ha ritenuto opportuno di confermare ai suoi colleghi nel corso della Conferenza straordinaria Atlantica.

Così i risultati finali delle tre Conferenze hanno finito per costituire ‒secondo la felice formula usata nel Comunicato finale della stessa Conferenza Atlantica ‒un «solo regolamento generale» destinato ad interessare direttamente o indirettamente tutti i Paesi che si sono assunti il compito del mantenimento della pace e della difesa dell’occidente.

In riassunto questi risultati possono essere così indicati:

- -

Tale adesione è stata legata alla stipulazione ed alla accettazione, da parte dei sette Paesi partecipanti all’Unione, di quattro Protocolli speciali dedicati rispettivamente:

- - - -

pratiche di controlli, visite ed ispezioni nelle officine, nei depositi, ecc.: ispezioni che, per quanto concerne le forze poste sotto l’autorità della NATO, saranno effettuate dalle competenti autorità dell’Organizzazione Atlantica. L’attività dell’Agenzia sarà limita

ta al continente europeo e avrà per oggetto ‒contrariamente alle tesi francesi alle quali si è sopra indicato ‒soltanto i materiali finiti e non già i procedimenti di fabbricazione

con inoltre l’eccezione della produzione destinata a scopi civili.

Con questi quattro Protocolli l’Unione dell’Europa Occidentale trova le basi per la sua vita e per la sua attività. Essa avrà, quale organo direttivo, un Consiglio dei Ministri dei Paesi partecipanti ed una sua propria sede nella capitale britannica ‒dove già risiedeva l’organizzazione del Patto di Bruxelles ‒secondo le esplicite richieste del Governo di Londra. La sua «Agenzia di controllo» avrà invece sede a Parigi allo scopo di permettere seguiti e diretti collegamenti con la NATO. Il Consiglio Direttivo prenderà normalmente le sue decisioni alla unanimità a meno che, in particolari casi, non sia fissata una procedura di votazione a maggioranza qualificata o a maggioranza semplice, come, ad esempio, per le questioni che verranno ad essa sottoposte dalla Agenzia per il controllo degli armamenti.

Una novità di indubbio rilievo viene costituita dal fatto che il Consiglio Direttivo presenterà, su tutte le sue attività e particolarmente per l’azione svolta nel campo del controllo degli armamenti, un suo rapporto annuale ad una assemblea composta dai Rappresentanti dei Paesi dell’Unione all’Assemblea Consultiva del Consiglio di Europa di Strasburgo. Su tale argomento occorre porre in rilievo come il Delegato italiano, a norma anche di talune raccomandazioni avanzate dal Parlamento di Roma, si fosse fatto promotore dell’iniziativa di vedere presentato quel rapporto all’Assemblea della Comunità del Carbone e dell’Acciaio: iniziativa che, per l’opposizione dei Rappresentanti degli altri Paesi, non ha potuto trovare la sua piena realizzazione ma che ha molto efficacemente concorso per «innestare» in qualche modo un controllo parlamentare europeo, con tutte le sue possibili conseguenze e futuri sviluppi, sull’attività dell’Unione. In altre parole si è riaffermato, anche se in termini dissimili dai precedenti dell’antica concezione «comunitaria» europea, un principio destinato, senza dubbio, a permettere‒anche se con tutte le dovute prudenze e progressioni ‒un certo avviamento europeista all’azione della nuova Unione.

3. La Repubblica Federale Tedesca entra nell’Organizzazione Atlantica. Con uno speciale Protocollo firmato, come si è visto, dai 14 Ministri degli Esteri dei Paesi membri dell’Organizzazione, e a somiglianza di quanto in precedenza era avvenuto per l’adesione della Grecia e della Turchia, viene dichiarato che l’accessione della Repubblica Federale «rinforzerà la sicurezza della regione NATO». Connessa con tale decisione è stata l’adesione di tutti gli Stati partecipanti alla «dichiarazione» già fatta a Londra dai Governi degli Stati Uniti, della Francia e del Regno Unito in merito alla loro volontà di vedere mantenute la pace e la sicurezza del mondo ed a ripetere il loro riconoscimento del Governo di Bonn quale solo Governo tedesco liberamente e legittimamente costituito e atto, quindi, a «parlare» a nome della Germania: dichiarazione che, come è noto, era stata, a sua volta, occasionata da altra fatta dallo stesso Governo di Bonn per ripetere la propria intenzione di non compiere alcun ricorso alla forza per procedere alla riunificazione della Germania o per modificare gli attuali confini della Repubblica Federale.

Sempre nel quadro atlantico i Rappresentanti dei Paesi membri della NATO hanno adottato una risoluzione destinata a rinforzare l’attuale sistema di difesa collettiva dell’Europa e cia mezzo di un accrescimento dei poteri del Comandante Supremo Alleato nel continente. Con tale risoluzione vengono indicati, particolarmente in merito alla formazione dell’Unione dell’Europa Occidentale e delle sue conseguenze nel campo della difesa, i termini, si ripete, dei poteri del Comandante NATO in merito all’organizzazione, anche nel settore logistico, delle forze poste a sua disposizione. Nei limiti del possibile e tenuto conto delle necessità dell’efficienza militare, si intensificherà l’azione atta a permettere una maggiore integrazione sia per le forze di terra che per quelle dell’aria. Su tale argomento ‒si aggiunge ‒è stato stabilito che l’area territoriale, sulla quale si eserciteranno questi controlli del Comando NATO di Europa, non comprenderà l’Africa del Nord, mentre le misure indicate nella summenzionata risoluzione non altereranno il presente «status» delle forze britanniche ed americane del Mediterraneo.

Nell’occasione il Consiglio Atlantico ha tenuto a riaffermare che il Trattato NATO «resta un elemento fondamentale della politica estera di tutti i Governi membri» e che la cooperazione la pistretta possibile dovrà essere realizzata, in tutti i campi, tra la NATO e l’Unione dell’Europa Occidentale proprio per evitare un «doppio impiego» nell’attività dei loro organi.

A complemento, infine, della Conferenza straordinaria NATO, si è avuto uno speciale intervento del Delegato italiano, On. Martino, inteso a rendere brevemente conto degli accordi recentemente raggiunti in merito alla questione di Trieste. Tali accordi, mettendo fine ad una aspra e lunga controversia, sono destinati a portare giovamento anche nel quadro atlantico e dimostrano, inoltre, che qualsiasi contrasto, persino di natura territoriale, puoggi trovare una pratica e pacifica soluzione purché le opposte parti si applichino con buona volontà alla sua ricerca.

«L’accoglienza ‒ha aggiunto l’On. Martino ‒che la stessa Unione Sovietica ha riservato, in contrasto con la linea di condotta da essa precedentemente seguita, agli accordi stessi, costituisce, a nostro avviso, la prova dell’efficienza del metodo atlantico: metodo che consiste e dovrà in avvenire consistere sempre di pinella ricerca paziente e tenace, e sorda alle minacce, di soluzioni basate sull’equità e sulla ragione».

Il Consiglio Atlantico, nel prendere nota di queste dichiarazioni che costituivano anche un atto di ringraziamento verso tutti i Paesi della NATO per la comprensione da loro dimostrata in merito al problema triestino, con particolare riguardo all’azione svolta dagli Stati Uniti e dal Regno Unito, ha, nel comunicato finale della Conferenza, sottolineato il valore «atlantico ed europeo» di quegli accordi.

Altra dichiarazione, infine, è stata fatta senza suscitare alcun commento o risoluzione, dal Rappresentante del Portogallo in merito al conflitto indo-lusitano per Goa.

Tutto il vasto complesso di questi Accordi internazionali che hanno trovato la loro definitiva formulazione nelle tre Conferenze, entrerà nella sua pratica applicazione e realizzazione soltanto dopo che tutti i Parlamenti nazionali avranno provveduto alla loro ratifica. Naturalmente i Rappresentanti dei Paesi interessati hanno tutti, senza eccezione, indicato la volontà dei loro Governi di voler procedere, con ogni possibile urgenza, all’inizio delle procedure necessarie per tale ratifica ma non punon prevedersi una sosta di alcuni mesi prima di vedere entrare definitivamente in azione tutto il complesso meccanismo previsto dagli impegni medesimi. Frattanto, per ora, e per quanto specificamente concerne l’Unione dell’Europa Occidentale, si è stabilito di permettere che un «Comitato Interinale» residente a Londra e costituito, per il momento, dagli Ambasciatori dei Paesi membri colà residenti, inizi un certo lavoro preparatorio inteso a facilitare, in avvenire ed a ratifiche avvenute, l’azione dell’Unione. Nel quadro di tale azione e su iniziativa francese intesa a dare al pipresto la sensazione di un inizio pratico in merito al principio della progressiva costituzione di un «pool» produttivo internazionale per gli armamenti, è stata anche decisa la convocazione, alla data del 17 gennaio 1955, di un Gruppo di Lavoro destinato a studiarne i primi elementi.

Sempre sull’argomento il Delegato italiano ha, per quanto concerne la procedura di ratifica del Parlamento di Roma, opportunamente indicato ‒anche per prevenire eventuali altrui impazienze ‒come, a mezzo dell’adozione di una «procedura d’urgenza» sia possibile affrettare, anche in Italia, la discussione nei due rami del Parlamento, ma senza che si possa immaginare una conclusione dei lavori prima della fine del febbraio 1955.

In riassunto:

1. Il «fatto storico» che ha veramente caratterizzato queste riunioni di Parigi è stato l’ingresso della Repubblica Federale Tedesca a parità, almeno formalmente, di diritti e di doveri, nel novero dello schieramento occidentale e, di conseguenza, nell’Organizzazione Atlantica. Un tale «fatto» puessere considerato al suo giusto valore allorché si pensa che soltanto nove anni fa la Germania era oggetto degli accordi di Potsdam e che anche in America si insisteva allora sulla necessità di mantenerla per 40 anni in stato di effettiva discriminazione, e forse di occupazione, con una trasformazione della sua economia in termini che furono addirittura da taluni definiti «di pastorizia». Si tratta quindi di un grosso successo al cui raggiungimento hanno indubbiamente contribuito ‒ed occorre riconoscerlo ‒la moderazione ed il riserbo di cui hanno dato costantemente prova, specie in questi ultimissimi tempi, il Cancelliere Adenauer ed i suoi collaboratori. In altre parole il Governo di Bonn, contrariamente alle previsioni da taluni avanzate al momento della formazione, in Francia, del Governo di Mendès-France e della caduta della CED, non si è fatto «méduser» dalla tentazione di vedere instaurato un preteso asse Washington-Bonn e ha preferito riprendere la strada della cooperazione occidentale europea. Probabilmente ha a cianche concorso l’indubbia preoccupazione che il prudente Cancelliere appare profondamente nutrire in merito alla ricostituzione di un forte esercito tedesco con proprio Stato Maggiore atto a formare facili tentazioni da taluni esponenti di oltre oceano in merito ad eventuali guerre preventive. Il tempo, inoltre, sembra lavorare piuttosto per la Germania, anche in merito alla questione sarrese, e quindi intemperanze e precipitazioni germaniche sarebbero state indubbiamente controproducenti.

2. Ciindicato, non è detto che tutti i Paesi abbiano accettato, con vero entusiasmo, questo ristabilimento, in fatto ed in diritto, dei poteri della Germania. Caratteristica, in proposito, è stata la circostanza che non tutti i Paesi abbiano voluto fare espressa menzione, al momento dell’adozione, da parte della Conferenza, del Protocollo di accessione, dei loro sentimenti di soddisfazione. Il Rappresentante danese, ad esempio, ha voluto addirittura insistere, nel momento stesso in cui il Cancelliere Adenauer sedeva, per la prima volta, anche se in qualità di semplice osservatore, al tavolo Atlantico, sulle condizioni di inferiorità nelle quali le minoranze danesi si troverebbero oggi nel territorio tedesco dello Schleswig-Holstein.

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5. Il Governo di Washington, per quanto ancora sensibile alle «bruciature di mano» riportate con il fallimento della CED e guardingo dal ripetere l’errore di voler identificare la propria posizione ed i propri intendimenti con gli sviluppi di una politica troppo prettamente europea, appare in fase di evoluzione e nuovamente propenso ‒sempre che il Congresso americano destinato a riunirsi nel prossimo gennaio, dia il suo nuovo avallo ‒ad immaginare una sua azione di cooperazione e di assistenza nei confronti dell’Europa. Le ripetute dichiarazioni di soddisfazione del Signor Foster Dulles, ed in generale i termini con i quali la grande stampa americana ha accolto le decisioni di Parigi, sembrano dover costituire elementi positivi. Naturalmente grande sarà, nei prossimi mesi, l’attenzione di Washington nei riguardi delle manifestazioni dei Governi e dei Parlamenti d’Europa per l’entrata in vigore di quanto è stato ora stabilito.

6. L’Italia è apparsa notevolmente avvantaggiarsi di una certa sua posizione di maggiore sollievo e libertà di movimenti dovuta, in buona parte, agli accordi intervenuti in merito alla questione triestina ed alla sua capacità di avere senza indugio compreso quali siano i termini e gli avviamenti delle nuove forme di cooperazione europea. Il Delegato italiano ha potuto così sviluppare quella sua azione di una certa conciliazione tra le opposte tesi che già si era delineata nel corso della precedente Conferenza di Londra. Azione che ha permesso di ottenere espliciti riconoscimenti tanto da parte tedesca (il Ministro Martino ha ricevuto ringraziamenti di Adenauer per avere espresso la soddisfazione italiana nel veder ritornare la nazione tedesca nel seno dei popoli liberi e per avere confermato la profonda fiducia nella volontà democratica del popolo tedesco) quanto da parte francese (il Presidente Mendès-France, nel corso della Conferenza stampa da lui tenuta al termine delle Conferenze, ha proprio messo in rilievo lo spirito di comprensione e di simpatia dimostrato, nei riguardi dell’azione francese, dal Rappresentante italiano).

L’Italia, inoltre, ha, con la sua iniziativa in merito all’adozione di controlli parlamentari europei sull’azione dell’Unione dell’Europa Occidentale, dimostrato di tenere pienamente fede ai principi generali, per un avviamento europeista, che avevano costituito la caratteristica dell’azione internazionale del Governo di Roma in questi ultimi anni. Ora, indubbiamente, possono aprirsi nuovi orizzonti che possono essere ragione di una certa fiducia in merito a rinnovati sviluppi, sempre che, naturalmente, si tenga tutto il dovuto conto dell’impostazione «associativa», e non «comunitaria» nell’antico senso della parola, che caratterizza l’attuale evoluzione della politica occidentale.

La pronta adesione, infine, data dall’Italia all’iniziativa intesa a facilitare i primi studi in merito ad un progettato ed eventuale «pool» per la produzione degli armamenti ha mostrato come il nostro Paese da una parte sia conscio dell’importanza politica ed economica di tale elemento e dall’altra desideri, fin dal primo momento, affermare l’assoluta internazionalità di progetti di simile natura, non intendendo rimanere estraneo ad iniziative in tale settore: e ciin vista anche di possibili «avances» francesi alla Germania destinate a facilitare la distensione tra Parigi e Bonn.

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1 DGAP, Uff. I, Serie Affari Politici, 1951-1957, b. 332, fasc. Unione Europea Occidentale, dal 23 ottobre 1954.

2 Sottoscrizione autografa. Inviato con L. riservata 20/2649 del 26 ottobre da Magistrati a Domined e con L. riservata 20/2643, pari data, a Canali, Bombassei, Tassoni Estense, Cattani, Taviani, Alessandrini,Babuscio Rizzo, Caruso, Soardi, Cavalletti, Baldoni, De Vera, Grazzi, Urbani, Ferrari Aggradi, Ferreri, Vanoni,Cittadini Cesi, Di Stefano, Benzoni, Venturini, Guidotti, Mosca, Pietromarchi, Brosio, Rossi Longhi, Luciolli.

172

L’AMBASCIATORE A BRUXELLES, GRAZZI, AL MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI(1)

Telespr. 4379/21802. Bruxelles, 25 ottobre 1954.

Oggetto: Belgio e UEO

Gli accordi di Londra sono stati accolti in Belgio con soddisfazione, temperata dalla preoccupazione dell’eventualità di un troppo stretto accordo franco-tedesco.

Spaak, subito ripartito per l’ONU, ha dichiarato che, per quanto si debba riconoscere nell’intesa raggiunta una vittoria dell’Occidente, pur tuttavia egli rimpiange la CED in quanto in essa il principio di un’integrazione europea sarebbe stato maggiore e suscettibile di pilarghi risultati.

Per opposti motivi, gli avversari della CED, tanto se appartenenti all’opposizione cattolica quanto se appartenenti alla maggioranza socialista liberale, si dichiarano soddisfatti di una soluzione nella quale vedono insieme i vantaggi della presenza della Gran Bretagna e dell’assenza della supernazionalità. Perciè da prevedere che la votazione delle intese di Londra avverrà alla quasi unanimità.

Restano tre punti oscuri e cioè:

1) Accordo franco-tedesco. Come ho sovente rilevato un paese piccolo come il Belgio, esposto a tante disastrose invasioni, è in condizione di dover temere tanto la pericolosa inimicizia dei due grandi suoi vicini quanto una troppo stretta intesa tra di loro. Nessun altro paese pidel Belgio ha desiderato un accordo sulla Saar, e Spaak vi ha anche personalmente lavorato e cercato di contribuire; ma nessuna nazione pidel Belgio è in condizione di dover temere un’intesa economica franco-tedesca la quale assumerebbe di fatto un vero monopolio europeo, e strozzerebbe tutti gli altri concorrenti.

Vi è quindi da attendersi una vigile attenzione belga in tale materia, e un’azione di ritardo e di disturbo – appoggiata probabilmente sulla Gran Bretagna – verso la quale i nostri interessi dovrebbero in certo senso convergere.

2) Trattative con i Soviets. Il Belgio desidera il disarmo fino ad un certo punto, in quanto né vorrebbe essere disarmato prima e pidegli altri (cioè veder ridotta la sua industria di armamenti), né soprattutto vuol correre il rischio di deprezzare le proprie risorse di materie prime congolesi, uranio alla testa. Per altro è interessato, come tutti gli europei e forse pidi tutti in quanto il suo territorio è fra i maggiormente esposti ad un’invasione livellatrice, alla eventuale coesistenza fra Oriente e Occidente. I motivi, anche economici, ne sono evidenti. Perciil Gabinetto belga appoggerà, per quanto sarà in suo potere, ogni tentativo di distensione e di negoziato. L’incognita sta a quale momento il negoziato possa incominciare. Dopo le dichiarazioni americane non dovrebbe esserci dubbio: quando gli Accordi di Londra saranno stati da tutti approvati e tradotti in atto. Ma la prima domanda che sorge è quando potrà dirsi che siano tradotti in atto (ad es., soltanto quando le divisioni tedesche saranno armate ed equipaggiate?) e la seconda se il preconizzato riarmo generale dovrà o non servire come moneta di scambio, il che del resto riporta in fondo alla prima delle due domande, in quanto tutto il problema si riassume in un problema di «timing».

Se è dato prevedere l’atteggiamento belga, credo possa affermarsi che questo Governo sia per appoggiare eventuali proposte di negoziato da tradursi in atto il pipresto possibile, e che esso ritenga la questione del riarmo europeo un’efficace arma di negoziato, da impiegarsi a qualsiasi momento delle conversazioni.

3) Integrazione economica. Tra i paesi europei il Belgio era il maggiormente interessato all’integrazione economica, a motivo dell’altezza dei suoi costi di produzione. Non v’è dubbio che le prospettive di una tale integrazione – pur non essendo del tutto e completamente sfumate a causa della valorizzazione del Patto di Bruxelles

– sono oggi piche grandemente indebolite. In conseguenza, il Belgio farà di tutto perché il contenuto integrativo dell’UEO prenda corpo e maggior consistenza possibile, e che a tal uopo esso cercherà di sfruttare il Patto di Bruxelles nella maniera piampia e pratica che sarà consentita.

Anche di fronte alle intese economiche franco-tedesche sembra che convenga da parte nostra appoggiare ed appoggiarsi a quello che sarà l’atteggiamento belga in materia, poiché non possiamo da un lato non avere i medesimi timori e dall’altro non perseguire scopi sostanzialmente analoghi.

1 DGAP, Uff. I, Serie Affari Politici, 1951-1957, b. 332, fasc. Unione Europea Occidentale, dal 23 ottobre 1954.

2 Sottoscrizione autografa.

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L’INCARICATO D’AFFARI A WASHINGTON, LUCIOLLI, AL MINISTRO DEGLI AFFARI ESTERI, MARTINO(1)

R. segreto 157862. Washington, 28 ottobre 1954.

La felice conclusione degli incontri di Parigi invita naturalmente a fare un esame d’insieme della situazione internazionale e delle prospettive che si aprono per il futuro prossimo e meno prossimo. Mi pare quindi di dover procedere anch’io a siffatto esame, naturalmente concentrando l’attenzione sull’atteggiamento degli Stati Uniti e sui loro rapporti con l’Europa e in particolare con l’Italia.

Tra la primavera e il principio dell’estate scorsa questa Ambasciata riferiva ripetutamente sull’approssimarsi, sempre pievidente e sempre pilargamente riconosciuto, di una crisi dei rapporti fra l’America e l’Europa. Inoltre indicava approssimativamente nell’autunno il periodo in cui la crisi avrebbe raggiunto la sua fase pipericolosa; e auspicava che la crisi particolare dei rapporti fra l’America e l’Italia, anch’essa in sviluppo per cause in parte comuni e in parte distinte da quella generale, fosse tempestivamente risolta, così da mettere il nostro Paese nelle condizioni migliori possibili per affrontare quella che si annunciava come la fase piburrascosa delle relazioni fra le Nazioni occidentali dalla fine della guerra in poi.

Se si tengono presenti queste previsioni, non si punon constatare che gli avvenimenti delle ultime settimane si sono svolti in modo assai confortante. Non già che la crisi non vi sia stata. Anzi, fra la Conferenza di Ginevra e la convocazione di quella di Londra, vi è stato anche il giustificato timore che la crisi prendesse la piega peggiore, col convincere gli Stati Uniti che la loro collaborazione con l’Europa era irreparabilmente minata dal tramonto della CED, dai persistenti contrasti franco-tedesco e italo-jugoslavo e dall’ambiguo atteggiamento di Mendès-France in materia di rapporti fra Occidente e Oriente. Invece, nel giro di un mese, la situazione si è capovolta cosicché, per il momento, il peggio è stato evitato.

Di fronte a questo capovolgimento, vien fatto naturalmente di domandarsi se esso non stesse nella forza delle cose, se quindi la distensione non si sia prodotta rebus ipsis dictantibus e i pessimisti non fossero fin da principio completamente in torto. A questa domanda, per non mi sembra possa darsi una risposta del tutto positiva. Certamente, i rapporti America-Europa sono ormai così complessi e la minaccia sovietica è ancora così evidente che è altrettanto difficile imporre agli Stati Uniti una politica isolazionista quanto imporre alla Europa una politica neutralista. La collaborazione, insomma, anche se fosse stata cacciata dalla porta, sarebbe rientrata dalla finestra. Tuttavia non credo si possa disconoscere che, per la rapidità con cui la crisi ha trovato un almeno momentaneo componimento, va data una larga parte di merito anche agli uomini; e, per quanto riguarda Dulles, direi che il suo merito è consistito principalmente nel lasciare che, sia pur sotto la pressione di una minacciata revisione della politica estera americana, i Paesi europei trovassero essi stessi nuove formule di collaborazione fra loro, in sostituzione di quelle sulle quali non erano riusciti a raccogliere l’unanimità.

Comunque, poiché la distensione si è verificata, è meno importante analizzarne le cause che misurarne il probabile seguito.

Nel pensiero degli americani, malgrado i risultati delle Conferenze di Londra e di Parigi, e in parte proprio a causa di essi, l’elemento di maggiore incertezza è costituito dalla Francia. Dopo l’armistizio in Indocina (mi richiamo anche a quanto è stato riferito a suo tempo da questa Ambasciata) il giudizio americano su Mendès-France è stato subordinato ad una chiarificazione dell’atteggiamento francese nelle cose europee. Infatti l’indignazione americana per quell’armistizio aveva due origini. La prima era costituita dalla constatazione che i comunisti registravano una vittoria, o almeno una conquista territoriale, proprio nell’area che il Governo repubblicano degli Stati Uniti si era proposto di assicurare pisaldamente all’Occidente, in contrapposto ad una presunta negligenza del Governo democratico. La seconda era costituita dal sospetto che l’accordo con la Cina comunista fosse il preludio di una nuova e infida politica francese verso l’URSS. La prima dava luogo ad una reazione puramente passionale e sterile, gli Stati Uniti non essendo affatto disposti a partecipare direttamente alla difesa di ciche rimproveravano ai francesi di voler abbandonare. La seconda poteva dissiparsi o prender corpo soltanto in relazione alla politica europea di Mendès-France. In questo campo il Dipartimento di Stato ha, per così dire, fatto credito al nuovo Capo del Governo francese fino alla vigilia della Conferenza di Bruxelles: ma il di lui atteggiamento in quell’incontro e poi davanti al Parlamento durante la discussione sulla CED ha avuto effetti catastrofici, che non sono stati ancora riparati. La sfiducia verso Mendès-France, quantunque oggi non sia picosì apparente ed anzi sia coperta da manifestazioni esteriori contrarie, persiste tanto per ciche riguarda i problemi dell’organizzazione difensiva dell’Europa occidentale quanto per ciche riguarda i rapporti generali fra Occidente e Oriente. Si registra la sua intenzione di far ratificare i nuovi accordi entro quest’anno. Si è preso nota del fatto che (come mi viene assicurato da buona fonte confidenziale) il Quai d’Orsay ha inviato da tempo all’Ambasciatore di Francia a Mosca istruzioni nel senso di rispondere ad ogni eventuale proposta di conversazioni franco-sovietiche dichiarando che, se il Governo dell’URSS ha qualche cosa da dire, la dica contemporaneamente anche agli Stati Uniti e alla Gran Bretagna oppure dinanzi alle Nazioni Unite. Tuttavia cinon basta a rassicurare gli americani.

Ciche gli americani temono soprattutto è, naturalmente, un’azione ostruzionistica della Francia non tanto nella ratifica quanto nell’applicazione degli accordi di Londra e di Parigi, e cioè, in pratica, nel riarmo della Germania. A giudicare da qualche eco raccolta qui, dovrei ritenere che i tedeschi, oltre a condividere questa preoccupazione, ne forniscono (per così dire) agli americani una spiegazione razionale, della quale del resto non hanno il monopolio e che si potrebbe riassumere come segue. Subito dopo la guerra, la Francia ha perduto l’occasione che le si offriva di assumere la leadership dell’Europa continentale. Oggi sa che, se si arrivasse veramente alla federazione europea, non potrebbe avervi una posizione preminente. Quindi, Mendès-France intende rallentare il processo federativo, e sopratutto il riarmo tedesco, in attesa che il suo Paese, rafforzato dalla liquidazione della guerra d’Indocina, da una pisolida sistemazione del suo impero africano e da ardite riforme economiche, possa entrare nella federazione in condizioni pivantaggiose.

Se questo è il piano francese, la preoccupazione americana è piche giustificata. Infatti se il riarmo tedesco, che la Francia è già riuscita a rinviare di ben quattro anni mercé il progetto dell’esercito europeo, viene ora subordinato ad un ipotetico risorgimento politico ed economico della Francia, si rischia di entrare quanto prima in una nuova fase di tensione. I tedeschi coi quali sono in contatto a Washington dichiarano di essere tanto pipreoccupati da questa eventualità in quanto la ricuperata sovranità e il carattere nazionale del progettato loro riarmo li collocano in una posizione piesposta e psicologicamente, oltre che diplomaticamente, pidifficile nel prospettare all’opinione pubblica mondiale le loro esigenze («Finora – mi ha detto uno di essi – avevamo lo svantaggio d’essere sotto tutela, ma anche il vantaggio di poter parlare per bocca del nostro tutore, cioè gli Stati Uniti. D’ora in poi dovremo parlare per conto nostro e non ci sarà facile farlo senza provocare reazioni antipatiche, non solo in Francia, ma anche in altri Paesi europei e perfino in certi settori della opinione pubblica americana»).

A cisi deve aggiungere che l’accordo sulla Sarre, appunto per il suo carattere estremamente favorevole alla Francia, complicherà probabilmente la situazione interna tedesca e, a lunga scadenza, potrà tornare a ripercuotersi piviolentemente sui rapporti franco-tedeschi.

Si vedrà se e in che misura Mendès-France, durante la sua prossima visita qui, riuscirà a dissipare le preoccupazioni americane.

Dopo la Francia, il Paese che desta oggi maggiori preoccupazioni qui è la Jugoslavia. Ho già segnalato che le recenti manifestazioni di distensione nei rapporti sovietico-jugoslavi sono state seguite, dal Dipartimento di Stato oltre che dalla stampa, con attenzione carica di sospetto. Ho anche già espresso l’opinione che gli americani non sappiano in proposito molto pidi noi (l’Ambasciata di Jugoslavia a Washington, come ho avuto io stesso occasione di constatare nei contatti personali seguiti all’accordo su Trieste, è conscia di questi sospetti e ostenta diffidenza verso l’URSS. La parola d’ordine di Belgrado le prescrive evidentemente di dire che Tito, pur essendo sempre pronto a riprendere relazioni corrette con Mosca e pur registrando con piacere le mutate disposizioni sovietiche, non crede che gli scopi aggressivi dell’URSS siano mutati e pensa che sia cambiata soltanto la tattica, perché i dirigenti sovietici si sono resi conto, che i metodi di Stalin erano troppo pericolosi).

In materia di atteggiamento americano verso la Jugoslavia riesce difficile raccogliere informazioni perché, per ragioni evidenti, noi saremo gli ultimi a cui gli americani confesseranno di non fidarsi di Tito. Qualche indizio generico del loro stato d’animo puessere raccolto soltanto indirettamente, attraverso fonti giornalistiche; e, appunto, diversi giornalisti mi hanno confermato anche in questi giorni che le mosse jugoslave sono sorvegliate da qui molto attentamente. Ciononostante abbiamo un mezzo molto efficace, quantunque indiretto, per misurare la «temperatura» americana verso la Jugoslavia, e questo è costituito da quel che gli americani ci diranno o non ci diranno a proposito dell’eventuale adesione italiana al Patto Balcanico e, piin generale, della collaborazione militare italo-jugoslava. È ben chiaro da tempo che lo sforzo compiuto dagli anglo-americani per risolvere il problema di Trieste aveva prevalentemente, se non esclusivamente, lo scopo di aprire la via alla collaborazione militare italo-jugoslava. L’adesione dell’Italia al Patto Balcanico era lasciata pressoché interamente alla nostra discrezione, quasi come un rivestimento formale di una intesa sulla cui sostanza non vi erano dubbi; vi era quindi ogni motivo di ritenere che, appena risolta la questione di Trieste, gli americani ci avrebbero fatto proposte concrete per lo stabilimento di tale intesa. In questi giorni, per quantunque mi sia astenuto dal trattare espressamente l’argomento, ho constatato che il linguaggio dei funzionari del Dipartimento di Stato coi quali sono stato in contatto è diventato assai picauto. Infatti, mentre si continua a descrivere la questione di Trieste come un ostacolo, ormai felicemente superato, sulla via della famosa collaborazione, si afferma che sulle forme e sui tempi di questa non si hanno ancora idee precise. Se questa reticenza durerà ancora, avremo in essa una prova indiretta, ma sicura delle sopraggiunte perplessità americane sul contegno della Jugoslavia.

Un altro elemento di incertezza, nella situazione generale, è costituito, naturalmente, dalla politica sovietica; ma, agli americani, esso appare pericoloso pidi riflesso che direttamente. Gli americani osservano molto attentamente tutte le mosse distensive sovietiche. Arrivano perfino a non escludere del tutto che si possa arrivare ad un’intesa sul controllo della energia atomica e al trattato di pace con l’Austria. Sono decisi, ricalcando anche in questo le orme dell’Amministrazione democratica, a non chiudere nessuna porta. Ammettono la possibilità che i nuovi dirigenti sovietici ritengano necessaria per la sicurezza dell’URSS una battuta d’arresto nell’espansione comunista e quindi cerchino una formula di convivenza pacifica, almeno temporanea, con l’Occidente. D’altra parte non intendono che, a nessun costo e in nessun caso, l’Occidente rallenti la sua preparazione difensiva a causa di queste e altre simili speranze. Registrano, quindi, con sospetto ogni manifestazione di minor rigidezza da parte dei loro alleati europei.

Fin qui mi sono astenuto di proposito dall’esaminare la posizione dell’Italia perché mi sembrava convenisse trattarla separatamente.

Non vi è dubbio che (come ricordavo all’inizio del presente rapporto) qualche mese fa si profilava una crisi delle relazioni italo-americane, distinta da quella delle relazioni fra l’Europa e l’America. Non vi è neppure dubbio che questa crisi si chiamava Trieste. Essa è stata risolta appena in tempo per consentire che l’azione diplomatica italiana non fosse appesantita da essa nel momento in cui l’altra maggiore entrava nella fase pipericolosa. Risolte almeno temporaneamente entrambe, si deve tuttavia riconoscere che la situazione europea non è tornata esattamente al punto in cui era uno o due anni fa. Vi è infatti, oggi, una maggiore diversificazione nella posizione dei singoli Paesi europei rispetto agli Stati Uniti. La Gran Bretagna, dalla Conferenza di Londra in poi, sembra avere assunto nelle cose europee una parte piattiva e sotto certi aspetti distinta da quella degli Stati Uniti. La Francia, per le ragioni sopradescritte, costituisce un fattore di incertezza anziché di fermezza. La Germania si riaffaccia sulla Europa come una nazione sovrana, rispettatissima dagli Stati Uniti e forse pronta ad essere domani tanto ardita nell’esigere quanto lo è stata finora nel rinunciare, nell’aspettare, nello scendere a compromessi. Ne consegue che in avvenire l’Italia (come quest’Ambasciata osservava già nel rapporto 12659 del 26 agosto u.s.3) potrà trovarsi non tanto di fronte al problema di aderire pio meno prontamente ed efficacemente ad iniziative comuni europee, quanto di fronte alla necessità di muoversi in una situazione relativamente fluida.

Intendo facilmente che in questa situazione il Governo italiano vuol farsi guidare da due direttive fondamentali: la fedeltà agli ideali federalistici europei, che già avevano ispirato la sua azione in passato e che tuttora spera di vedere gradualmente realizzati; e lo sviluppo sempre maggiore della collaborazione politica, economica e militare con gli Stati Uniti.

I recenti avvenimenti hanno indubbiamente creato le premesse per un ulteriore sviluppo della collaborazione italo-americana. L’atteggiamento italiano a Bruxelles, Londra e Parigi è stato qui vivamente apprezzato ed ha corretto, per lo meno ai fini pratici, gli effetti della mancata ratifica della CED. La firma dell’accordo per le «facilities» ha tolto un altro motivo di insoddisfazione. È quindi lecito da un lato sperare nell’appoggio americano ai piani del Governo italiano, intesi a consolidare l’economia nazionale, e dall’altro contare sulla possibilità che l’Italia acquisti una posizione di maggior prestigio agli occhi degli americani e quindi intervenga con voce piautorevole nelle discussioni interalleate sui problemi europei e mondiali. Sono, queste, prospettive confortanti. Tuttavia (a prescindere dalla parte economica, in cui, per ragioni di carattere generale, gravi ostacoli si frappongono attualmente qui ad ogni programma di aiuti) occorre tener presente il peso sempre crescente che avranno, sull’atteggiamento americano nei nostri riguardi, le vicende della politica interna italiana.

Da pidi un anno, e pifrequentemente dal dicembre scorso (vedi, in proposito, il rapporto n. 15595 del 10 dicembre 1953) questa Ambasciata ha segnalato che gli americani, pure ammettendo l’importanza del problema di Trieste nel quadro della politica italiana, ritenevano che la soluzione di quel problema fosse condizione necessaria ma non sufficiente per consentire al nostro Paese di fare un sostanziale passo in avanti sulla via della rinascita democratica; e che una seconda e non meno necessaria condizione fosse costituita da un’energica azione contro il partito comunista. Oggi, dopo che il problema di Trieste è stato risolto, questo è tuttora il convincimento degli americani.

Vero è che spesso la visione delle cose nostre da parte degli americani è confusa e distorta. Vero è altresì che essi talvolta suggeriscono o pretendono cose impossibili o raccomandano metodi inopportuni (Ne abbiamo un esempio nella ormai grave questione degli «off-shore procurements», sulla quale riferisco a parte con questo stesso corriere). Tuttavia non si punon tener conto delle seguenti considerazioni.

In primo luogo, è legge costante della politica estera che il peso di ciascun paese sul piano internazionale sia determinato dalla saldezza interna del Paese medesimo (Le dittature, che, non sapendo battere la strada opposta, tendono a conseguire successi interni per sfruttarli sul piano interno, non vi sono mai riuscite se non in via transitoria e in modo effimero). L’Italia ha esperimentato anche di recente il valore di questa legge. Infatti, dopo la guerra, ha riconquistato con sorprendente rapidità una buona posizione nel campo internazionale, grazie alle realizzazioni della sua politica interna e principalmente al ristabilito ordine pubblico, alla riconquistata solidità della moneta e al buon esito delle elezioni del 1948; ed ha subìto un certo declino quando, a torto o a ragione, è sembrata non sapere sfruttare appieno quelle preziose conquiste.

In secondo luogo, riesce difficile convincere gli americani che certe cose non si possono fare in un certo modo, se contemporaneamente non si mostra loro di saperle fare in un altro modo o di saperne fare altre equivalenti o piutili.

In base a queste considerazioni, vi è da ritenere che il Governo americano sarà tanto pidisposto a non sopravalutare certi aspetti negativi della situazione italiana quanto piriceverà la sensazione che per fronteggiarli vengono prese iniziative concrete e rapide e che comunque il loro persistere, nei limiti in cui non possono essere soppressi rapidamente, non intralcia la politica «atlantica» e «europeista».

Sotto quest’ultimo aspetto, acquista speciale importanza la ratifica degli accordi di Parigi. Per consolidare l’attuale favorevole congiuntura e favorire i propositi di piefficace collaborazione italo-americana non si potrebbe fare nulla di meglio che avviare rapidamente, con prospettive di pronta conclusione, la procedura per detta ratifica.

Gradisca, Signor Ministro, l’espressione del mio pidevoto ossequio.

[Mario Luciolli]

1 DGAP, Uff. I, 1945-1960 (I versamento), b. 8, fasc. 2.

2 Il documento reca i seguenti timbri: «Inviato in copia al Presidente della Repubblica», «Inviato in copia ai Sottosegretari», «Visto dal Ministro», «Visto dal Segretario Generale» con la sigla di Zoppi.

3 Vedi DPII, Serie A, Il fallimento della CED e della CPE cit., D. 290.

174

L’AMBASCIATORE A LONDRA, BROSIO, AL MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI(1)

T. 13908/346. Londra, 29 ottobre 1954, ore 20,29 (perv. ore 7,20 del 30).

Oggetto: Comitato ad interim Unione Europea Occidentale.

Il Comitato ad interim dell’Unione Europea Occidentale riunitosi ieri ed oggi ha preparato l’elenco delle questioni da mettere immediatamente allo studio sia per provvedere all’organizzazione dell’Unione stessa sia per quanto concerne i problemi particolari ed urgenti da risolvere.

Trasmetto con corriere odierno(2) tale elenco mentre mi riservo di inviare appena approvato in prossima seduta il rapporto relativo che verrà sottoposto a tutti i Governi affinché possano esprimere i loro punti di vista e dare istruzioni ai propri rappresentanti.

Intanto è stato deciso chiedere subito istruzioni circa l’atteggiamento da adottare nei confronti di eventuali richieste d’adesione da parte di altri Stati. Il Governo belga ha già preso posizione nel senso che tali richieste debbano essere scoraggiate sopratutto se provenienti da Paesi di diversa cultura. Altri delegati hanno espresso l’opinione che per ora non convenga favorire nuove candidature ma lasciare che l’Unione si sviluppi e rafforzi nella forma attuale che ha una cornice geografica e politica ben definita.

Prego quindi urgenti istruzioni su questo punto(3).

1 DGAP, Uff. I, Serie Affari Politici, 1951-1957, b. 332, fasc. Unione Europea Occidentale, dal 23 ottobre 1954.

2 Telespr. 4564/2343 del 29 ottobre, non pubblicato: ibidem.

3 Per la risposta vedi D. 179. Vedi anche D. 186.

175

[LA DIREZIONE GENERALE DELLA COOPERAZIONE INTERNAZIONALE, UFFICIO I]1

Appunto(2).

TRACCIA PER L’ESPOSIZIONE DI S.E. IL MINISTRO AL CONSIGLIO DEI MINISTRI (29 ottobre 1954)

- - - - - -

In questi quattro protocolli l’Unione dell’Europa Occidentale trova le basi per la sua attività. Essa avrà quale organo direttivo un Consiglio dei Ministri ed una sua propria sede nella capitale britannica, dove già risiedeva l’organizzazione del Patto di Bruxelles, mentre l’Agenzia di controllo avrà invece sede a Parigi allo scopo di aver diretti collegamenti col NATO. Il Consiglio che [sic] prenderà normalmente le sue decisioni all’unanimità e presenterà un suo rapporto annuale ad un’Assemblea composta dai Rappresentanti dei Paesi dell’Unione all’Assemblea Consultiva del Consiglio d’Europa di Strasburgo.

3. La Repubblica Federale Tedesca entra nel NATO. Con uno speciale Protocollo firmato dai 14 Ministri degli Esteri e a somiglianza di quanto fatto in precedenza per l’adesione della Grecia e della Turchia viene decisa l’accessione della Repubblica Federale all’Alleanza Atlantica. I Rappresentanti dei Paesi membri della NATO hanno poi adottato una risoluzione destinata a rafforzare l’attuale sistema di difesa collettiva, mediante un accrescimento dei poteri del Comandante Supremo Alleato nel continente, allo scopo soprattutto di raggiungere una maggiore integrazione delle forze terrestri ed aeree.

PROGETTO DI RELAZIONE AL CONSIGLIO DEI MINISTRI (PARTE TECNICA)

Propongo pertanto l’adozione e l’immediata presentazione al Parlamento, chiedendo la procedura d’urgenza, dell’unito disegno di legge(3). Esso autorizza la ratifica degli accordi firmati a Parigi e cioè da un lato il gruppo di accordi relativi all’accessione dell’Italia e della Repubblica Federale Tedesca al Trattato di Bruxelles modificato ed ampliato, e dall’altro il protocollo relativo all’accessione della Repubblica Federale alla NATO.

A) Il gruppo degli accordi relativi all’accessione dell’Italia e della Repubblica Federale Tedesca al Trattato di Bruxelles comprende:

1) Il Protocollo che modifica e completa il Trattato di Bruxelles. Esso va considerato congiuntamente con il:

2) Trattato di Bruxelles stesso. Con l’art. 1 del protocollo, infatti, l’Italia accede a detto Trattato, con le modifiche ed aggiunte previste dal protocollo stesso e dagli altri protocolli pisotto elencati.

Il Trattato di Bruxelles, quale modificato dal protocollo, prevede tra le Parti Contraenti una stretta coordinazione delle attività economiche (art. 1), una cooperazione e collaborazione nel campo sociale (art. 2) e nel settore culturale (art. 3); stabilisce che la nuova organizzazione opererà in stretta cooperazione con la NATO (nuovo art. 4; vedi art. 3 del Protocollo); stabilisce che le Parti Contraenti, nel caso che una di esse fosse oggetto di aggressione armata in Europa, porteranno ad essa aiuto ed assistenza con tutti i mezzi in loro potere, militari e di altro genere (art. 5), salvo restando le procedure ed i poteri previsti dalla Carta delle Nazioni Unite (art. 6); impegnano le Parti Contraenti a non concludere alleanze e a non partecipare a coalizioni dirette contro l’una di esse (art. 7); stabilisce la creazione del «Consiglio dell’Unione Europea Occidentale» quale organo permanente direttivo della Organizzazione (art. 8; vedi art. 4 del Protocollo); dispone che tale Consiglio farà ogni anno un rapporto ad una Assemblea parlamentare composta dai rappresentanti delle 7 potenze all’Assemblea consultiva del Consiglio d’Europa (nuovo art. 9); stabilisce in principio, e salvo le riserve avanzate da ciascuno Stato, la giurisdizione obbligatoria della Corte Internazionale di Giustizia dell’Aja (art. 10). L’art. 11 prevede la possibilità di invitare altri Stati a far parte dell’Unione Europea Occidentale; l’art. 12 fissa in 50 anni (a partire dal 1948) la durata del Trattato.

3) Il protocollo n. II relativo alle forze armate della Unione Europea Occidentale.

Tale protocollo indica all’art. 1 i livelli massimi delle forze armate terrestri ed aeree che ciascuna delle Parti Contraenti potrà mettere a disposizione del Comando Atlantico in Europa in tempo di pace. Tali livelli sono: 1) per il Belgio, Francia, Germania, Italia ed Olanda quelli indicati nell’Accordo speciale CED. Si tratta, come è noto, di un Accordo segreto e destinato a rimanere tale per ragioni di sicurezza militare: le cifre ed altri dati in esso contenuti (di cui si allega un riassunto per esclusiva personale conoscenza degli Onorevoli Ministri) non potranno quindi essere comunicati al Parlamento cui dovranno essere fatti presenti, come gli altri Governi interessati hanno fatto e faranno, i motivi di sicurezza militare che rendono necessario il mantenimento del segreto; 2) per il Regno Unito di Gran Bretagna 4 divisioni e il «2° Tactical Air Force»: 3) per il Lussemburgo 1 reggimento. L’art. 1, al par. 3, precisa che questi massimi non impegnano le Parti Contraenti a mantenere forze a tale livello.

L’art. 2 rinvia alle decisioni da prendersi con la ordinaria procedura in seno al NATO la fissazione dei livelli delle forze navali.

L’art. 3 fissa il principio che ogni aumento ai massimi sovraindicati che venisse eventualmente raccomandato dal NATO non potrà venire attuato che se approvato unanimemente dalle Parti Contraenti.

L’art. 4 stabilisce che il Comandante Supremo in Europa fornirà regolarmente al Consiglio dell’Unione Europea Occidentale informazioni, assunte attraverso ispezioni, atte a porlo in grado di controllare che i suddetti massimi sono osservati dalle Parti Contraenti.

L’art. 5 rinvia ad una futura decisione del Consiglio dell’UEO la fissazione dei livelli delle forze di difesa interna e di polizia, tenendo conto delle loro funzioni e dei livelli attuali.

L’art. 6 contiene l’impegno della Gran Bretagna di mantenere in Europa 4 divisioni ed il «2° Tactical Air Force».

4) Protocollo n. III relativo al controllo degli armamenti. Tale protocollo:

- - -

Tale protocollo prevede la costituzione di un’Agenzia, dipendente dal Consiglio dell’UEO, per effettuare il controllo degli armamenti e fissa (art. 1 a 6) le linee generali della sua organizzazione interna. Indica le attribuzioni dell’Agenzia stessa (art. 7 a 12) ed i modi con cui svolgerà i suoi compiti (controlli statistici e di bilancio; ispezioni e visite a depositi, reparti e fabbriche); stabilisce la procedura attraverso cui verranno fissati i massimi livelli degli armamenti che ciascuna Parte Contraente è autorizzata a mantenere (art. 13 a 19). Stabilisce l’azione che verrà seguita qualora l’Agenzia constati inosservanza sia degli impegni di non fabbricazione sia dei livelli massimi di armamenti consentiti (art. 20 e 21). Stabilisce infine il principio che l’Agenzia dovrà anche seguire i movimenti di esportazione di armamenti effettuati dalle Parti Contraenti (art. 22) ed essere informata degli aiuti esterni che Stati Uniti e Canada forniranno alle Parti Contraenti (art. 23).

6) Scambi di lettere tra il Governo italiano e quello della Repubblica Federale, e gli altri Governi firmatari dei Protocolli di Parigi, con i quali i due Governi accettano, con le riserve che faranno conoscere, la giurisdizione obbligatoria della Corte Istituzionale [recte: Internazionale] di Giustizia dell’Aja. Tale scambio di lettere è apparso formalmente necessario in quanto né l’Italia né la Repubblica Federale sono firmatarie dello Statuto di detta Corte.

B) Il protocollo relativo all’accessione della Repubblica Federale Tedesca al Trattato Nord Atlantico prevede che, quando il protocollo stesso entrerà in vigore, la Germania verrà invitata ad aderire al Trattato Nord Atlantico (art. 1). Il protocollo entrerà in vigore (art. 2) quando a) esso sarà stato approvato da tutti gli attuali membri dell’organizzazione atlantica; b) saranno stati depositati tutti gli strumenti di ratifica dei Protocolli modificativi del Trattato di Bruxelles, pisopra indicati e c) sarà stato ratificato l’accordo per la permanenza delle truppe straniere in Germania firmato dalle tre Potenze occupanti e dalla Germania. Viene così stabilito il collegamento giuridico tra gli accordi relativi al Trattato di Bruxelles e l’ingresso della Germania nel NATO, i quali costituiscono in effetti, dal punto di vista politico, un unico complesso e pertanto vengono congiuntamente sottoposti al processo di ratifica.

C) Nelle Conferenze di Parigi sono state adottate altre tre importanti decisioni e cioè:

1) Una risoluzione in sede di Conferenza a Nove, con la quale i sette Paesi dell’Unione Europea Occidentale si impegnano a studiare il problema della produzione e standardizzazione degli armamenti, ed all’uopo decidono di riunire il 17 gennaio 1955 un apposito gruppo di lavoro con l’incarico di sottoporre proposte al Consiglio dell’UEO.

2) Una dichiarazione di associazione alla dichiarazione fatta dalle tre Potenze (Francia, Gran Bretagna e Stati Uniti) alla Conferenza di Londra, relativa ai problemi della sicurezza europea. In tale dichiarazione si riaffermano gli intenti pacifici che guidano la politica delle Potenze Occidentali e si prende atto in particolare delle assicurazioni tedesche di rinunziare all’impiego della forza per la riunificazione della Germania; e si riconosce inoltre che il Governo della Repubblica Federale è l’unico Governo tedesco legittimamente costituito e come tale autorizzato a parlare in nome della Germania.

3) Una risoluzione in sede di Consiglio Atlantico, con la quale a) viene stabilito l’obbligo delle Parti Contraenti di mettere a disposizione del Comando Atlantico tutte le loro forze armate sul continente europeo, salvo le particolari eccezioni stabilite in sede NATO; b) vengono estese le attribuzioni del Comando Atlantico per quel che riguarda la dislocazione delle forze armate messe a sua disposizione; c) vengono stabiliti alcuni principi relativi ad una maggiore integrazione delle forze armate dei vari Paesi; d) vengono accresciute le responsabilità e le attribuzioni dei Comandi atlantici in materia logistica e e) viene stabilito che i poteri ispettivi dei Comandi atlantici verranno accresciuti.

Queste tre decisioni non debbono, per la loro sostanza e per la loro forma, essere sottoposte a ratifica parlamentare. Considerato peraltro che esse completano il quadro del sistema politico cui danno vita gli accordi di Parigi, mi proporrei di farne stato nella relazione governativa che accompagnerà gli accordi stessi al Parlamento.

Allegato I

Appunto segreto.

LIVELLI PREVISTI DALL’ACCORDO SPECIALE AL TRATTATO CED

a) Forze Terrestri I livelli previsti (al termine di tre anni dall’entrata in vigore della CED) erano i seguenti:

Belgio Francia divisioni “ 5½ 18
Germania 12
Italia 16½
Olanda 5
b) Forze Aeree I livelli previsti erano i seguenti: Belgio aereiFrancia “ 531 1989
Germania 1326
Italia 8884
Olanda 376

1 DGAP, Uff. IV, Versamento CED, 1950-1954, b. 28, fasc. 100.

2 Si tratta di due appunti privi di data il secondo dei quali su carta intestata dell’Ufficio I della Direzione Generale della Cooperazione Internazionale.

3 Atti Parlamentari, Camera dei Deputati, legislatura II, Documenti-Disegni di legge e relazioni, seduta del 29 ottobre 1954.

4 Nota del documento: «Con un accordo stabilito nella Conferenza di Parigi del 21/10/954 questo livello è stato portato a 1350 aerei».

176

IL DIRETTORE GENERALE DEGLI AFFARI ECONOMICI, CORRIAS, AL MINISTRO DEGLI AFFARI ESTERI, MARTINO(1)

Appunto(2). Roma, 30 ottobre 1954.

Il 27 corrente ha avuto luogo a Lussemburgo la XIX Sessione del Consiglio Speciale di Ministri della CECA(3). L’Italia era rappresentata, come di consueto, dal Sottosegretario all’Industria Senatore Battista e dal Sottosegretario Dominedper le questioni riguardanti l’Accordo fra i sei Governi in materia di circolazione della manodopera.

Presiedeva per la prima volta il francese Ulver, Ministro dell’Industria, gollista anti-cedista, che ha sostituito Bourgès-Maunoury, dimissionario dopo il voto di Palazzo Borbone contrario alla CED.

I due essenziali problemi all’o.d.g. di questo Consiglio, particolarmente atteso perché era la prima sessione dopo gli avvenimenti della passata estate, riguardavano l’associazione dell’Inghilterra alla Comunità e la circolazione della mano d’opera nell’ambito della Comunità stessa.

Nell’aprire la discussione sul testo del progetto di accordo negoziato fra l’Alta Autorità e la Gran Bretagna, il Presidente Ulver ha immediatamente e decisamente sottolineato la impossibilità di pronunciarsi e di dare luogo ad una discussione proficua su un argomento così importante che, per materiale mancanza di tempo, non aveva potuto formare oggetto di studio da parte dei 6 Governi.

Da parte belga si è invece insistito per un esame, anche se non definitivo, del progetto: l’atteggiamento mediatore italiano e germanico ha infine prevalso nel senso che è stata riconosciuta l’utilità di invitare l’Alta Autorità a fare un commento, al fine di meglio illuminare i sei Governi, delle trattative svolte e del progetto di accordo raggiunto.

Ha preso allora la parola il membro dell’Alta Autorità e negoziatore dell’accordo Spierenburg il quale, ricordato come il raggiungimento di una associazione fra la Gran Bretagna e la Comunità sia stato fin dall’inizio della CECA un voto sia da parte inglese che da parte dei Paesi membri, ha dichiarato che dai primi contatti avuti con rappresentanti della Gran Bretagna era apparsa chiara l’impossibilità di raggiungere un accordo sulla base delle istruzioni a suo tempo ricevute dal Consiglio dei Ministri che prevedevano da una parte e dall’altra precisi impegni e relative contropartite. È per questo – ha aggiunto Spierenburg – che i negoziatori dell’Alta Autorità hanno ritenuto opportuno aderire al tradizionale metodo inglese e stipulare un progetto di accordo che, mentre non contiene specifici impegni, permette, nell’atmosfera che esso crea e attraverso le continue consultazioni del Consiglio di associazione, di stabilire, gradualmente e con metodo empirico, sempre pistretti vincoli fra la Comunità e la Gran Bretagna.

A questa esposizione di Spierenburg è seguita una interrogazione del lussemburghese Rasquin che desiderava conoscere il carattere e gli scopi della missione diplomatica che l’Alta Autorità, in base all’accordo, istituirebbe a Londra. La domanda di Rasquin mirava a precisare come il progressivo sviluppo sul terreno pratico dei rapporti fra la Comunità e la Gran Bretagna potesse conciliarsi con il mandato che, in base al par. 14 della Convenzione, il Consiglio dei Ministri deve dare all’Alta Autorità per le negoziazioni con i Paesi terzi.

La domanda non ha avuto risposta: è stata ritirata dallo stesso Rasquin su invito del Presidente Ulver che ha osservato aver un carattere di fondo, e non semplicemente informativo come era inteso dovesse per il momento mantenersi la discussione.

Nel richiedere quando i Governi sarebbero stati pronti ad un esame di merito del progetto di accordo, il Presidente dell’Alta Autorità Monnet ha sottolineato il desiderio inglese di poter concludere le trattative prima del 29 novembre, data di apertura della Sessione dell’Assemblea Comune. Rimane da stabilire di chi sia effettivamente questo desiderio: è chiaro come nell’attuale situazione di incertezze sull’avvenire della Comunità, presentarsi all’Assemblea con la conclusione dell’associazione con la Gran Bretagna e la firma dell’accordo per la circolazione della mano d’opera, sarebbe un successo di cui Monnet ha particolarmente bisogno.

Comunque è stato deciso che il 12 novembre a Lussemburgo, in sede di Commissione di Coordinamento, i rappresentanti dei sei Governi presenteranno le loro osservazioni e inizieranno la discussione sul progetto sottoposto all’Alta Autorità. Tale discussione sarà ripresa e conclusa a livello Ministri alla prossima Sessione del Consiglio che è stata fissata per il 22 novembre, onde dar tempo nella settimana dal 22 al 29 di procedere all’eventuale conclusione dell’Accordo con il Governo inglese.

Un netto successo è stato ottenuto nel campo della circolazione della mano d’opera, dove è stato raggiunto l’accordo intergovernativo per l’applicazione dell’art. 69 del Trattato. Su questo argomento di particolare competenza della Dir. Gen. Emigrazione riferirà direttamente a Vostra Eccellenza il Sottosegretario Domined(4) che rappresentava l’Italia al Consiglio dei Ministri ed ha sempre diretto le trattative ieri concluse.

In tutte le discussioni che si sono svolte in questa Sessione si è sentita l’atmosfera di incertezza che pesa oggi sulla CECA, e il problema eminentemente politico che la sovrasta.

La Comunità deve ritenersi ridotta ad una unione puramente economica di un settore produttivo dei 6 Paesi; o, nella mutata situazione internazionale, conserva un aspetto e una missione politica?

Il 27 corrente a Lussemburgo non è stata data una risposta a questa domanda che era nell’aria. Si è risentita invece l’impressione degli accordi economici franco-tedeschi conclusi a Parigi. Da parte dei Paesi minori, sia pure con un notevole scetticismo circa la possibilità di una stretta e profonda intesa fra le due sponde del Reno, si è accusato il timore che i grossi gruppi industriali dei due Paesi possano andare al di là delle stesse intenzioni dei politici e giungere ad una forma di dittatura franco-tedesca dell’economia europea.

Qualche accenno è anche stato fatto all’eventuale trasferimento della Comunità nella Sarre: si è delineata una tenace opposizione da parte dei Paesi che vedrebbero in questo trasferimento – in sé stesso ingiustificato oggi che pinon vi è il motivo della Comunità Politica Europea – una affermazione delle preponderanze franco-tedesche.

Si puinfine osservare che l’atteggiamento del Presidente Ulver, anche se in apparenza bonario e formalmente comunitario, lascia pochi dubbi su come oggi in Francia viene considerato il futuro della CECA.

1 Gabinetto, 1943-1958, b. 132, pos. A/68 CECA. 2 Sottoscrizione autografa. 3 Processo verbale in ASUE, CM1, 845. 4 L. del 6 novembre, non pubblicata (Gabinetto, 1943-1958, b. 132, pos. A/68 CECA).

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IL DIRETTORE GENERALE DEGLI AFFARI ECONOMICI, CORRIAS, AL MINISTRO DEGLI AFFARI ESTERI, MARTINO(1)

Appunto. Roma, 30 ottobre 1954.

Con Appunto in data odierna che qui unisco ho avuto l’onore di riferire a V.E. sulla XIX Sessione del Consiglio di Ministri della Comunità Europea Carbone Acciaio(2) nella quale è stato abbordato il progetto di associazione fra la CECA e la Gran Bretagna.

Al riguardo di tale problema mi permetto attirare l’attenzione dell’E.V. su alcuni aspetti che tale associazione presenta, oltre ai rilievi di carattere formale sollevati non appena il progetto ci è stato rimesso da Lussemburgo.

Una associazione come quella prospettata dal progetto di accordo viene a porre su un piano di parità da una parte il Governo inglese dall’altra il Governo ‒se così si potesse definire ‒della Comunità, ossia l’Alta Autorità. Ne deriva di conseguenza una posizione di inferiorità da parte dei sei Governi dei Paesi membri il cui peso nelle varie questioni da trattare con la Gran Bretagna in seno all’associazione è ridotto a 1/12 rispetto al mezzo rappresentato dal Governo inglese.

Tale questione di principio, che è insita del resto nello spirito comunitario, si presenta in modo evidente in un Accordo di Associazione cui sarebbe destinato, secondo quanto ha precisato l’Alta Autorità, un graduale sviluppo pratico conforme al tradizionale metodo empirico gradito agli inglesi.

Se infatti l’accordo con la Gran Bretagna, o in generale con un Paese terzo comportasse precisi impegni da una parte e dall’altra, sorgerebbero, sia pure attraverso il canale comunitario, dei rapporti che in pratica si risolvono fra i vari Stati. Ma il carattere associativo e consultivo del progetto in esame fa sì che in questi contatti con la Gran Bretagna i Governi dei Paesi membri vengono a rinunciare ad una loro posizione di parità.

Mi risulta, da contatti avuti a Lussemburgo, che su questa obbiezione di principio si baserà un’azione francese contraria alla conclusione dell’accordo.

Il problema, per quanto riguarda in particolare l’Italia, si pone anche da un altro punto di vista. L’Italia infatti rappresenta nella Comunità l’unico Paese consumatore e non esportatore di carbone e di acciaio. Ne consegue che nei rapporti Comunità-Gran Bretagna l’economia italiana non è interessata alle facilitazioni che da parte inglese potranno essere concesse alle esportazioni dalla Comunità di questi due prodotti, mentre attraverso le concessioni che saranno fatte dalla Comunità l’Italia viene a favorire le importazioni inglesi senza poter avere quelle contropartite che sarebbero negoziabili su un piano bilaterale.

Tale considerazione ha rilievo per il periodo transitorio durante il quale, come è noto, è riconosciuto all’Italia di poter mantenere una protezione doganale anche all’interno della Comunità: praticamente si elimina dopo il 10 febbraio 1958 con l’armonizzazione della cintura doganale della Comunità verso i Paesi terzi prevista dal Trattato. In questa situazione infatti il carbone e l’acciaio di provenienza inglese sarebbe in grado di superare qualsiasi ostacolo doganale o di contingentamento sul piano bilaterale entrando in Italia attraverso gli altri Paesi della Comunità.

Il sistema illustrato dall’Alta Autorità di una associazione, si potrebbe dire, di principio senza precisi impegni reciproci e che dovrebbe concretarsi gradualmente secondo un metodo empirico, pone senza dubbio il problema delle istruzioni che il Consiglio di Ministri è tenuto a dare in base al Trattato all’Alta Autorità per le trattative con i Paesi terzi. Infatti, con la procedura proposta dall’Alta Autorità il Consiglio si trova nella situazione di dover fissare delle istruzioni di massima e a lunga scadenza ma di non poter discutere caso per caso i progressi fatti dalla associazione, né, per esempio, l’attività quotidianamente svolta dalla Rappresentanza diplomatica dell’Alta Autorità a Londra.

Un altro aspetto che presenta il progetto di accordo è dovuto al fatto che, in base all’ordinamento del Governo inglese, sono chiamati a far parte del Consiglio di Associazione su quattro membri britannici un rappresentante del National Coal Board ed un rappresentante dell’Iron and Steel Board.

È innegabile che una simile composizione del Consiglio di Associazione, unita alla situazione che presenta la Germania in questi due settori industriali ed alla diminuita influenza politica dell’Alta Autorità, porta a vedere nella Comunità così associata all’Inghilterra il formarsi di un cartello dei produttori del carbone e dell’acciaio. Cartello al quale da parte italiana non si puche opporsi, sia perché contrario allo spirito nel quale è nato il Trattato, sia perché evidentemente contrario agli interessi del nostro Paese eminentemente consumatore.

Da queste poche osservazioni risulta come il progetto di accordo con la Gran Bretagna, sottoposto all’esame dei sei Governi, ha la paradossale caratteristica di non contenere, è vero, alcun impegno, ma di comportare una impostazione politica che appare indubbiamente sfavorevole nei riguardi di ciascun membro della Comunità. Non si puignorare d’altra parte che legami della Comunità con la Gran Bretagna e l’armonizzazione della Comunità con l’UEO sono esigenze politiche di cui mi pare superfluo sottolineare la importanza.

Il problema in definitiva si pone quindi in termini squisitamente politici. Nel quadro dello spirito comunitario che faceva della CECA una tappa, che la considerava la prima realizzazione dell’integrazione europea, le difficoltà enumerate trovavano la loro naturale soluzione: ed una soluzione trovava anche il particolare problema italiano su esposto in quanto era previsto l’estendersi del mercato comune dal settore del carbone e dell’acciaio agli altri settori economici.

Se, per le mutate circostanze inducono ad abbandonare completamente tale principio comunitario, è innegabile che l’associazione con l’Inghilterra così come è proposta non ha ragion d’essere, sia dal punto di vista dei principi che da quello pratico.

A mio avviso non sembra ancora giunto il momento di portare alla Comunità un colpo così grave: anche prescindendo da considerazioni che possono indurre a mantenere non solo in vita ma in efficiente vitalità quella Comunità che è stata senza dubbio la piconcreta realizzazione europea, occorre tener presente che l’Italia è stata fin qui la maggior beneficiaria del Piano Schuman e che se il progressivo diminuire delle protezioni doganali riconosciuteci all’inizio non mancherà di far sorgere delle difficoltà per la nostra industria siderurgica, la diminuzione dei prezzi dell’acciaio costituisce un notevole vantaggio per l’industria trasformatrice ed in particolare per la meccanica.

Ragioni specifiche quindi, oltre a considerazioni di carattere generale, in un momento di grave incertezza su quello che potrà essere il futuro assetto economico dell’Europa, sembrano indurre, a mio avviso, alla conclusione che non sia nel nostro interesse una condanna della CECA come indiscutibilmente rappresenterebbe il rigetto del progetto di associazione con l’Inghilterra. D’altra parte non mancheranno di essere sollevate numerose e gravi difficoltà: noi stessi potremmo già fare il 12 novembre(3) a Lussemburgo non poche osservazioni, ma lo spirito che mi sembra dovrebbe ispirare la nostra azione è piuttosto quello di migliorare alcuni punti dell’accordo, che di sabotare attraverso di esso la stessa Comunità.

Sargrato a V.E. delle istruzioni che vorrà impartirmi al riguardo(4).

DGAP, Uff. I, Serie Affari Politici, 1951-1957, b. 334, fasc. Piano Schuman. Comunità Europea Carbone Acciaio.

2 Vedi D. 176.
176. 3 Il 12 novembre avrebbe avuto luogo la riunione della Commissione di coordinamento: vedi D.
4 Per il seguito: vedi D. 212.
178

COLLOQUIO DEL MINISTRO DEGLI AFFARI ESTERI, MARTINO, CON L’AMBASCIATORE DEL REGNO UNITO A ROMA, CLARKE (Roma, 1° novembre 1954, ore 18,45)1

Appunto riservato(2).

L’Ambasciatore britannico informa il Ministro di aver avuto incarico dal Primo Ministro Churchill di invitare il Presidente del Consiglio ed il Ministro Martino a recarsi in visita in Gran Bretagna verso la fine di gennaio o l’inizio di febbraio.

Il Ministro ringrazia vivamente l’Ambasciatore, anche a nome di S.E. Scelba e del Governo per l’invito che si dichiara molto lieto di accettare. Egli prega Clarke di trasmettere i ringraziamenti del Governo italiano e suoi a Sir Winston Churchill. Informerà subito il Presidente Scelba e si riserva di indicare poi all’Ambasciatore la data preferibile, che egli pensa possa aggirarsi intorno ai primi di febbraio(3).

A una domanda di Clarke circa le nostre previsioni per quanto riguarda la ratifica degli accordi di Parigi, il Ministro risponde che si spera di riuscire ad ottenere l’approvazione della Camera dei Deputati in dicembre, prima dell’inizio delle ferie natalizie. Subito dopo il termine delle ferie si sottoporranno gli accordi al Senato la cui approvazione potrebbe aver luogo entro la fine di gennaio o le prime settimane di febbraio.

Quanto all’atteggiamento dei vari partiti in Parlamento il Governo non nutre apprensioni. Il voto affermativo di una parte della destra, oltre – naturalmente – a quello dei partiti governativi, si puconsiderare acquisito; mentre d’altra parte è da ritenersi che i socialcomunisti non intendano spingere sino al sabotaggio la loro opposizione alla ratifica degli accordi.

1 DGAP, Uff. IV, Versamento CED, 1950-1954, b. 29, fasc. 101.

2 Trasmesso con Telespr. 1/3493 del 2 novembre da Milesi Ferretti alla Direzione Generale degli Affari Politici e alla Direzione Generale della Cooperazione Internazionale, e per conoscenza alla Segreteria Generale.

3 La visita avrà luogo dal 15 al 17 febbraio 1955: vedi D. 298-300.

179

IL MINISTRO DEGLI AFFARI ESTERI, MARTINO, ALL’AMBASCIATA A LONDRA(1)

T. segreto 10423/219. Roma, 2 novembre 1954, ore 18.

Suo 3462.

A noi sembra allargamento Unione Europea Occidentale non vada incoraggiato. L’accessione dei Paesi scandinavi, che allo stato attuale sembrerebbe quella eventualmente pifacile, diluirebbe, almeno in questa fase, consistenza attuale associazione e non favorirebbe auspicabili concreti sviluppi europeistici nei settori civili che ci interessano mentre accrescerebbe peso considerazioni politico-militari estranee a settore geografico che pidirettamente ci riguarda. Neppure accessione Turchia, che pure in base a sole considerazioni militari potrebbe interessarci di pi ci sembra per il momento da incoraggiare anche per lasciarci maggiore libertà di manovra nei confronti Alleanza Balcanica.

Ad ogni modo tenga presente che, ove si profilasse inevitabile accessione Paesi scandinavi, noi in linea di principio ci adopereremmo allora per allargamento Unione anche a Sud-Est.

Comunque ci pare in linea generale che tale questione in questo momento sia piuttosto atta a complicare anziché facilitare processi ratifica. In conclusione riteniamo opportuno che prima di ogni altra decisione Consiglio UEO inizi, dopo ratifica, sua attività3.

1 Telegrammi segreti originali 1954, partenza, vol. II.

2 Vedi D. 174.

3 Brosio rispose con T. segreto 14132/354 del 3 novembre: «Il punto di vista di V.E. corrisponde, sia pure per motivi diversi, con quello espressomi da questo Governo, e di cui ho riferito con rapporto n. 2372 di ieri» (DGAP, Uff. IV, Versamento CED, 1950-1954, b. 29, fasc. 101), a proposito del quale vedi D. 182.

180

IL DIRETTORE GENERALE DELLA COOPERAZIONE INTERNAZIONALE, MAGISTRATI, AL MINISTRO DEGLI AFFARI ESTERI, MARTINO(1)

Appunto riservato 20/27042. Roma, 2 novembre 1954.

Oggetto: Conversazione italo-francese.

A norma dell’istruzione impartita da Vostra Eccellenza, ha avuto luogo ieri, sotto la presidenza di S.E. il Segretario Generale, una prima riunione, con la partecipazione del nostro Ambasciatore in Parigi, in merito alla preparazione dell’incontro italo-francese, previsto per la seconda decade del prossimo dicembre.

In tale riunione sono già stati messi in luce alcuni punti, tanto di politica generale, quanto concernenti specifici problemi e questioni esistenti tra i due Paesi. Altra riunione è prevista per il pomeriggio di sabato prossimo, 6 corrente(3).

Qui appresso si indicano i punti di carattere generale:

1. Formazione e funzionamento dell’Unione dell’Europa Occidentale. Mentre si è già dato inizio, in Italia, alla procedura parlamentare di urgenza per la ratifica degli Accordi di Parigi e mentre in Francia quel Governo si prepara a fare, nei prossimi giorni, altrettanto, appare opportuno prendere, innanzitutto, in considerazione l’eventualità e l’opportunità di un allargamento dell’Unione stessa a mezzo dell’adesione di altri Paesi. In proposito, e attraverso segnalazioni, tanto dell’Ambasciatore Brosio4, quanto di altri nostri Rappresentanti diplomatici, si ha l’impressione che, in primo luogo, esisterebbe una tendenza, da identificarsi con alcuni ambienti britannici, intesa a sollecitare l’ingresso, nella Unione, dei Paesi nordici e particolarmente della Norvegia. Un’altra «avance» è stata compiuta, come è noto, anche dalla Turchia.

Non si punegare che tali adesioni vanno viste con estrema prudenza, in quanto-ché esse sono destinate, in un modo o nell’altro, a modificare la primitiva fisionomia UEO, facendone sempre pi in un certo senso, un doppione della NATO, con conseguente possibile confusione di indirizzi e di attribuzioni. Un aumento, inoltre, dei Paesi partecipanti non potrebbe non rendere sempre piproblematica quella ripresa di maggiori contatti politici ed economici tra i sei Paesi dell’antica CED, contatti che, anche se oramai in un quadro associativo e non picomunitario, noi dobbiamo augurarci possano essere ripresi ed accresciuti. Naturalmente la questione è complessa e va vista con largo spirito di comprensione e sopratutto senza affrettate decisioni.

In tali condizioni ‒e anche per non compromettere già in partenza, con troppo profonde novità, il lavoro necessario per ottenere, nel pibreve tempo possibile, la ratifica parlamentare alla quale si è sopra indicato – saremmo dell’idea, in tema di conversazioni italo-francesi, di far presente l’opportunità che l’UEO, prima di nuove adesioni, possa mettersi in marcia nel quadro e con la fisionomia previsti dagli Accordi di Parigi.

2. Accordi speciali franco-tedeschi e situazione dell’Italia. Per quanto sia evidentemente prematuro vedere, nella realtà, le conseguenze e le possibili effettive applicazioni dei recenti accordi franco-tedeschi, pur tuttavia stimiamo necessario far presente, fin dal primo momento, come il nostro Paese non intenda rimanere del tutto estraneo a combinazioni di tale natura. In tal senso ci siamo già, come è noto, espressi con gli Americani, in occasione della recente visita a Roma del Direttore Generale della FOA, Stassen.

Con tale presa di posizione noi intendiamo sopratutto indicare come la ripresa dei rapporti bilaterali nell’Europa Occidentale, specie al momento dell’inizio dell’attività dell’UEO, sarebbe del tutto controproducente, anche ai fini delle non lievi ripercussioni in seno alle opinioni pubbliche.

È forse non facile giudicare fin da ora in quali forme ed in quali possibilità l’Italia possa innestarsi nel complesso delle intese franco-tedesche, specie in merito ad eventuali afflussi di capitali per lo sviluppo di iniziative produttive, particolarmente in zone europee od africane ancora atte a simili impieghi. Ma quel che occorre con i Francesi mettere in chiaro ‒ed altrettanto va fatto con i Tedeschi ‒è il principio basilare al

quale si è accennato. Opportunamente l’Ambasciatore a Parigi ha, su tale argomento, posto in rilievo

come i contatti in un quadro di interessi privati ‒e cioè a mezzo di dirette intese tra gruppi italiani, francesi e tedeschi ‒darebbero, senza dubbio, i risultati migliori, limitandosi l’azione governativa ad un appoggio indiretto.

3. Produzione integrata degli armamenti. La Francia, come è noto, ritiene che, in sostanza, una applicazione efficace di taluni dei principi dell’antica CED, ai fini dell’integrazione europea, sarebbe la disciplina «alla base» della produzione degli armamenti con la creazione, cioè, di un sistema per il quale non sarebbe pipossibile che un singolo Paese provvedesse, nel quadro puramente nazionale, alla produzione di tale natura. Il Presidente del Consiglio Mendès-France ha fatto di tale idea una delle sue principali tesi ed ha sempre sostenuto l’opportunità di dare, senz’altro e senza indugio, inizio agli studi destinati a permetterne la traduzione in realtà: insistenza che ha poi portato alla fissazione della data del 17 gennaio p.v. di una speciale Conferenza a Parigi.

Da parte nostra abbiamo dato, pur con le necessarie riserve, un notevole appoggio alla proposta francese, e si puanzi dire che è stato proprio grazie alla nostra azione, alla Conferenza di Parigi, che le ripetute opposizioni dei Paesi del Benelux, e specialmente dell’Olanda, sono state sorpassate.

I Francesi conoscono tutto questo e, quindi, nel corso delle conversazioni italo-francesi sarà bene cominciare ad approfondire con quali idee, in senso maggiormente preciso, essi si dispongano a prendere parte alla Conferenza del 17 gennaio. Per conto nostro, nelle prossime settimane, dovremo compiere gli opportuni sondaggi con le amministrazioni competenti per conoscere con esattezza i nostri desideri, le nostre possibilità ed i limiti della nostra azione, in modo da presentare anche noi ai Francesi idee eventualmente concrete(5).

1 Gabinetto, 1943-1958, b. 67, pos. A1/Francia.

2 Sottoscrizione autografa. Indirizzato, per conoscenza, al Segretario Generale, al Direttore Generale degli Affari Politici e al Direttore Generale degli Affari Economici. Il documento reca il timbro: «Visto dal Ministro».

3 Non rinvenuta documentazione sulla riunione prevista per il 6 novembre.

4 Vedi DD. 174 e 179.

5 Per il seguito vedi D. 185.

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L’AMBASCIATORE A L’AJA, BENZONI, AL MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI(1)

Telespr. 2518/13922. L’Aja, 2 novembre 1954.

Oggetto: Olanda e Accordi di Parigi.

La soddisfazione manifestata dal Presidente Drees (vedi rapporto n. 2472/1309 del 26/10)3 sui risultati di Parigi è da ritenersi largamente condivisa in questi circoli governativi e tanto maggiore quanto maggiori furono nel periodo tra la Conferenza di Londra e quella di Parigi le persistenti apprensioni circa l’atteggiamento francese. Le nuove diverse prospettive politico-militari ora apertesi accontentano inoltre quei membri del Governo e non sono pochi né tra i meno influenti, in quanto tra essi vi è il Presidente e il Vicepresidente del Consiglio nonché lo stesso Ministro della Guerra, i quali si piegarono ad accettare la CED unicamente per le virtualità di pilarga integrazione europea in essa riposte ma non certamente per la sua prevedibile efficacia tecnico-militare e neppure, in ultima analisi, come sicura garanzia contro il «militarismo» germanico. Quanto all’opinione dei circoli politici sembra, con qualche approssimazione, che la nostalgia per la CED e la sfiducia suscitata dal momento di arresto nel processo di integrazione europea siano pisentite tra i dirigenti del Partito cattolico che non tra quelli del Partito laburista; differenziazione che si riflette anche nei commenti della stampa dei due Partiti.

Nel quadro degli accordi parigini restano, a quanto mi consta, nell’opinione di questo Ministero Esteri alcuni punti oscuri: il compromesso per la Saar, ritenuta una ingegnosa «combinazione» dell’ultima ora atta, semmai, a provocare qualche successiva combinazione economico-finanziaria franco-tedesca, non certo a stabilizzare su un piano di normalità europea i rapporti tra i due Paesi; il pool degli armamenti, carta che Mendès-France probabilmente non ha rinunciato a giocare; e l’intesa economica franco-tedesca il timore della cui realizzazione si equilibra con lo scetticismo circa la pratica possibilità della realizzazione stessa.

Permane, per quanto attenuata dopo Parigi, la diffidenza per Mendès-France; se sia l’antipatia per l’uomo a generare la diffidenza o la diffidenza a generare l’antipatia è difficile accertare. Non sembra comunque che tale diffidenza arrivi al punto di sospettare che egli possa assumere nei riguardi della Russia serie autonome iniziative.

La realtà stessa delle cose rende scettici al riguardo. Ad aperture dell’Occidente con la Russia, dopo beninteso l’entrata in vigore degli accordi di Parigi ma a data non troppo remota, questo Paese a quanto ho creduto comprendere presso il Ministero degli Esteri, non sarebbe contrario, per quello che l’atteggiamento olandese pupesare in siffatta materia.

1 DGAP, Uff. IV, Versamento CED, 1950-1954, b. 29, fasc. 101.

2 Sottoscrizione autografa. Il documento reca il timbro: «Visto dal Segretario Generale» con la sigla di Zoppi.

3 Non pubblicato.

182

L’AMBASCIATORE A LONDRA, BROSIO, AL MINISTRO DEGLI AFFARI ESTERI, MARTINO(1)

R. riservato 4611/23722. Londra, 2 novembre 1954.

Signor Ministro,

oggi ho avuto con Kirkpatrick, in una confidenziale conversazione, uno scambio di impressioni circa gli sviluppi della Unione dell’Europa Occidentale.

Ho preso lo spunto dall’accluso(3) interessante trafiletto del «Foreign Report» dell’«Economist» (n. 401) circa l’opposizione britannica all’ingresso della Norvegia e della Turchia e circa una certa differenza di tendenze qui a Londra fra «atlantici» ed «europeisti». Kirkpatrick non mi ha nascosto di essere contrario all’ulteriore estensione del Patto di Bruxelles, almeno in questa sede, sia per ragioni politiche sia per ragioni funzionali. Dal punto di vista politico, egli non si nascondeva il pericolo di un allargamento che avrebbe finito per includere tutte le nazioni europee, lasciando ai margini gli Stati Uniti e il Canada. Di ci secondo il mio interlocutore, i norvegesi si erano subito resi conto, ma non così facile gli sembrava prevenire le richieste della Turchia.

Dal punto di vista funzionale, le riunioni del Patto di Bruxelles erano sempre state assai amichevoli e «informal», e quindi molto proficue. Era già assai difficile mantenere la medesima atmosfera dopo l’inclusione della Germania e dell’Italia e l’eventuale partecipazione di osservatori americani canadesi.

Appunto per questo Kirkpatrick era dell’idea che non convenisse ammettere tali osservatori a tutte le sedute, ma soltanto ammetterli, sia pure con molta larghezza, ogni qualvolta vi fossero argomenti di loro particolare interesse. Un allargamento maggiore avrebbe reso senz’altro impossibile un funzionamento agile e spedito del Consiglio.

Quanto alla contrapposizione fra «atlantici» ed «europeisti», Kirkpatrick fu naturalmente molto guardingo. Ma non mi smentì la sostanziale esattezza dell’informazione. Si limit a dirmi che, semmai, egli sarebbe stato da classificare fra gli atlantici, perché riteneva sommamente pericoloso sviluppare prematuramente ed affrettatamente l’Unione dell’Europa Occidentale in un organismo confederativo del tutto staccato dal NATO e dagli Stati Uniti.

In sostanza, lo scambio di idee con Kirkpatrick ha confermato la linea di condotta britannica in questo vitale argomento. Gli inglesi hanno ripreso il «leadership» politico in Europa e intendono mantenerlo. Essi vogliono cautamente svincolarsi da una eccessiva interferenza americana e conservare una certa libertà di movimento per potere anche, in un certo senso, influenzare le iniziative di Washington. Nello stesso tempo peressi continuano a considerare una intima collaborazione degli Stati Uniti con l’Europa, attraverso il NATO, come essenziale e vitale. Nulla essi intendono fare che possa compromettere tale cooperazione. Essi si rendono conto che di fronte al blocco cino-sovietico non vi è equilibrio possibile che non sia integrato dagli Stati Uniti. Nello stesso tempo peressi non vogliono chiudere le vie a un possibile sviluppo dell’Unione Occidentale Europea, da alleanza a possibile confederazione (mai federazione) sotto la loro guida. Ritengono tuttavia che tale sviluppo dovrebbe essere lento e naturale per poter essere veramente fruttuoso. A meno che ‒mi diceva Kirkpatrick ‒una nuova crisi di paura non acceleri i tempi di questa Unione; giacché federazioni o confederazioni ben difficilmente sono costituite con la calma e con la ragione, ma possono essere imposte con la forza o suggerite da quel timore, che istintivamente riunisce gli animali come gli uomini in un tentativo di difesa.

Gradisca, Signor Ministro, gli atti del mio devoto ossequio.

[Manlio Brosio]

1 DGAP, Uff. IV, Versamento CED, 1950-1954, b. 29, fasc. 101. 2 Il documento reca il timbro: «Visto dal Ministro» e la sigla di Zoppi. 3 Nato - More or Less?, in «The Economist», 28 ottobre 1954, non pubblicato.

183

IL MINISTRO A LUSSEMBURGO, CAVALLETTI, AL MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI(1)

Telespr. 007163/1059. Lussemburgo, 5 novembre 1954.

Oggetto: Trasferimento della Sede della CECA.

Col telegramma n. 520 ho avuto l’onore di informare V.E. delle prime reazioni del Governo lussemburghese all’eventuale trasferimento della sede della CECA dal Lussemburgo alla Saar. In seguito il Primo Ministro Bech ha preso ufficialmente posizione contro il trasferimento e, in una ulteriore conversazione con me, ha aggiunto di aver ricevuto assicurazioni di appoggio dai Ministri Spaak e Beyen, e di aver saputo da von Brentano che da parte tedesca non si insisterà affatto nella richiesta di trasferimento.

Bech non mi ha fatto domande sull’atteggiamento del Governo italiano, ha solo discretamente accennato alla speranza di avere il nostro appoggio. Per parte mia, ignorando il pensiero di V.E., mi sono astenuto da qualsiasi reazione.

Tuttavia mi sarebbe gradito avere possibilmente qualche norma di linguaggio in proposito, essendo probabile che Bech torni con me nuovamente sulla questione, e a tale proposito mi permetto di sottoporre a V.E. i seguenti elementi di giudizio.

Il trasferimento della CECA nella Saar non sarebbe, a mio avviso, un fattore favorevole agli interessi e allo sviluppo della Comunità carbo-siderurgica. Il Lussemburgo è un paese per così dire neutro ‒esso non possiede nemmeno una lingua, perché il dialetto locale non puconsiderarsi tale – e quindi è qui possibile mantenere alle istituzioni della Comunità il carattere veramente europeo. Lo stesso non pudirsi della Saar: in un paese tedesco ove il 100% della popolazione parla tedesco, ove vive una grossa massa operaia, la Comunità non potrebbe non subire una influenza locale, solo in parte contrastata da quella francese. Vi sarebbe quindi effettivamente, il pericolo che la CECA diventi «un affare franco-tedesco».

La sistemazione, che ebbero in animo i sei Governi nel 1952, era ben differente: nella Saar, divenuta veramente un distretto federale europeo, avrebbero dovuto trasferirsi tutte le istituzioni europee. E fu appunto in omaggio al principio della concentrazione di tutte le istituzioni europee in una sola località, che il Governo italiano abbandonla tesi, fino a quel momento sostenuta, seconda la quale una delle istituzioni della Comunità doveva avere la sua sede in Italia (l’Assemblea a Torino). Tutto ciora non è piattuale e l’installazione della CECA nella Saar aumenterebbe il suo isolamento e aggraverebbe le minacce che pesano su di essa.

Dal punto di vista strettamente italiano lo spostamento a Saarbrken non avrebbe che inconvenienti: peggiorerebbe le difficoltà di comunicazioni, che già si sono fatte sfavorevolmente sentire a Lussemburgo, risorgerebbero problemi di collegamenti e di uffici, qui oramai risolti. Inoltre la inevitabile prevalenza della lingua tedesca metterebbe i nostri funzionari presso la CECA, la gran maggioranza dei quali ignora il tedesco, in serie difficoltà, mentre i disagi della sede potrebbero convincere qualcuno a lasciare l’impiego, diminuendo così il nostro personale che è come i fatti hanno dimostrato, di difficilissimo reclutamento.

Per quanto riguarda il Lussemburgo l’allontanamento della CECA porterebbe certamente un colpo all’economia di questo piccolo paese, che si è oramai adeguata alle nuove esigenze. Esso causerebbe sopratutto un’allarmante sovrabbondanza di alloggi e una crisi immediata nell’edilizia, di cui i primi a risentire sarebbero i lavoratori italiani di tale settore, che costituiscono la quasi totalità della mano d’opera ivi impiegata.

Tali ripercussioni metterebbero in gioco la posizione personale del Ministro Bech, che a suo tempo si fece sostenitore della installazione della CECA a Lussemburgo e che ora apparirebbe aver agito alla leggera e essere responsabile del rovesciamento della situazione.

Pertanto un nostro atteggiamento in favore del mantenimento della CECA al Lussemburgo sarebbe qui apprezzatissimo e costituirebbe anche un cortese gesto per contraccambiare quanto il Lussemburgo fa per i nostri emigranti (13.000 fra residenti e stagionali), particolarmente opportuno in questo momento in cui entra in vigore una nuova convenzione assicurativa assai vantaggiosa per i nostri operai e totalmente a carico del Lussemburgo.

Mi rendo conto che gli argomenti soprariferiti per la conservazione della CECA in questo paese sarebbero argomenti minori, se il trasferimento della CECA fosse indispensabile alla realizzazione di accordi di portata storica, come quelli sulla Saar. Tuttavia non mi sembra sicuro che il trasferimento della CECA sia una condizione «sine qua non» o comunque una condizione importante per il regolamento della Saar.

Infine per quel che riguarda l’atteggiamento del Belgio e dei Paesi Bassi nella questione, riterrei che in massima Bech mi abbia detto il vero, ma non potrei del tutto escludere che ci potesse anche essere la sorpresa di vedere ripresentata la vecchia candidatura di Liegi per l’Alta Autorità e dell’Aja per la Corte di Giustizia, rimettendo così tutto il problema in discussione.

Concludendo mi permetterei di consigliare di prendere tendenzialmente un atteggiamento contrario al trasferimento della CECA nella Saar, stabilendo peruna consultazione preliminare con i Governi belga e olandese per appurare le loro reali intenzioni e ricercare possibilmente, con essi, una linea di condotta comune.

V.E. sa che, nel passato e particolarmente nel corso del lavori per la CED, ho sempre caldeggiato una nostra collaborazione col Benelux: la questione della sede della CECA come anche quella relativa agli eventuali emendamenti chiesti dalla Francia e dalla Germaniaal Trattato carbo-siderurgico ‒su cui ho riferito a parte ‒mi sembrano rientrare in quel quadro più vasto, in cui ‒di fronte al delinearsi di un «tête-a-tête» franco-tedesco ‒una intesa con il Benelux sarebbe particolarmente auspicabile.

1 DGAP, Uff. I, Serie Affari Politici, 1951-1957, b. 334, fasc. Piano Schuman. Comunità Europea Carbone Acciaio.

184

L’AMBASCIATORE A BRUXELLES, GRAZZI, AL MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI(1)

T. segreto 14354/205. Bruxelles, 8 novembre 1954, ore 14,58 (perv. ore 18).

Come riferii verbalmente il Governo olandese aveva indotto quello belga a fare passi comuni a Parigi per chiedere circa intese franco-tedesche ed eventualmente inserirsi nel negoziato. Oggi il Governo belga ha pubblicato una dichiarazione affermando che il negoziato franco-tedesco non pufare astrazione dalla formazione europea a 7 e che percila partecipazione del Benelux al negoziato è indispensabile.

Ciconferma quanto accennai a V.E. e cioè che, qualora Ella decidesse di tentare approcci diretti con la Francia (o eventualmente con la Germania), occorrerebbe agire d’urgenza allo scopo di non essere sorpassati dal Benelux(2).

1 Telegrammi segreti originali 1954, arrivo, vol. I. 2 Per la risposta vedi D. 188.

185

LA DIREZIONE GENERALE DEGLI AFFARI POLITICI, UFFICIO I(1) Appunto. Roma, 8 novembre 1954.

COOPERAZIONE ECONOMICA ITALO-FRANCESE

La politica di Mendès verte principalmente sulla ricostruzione economica del Paese; Mendès e i suoi collaboratori sono orientati verso la collaborazione economica con l’Italia anche per una ragione politica: il timore di trovarsi tȇte-à-tȇte con la Germania invece che avere l’appoggio anche di un altro paese.

Secondo Quaroni, a Mendès sarebbe stato detto da ambienti francesi autorevoli che la cooperazione franco-tedesca pufarsi «solo con il concorso italiano».

2. [sic] Unione doganale Una unione non potrebbe essere oggi che una Unione Economica (v. appunto

A.E.)2.

I pareri al riguardo sono discordi.

È comunque opportuno ricordare che l’Unione Doganale naufragquando la Ger

mania non esisteva. Oggi la Francia deve tener conto dell’avvenuto mutamento internazionale (v. sopra).

- - - -

6. Per quanto riguarda le modalità viene suggerito:

- -

c) che, nel caso delle nostre esportazioni, si agisca tramite il Sindacato

di iniziative per le esportazioni (Mediobanca ‒EFI-Ente Finanziario Industriali

‒IMI).

7. A proposito di capitali ci si domanda se sia possibile attrarre capitali francesi.

A prescindere dal fatto che «investire su mano d’opera italiana è pesante», una pregiudiziale è quella di rispondere all’interrogativo posto da Quaroni e da Grazzi: quale è la nostra politica in materia di investimenti stranieri? C’è una nuova legge e a che punto sta?

8. Si è subito pensato che un nostro inserimento nei piani di collaborazione economica franco-tedesca fosse desiderabile. È troppo presto per avere delle idee concrete, in quanto non sappiamo in che cosa tale cooperazione possa consistere.

Si consigliano diretti contatti con i belgi che, di fronte all’accennato piano di Mendès-France, dimostrano perplessità analoghe alle nostre.

- -

1 DGAP, Uff. I, Serie Affari Politici, 1951-1957, b. 387, pos. 2000. 2 Si fa presumibilmente riferimento all’Appunto del 25 settembre: vedi D. 117. 3 Per il seguito vedi D. 189.

186

LA DIREZIONE GENERALE DEGLI AFFARI POLITICI, UFFICIO I(1)

Appunto. Roma, 8 novembre 1954.

UNIONE EUROPEA OCCIDENTALE

Nel corso della prima riunione dell’IWG (Gruppo di lavoro interinale)2, cui hanno partecipato delegati delle Sette Potenze e funzionari del Segretariato Generale (organo del «vecchio» Trattato di Bruxelles), è stato effettuato un rapido giro d’orizzonte, e si è delineata qualche prima tendenza, in merito ai problemi che vanno affrontati per costruire e mettere in moto la Unione Europea Occidentale.

In proposito, va osservato quanto segue: Per quanto concerne la composizione del gruppo di lavoro:

- - - -

Per quanto concerne le questioni che debbono essere sottoposte ad esame:

- secondo un elenco provvisorio presentato dalla Delegazione francese, le que

stioni da esaminare vanno divise in: A - questioni relative all’organizzazione permanente dell’UEO.

1. Struttura permanente del Consiglio.

- - - - - - - - - - -

13. Nomina del Commissario della Sarre (v. Accordo sullo statuto della Sarre, art. II).

A questa lista va aggiunta, su proposta inglese, la questione dell’opportunità di concertare un atteggiamento da tenere, durante il periodo interinale, in merito ad eventuali «aperture» da parte di altre Potenze desiderose di aderire all’UEO.

- È stato deciso di affidare ad una Sottocommissione dei Sostituti la compilazione di una lista precisa dei problemi da studiare e del questionario comune che ogni delegazione del Gruppo di lavoro dovrà poi far pervenire al proprio Governo. La Sottocommissione indicherà anche la precedenza da accordare ai suddetti problemi, nonché i metodi di lavoro.

-È stato da ultimo deciso di non distribuire alcun comunicato ufficiale alla stampa, in merito a quanto discusso(3).

1 DGAP, Uff. IV, Versamento CED, 1950-1954, b. 29, fasc. 101. 2 La prima riunione si tenne a Londra il 28 ottobre: vedi D. 174. 3 Per il seguito vedi D. 193.

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L’AMBASCIATORE AD ANKARA, PIETROMARCHI, AL MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI(1)

Telespr. 2063/981. Ankara, 8 novembre 1954.

Oggetto: Conversazione con Kr Italia e alleanza balcanica.

Giovedì, 4 corrente, sono stato ricevuto dal Ministro degli Esteri. Era la prima volta che lo rivedevo dopo i suoi viaggi a Bonn e a Parigi. Gli ho chiesto come considerasse lo sviluppo della situazione a seguito del regolamento di Trieste e in particolare come si presentasse la questione del collegamento tra alleanza balcanica e fronte occidentale.

Krmi ha risposto che a seguito degli accordi di Parigi era intervenuto un nuovo fattore di particolare importanza: la partecipazione della Germania alla difesa occidentale. «Adesso – mi ha detto il Ministro – è possibile difendere l’Europa». E poiché la presenza dell’Inghilterra dà all’Unione Europea di Bruxelles una ben maggiore garanzia che la CED, la Turchia intende farne parte, come il Presidente Menderes ha dichiarato nell’incontro di Bonn.

Krmi ha precisato che la Turchia desidera evitare che si costituiscano in seno al NATO due categorie di membri europei con diversità di diritti; sopratutto il Governo turco è d’avviso che l’Unione di Bruxelles è destinata a sviluppare il processo di integrazione europea, al quale la Turchia, non solo non vuol rimanere estranea, bensì attivamente partecipare.

La Jugoslavia, ha continuato Kr è anch’essa disposta a partecipare all’Unione Europea. Naturalmente questa partecipazione avrà luogo quando sarà costituita l’Unione e sarà possibile aderirvi. Il Ministro non mi ha fatto cenno della Grecia, ma era sottinteso nel suo discorso che tutti e tre i membri dell’Alleanza Balcanica desideravano far parte dell’Unione Europea. Kr insomma, ha sottolineato che si tratta di un orientamento verso una meta non immediata. «Prima di tutto – mi ha dichiarato il Ministro – converrebbe che voi entraste nel Patto Balcanico».

– È sempre questo il vostro punto di vista? – gli ho chiesto.

– Sì – mi ha risposto. Lo è sempre stato e lo è tuttora. Voi sapete che abbiamo sempre lasciato aperta la porta alla vostra adesione.

Il «modus vivendi» considerato da Krcomprenderebbe, a quanto egli ha tenuto a precisarmi, tre tappe:

a) adesione dell’Italia all’alleanza balcanica;

b) adesione della Grecia, della Jugoslavia e della Turchia all’Unione Europea di Bruxelles;

c) adesione della Jugoslavia al NATO.

Su quest’ultimo punto Krha tenuto a precisarmi il suo pensiero. «Non vi lasciate indurre in errore dalle dichiarazioni di Tito contrarie alla partecipazione al NATO. Esse non sono che degli accorgimenti tattici per non urtare l’opinione pubblica interna ch’egli intende guadagnare gradualmente al principio della collaborazione con l’Occidente. Molti passi sono stati fatti verso quella meta, nonostante le posizioni inizialmente presa dalla Jugoslavia». Krmi ha ripetuto di avere piena fiducia nel «realismo» e nella «souplesse» di Tito e di Kardelj, coi quali ci consiglia di intenderci direttamente. Mi sono limitato ad ascoltare «ad referendum». Ho solo osservato che la Jugoslavia, con l’orientarsi verso la normalizzazione dei suoi rapporti con la Russia e nell’assecondare la politica di distensione di quest’ultima, non mi sembrava che mostrasse molta premura per iniziative che avrebbero potuto «effaroucher» l’URSS. Volevo con cisignificare, tenendo conto soprattutto di quanto mi aveva esplicitamente dichiarato l’Ambasciatore jugoslavo

Pavicević (vedi mio rapporto n. 2031/976 del 3 corrente) che forse la Jugoslavia

avrebbe rallentato il cammino procedurale precisatomi da Krnelle tre fasi surriferite. Krmi ha risposto che condivideva pienamente le mie impressioni. Era evidente che la Jugoslavia giuocava le carte della pace e non si mostrava molto sollecita per quanto riguardava un rafforzamento del fronte occidentale proprio per evitare un irrigidimento della Russia. «Cinon risponde tuttavia al nostro punto di vista – egli mi ha aggiunto». Una prova di queste disposizioni jugoslave ad assecondare le tendenze alla distensione, Krla vedeva nelle progettate visite di Tito in India e in Birmania.

Passando infine a parlarmi della Grecia, il Ministro mi ha fatto uno sfogo sulla politica megalomane di questo paese che «vive fuori della realtà e anacronisticamente vagheggia programmi nazionalistici quando il mondo evolve verso integrazioni che implicano la limitazione delle sovranità nazionali».

Mentre, cioè, nei rapporti con la Jugoslavia ho riscontrato una nota di netta fiducia, del tutto diversi sono i sentimenti della Turchia verso la Grecia.

Interessante soprattutto è il riaffermato interesse alla nostra partecipazione all’alleanza balcanica, come primo obiettivo della politica turca.

1 DGAP, Uff. V, UEO, b. 13, fasc. UEO. Accessione di altri Stati.

188

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI AFFARI ESTERI, ZOPPI, ALL’AMBASCIATA A BRUXELLES(1)

T. segreto 10662/130. Roma, 9 novembre 1954, ore 24.

Suo 2052.

Questione intese economiche franco-tedesche suscita qui grande interesse anche per riflessi su nostra opinione pubblica. Abbiamo quindi dato istruzioni a Quaroni e Babuscio Rizzo, che rientrano domani loro sedi, di esprimersi con Governi francese e tedesco nel senso che non intendiamo rimanerne estranei.

Pregasi pertanto Vostra Eccellenza continuare a seguire questione eventualmente telegrafando.

1 Telegrammi segreti originali 1954, partenza, vol. II. 2 Vedi D. 184.

189

LA DIREZIONE GENERALE DEGLI AFFARI POLITICI, UFFICIO I(1) Appunto. Roma, 11 novembre 1954.

INCONTRI ITALO-FRANCESI (Parigi, dicembre 1954)

I. Scambio di vedute sulla situazione politica ed economica internazionale. Relativamente ai rapporti rapporti est-ovest e ad un eventuale dialogo coi sovietici, vi sono tre tendenze:

- - - -

Conviene all’Italia appoggiare la tendenza c). Ma questo nostro appoggio dovrebbe non apparire un’adesione pura e semplice ad una tendenza altrui, ma conseguenza di un nostro apprezzamento della politica sovietica. In altre parole, dovremmo anche spiegare il perché appoggiamo la tendenza c). Quaroni consiglia di sostenere che la coesistenza è, in sostanza, una tregua non scritta, basata sull’equilibrio delle forze piche sull’utopistico ideale della pace organizzata.

È comunque nostra intenzione che si debba, eventualmente, localizzare ogni conflitto, ma non acutizzarlo.

II. Commercio est-ovest. Sarebbe utile conoscere le idee francesi anche in considerazione di quanto noi avremmo da proporre loro, nel quadro di una pistretta cooperazione economica, specie in alcuni paesi del sud-est asiatico.

Da un punto di vista generale non si dovrebbe lasciare ai sovietici la possibilità di fare del bluff, di sbandierare cioè l’offerta di maggiori traffici, quando è nostra convinzione che i sovietici o non hanno come pagare ovvero non hanno merci da offrirci che possano interessarci.

Si conviene che, se mai, ci si dovrebbe accordare con Mendès-France per sostenere presso gli Alleati questo punto di vista onde evitarci il danno della propaganda. Ma di accordarci anche di farlo a ratifica UEO avvenuta, perché diversamente la cosa potrebbe essere interpretata come prova di debolezza da parte nostra. Tanto pipotremo in seguito sollevare la questione quanto piforte sarà la nostra posizione anticomunista.

Sulla questione, un documento di lavoro per la nostra Ambasciata a Parigi dovrebbe essere preparato dalla Direzione Generale degli Affari Economici.

III. Collaborazione italo-francese nel quadro del Patto Atlantico. Sarà utile non solo confermare che il principio fondamentale della nostra politica estera è la fedeltà al Patto Atlantico, ma precisare anche che, per nostra convinzione e nostro interesse, uno stretto accordo con gli Stati Uniti è un elemento essenziale della nostra politica.

Tenendo anche presente che nell’ottobre ’55 (?) avrà inizio il periodo in cui la presidenza del Consiglio Atlantico sarà affidata all’Italia, possono essere esaminate tre questioni:

- - -

Il Ministro Martino ritiene che noi si debba dire che guardiamo con imbarazzo, o meglio preoccupazione, ad una tale eventualità. Quaroni ritiene che i francesi saranno ancora piimbarazzati di noi; che comunque se ci si orienta verso uno «Standing Group» a cinque, cioè anche con la nostra partecipazione, una nostra candidatura possa, se mai, essere avanzata quando sarà migliorata la nostra situazione interna; è necessario infatti tener conto della diversità di peso specifico tra Italia e Germania e finora i vari Governi italiani hanno dato l’impressione di limitarsi «ad informare» sul lento ma continuo incremento del comunismo nel Paese. La vera preparazione per la nostra candidatura è una pivigorosa azione all’interno. In ogni modo, ai fini delle conversazioni, possiamo contare che la Francia non sarà in principio ostile alla nostra candidatura, se non altro per «noyer» la partecipazione tedesca; diversamente, per penseranno gli Stati Uniti e l’Inghilterra.

Il Segretario Generale suggerisce che venga presa in considerazione la possibilità che, lasciando inalterato lo «Standing Group» NATO a tre, si istituisca un pivasto «Standing Group» europeo.

La Direzione Generale Cooperazione Internazionale dovrebbe preparare un documento di lavoro.

c) Guerra psicologica. La questione venne dibattuta per anni in seno al Consiglio Atlantico senza che vi sia stata la possibilità di una pratica collaborazione, o per il diverso grado del pericolo comunista nei vari paesi, o per la diversità di struttura costituzionale, ecc.

Sarebbe opportuno parlare di tale materia a Parigi anche per aver modo di sottolineare che restiamo convinti della necessità di un maggiore coordinamento, almeno italo-francese, in questo campo.

IV. Collaborazione italo-francese nel quadro UEO.

a) Circa l’allargamento dell’UEO abbiamo recentemente – e lo si potrà sostenere a Parigi – formulato il nostro pensiero come segue2:

«L’allargamento UEO non ci sembra debba essere incoraggiato. L’accessione dei Paesi scandinavi, che sembrerebbe attualmente quella forse pifacile, finirebbe col diluire, per lo meno in questa prima fase, la consistenza dell’associazione attuale. D’altra parte esso non favorirebbe auspicabili sviluppi europeistici concreti nei settori che ci interessano e accrescerebbe invece peso considerazioni politico-militari estranee a settore geografico che ci riguarda pidirettamente. Per il momento non è da incoraggiare neppure l’accessione della Turchia, benché in base a considerazioni puramente militari potrebbe interessarci maggiormente, anche per mantenerci maggior libertà di manovra nei rispetti dell’Alleanza Atlantica.

… ove accessione Paesi scandinavi si profilasse inevitabile, noi ci adopereremmo allora in principio per allargamento Unione anche a Sud-Est.

… questione, in questo momento, (è) piuttosto (atta) a complicare anziché facilitare processi ratifica. Riteniamo opportuno, in conclusione, che Consiglio UEO debba iniziare, dopo ratifica, sua attività, prima di ogni altra decisione».

Quaroni ritiene che tutti gli anticedisti francesi sarebbero contrari all’allargamento e che la Francia dovrebbe condividere il punto di vista italiano poiché considererebbe «anti-francesi» tutti quelli che entrerebbero in una pivasta UEO.

Un eventuale eccessivo allargamento dell’UEO costituirebbe peraltro un duplicato della NATO, senza gli Stati Uniti. Ciè da sconsigliare. Sull’argomento la Direzione Generale Cooperazione internazionale dovrebbe preparare uno statement.

b) SAAR - Il Commissario Europeo per la Saar non potrà essere né francese, né tedesco, né sarrese. Si ritiene improbabile una candidatura inglese: così pure quella di uncandidato belga o lussemburghese, perché troppo vicini alla Francia. È stata già ventilata la possibilità di una candidatura svizzera; ma nella eventualità che la scelta dovesse restringersi ad un olandese o ad un italiano, sarebbe opportuno interessare i francesi a far accettare una candidatura italiana, anche per i nostri precedenti (Danzica, Saar stessa).

La trattazione della questione è urgente e dovrebbe avvenire ancora prima dell’incontro italo-francese, con sondaggi anche presso i tedeschi.

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Se è vero che Mendès-France teme il tête-a-tête con la Germania nel campo economico e che anche per questa ragione ricerca la cooperazione italiana, non dovrebbe essere difficile ottenere il suo concorso a che questa cooperazione arrivi fino alla creazione di un, per così dire, nucleo della latinità nel campo culturale.

In questo quadro converrebbe forse esaminare l’opportunità di istituire una Università europea, nonché quella di una pistretta cooperazione franco-italiana in materia di borse di studio.

Quaroni pensa che troveremo i francesi recettivi in questa materia.

La Direzione Generale Relazioni Culturali dovrebbe preparare uno strumento di lavoro.

e) Stampa - In connessione con l’incontro dovrebbe essere organizzata una visita non di giornalisti ma di direttori di giornali.

La questione dovrebbe essere trattata dal Servizio Stampa.

f) Pool degli armamenti - relativamente al quale converrà maturare le idee che intendiamo portare alla Conferenza degli Esperti, Londra 17.1.55, prima dell’incontro di Parigi. Questa del «pool» degli armamenti sembra la strada migliore per attuare i principi europeistici ai quali noi intendiamo rimanere fedeli.

La questione è di competenza della Direzione Generale Cooperazione Internazionale.

V. Accordi non ratificati. Sotto questo titolo è opportuno tener presente che quattro accordi non sono stati ratificati da parte francese:

A) Unione Doganale;

B) Accordo Einaudi-Quaroni (né sembra sia opportuno risolvere ora queste due questioni);

C) Convenzione di stabilimento;

D) Monte Bianco.

Se le questioni C) e D) potrebbero essere oggetto di conversazioni a Parigi, nella speranza che prima di allora Quaroni abbia potuto ottenere affidamenti circa le ratifiche o addirittura la ratifica di uno dei due.

La Convenzione di Stabilimento è stata approvata dal Parlamento italiano (dal Senato nell’ottobre 1952 e dalle Camere nel febbraio 1953); il provvedimento legislativo relativo alla ratifica porta la data del 12 marzo 1953 e sono stati anche approntati gli strumenti per lo scambio delle modifiche [recte: ratifiche]. L’Assemblea francese deve ancora discutere la Convenzione.

La Convenzione del Monte Bianco è stata approvata dal Parlamento italiano. Quaroni è intervenuto nell’ottobre scorso presso il Quai d’Orsay per ottenere che si dia sollecito corso alla procedura parlamentare francese.

VI. Tunisia. La incognita dell’autonomia interna, quale intesa dai tunisini, ci induce a chiedere ai francesi se ed in qual modo intendano provvedere fin da ora alla difesa della collettività italiana.

Sulla questione DGAP III preparerà documenti di lavoro con allegati, in particolare l’appunto del Console Generale a Tunisi «Eventuali incidenze dell’autonomia interna sugli italiani di Tunisia».

Così pure DGAP III preparerà documenti di lavoro per tutte le altre questioni di sua competenza come

-Istituto Finanziario Libico

-Transito Canale di Suez

-Fosfati marocchini.

VII. Questioni minori. La maggior parte di queste questioni derivano da pendenze riconducibili al Trattato di Pace. Alcune sono state definitivamente risolte, altre avviate ad una favorevole soluzione; altre (Clavières, ecc.) potrebbe o meno essere oggetto di conversazioni a Parigi, a seconda dei loro sviluppi nelle prossime settimane; altre infine (profitti illeciti, ferrovia Cuneo-Ventimiglia, ecc.) dovrebbero senz’altro essere oggetto di conversazioni.

DGAP I sta aggiornando lo stato delle varie questioni al fine di decidere se e di quali dovrà essere trattato nell’incontro.

VIII. Cooperazione economica franco-tedesca e cooperazione economica italo-francese. Da un punto di vista generale le nostre conversazioni con la Francia non debbono apparire come ispirate da preoccupazioni antitedesche; così come quelle che contiamo di avere sempre in tema di cooperazione economica con la Germania, non dovranno creare sospetti ingiustificati a Parigi; il nostro desiderio è quello di sviluppare i nostri rapporti con entrambi i Paesi.

La Direzione Generale Affari Economici e la Direzione Generale Cooperazione Internazionale dovrebbero preparare ciascuna per la propria parte, di sua competenza, documenti di lavoro(3).

1 DGAP, Uff. I, Serie Affari Politici, 1951-1957, b. 387, fasc. Francia-Italia. Relazioni politiche fra la Francia e l’Italia. Parte non riservata.

2 Vedi D. 179.

3 Per il seguito vedi D. 191.

190

L’AMBASCIATORE A BONN, BABUSCIO RIZZO, AL MINISTRO DEGLI AFFARI ESTERI, MARTINO(1)

R. 18954/24132. Bad Godesberg, 12 novembre 1954.

Oggetto: Accordi di Parigi - Reazioni di opinione pubblica.

Signor Ministro,

le polemiche sorte in seno alla stessa compagine governativa dopo la conclusione degli accordi di Parigi sono lontane dall’essersi placate. Come ho riferito verbalmente a Roma è mia opinione personale che il Cancelliere Federale riuscirà a varare a tempo debito – la tendenza è ancora quella di non procedervi prima dei francesi – le ratifiche al Bundestag; non essendo tuttavia la situazione ancora chiarita, credo utile esaminare brevemente gli elementi che caratterizzano lo stato dell’opinione pubblica in questo momento. Occorre premettere che la felice conclusione degli accordi di Parigi è stata certamente oscurata nel sentimento tedesco da quanto è subito trapelato qui sulle intese raggiunte relativamente alla Saar. A mio giudizio peril problema sarrese, considerato da solo, non basterebbe a giustificare del tutto l’indefinibile senso di perplessità che si è subito impadronito di questa opinione pubblica tedesca e che ha trovato naturalmente espressione piviolenta nell’atteggiamento dei partiti di opposizione ed in quello degli elementi pinazionalistici della stessa coalizione governativa.

È un fatto che gli accordi di Parigi, nel loro complesso, non sono stati accolti dall’opinione pubblica tedesca con quelle manifestazioni di giubilo che sarebbe stato lecito attendersi al sopraggiungere di un avvenimento il quale restituiva al Paese la piena uguaglianza di diritti e rappresentava in ogni caso la chiusura di uno dei periodi piangosciosi della sua storia.

Se gli accordi sulla Saar, parte integrante e inscindibile degli accordi di Parigi, sono sembrati il solo elemento veramente inaccettabile a larghi settori di questa opinione pubblica occorre non trascurare d’altro canto quelle diverse forme di reazione che legate alcune indirettamente al problema della Saar e altre concernenti invece quello pigenerale della riunificazione, valgono meglio a spiegare quel complesso di sentimenti, di aspirazioni e di timori che costituiscono in questo momento l’instabile situazione psicologica del Paese.

Per quanto è stato possibile rilevare dalle manifestazioni pubbliche dei vari partiti al Governo e di opposizione e dallo stesso umore delle masse nei vari Länder, le reazioni agli accordi di Parigi – Saar inclusa – potrebbero così riassumersi: il problema sarrese, in sé stesso considerato; sue ripercussioni nei riguardi delle rivendicazioni tedesche dei territori orientali; conseguenze degli accordi di Parigi per la riunificazione; il riarmo infine nelle sue pisemplici ripercussioni nella vita familiare e dei giovani.

Per quanto concerne il problema sarrese, preso isolatamente, e le concessioni fatte a Parigi da Adenauer, non occorre dimenticare che il partito socialdemocratico, che ha sposato anche in questo caso le tesi nazionalistiche, sta da anni battendo sull’opinione pubblica contro qualsiasi concessione che potesse significare il distacco della Saar dalla Germania. La socialdemocrazia ha ora buon gioco nel richiedere ad Adenauer esplicite assicurazioni sulla provvisorietà dello statuto sarrese ed ha facilmente potuto trascinare nella contesa il partito liberale o almeno quelle larghe frazioni di esso che sono sotto l’influenza di Dehler, il quale sembra non voler tralasciare occasione, per motivi anche personali, di creare ostacoli al Cancelliere Federale.

Tuttavia, come ho riferito pivolte in passato, non ritengo che la questione della Saar rappresenti il vero problema nazionale tedesco. Il problema delle frontiere nazionali che è sempre nel cuore dei tedeschi non va confuso col problema della riunificazione che nella sua accettazione generale, anche governativa, è intesa, non occorre dimenticare, come il ricongiungimento alla Repubblica Federale della sola zona sovietica. I tedeschi sanno che queste due parti della Germania fatalmente si ricongiungeranno un giorno e il sentimento irredentistico si sposta quindi immediatamente ai territori dell’est situati al di là di queste frontiere.

Viene così ad essere meglio spiegata la pidecisa ostilità agli accordi sulla Saar che si nota nel partito dei rifugiati; e oltre questo, fomentata dall’opposizione, l’ansietà di larghe masse dell’opinione pubblica, per il timore che una rinuncia alla Saar abbia a costituire un precedente negativo per la soluzione del problema dei territori orientali e a pregiudicare sul terreno giuridico oltre che su quello morale, la possibilità di rivendicarne la liberazione.

Oltre al fatto sarrese, la perplessità con la quale gli accordi di Parigi, nel loro insieme, sono stati accolti qui, puessere spiegata anche col sentimento assai diffuso che essi possano cristallizzare per molto tempo l’attuale divisione della Germania in due parti e condurre ad un consolidamento della Repubblica Democratica della zona orientale, con la costituzione di proprie forze armate e il rafforzamento delle ideologie su cui essa si basa con gravissimi pericoli – e su questo si puconvenire – per le relazioni fra i due tronchi separati del popolo tedesco.

L’ultimo e non meno importante elemento che, nel complesso degli impulsi che la caratterizzano, concorre in questo momento a formare l’opinione pubblica tedesca è offerto dalle reazioni dirette alla prospettiva del riarmo e da tutti i problemi ad esso connessi che toccano quindi non solamente i giovani ma anche le famiglie. Si è oggi convinti, negli ambienti governativi, che la gioventtedesca, sia pure senza particolare entusiasmo, sia disposta ad affrontare le conseguenze del riarmo, che per essa si traducono nell’obbligo di prestare servizio militare. A dire il vero, è difficile distinguere fino a che punto questa convinzione interpreti la reale mentalità delle masse. Abbiamo in proposito due esempi recentissimi: le votazioni contro il riarmo al congresso federale giovanile della Confederazione dei Sindacati a Dseldorf e al congresso della Confederazione dei Sindacati a Francoforte sul Meno. Entrambi questi episodi possono dare da riflettere anche se alla loro origine non siano estranee manovre politiche. Tuttavia quel che appare certo è che, se da un lato siamo lontani dal sentimento di euforia che Adenauer fino ad un anno fa era riuscito a creare in Germania sotto l’insegna dell’Europa e della CED, dall’altro quasi nulla è restato dello stato d’animo spiccatamente antimilitaristico e a sfondo neutralista che si era formato nella Repubblica Federale subito dopo la cessazione delle ostilità e che aveva colpito particolarmente le giovani generazioni. Credo quindi sia lecito affermare che malgrado le esitazioni, i dubbi e le avversioni, il fatto stesso che giovani tedeschi possano tra qualche tempo rivestire l’uniforme e che la Repubblica Federale abbia proprie divisioni e reparti armati colpisce già la fantasia di molti tedeschi in maniera del tutto indipendente dalle singole convinzioni politiche e sociali e dalle opinioni sull’opportunità o meno di un riarmo del Paese. Una riprova ne è offerta dal rilievo in genere dato nella stampa quotidiana e periodica alle previsioni sulle possibili conseguenze del riarmo; uniformi, armamenti, reclutamento, retribuzioni di soldati e di ufficiali, suddivisioni gerarchiche, inquadramenti di reparti, ecc., offrono abbondante materia di trattazione. Recentemente il Generale Heusinger, parlando del riarmo, mi ha anche detto che una buona e positiva dimostrazione dello stato d’animo dei giovani è costituita dal fatto che i primi quadri degli ufficiali sono già completi e si pensa di poter iniziare nella prossima estate le prime esercitazioni.

In conclusione, ed è la conclusione a cui sono giunte anche le Alte Commissioni Alleate – mi riferisco in particolare a quella britannica – si è qui convinti che quando riecheggerà nuovamente nelle strade tedesche una «Marschmusik» le manifestazioni pio meno palesi di antimilitarismo e del complesso dello «ohne mich», finiranno per sparire come nebbia al sole.

Volendo brevemente riassumere questa rassegna di elementi che caratterizzano lo stato dell’opinione pubblica tedesca alla vigilia o quasi dei dibattiti parlamentari sulle ratifiche, credo si possa affermare che esiste una notevole diversità di tensione tra l’atteggiamento dei partiti e il vero stato d’animo della popolazione che, pur nei complessi sentimenti che la agitano, rimane lontana dalla febbre politica che ha caratterizzato ad esempio in epoca lontana, ma non molto dissimile, il regime di Weimar.

Voglia gradire, Signor Ministro, gli atti del mio profondo ossequio.

Babuscio Rizzo

1 DGAP, Uff. I, Serie Affari Politici, 1951-1957, b. 332, fasc. Unione Europea Occidentale, dal 23 ottobre 1954.

2 Il documento reca i seguenti timbri: «Inviato in copia al Presidente della Repubblica», «Inviato in copia ai Sottosegretari», «Visto dal Ministro», «Visto dal Segretario Generale» con la sigla di Zoppi.

191

IL DIRETTORE GENERALE DELLA COOPERAZIONE INTERNAZIONALE, MAGISTRATI, AL MINISTRO DEGLI AFFARI ESTERI, MARTINO(1)

Appunto riservato 20/027722. Roma, 13 novembre 1954.

Oggetto: Conversazioni italo-francesi.

A seguito del precedente appunto in data 2 novembre u.s.3, si ha l’onore di confermare che, in questi giorni, sono continuati i contatti e le conversazioni in merito al progettato prossimo incontro italo-francese.

Circa la data – ed in vista di quanto è stato fatto presente, da parte francese, in merito ad un eventuale spostamento dell’incontro alla fine, e non prima, della Sessione del Consiglio Atlantico, prevista per i giorni 17 e 18 dicembre – è stato fatto da noi presente come tale spostamento farebbe perdere alquanto la primitiva fisionomia dell’incontro, in quanto esso verrebbe praticamente ad essere «diluito» in incontri internazionali a vasto raggio. E abbiamo ora suggerito un anticipo ai primi giorni di dicembre: in tal senso abbiamo anche dato istruzioni all’Ambasciatore Quaroni che rientra ora alla sua sede di Parigi. Occorre pertener presente la circostanza che il Presidente Mendès-France trascorrerà una decina di giorni nel Canada e negli Stati Uniti e non sarà di ritorno a Parigi prima degli ultimi giorni di novembre, con la conseguenza che non sarà facile fissare, fin da ora, a causa di tale sua assenza, talune modalità dell’incontro.

Circa il contenuto delle conversazioni ed in base a quanto è stato esposto nel corso delle nostre due riunioni ministeriali, ‒la seconda delle quali è stata presieduta da

Vostra Eccellenza – gli uffici competenti stanno predisponendo l’elenco esatto delle questioni da trattarsi e delle eventuali loro soluzioni.

Per quanto riguarda particolarmente questa Direzione Generale, si sta procedendo alla formulazione dei nostri «desiderata» e dei nostri intendimenti, tanto in merito alla formazione ed all’azione dei futuri organi dell’Unione dell’Europa Occidentale, quanto in merito alla collaborazione dell’Italia nel quadro delle intese franco-tedesche e della progettata integrazione nel settore degli armamenti, con speciale riguardo all’attività del gruppo di lavoro la cui prima riunione dovrà, come è noto, aver luogo a Parigi il 17 gennaio p.v.

Sempre su tale argomento si aggiunge che – in accordo a quanto, in linea di massima, era stato accennato nelle due suindicate riunioni ministeriali – i nostri ambienti industriali, e particolarmente la Direzione della Confindustria, hanno sottoposto ad attento esame quel problema della collaborazione italiana nel campo della produzione e degli investimenti. E proprio stamane, a Milano, avrà luogo, presso il Dr. Alberto Pirelli, una riunione con la partecipazione dell’Ambasciatore Quaroni e con la presenza, tra gli altri, del Presidente della Confindustria, Costa e del Presidente della FIAT, Valletta(4).

Quest’ultimo, che ha presentato a Vostra Eccellenza un promemoria in merito, propone soprattutto la pronta costituzione di un piccolo «direttorio» permanente composto, sotto la Presidenza di un rappresentante del Ministero degli Esteri, di un rappresentante dello Stato Maggiore della Difesa (Ammiraglio Giurati ?) e di un rappresentante del Ministero dell’Industria che sia anche persona di fiducia della Confindustria (Marchese Targiani ?). Tale comitato potrebbe servirsi dell’opera di un certo numero di esperti tra gli industriali della Confindustria stessa, in modo che i futuri contatti con Francesi e Tedeschi possano svolgersi su basi per quanto possibile concrete.

Frattanto da parte nostra non si è mancata l’occasione per porre in rilievo (colloqui in sede diplomatica, colloqui Martinelli-Erhard a Ginevra, ecc.) come l’Italia intenda «essere presente» fin dal primo momento nel quadro della collaborazione economica e produttiva franco-tedesca: e rassicurazioni in merito ci sono già pervenute(5).

1 DGAP, Uff. I, Serie Affari Politici, 1951-1957, b. 387, pos. 1200.

2 Sottoscrizione autografa. Indirizzato, per conoscenza, al Segretario Generale, al Direttore Generale degli Affari Politici e al Direttore Generale degli Affari Economici.

3 Vedi D. 180.

4 Con L. segreta personale 20/2887 del 1° dicembre, Magistrati invia Quaroni un promemoria riservato sulla riunione: «Ha avuto luogo sabato mattina 13 corrente a Milano presso la sede della Pirelli una ristretta riunione di alti industriali italiani per esaminare il problema sollevato da Mendès-France sul pool degli armamenti. Presiedeva il Dr. Angelo Costa, Presidente della Confindustria e assistevano i maggiori industriali italiani. Era presente anche l’Ambasciatore Quaroni. La discussione è stata lunga e molto approfondita ed al termine della stessa è stato convenuto che: a) le iniziative in proposito dei francesi e tedeschi sono assai preoccupanti in quanto minacciano di tagliar fuori un intero settore industriale italiano con conseguenze incalcolabili per la economia e la stabilità interna del nostro Paese; occorre prendereenergiche iniziative di carattere di Governo e private per fronteggiare tale minaccia ed inserirsi nel sistema;

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5 Per il seguito vedi D. 195.

192

IL CONSOLE GENERALE A STRASBURGO, CITTADINI CESI, AL MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI(1)

Telespr. 920/5392. Strasburgo, 16 novembre 1954.

Oggetto: Dimissioni del Signor Monnet dall’Alta Autorità: impressioni negli ambienti del Consiglio d’Europa.

La notizia della decisione del Signor Monnet di rinunciare al rinnovo del mandato presidenziale e di dimettersi anche da membro dell’Alta Autorità della Comunità del Carbone e dell’Acciaio ha provocato a Strasburgo una viva impressione(3).

Ci malgrado che da vari mesi si registrassero qui voci di crescenti difficoltà nei rapporti fra il Presidente dell’Alta Autorità ed il Governo francese, si conoscessero i contatti intimi che il Signor Monnet mantiene con avversari decisi del Signor Mendès-France e non si ignorasse nemmeno l’esistenza nel seno stesso dell’Alta Autorità d’un certo vento di fronda contro il Presidente.

Non si aveva perl’impressione che si fosse già arrivati al punto di rottura e si spiega ora la decisione di Monnet di «brusquer l’affaire» accelerando i tempi della crisi, con il desiderio di gettare un’ombra sul viaggio negli Stati Uniti del Signor Mendès-France che gli amici americani del Presidente dell’Alta Autorità dipingerebbero non solo come l’affondatore della CED ma anche come un sabotatore della CECA nella quale ultima il Signor Monnet ha sempre amato identificarsi.

Viene inoltre sottolineato il tono del comunicato stampa nel quale il Presidente dell’Alta Autorità, dopo una riaffermazione di fede sopranazionale, chiaramente esprime la volontà di riprendere attivamente la lotta per il trionfo degli ideali europeistici; il che viene interpretato nel senso di un’azione in stretto collegamento con gli avversari dell’attuale governo francese.

Per dovere di cronaca registro infine l’opinione abbastanza diffusa al Consiglio d’Europa, secondo la quale il sincronismo nell’annuncio delle dimissioni di Monnet con quello delle dimissioni di Marjolin sarebbe tutt’altro che fortuito; ma non ho qui elementi per avvalorare od escludere tale interpretazione(4).

Come è naturale, l’apertura della successione del Presidente dell’Alta Autorità, che si aggiunge a quella del Segretario Generale dell’OECE, in un momento in cui già si andava abbondantemente speculando sulla attribuzione dei posti direttivi dell’UEO e della Agenzia degli Armamenti, provoca commenti sopratutto per ciche concerne la posizione della Francia.

Ci si domanda infatti quali possibilità essa abbia di conservare le posizioni che già teneva o di conquistarne delle altre e, per ciche si riferisce alla Comunità del Carbone e dell’Acciaio, si ha l’impressione che queste possibilità non siano molto forti a meno che il governo francese non possa presentare una candidatura di grande prestigio europeo quale, ad esempio, quella di Robert Schuman(5).

1 Ambasciata a Parigi, 1951-1960, b. 41 bis, pos. 12/12.

2 Sottoscrizione autografa. Indirizzato per conoscenza all’Ambasciata a Parigi e alla Legazione a Lussemburgo.

3 Monnet comunicla decisione di non chiedere il rinnovo del suo mandato alla scadenza del 10 febbraio 1955 nel corso della seduta straordinaria dell’Alta Autorità del 9 novembre 1954. Ne diede notizia il Servizio Stampa dell’Alta Autorità l’11 novembre, accludendo inoltre il testo della lettera indirizzata il 10 novembre da Monnet ai sei Governi della CECA (Comunicato dell’Alta Autorità, CM/S (54) 314, Lussemburgo, 11 novembre 1954, in ASUE, CM1, 4547).

4 Le dimissioni di Marjolin da Segretario Generale dell’OECE furono presentate con lettera del 2 novembre al presidente dell’Organizzazione Butler e rese note il 12 novembre (ISPI, Annuario di politica Internazionale, 1954, pp. 731-732). In precedenza, Cattani aveva avuto un colloquio con Marjolin dal quale aveva tratto l’impressione di imminenti incarichi in Francia: «... Ho chiesto a Marjolin, sul piano dell’amicizia, cosa pensa realmente di fare: come è noto, egli aveva rifiutato alcuni mesi fa un’offerta di Hammarskjold come Capo della Divisione Economica delle Nazioni Unite. Mi ha detto che la sola cosa che lo attira oggi è un ritorno alla “fonction publique” in Francia. Non ha peridee precise dove. Da questo mi pare di dedurre che qualche cosa gli sia stato prospettato da Mendès France; anche la data che egli indica per la cessazione delle sue funzioni mi sembra coincidere con l’epoca in cui Mendès France sarà o rovesciato o riconfermato, ed allora per un abbastanza lungo periodo. I programmi economici del Presidente Mendès France saranno realmente avviati solo nella seconda ipotesi, ed è probabile che in quel caso egli pensi di affidare a Marjolin un’importante funzione in quel campo. Ed è perciche ritengo Marjolin desideri di acquistare oggi la propria libertà di azione. ...» (T. riservato 306, trasmesso dall’Ambasciata a Parigi con T. segreto 13809/958-959 del 28 ottobre, in Telegrammi segreti originali 1954, arrivo, vol. I).

5 Per il seguito vedi D. 220.

193

IL MINISTRO DEGLI AFFARI ESTERI, MARTINO, ALL’AMBASCIATA A LONDRA(1)

Telespr. riservato 21/27972. Roma, 18 novembre 1954.

Oggetto: Unione dell’Europa Occidentale - Commissione ad interim - Questionario.

Riferimento: Telespr. di codesta Ambasciata n. 4710/2415 dell’8.11.9543.

Abbiamo esaminato con interesse le varie questioni sollevate nel memorandum preparato dalla Commissione ad interim per l’Unione dell’Europa Occidentale. A seguito anche delle conversazioni avute qui in argomento la scorsa settimana col Ministro Consigliere di codesta Ambasciata, si comunicano, in linea generale, le seguenti osservazioni, per opportuna norma del nostro rappresentante in detta Commissione.

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Quanto al rapporto al Consiglio di Europa non abbiamo ragione di vedere modificata la prassi finora seguita dalla Organizzazione del Trattato di Bruxelles.

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8 e 9. Non pensiamo prendere iniziative perché l’elaborazione degli accordi sulle forze di difesa interna e di polizia, nonché la nuova definizione delle armi A B C vengano messe fin da ora allo studio. Ma non vediamo ragione di opporci se altri insistesse invece per iniziarne l’esame.

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1 DGAP, Uff. IV, Versamento CED, 1950-1954, b. 29, fasc. 101.

2 Indirizzato, per conoscenza alla Rappresentanza presso il Consiglio Atlantico a Parigi.

3 Recte 4716/2415, dell’8 novembre, col quale si trasmetteva il questionario con il relativo memorandum discussi nel corso delle prime due sedute della Commissione ad interim. A proposito della prima, svoltasi a Londra il 28 ottobre, vedi DD. 174, 179 e 186. Quanto alla seconda riunione, tenutasi il 4 novembre, Brosio riferì quanto segue con Telespr. 4697/2408 del giorno successivo: «La Commissione ad interim dell’Unione dell’Europa occidentale ha tenuto ieri un’altra seduta, durante la quale è stato esaminato il rapporto preparato dal Gruppo di lavoro, per illustrare il questionario di cui al mio telespresso n. 4564/2343 del 29 ottobre u.s. Dopo un’ulteriore revisione effettuata dal Gruppo di lavoro per tener conto di certe osservazioni sollevate in merito alla sua originaria redazione, il rapporto è stato completato nel pomeriggio d’oggi. Data la ristrettezza del tempo prima della chiusura del corriere, lo trasmetto in unica copia provvisoria, con riserva di inviare quelle definitive con il prossimo corriere. Faccio presente che il testo puancora subire qualche modificazione, poiché è stato deciso di attendere fino a domani alle ore 12 per la diramazione del documento ufficiale nelle due lingue, dopo che tutti i Capimissione, componenti la Commissione ad interim abbiano fatto conoscere le loro eventuali osservazioni. La prossima riunione della Commissione ad interim avrà luogo il 22 novembre p.v.; prego quindi farmi pervenire tempestivamente le istruzioni sui vari punti indicati nel questionario e nel relativo rapporto.Nel corso della riunione tenuta ieri l’Ambasciatore di Francia, che presiedeva, ha annunciato che, in seguito a un esame della situazione finanziaria da parte dell’apposito Comitato formato dai rappresentantidei cinque Membri dell’Organizzazione di Bruxelles, è stato deciso, anche per motivi di maggiore semplicità amministrativa che le spese dell’organizzazione siano sostenute fino alla fine di quest’anno con il sistema attualmente in vigore, cioè ripartendole in cinque quote. All’Italia e alla Repubblica Federalenon verrà quindi chiesta alcuna partecipazione alle spese per questo primo periodo. All’inizio dell’anno prossimo il Comitato finanziario riesaminerà la situazione e presenterà le proposte del caso» (DGAP, Uff. IV, Versamento CED, 1950-1954, b. 29, fasc. 101).

4 Annotazione a margine, presumibilmente di Plaja: «un po’ superato da quanto il Min. Martino ha detto il 18/12/54 a Parigi (v. IGW/20)». Sull’intervento di Martino nella XV riunione ministeriale del Consiglio Atlantico del 17-18 dicembre vedi D. 231.

5 Per il seguito vedi DD. 196 e 201.

194

L’AMBASCIATORE A BONN, BABUSCIO RIZZO, AL MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI(1)

Telespr. 19192/24602. Bonn, 19 novembre 1954.

Oggetto: Accordi di Parigi e problemi integrazione europea.

Dai contatti avuti in questi giorni alla Cancelleria federale è apparso che, mentre gli accordi di Parigi stanno per venire in discussione davanti al Bundestag, diventa sempre pivivo l’interesse per i problemi che si presenteranno dopo la ratifica di tali accordi e per gli sviluppi che dovranno essere impressi all’Unione dell’Europa occidentale onde farne un organismo vitale ed operante sulla via di una progressiva integrazione europea.

Una prima questione riguarda la collaborazione militare tra gli Stati firmatari degli accordi di Parigi; così come è prevista, tale collaborazione, si osserva, rimane praticamente a mezza strada tra lo stadio delle semplici alleanze di vecchio stampo ed una vera e propria integrazione e dovrebbe essere quindi resa piintima e piefficiente. Sul piano politico poi, la competenza attribuita all’Assemblea dell’Unione è giudicata insufficiente in sede consultiva ed ancor piin sede deliberante. Una pistretta integrazione militare, si specifica al riguardo, dovrebbe postulare come indispensabile corollario il progressivo sviluppo della correlativa organizzazione politica ed a tal fine sarebbe necessario che il parlamento dell’Unione fosse dotato di poteri superiori a quelli dell’Assemblea consultiva del Consiglio dell’Europa ed analoghi, almeno nella fase iniziale, a quelli dell’Assemblea Generale della CECA.

Un’ultima questione concerne l’istituzione di un Tribunale Arbitrale ed è sintomatico che tale esigenza venga messa in particolare relazione con i rapporti tra Francia e Germania e con il problema della Saar; finché il regime della Saar resterà provvisorio, si precisa, si dovrà contare sulla possibilità che sorgano contrasti ed è quindi nell’interesse di una chiara intesa tra la Francia e la Germania che ogni divergenza venga sottoposta all’imparziale giudizio di un Tribunale Arbitrale.

Tali preoccupazioni si inquadrano nella concezione che l’Unione dell’Europa occidentale vada considerata come una fase di transizione non solo verso una piperfezionata organizzazione militare difensiva, ma anche e soprattutto verso una picompleta integrazione economica, sociale e politica; ed è da notare che alla base delle speranze e dei piani sui problemi attuali e futuri dell’Europa è qui evidente, anche se non sempre esplicitamente espresso, il fermo convincimento che una chiara e leale collaborazione tra la Germania e la Francia sia condizione indispensabile perché qualcosa di positivo possa essere realizzato.

1 DGAP, Uff. I, Serie Affari Politici, 1951-1957, b. 332, fasc. Unione Europea Occidentale, dal 23 ottobre 1954.

2 Sottoscrizione autografa. Il documento reca il timbro: «Visto dal Segretario Generale» con la sigla di Zoppi.

195

L’AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI, AL DIRETTORE GENERALE DELLA COOPERAZIONE INTERNAZIONALE, MAGISTRATI(1)

L. riservata 1547. Parigi, 19 novembre 1954.

Caro Massimo,

come puoi comprendere facilmente, qui, coll’assenza di Mendès-France e di molti pezzi grossi di un Quai d’Orsay, del resto «in movimento», gli affari vanno un po’ «au ralenti».

Ho tuttavia visto Parodi, il quale probabilmente resterà in carica fino all’incontro. Sebbene non avessi avuto il telegramma da te annunciatomi, in base alla tua lettera n. 20/02781 del 15 novembre, ho dato il nostro benestare alla data, che allo stato delle cose resta fissata per l’11 e 12 gennaio(2). Parodi mi ha ormai presentato il viaggio a Roma di Mendès-France non come un’offerta, ma come una decisione: e me lo ha spiegato come un gesto di Mendès che, essendo stato a Londra ed a Washington, vuole andare anche a Roma. Per parte mia, credo, anche, che egli, volendo occuparsi seriamente della cosa, pensi che a Roma è pilibero che a Parigi di dedicarsi per 48 ore a questo solo: come è il suo sistema.

Ho esposto a Parodi l’ordine del giorno, quale era stato previsto a Roma. Lo ha approvato, riservandosi di eventualmente aggiungere qualche cosa per conto suo. Siamo rimasti d’accordo anche sulla procedura, che è ormai tradizionale. Mendès torna il 24: cercherdi vederlo subito in maniera che si possa cominciare la preparazione. Mi sarebbe utile se, almeno per la parte che è possibile, voi cercaste di mandarmi le istruzioni(3) che si dovevano preparare. Tieni presente che sul pool degli armamenti le idee qui sono ancora piche vaghe: se ne abbiamo, sia in genere che in dettaglio, converrebbe non tardare a tirarle fuori.

Ho poi parlato a Parodi della Nota Russa4, basandomi sulle dichiarazioni del Ministro5: che del resto corrispondono alle idee di qui. Parodi mi ha detto che Mendès è tuttavia preoccupato delle complicazioni parlamentari che comunque gli porterà la nuova proposta sovietica – e che sono perfettamente esatte – e, secondo lui, pur restando dell’opinione che si deve negoziare solo dopo la ratifica, cerca di ottenere il consenso di Washington ad aprire conversazioni tutti insieme, dopo. Gli ho detto, a titolo personale, che negoziare bisogna perché così si darà una dimostrazione che non c’è niente da fare: lui, e Mendès-France, hanno ancora qualche speranza. Ma la conclusione è la stessa.

L’idea di Parodi è che bisognerebbe trovare una maniera di dire, al momento della presentazione degli accordi alle Camere, che essi non precludono dei negoziati sulla riunificazione della Germania, purché si consenta alle elezioni libere e che ugualmente non precludono un disarmo di tutti, compresa la Germania, se la Russia è veramente decisa a disarmare.

Gli ho detto, per parte mia, che una formula la si sarebbe potuta certo trovare: ma che bisognava mettere bene in chiaro che non si era pronti a negoziare a spese della Germania: dovevamo essere onesti verso i tedeschi, se volevamo che essi fossero onesti con noi. Sul che è rimasto d’accordo.

Credo opportuno anche aggiungerti che qui c’è in Parlamento notevole vento di fronda: e che la situazione del Governo è tutt’altro che solida. Ragione, questa, di pi per il rinvio a gennaio del nostro incontro.

Curiosamente, il punto adesso pipericoloso per il Governo sembra essere la disposizione annunciata di limitare le ore di vendita degli alcool nei «bistrots». Perché, con tante gatte da pelare, Mendès sia andato a cercarsi anche questa, che poteva forse magari rinviare a tempi migliori, nessuno lo comprende bene.

Naturalmente, l’uomo è in gamba e riserverà ancora delle sorprese: d’altra parte, anche gli avversari preferiscono non buttarlo gisubito e dargli invece tempo di deludere.

Tu mi hai accennato alla possibilità che il Ministro venga qui un giorno prima della riunione atlantica per incontrarsi con Mendès e fare l’invito per il prossimo incontro. Mi faresti molto piacere se mi confermassi questa intenzione, perché vorrei, se possibile, durante quel giorno relativamente libero, invitargli a colazione od a pranzo qualche possibile futuro Presidente del Consiglio.

È sempre meglio prender le precauzioni a tempo, non trovi?6

Molto cordialmente,

[Pietro Quaroni]

1 DGAP, Uff. I, Serie Affari Politici, 1951-1957, b. 387, fasc. Francia-Italia. Relazioni politiche fra la Francia e l’Italia. Parte non riservata.

2 Il 20 dicembre (T. s.n.d. 11049/497) Zoppi informava Quaroni di aver comunicato in pari data a Fouques-Duparc che il Governo italiano era lieto di accogliere Mendès France all’epoca indicata (Telegrammi segreti originali 1954, partenza, vol. II).

3 Vedi D. 209.

4 Nota del 13 novembre con la quale il Governo sovietico invitava i Governi europei, gli Stati Uniti e la Cina a partecipare ad una conferenza per la sicurezza collettiva: testo in ISPI, Annuario di Politica Internazionale, 1954, pp. 55-58.

5 Sulle dichiarazioni di Martino ad un gruppo di giornalisti all’indomani della consegna della nota sovietica si veda Contatti fra le Cancellerie per la risposta alla Russia, in «Stampa Sera» del 15 novembre.

6 Per il seguito vedi D. 203.

196

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI AFFARI ESTERI, ZOPPI, AD AMBASCIATE, RAPPRESENTANZE, LEGAZIONI E UFFICI CENTRALI(1)

Telespr. riservato 21/28182. Roma, 20 novembre 1954.

Oggetto: Unione dell’Europa Occidentale - Eventuali adesioni di altri Stati.

Tra le questioni toccate dalla Commissione ad Interim dell’Unione dell’Europa Occidentale che siede attualmente a Londra, vi è stata quella relativa ad eventuali adesioni di altri Paesi all’Unione stessa. Per ora, com’è noto, solo la Turchia ha manifestato in linea di principio interesse ad una eventuale accessione.

Noi riteniamo, in linea generale, che la questione di eventuali adesioni alla nuova Unione vada esaminata con molta prudenza giacché tali adesioni sono suscettibili di modificare notevolmente la primitiva fisionomia dell’UEO che tenderebbe in tal modo a divenire un duplicato o un sostituto della NATO (senza Stati Uniti e Canada) con le evidenti implicazioni e conseguenze di carattere politico.

Un aumento dei Paesi partecipanti renderebbe inoltre sempre piproblematico quell’avviamento dell’UEO verso quegli sviluppi politici ed economici europeistici che noi ci ripromettiamo di continuare a promuovere e sollecitare anche se in un quadro pel momento associativo piche comunitario.

Naturalmente la questione è complessa e va vista con spirito di comprensione e sopratutto senza affrettate decisioni. Comunque ‒anche per non compromettere già in partenza, con troppe novità, il lavoro necessario per ottenere, nel pibreve tempo possibile, la ratifica parlamentare ‒siano d’avviso che l’Unione dell’Europa Occidentale, la quale ha una cornice geografica e politica ben definita, debba iniziare la sua attività così come è stata costituita, prima di prendere qualsiasi decisione in merito a suoi eventuali allargamenti.

In tal senso è stato telegrafato all’Ambasciatore in Londra(3).

Tanto si comunica per riservata conoscenza della E.V. (S.V. Ill.ma).

1 DGAP, Uff. I, Serie Affari Politici, 1951-1957, b. 332, fasc. Unione Europea Occidentale, dal 23 ottobre 1954.

2 Indirizzato alle Ambasciate ad Ankara, Atene, Bonn, Bruxelles, L’Aja, Parigi, Ottawa e Washington, alla Rappresentanza presso il Consiglio Atlantico a Parigi, alle Legazioni a Copenaghen, Lisbona, Lussemburgo e Oslo, agli Uffici I, II e IV della Direzione Generale degli Affari Politici, alla Direzione Generale degli Affari Economici e al Servizio Stampa.

3 Vedi D. 179.

197

IL DIRETTORE GENERALE DEGLI AFFARI ECONOMICI, CORRIAS, ALLA DIREZIONE GENERALE DELLA COOPERAZIONE INTERNAZIONALE(1)

Appunto 44/16505/c(2). Roma, 25 novembre 1954.

Oggetto: Unione dell’Europa Occidentale. Attività economica, sociale e culturale.

Questa Direzione Generale ha esaminato il promemoria del Segretariato Generale dell’Organizzazione del Trattato di Bruxelles che andava allegato all’appunto n. 20/02778 in data 15 corrente(3).

Da tale documento risulta evidente come fin qui l’Organizzazione, malgrado i principi esposti nelle premesse e confermati nell’art. 1 del Trattato, non abbia curato il suo aspetto economico limitandosi, per quanto riguarda i «settori civili», a quelli sociale e culturale. I Paesi del Trattato di Bruxelles si sono rivolti, per quanto riguarda il lato economico, alle Organizzazioni Internazionali che via via sono sorte.

Il Protocollo n. 1 annesso al Trattato di Bruxelles ribadisce, art. 2 e art. 4, il concetto di «integrazione progressiva dell’Europa» e di «pistretta cooperazione»: pertanto pare che dare all’Unione un contenuto economico sarebbe perfettamente conforme alla lettera del Trattato e relativi Protocolli.

È chiaro il nostro interesse in questo senso: l’economia italiana necessita di materie prime, e particolarmente nell’attuale fase di espansione, di capitali: d’altra parte si pone il problema della mano d’opera e di mantenere efficiente la corrente della nostra esportazione, specie agricola. Di qui l’esigenza di inserire la nostra economia in un pivasto circuito che possa consentire lo stabilirsi di un equilibrio dei fattori produttivi.

Il problema si presenta eminentemente di carattere politico in quanto qualsiasi Comitato o Gruppo di Lavoro avrà o non avrà una effettiva importanza a seconda dello spirito con il quale il Consiglio dell’UEO vorrà seguirne i lavori ed esaminare le proposte che potranno essere avanzate.

Tuttavia, dal punto di vista tecnico e al fine di dare all’Organizzazione una struttura tale da permettere nei successivi sviluppi di realizzare quell’integrazione che costituisce un fine dell’Unione, appare necessario venga istituito nel Segretariato un Comitato economico, eventualmente articolato in Sottocomitati o Gruppi di Lavoro, che dovrebbe occuparsi del coordinamento della politica economica dei sette Paesi e presentare le relative proposte al Consiglio.

Questo Comitato non dovrebbe costituire un doppione delle altre istituzioni esistenti: il suo compito, almeno in un primo tempo, dovrebbe essere quello di esaminare i problemi economici interni all’Unione ed elaborare una linea di condotta comune da tenere nelle varie organizzazioni economiche, siano esse europee come l’OECE o di pivasta portata come il GATT e il Fondo Monetario, o agenzie dell’ONU come l’ECE o la FAO.

Questa Direzione Generale ritiene che nell’attuale situazione non sarebbe realistico cercare di dare all’UEO un contenuto economico di portata maggiore e piimpegnativa di quello sopraccennato. D’altra parte, se attraverso l’attività del Segretariato e del Comitato Economico, i Paesi dell’UEO arrivassero a risolvere nell’Unione stessa le questioni di loro reciproco interesse e a stabilire una unità di direttive nelle pivaste organizzazioni, dove l’Unione verrebbe man mano assumendo quasi l’aspetto di un tutto unico, senza dubbio si effettuerebbe un notevole passo sulla via dell’unità europea e si darebbe all’Unione stessa un forte contenuto economico oltre a quello politico e militare che la caratterizza.

Una situazione a parte rappresenta la CECA: in seno ad essa esiste il Consiglio di Ministri nel quale – se sarà concluso l’accordo di associazione con la Gran Bretagna – sono rappresentati i setti Paesi membri dell’Unione, e solo essi. Il coordinamento fra i membri dell’Unione nei confronti della CECA non ha quindi ragione d’essere.

Sarebbe invece altamente interessante, sia dal punto di vista politico che da quello economico, un coordinamento in senso inverso ossia della CECA verso l’Unione: cipotrebbe rappresentare il principio di un inserimento della Comunità nel sistema UEO e dell’armonizzazione del settore carbosiderurgico con gli altri settori economici.

Questo coordinamento potrebbe avvenire nel Segretariato per mezzo di un funzionario del Consiglio di Ministri CECA o, meglio, dell’Alta Autorità, in una forma e con delle modalità tecniche che potrebbero essere esaminate. L’essenziale sta nel raggiungere che i sei Paesi membri della Comunità, e la Gran Bretagna che sta per associarsi, non creino un nuovo organismo economico che ignori, mentre dovrebbe rappresentare un passo verso l’integrazione dell’Europa, l’istituzione che in questa direzione rappresenta ancora oggi il massimo passo compiuto.

1 DGAP, Uff. I, Serie Affari Politici, 1951-1957, b. 409, fasc. Unione Europea Occidentale, dal 23 ottobre 1954.

2 Sottoscrizione autografa.

3 Il citato promemoria conteneva un riassunto sull’azione svolta in passato dalla Organizzazione del Trattato di Bruxelles. Con l’Appunto di trasmissione indirizzato alle Direzioni Generali degli Affari Economici, dell’Emigrazione e delle Relazioni Culturali, la Direzione Generale della Cooperazione Internazionale rammentava che la direttiva dell’Italia era quella di adoperarsi nell’UEO «per dare ogni possibile sviluppo all’attività nei settori civili» ed invitava le Direzioni a far pervenire ogni osservazione utile per la sua attuazione (DGAP, Uff. I, Serie Affari Politici, 1951-1957, b. 409, fasc. Unione Europea Occidentale, dal 23 ottobre 1954). Per la risposta della Direzione Generale dell’Emigrazione vedi D. 259.

198

L’INCARICATO D’AFFARI A WASHINGTON, LUCIOLLI, AL MINISTRO DEGLI AFFARI ESTERI, MARTINO(1)

R. segreto 17088. Washington, 25 novembre 1954.

Oggetto: Dopo la visita di Mendès-Frances a Washington.

Signor Ministro,

con la visita di Mendès-France a Washington (sulla quale riferisco dettagliatamente a parte)2 nulla è stato compromesso dei risultati delle Conferenze di Londra e di Parigi. Non mi sembra, d’altra parte, potersi dire che sia stato aggiunto nulla ad essi. Infatti, per quanto riguarda i problemi posteriori alla ratifica degli accordi dell’ottobre (e parlo di successione logica oltre che cronologica) la situazione mi sembra corrispondere tuttora alla descrizione che ho cercato di farne nel mio rapporto 15786 dal 28 ottobre u.s.3, sia per l’atteggiamento americano in tema di contatti Est-Ovest, sia per le incertezze della politica francese, sia per la posizione italiana.

Questo Governo è tuttora genericamente disposto a non disturbare l’eventuale evoluzione della politica estera sovietica verso forme pipacifiche e, se l’opposizione dell’ala destra del partito repubblicano glielo consentirà, potrà anche acconciarsi a nuove trattative con l’URSS sui problemi generali della sicurezza mondiale. Tuttavia rimane scettico sulla utilità di siffatte trattative e, soprattutto, non intende che esse o la preparazione delle medesime rallentino minimamente il riarmo dell’Occidente, Germania compresa.

Mendès-France è riuscito a dissipare tutte le preoccupazioni americane per quanto concerne la ratifica degli accordi di Parigi e in buona parte, ma non completamente, quelle relative all’ulteriore impostazione dei rapporti Est-Ovest. Inoltre, mentre l’attuale Presidente del Consiglio francese ha conquistato il rispetto e direi anche l’ammirazione dei dirigenti della politica americana, non si è sicuri, qui, ch’egli possa restare al potere per un periodo molto lungo. Di conseguenza, la Francia rimane il principale fattore di incertezza per l’avvenire non immediato.

Per quanto riguarda l’Italia, non saprei aggiungere nulla alle conclusioni del sopracitato rapporto dal 28 ottobre. La possibilità per l’Italia di assumere una parte di maggior prestigio e una maggiore iniziativa, in una situazione internazionale che diventasse eventualmente pifluida, per il nuovo affacciarsi di qualche dissenso fra gli Stati Uniti e l’Europa occidentale o pisemplicemente per una crescente differenziazione delle posizioni dei singoli Paesi europei, è strettamente connessa con le vicende della nostra politica interna e soprattutto col verificarsi o col non verificarsi di una nuova concreta impostazione della lotta anticomunista.

Voglia gradire, Signor Ministro, l’espressione del mio pidevoto ossequio.

[Mario Luciolli]

1 DGAP, Uff. IV, Versamento CED, 1950-1954, b. 29, fasc. 101. 2 Vedi D. 199. 3 Vedi D. 173.

199

L’INCARICATO D’AFFARI A WASHINGTON, LUCIOLLI, AL MINISTRO DEGLI AFFARI ESTERI, MARTINO(1)

R. segreto 17090. Washington, 25 novembre 1954.

Oggetto: Visita Mendès-France a Washington.

Signor Ministro,

Mendès-France era certo una delle figure pidiscusse di questo dopoguerra in America. Dopo il suo recente viaggio a Washington è possibile dire che egli è divenuto un uomo popolarissimo e che la causa della Francia ne abbia di molto guadagnato.

Il risultato infatti piappariscente di questo suo soggiorno americano è dato dall’essersi egli conquistate le simpatie e la fiducia degli uomini politici, della stampa e di gran parte dell’Amministrazione.

Il Mendès-France non ha indietreggiato dinnanzi a nulla pur di procurarsi questa popolarità di cui aveva estremo bisogno dopo il non dimenticato fallimento della CED e la conferenza di Ginevra. Egli è apparso alla televisione, ha tenuto due discorsi alla stampa, si è intrattenuto lungamente con i sospettosi senatori della Commissione degli Esteri, ha preso parte a ricevimenti e conversazioni dando prova di un dinamismo e di una vitalità inesauribili.

Non sono mancate durante l’ultima parte della sua permanenza qui, come ho telegrafato e riferisco separatamente, atteggiamenti ed affermazioni non fatti per piacere agli americani, tuttavia il lavoro era già compiuto ed il capitale di simpatie accumulato nei giorni precedenti gli ha garantito «l’impunità» di questa stampa e sin qui dei senatori dell’ovest.

La sua particolare conoscenza di questo paese e della mentalità americana, unita alla padronanza della lingua hanno facilitato il suo compito e assicurato alla sua missione, impostata sul principio della consultazione tra eguali, un indiscutibile successo di prestigio e di stima. Caratteristico è apparso a tale riguardo il suo affettato disdegno di parlare specificatamente di aiuti economici e militari demandandoli tutti alla visita successiva del suo Ministro delle Finanze ed alle conversazioni tra i tecnici, e di porre tutta l’enfasi sui problemi politici e di cooperazione franco-americani nei vari settori mondiali.

Da piparti, ed anche in Francia, secondo quanto scrivono i giornali, è stato affermato che all’infuori di questo indubbio successo personale egli abbia qui ottenuto ben poco. Il vero è che Mendès-France si è reso conto sin dall’inizio che i tempi non erano maturi per avanzare delle richieste precise ma che fosse opportuno impostare i problemi generali, chiarire le posizioni ed i programmi del suo governo, nella convinzione che i dividenti politici ed economici non dovrebbero tardare a seguire la ratifica degli accordi di Parigi e le prime attuazioni dei suoi piani per l’Africa e la ripresa economica francese.

D’altra parte sarebbe ingiusto affermare che i risultati sono circoscritti al solo successo personale perché in vari settori intese sono state raggiunte ed affidamenti ottenuti.

Gli argomenti sollevati da Mendès-France sia col Presidente che con Foster Dulles riguardano: l’Europa, la situazione francese con le sue esigenze politiche ed economiche, il Nord Africa e l’Indocina.

Riassumo qui di seguito le informazioni raccolte sia al Dipartimento che presso questa Ambasciata di Francia.

Europa.

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di Dulles circa la temporanea garanzia. Da parte americana ci si è detti infatti inclini a ricercare, insieme con gli inglesi, una formula che garantisca il rispetto dell’accordo franco-tedesco di Parigi, fino alla stipulazione del trattato di pace. La formula potrebbe consistere in una dichiarazione anglo-americana intesa ad affermare che i due governi «will consider with great concern any violation of the present agreement».

Volutamente gli americani hanno taciuto sulle difficoltà tedesche per la ratifica degli accordi di Parigi, ma è stato Mendès-France a parlarne. Egli ha detto di essere contrario a una rinegoziazione dell’accordo per la Sarre o alla stipulazione di protocolli aggiuntivi, e di essere invece favorevole a studiare con i tedeschi, quegli accorgimenti che, pur lasciando intatta la sostanza e la forma dell’accordo, ne facilitassero l’interpretazione.

La concessione non è apparsa sostanziale, tuttavia Dulles per ovvie ragioni non ha voluto dare la sensazione di parlare o di agire nell’interesse dei tedeschi.

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senatori e congressmen criticassero il Governo perché le armi mandate in Europa servissero per «sparare sugli arabi». Mendès-France, dopo aver spiegato che la Francia aveva dovuto fronteggiare una situazione di emergenza e stroncare pericolosi tentativi di insurrezione, ha fatto presente l’impossibilità di fare una netta distinzione tra truppe equipaggiate con armamento americano e quelle con armamento francese, poiché tutto l’esercito è stato ormai da anni rifornito in grande misura con materiale americano. Pur convenendo sull’impossibilità di fare una simile distinzione, Foster Dulles ha obiettato che 7 divisioni sono sempre troppe per fronteggiare 1500 ribelli. A Mendès-France non è mancata la nota spiritosa per far rilevare la concezione tutta personale del Segretario di Stato in materia di guerriglia ed ha finito con l’ammettere che era possibile prevedere un rimpatrio parziale di tali forze. Egli ha dato assicurazione che in avvenire non verranno distolte altre truppe del settore metropolitano.

Circa i bilanci militari il Presidente del Consiglio ha detto che la Francia, «specie se aiutata in altri campi», non vi avrebbe apportato tagli da compromettere gli impegni NATO.

Nord Africa.

Questa è stata ‒come Vostra Eccellenza avrà potuto già rilevare ‒la parte più animata dei colloqui e quella che ha presentato la maggiore difficoltà per la redazione del comunicato finale. Le poche righe dedicate all’Africa hanno richiesto ben 3 ore di discussioni.

Mendès-France ha esordito citando gli attacchi di radio Cairo ed ha chiesto che gli americani si adoperino presso il Governo di Nasser perché sospenda l’azione sobillatrice condotta a mezzo radio. Foster Dulles ha tenuto subito a precisare di essere intervenuto per ben due volte al Cairo per far presente che non si ostacolasse la Francia proprio nel momento in cui essa stava cercando, attraverso concessioni sostanziali, di venire incontro ai desideri e alle ambizioni delle popolazioni del Nord Africa.

Sulla base di recentissime radio intercettazioni, la cui lettura in seduta ha impressionato il Segretario di Stato, si è convenuto che il Governo americano avrebbe fatto nuovi passi presso Nasser. Passando poi a trattare della Tunisia, Mendès-France ha tracciato un quadro assai incoraggiante della situazione. Egli ha messo al corrente gli americani degli ultimi sviluppi delle trattative in corso e si è detto sicuro di poter giungere quanto prima ad una conclusione soddisfacente.

Nel descrivere la situazione in Marocco Mendès-France è apparso invece reticente ed in evidente imbarazzo. Per la prima volta egli ha dato la sensazione di non aver idee ben chiare ed un piano preciso. Infatti, dopo aver accennato al problema dinastico per dire che non era possibile fare concessioni su questo punto, ed alla situazione generale per definirla confusa e bisognosa di tempo perché le posizioni si chiarissero, egli ha, a dir poco, sorpreso i suoi interlocutori rivelando che in base ad un impegno preso col Parlamento egli pensava di investire della questione delle agitazioni in Nord Africa, il prossimo Consiglio Atlantico, in virtdell’art. 4 del Patto stesso. Tale proposta è stata poi ritirata dinnanzi alle fondate obiezioni di Dulles (anti-colonialismo degli scandinavi, freddezza della Turchia e anche del Portogallo) di non imbarazzare inutilmente i propri alleati visto che sarebbe stato difficile ottenere financo una generica dichiarazione di simpatia da parte del Consiglio.

Né maggiore fortuna ha avuto un suggerimento del Segretario di Stato di accennare alla questione nel discorso che Mendès-France doveva fare alle Nazioni Unite, per motivi ovvi che non ho bisogno qui di precisare. Alla fine dell’animato dibattito si è convenuto che il problema meritava ulteriore considerazione e che in ogni caso fosse da evitarsi, sulla base della esperienza indocinese, un allargamento del dibattito sul piano internazionale.

Indocina.

La discussione sull’Indocina è quella che ha assorbito la maggior parte dei colloqui. Dopo una dettagliata discussione della situazione politica si è stabilito di appoggiare il Governo di Diem e di procedere di comune accordo al riarmo dell’esercito vietnamese e alla riorganizzazione dell’economia locale. Da parte americana si è riconosciuta la necessità che il Governo Collins agisca d’intesa con il Generale Ely e l’inopportunità di pubbliche dichiarazioni che pongano in difficoltà i francesi e creino complicazioni nel meccanismo armistiziale.

Mendès-France non ha sollevato il problema del contributo americano al finanziamento del Corpo di occupazione francese ma gli americani gli hanno lasciato intendere che, nei limiti posti dagli accordi di Ginevra (impossibilità di acquistare in Francia munizioni e armamento), continueranno a dare anche per il 1955 il loro aiuto soprattutto per quanto riguarda il pagamento del soldo alle truppe.

Un maggiore coordinamento è stato anche deciso in linea di massima per quanto riguarda la realizzazione del programma economico americano e di quello francese che verrebbero perattuati separatamente. In proposito gli americani avrebbero detto che cercheranno di spendere nel 1955 cento milioni di dollari per il Laos, il Cambogia e il Viet Nam, oltre ai 40 milioni destinati dalla FOA per risolvere il problema dei rifugiati.

Per quanto riguarda l’aumento delle forze comuniste nel Viet Minh, entrambe le parti hanno riconosciuto almeno per il momento, l’inutilità di ricorrere alla Commissione di Controllo, sia perché tale Commissione è stata costituita da poco tempo, sia perché in base alle precedenti esperienze coreane, non vi sono che ben poche probabilità che essa riesca ad esercitare efficacemente le sue funzioni. È stato quindi deciso che tutte le informazioni che riguardano il potenziamento delle forze armate comuniste nel Viet Minh in violazione agli accordi di Ginevra, vengano divulgate alla stampa sia negli Stati Uniti che in Francia per provare alle due opinioni pubbliche la malafede dei comunisti.

Il risultato pisostanziale di questa visita è il netto miglioramento nei rapporti franco-americani. Permangono è vero molte zone d’ombra, prima fra tutte il Nord Africa, tuttavia da entrambe le parti si è data prova di voler superare le difficoltà, come è stato nel caso dell’Indocina, e di fare delle reciproche concessioni. La visita mi sembra dunque da giudicarsi ‒come dicevo dall’inizio ‒più che sul piano immediato su quello dello sviluppo futuro dei rapporti bilaterali. La Francia ha sempre avuto larghe simpatie in questo Paese, essa potrà continuare a farvi affidamento specie se Mendès-France saprà svolgere una vigorosa politica anti-comunista e con la sua fervida immaginazione, in materia di rapporti est-ovest, non incrinerà la fiducia che oggi si ripone in lui e nel suo Governo.

Voglia gradire, Signor Ministro, l’espressione del mio pidevoto ossequio.

[Mario Luciolli]

1 Ambasciata a Washington, 1940-1973, b. 27, fasc. 737.

200

L’AMBASCIATORE A BRUXELLES, GRAZZI, AL MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI(1)

T. s.n.d. 15421/213. Bruxelles, 26 novembre 1954, ore 20,30 (perv. ore 7,35 del 27).

Il Ministro Spaak è d’avviso che, in vista della riunione del 17 gennaio per il pool degli armamenti, occorrerebbe richiedere ai francesi proposte scritte concrete. Ciperché, allo stato delle cose, il Governo belga pur approvando in linea generale i concetti basilari non è pervenuto a farsi idee precise su ciche i francesi chiederebbero: il che rischia di compromettere l’esito della riunione.

Spaak prega di fargli conoscere se il Governo italiano sarebbe d’accordo di avanzare a Parigi tali richieste al pipresto(2).

1 Telegrammi segreti originali 1954, arrivo, vol. I. 2 Per la risposta vedi D. 205.

201

L’INCARICATO D’AFFARI A LONDRA, THEODOLI, AL DIRETTORE GENERALE DELLA COOPERAZIONE INTERNAZIONALE, MAGISTRATI(1)

L. 5066. Londra, 26 novembre 1954.

Caro Massimo,

grazie per la tua lettera del 18 corrente(2).

Non posso ancora inviare una relazione completa sulle decisioni prese dalla Commissione ad interim circa le varie questioni sollevate nel Memorandum giacché la riunione del 22 è stata piuttosto inconcludente.

L’Ambasciata francese non aveva istruzioni definitive su molti punti e viceversa quella belga le aveva fin troppo esplicite, giacché erano in molti casi diametralmente opposte a quelle degli altri Stati. Per es. per la struttura del Consiglio, Spaak vorrebbe fin dall’inizio una delegazione permanente distinta dalla missione diplomatica. Per l’Assemblea a Strasburgo vorrebbe un Segretariato distinto e completamente indipendente da quello del Consiglio d’Europa; per i rapporti con il NATO non voleva la presenza di alcun osservatore di Parigi nemmeno saltuariamente. E infine per l’Agenzia degli armamenti non voleva che si discutesse né sulla personalità né sulla nazionalità del direttore. Così la riunione è stata rimandata alla settimana prossima in attesa che il belga ottenga l’autorizzazione del suo Ministro a discutere le questioni di cui sopra e comunque ad assumere un atteggiamento pielastico.

Intanto Lord Ismay ha espresso il desiderio di venire ad esaminare con la Commissione interinale la questione appunto dei collegamenti tra NATO e UEO. La riunione è stata fissata per giovedì 2 dicembre, sperando che nel frattempo Spaak non si opporrà anche a questo.

Per la preparazione del Gruppo di Lavoro sulla produzione e standardizzazione degli armamenti (punto 7 delle vostre istruzioni) i francesi propongono e insistono che l’organizzazione – pur sotto l’egida e la direzione del Segretariato di Londra – sia curata dal Governo francese; e ciper la ragione che per il 17 gennaio il Segretariato del NATO sarebbe ancora impegnato nella preparazione della «Annual Review».

I tedeschi appoggiano la richiesta francese che viceversa non piace molto a inglesi e olandesi. Che atteggiamento dobbiamo prendere?

Intanto giovedì prossimo [il 2 dicembre] Lord Ismay ci dirà se effettivamente egli potrebbe o meno organizzare la riunione di cui si tratta perché in caso contrario la proposta francese avrebbe un buon fondamento; a meno che non si voglia ricorrere all’OECE, come suggerito da qualcuno.

Infine ti pregherei di dirmi:

1) se, pur non essendo membri dell’ONU, siamo favorevoli a continuare la riunione degli esperti per la consultazione che ha luogo prima dell’Assemblea Generale dell’ONU (punto c del n. 3 del Memorandum).

2) Se ritenete opportuno inserire al n. 4 del questionario anche un’altra voce, ossia «rapporti con la CECA». Questa questione è stata sollevata dai tedeschi e le altre delegazioni si riservano di chiedere istruzioni ai propri Governi.

3) Per la nomina del direttore dell’Agenzia dobbiamo decidere la procedura migliore per discutere questo delicato problema.

Vi è chi propone che il Segretario Generale faccia dei sondaggi con le singole delegazioni e poi tiri le somme e prepari un rapporto che potrebbe essere discusso in seduta ristretta dei soli Capi Missione. Stikker invece ha suggerito che la questione sia risolta o almeno affrontata nella prossima riunione dei Ministri a Parigi.

Credo che si finirà per seguire in via preliminare il primo sistema. In tal caso vorrei sapere se posso mostrare una tendenza favorevole a una candidatura inglese che mi sembra, tutto sommato, la miglior soluzione. Ma ti avverto che almeno per ora i francesi vorrebbero portare avanti una candidatura del Benelux e piparticolarmente, credo, dell’Olanda(3).

Con molti cordiali saluti, credimi, tuo

L.Theodoli

1 DGAP, Uff. IV, Versamento CED, 1950-1954, b. 29, fasc. 102.

2 L. urgente 20/2800, con la quale Magistrati rispondeva a L. 4822 di Theodoli del 12 novembre sulla questione della nomina del Commissario per la Saar (DGAP, Uff. IV, Versamento CED, 1950-1954, b. 29, fasc. 101).

3 Per la risposta vedi D. 206.

202

L’AMBASCIATORE A BRUXELLES, GRAZZI, AL MINISTRO DEGLI AFFARI ESTERI, MARTINO(1)

R. 4898/2453. Bruxelles, 27 novembre 1954.

Signor Ministro,

Il Ministro Spaak mi ha trattenuto a lungo per parlarmi di quello che con una parola egli ha definito «l’avvenire dell’europeismo», aggiungendo che sulle idee che stava per espormi, per quanto ancora vaghe e generiche, egli avrebbe gradito conoscere il pensiero del Governo italiano.

In sostanza il Ministro mi ha detto quanto segue.

Non v’è dubbio che, almeno in Belgio, il partito cattolico attaccherà il Governo accusandolo di aver, nella sua azione politica e sopratutto avendo approvato i Trattati di Parigi, lasciato cadere molte delle idee europeiste che invece i partiti cattolici europei avevano costantemente caldeggiate quando stavano al potere. Il Governo belga si troverà nella necessità di far fronte a tali critiche, per quanto, ha ammesso il Ministro, ben pochi argomenti esso abbia oggi in mano per dimostrare non soltanto che tali critiche sarebbero infondate, ma che la sua stessa volontà di proseguire sulla strada della integrazione europea è rimasta immutata.

Spaak si domanda percise per l’immediato avvenire convenga proprio appoggiarsi in maniera speciale sull’Unione Europea Occidentale, ed in caso affermativo con quali speranze e soprattutto con quali progetti concreti. A tal proposito ho creduto opportuno di illustrargli quanto appena esposto nel telespresso ministeriale n. 2818 del 20 novembre2, relativamente alle eventuali adesioni di altri Stati all’UEO; ed il Ministro si è dichiarato d’accordo sull’opportunità di andare cauti nell’ammettere nuovi Stati in tale Organizzazione, allo scopo di non annacquarne subito le possibilità di funzionamento e di non ridurla ad un doppione di altri Enti già esistenti.

Tuttavia Spaak si domandava – specie dopo aver letto il pirecente discorso del Ministro Eden – se l’Inghilterra sia in realtà matura per rappresentare, in luogo che un freno, una spinta all’europeismo, sia pure progressivo e modesto. E percimi chiedeva se il Governo italiano non sarebbe d’avviso, come egli ed i colleghi del Benelux erano per propendere, di rivolgersi piuttosto che all’UEO alla CECA; ove i sei Paesi hanno già dato prova di saper applicare in via pratica il concetto della supernazionalità.

Ovviamente ho riservato la risposta del Governo italiano. Ma ho creduto, in via personale, di fargli osservare che il rinunciare subito all’UEO avrebbe equivalso, come si dice in francese, a «jeter le manche après la cognée»; e che il rivolgersi alla CECA per stabilire altri settori supernazionali quali il Ministro mi aveva indicato (e cioè l’energia, i trasporti e simili), avrebbe condotto a mettersi sulla strada di una compartimentazione per settori alla quale il Governo italiano si era sempre dimostrato contrario per una serie di ragioni che, essendo piche note a Roma, non mi dilungo a spiegare nel presente rapporto, come ho invece fatto al Ministro.

Spaak mi ha risposto che si rendeva perfettamente conto di tali obiezioni, ma che peraltro non bastava decidere di rivolgersi all’Unione Europea Occidentale per essere sicuri di ottenere il consenso e la cooperazione dell’Inghilterra; che comunque, qualora intendessimo valorizzare l’Unione, bisognerebbe pur sempre che noi continentali avanzassimo delle idee precise e delle proposte concrete; e mi ha domandato se il Governo italiano avesse già delle idee al riguardo.

Ho chiesto al Ministro che cosa ci fosse di consistente nel progetto (circa il quale mi pare di aver già fatto una segnalazione al Ministero), caldeggiato dal Barone Snoy, di Zona di libero scambio tra i Paesi europei. Il Ministro mi ha risposto che questa questione è all’ordine del giorno, che il Governo belga la sta esaminando e che esso ritiene che la minaccia degli accordi franco-tedeschi sia tale da indurre anche le persone che erano meno favorevoli all’integrazione europea a ripiegare magari con sforzo sull’europeismo per timore che i Paesi pipiccoli restino isolati da un’eventuale intesa tra le due Nazioni pigrandi. E poiché per ovviare a tale pericolo, del quale si era parlato a lungo nella recente riunione dei Ministri del Benelux, egli ed i propri colleghi non vedevano altro rimedio se non quello di procedere verso la formazione di un mercato comune europeo, egli Spaak, per quanto soltanto in linea di principio, si dichiarava, da un punto di vista generale, favorevole ad approfondire lo studio della creazione di una tale Zona. Anche su questo punto egli gradirebbe in particolare conoscere le opinioni di massima del Governo italiano.

Sempre salvaguardando, com’è naturale, le decisioni di Vostra Eccellenza, ho creduto far rilevare al signor Spaak che la Zona di libero scambio escluderebbe la Gran Bretagna, anche del resto perché tale iniziativa, se avevo ben capito, verrebbe posta nel quadro della CECA e non già in quello dell’UEO; che, in tali condizioni, la Zona avrebbe perduto il grande vantaggio di avvicinare sempre pistrettamente l’area della sterlina all’area dei paesi continentali; e che lo stesso Barone Snoy mi aveva detto qualche settimana or sono che nel caso, assai probabile, del rifiuto della Francia di aderire senza la Gran Bretagna ad un simile progetto, la Zona di libero scambio avrebbe potuto restringersi al Benelux, alla Germania e all’Italia. In tali condizioni, non mi era dato di scorgere, così ad occhio e croce, se non molti inconvenienti di ordine politico e di ordine economico che non sarebbero in maniera sicura bilanciati da vantaggi analoghi e corrispondenti. Sempre parlando a titolo personale, ho poi rammentato al Ministro che esisteva un Piano Pella, presentato all’OECE nel 1950, e che tale Piano, anche per il suo carattere di progressività, mi sembrava assai pipratico che non quello avanzato dal Barone Snoy sul quale il Governo belga si starebbe soffermando. Il Piano Pella, a mio avviso, avrebbe forse potuto condurre anche la Gran Bretagna a concedere all’Europa delle tariffe preferenziali, purché queste fossero meno favorevoli, di quelle interimperiali, di modo che nella futura Unione Europea la Gran Bretagna non dovesse temere un rilasciamento dell’Impero; e che se, come sarebbe inevitabile, molti cambiamenti dovrebbero essere apportati al piano originario, essi potrebbero venir esaminati e discussi in sede UEO, lasciando aperta la possibilità di ripiegare su altre istanze qualora fosse necessario.

Da questa conversazione generale risulta che:

1) il Governo belga si sta preoccupando, anche per ragioni di politica interna, di mantenere viva l’idea dell’europeismo;

2) esso sta alla ricerca di forme concrete da presentare agli altri partners al pipresto, ma senza aver ancora determinate né le possibilità né le modalità né le sedi in cui la ripresa del movimento integrativo potrebbe aver luogo;

3) esso Governo, o quanto meno il signor Spaak, si interessa di conoscere il pensiero italiano, data anche la similarità della situazione tra le due nazioni.

Prego perciVostra Eccellenza di volermi cortesemente far conoscere, qualora lo creda opportuno, quali siano le sue direttive in materia e se non ritenga conveniente che possa aver luogo uno scambio di idee piapprofondite tra il nostro Governo e questo, eventualmente inviando sul posto per prendere dei contatti preliminari qualche persona pispecialmente indicata.

Voglia gradire, Signor Ministro, gli atti del mio ossequio.

[Umberto Grazzi]

1 DGAP, Uff. IV, Versamento CED, 1950-1954, b. 29, fasc. 102. 2 Vedi D. 196.

203

L’AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI, AL MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI(1)

Telespr. 1590/9532. Parigi, 27 novembre 1954.

Oggetto: Incontro Mendès-France - Martino: Roma, gennaio 1954.

Ho esposto a de Moustier, nelle sue linee generali, l’ordine del giorno da noi previsto per l’incontro fra V.E. e Mendès-France.

De Moustier mi ha detto:

1) il Presidente del Consiglio annette molta importanza a questo incontro: l’idea di recarsi lui a Roma è stata un’idea personale sua. Egli desidera anche che questa conferenza sia accuratamente preparata;

2) Mendès-France non è affatto contrario all’idea di «vuotare i cassetti» del maggior numero possibile delle questioni, anche piccole, pendenti: fa parte del suo stile politico: possiamo quindi contare sul suo interessamento personale anche per questioni di importanza secondaria;

3) Mendès-France è un fermo partigiano della collaborazione franco-tedesca: detto questo, è perevidente che, nel corso delle conversazioni con Adenauer, sono state scambiate solo delle idee generali, molto vaghe, su cui si è ritenuto di insistere per evidenti ragioni di politica interna. Ma mi ha ripetuto, nella forma picategorica, l’assicurazione che, da parte francese, non si è mai concepita questa associazione franco-tedesca se non con la maggiore possibile collaborazione italiana. Mi ha parlato della resistenza olandese, dicendomi di non avere ben capito quali interessi privati si nascondono dietro questo atteggiamento: certo perche di fronte ad un accordo franco-italo-tedesco essi non esiterebbero a cedere.

(Su mia richiesta, in occasione di una colazione offerta ad un gruppo di giornalisti italiani in visita in Francia, ha ripetuto molto enfaticamente le assicurazioni a nostro riguardo);

4) Molta importanza egli annette, personalmente, ad uno scambio di idee approfondito sulle possibilità di sviluppo del Patto di Parigi in senso europeo.

Tutto questo sullo sfondo di una speranza che Mendès-France riesca a superare l’attuale congiuntura parlamentare, congiuntura che non è certamente facile.

Diceva de Moustier – e nel complesso ritengo con ragione – che è la prima volta che il Parlamento francese si trova ad avere a che fare con un Presidente del Consiglio che ha una volontà sua: e resiste, resiste tanto piche sente, e teme, questa specie di congiunzione che ancora esiste indubbiamente fra la volontà del Presidente ed il favore dell’opinione pubblica. Pur ammettendo che Mendès-France è ancora molto forte, riconosceva che la situazione è ancora ben lontana dall’essere, anche relativamente, stabile.

Circa la ratifica degli accordi di Parigi, de Moustier si riteneva molto soddisfatto di essere riuscito ad ottenere che almeno il Presidente Relatore della Commissione degli Esteri fosse il Generale Billotte, favorevole alla ratifica: perché, come è noto, alle altre Commissioni sono stati scelti come relatori degli avversari agli accordi. Mi confermava che l’opposizione dei comunisti e dei neutralisti si va facendo sempre piforte ed organizzata. Attualmente si cerca con ogni mezzo di riuscire a rimandare la discussione: Mendès-France mantiene la data del 14 dicembre, ma la data dovrà essere finalmente decisa in una riunione di Presidenti nella quale serpeggia lo spirito neutralista. Pur restando ottimista quanto al risultato finale, de Moustier ammetteva che la situazione è pidifficile oggi di quello che non fosse una settimana addietro.

C’è qui in giro molta soddisfazione per l’intervento di Robert Schuman in seno alla Commissione degli Esteri.

Si dice, in molti ambienti parlamentari, che l’MRP aveva, in principio, decisa l’astensione partendo dal presupposto che Mendès-France avrebbe, anche senza di loro, trovata una maggioranza per la ratifica: nel qual caso gli MRP avrebbero preferito non prendersi la responsabilità di votare il riarmo tedesco non picondizionato. Ma che, di fronte alla minaccia di defezioni nel campo gaullista – defezioni, è vero, pisul settore Africa del Nord che su quello europeo propriamente detto – essi si stanno orientando verso il voto favorevole: qui cominciano ad ammettere che gli accordi di Parigi sono meglio di niente. Si dice anche che, attraverso molti intermediari, egli stia facendo il possibile per creare questa necessità all’MRP di votare a suo favore – anche se questo gli dovesse costare molti gaullisti – come un primo passo per realizzare quella maggioranza parlamentare che lui sogna per il suo programma interno.

Noto di passaggio che, in circoli vicino al Presidente, si ha l’impressione che la nostra DC abbia cercato di agire, in senso favorevole al voto, presso l’MRP, cosa a cui Mendès-France è stato sensibile e che lo avrebbe confermato nell’interesse che presenta per lui la politica italiana.

A titolo di pura cronaca segnalo che, sempre in ambienti vicini alla Presidenza del Consiglio, si lascia circolare la voce che le proposte fatte da Mendès-France all’ONU sulla Conferenza con i Russi per maggio, oltre a rispondere ad un’evidente opportunità di politica parlamentare francese, sarebbero state concordate personalmente con Eisenhower che – sempre secondo questi circoli – non condivide la politica intransigente seguita da Dulles e che vorrebbe approfittare della nuova maggioranza democratica al Congresso per far valere le sue idee personali, che sarebbero molto piinclini a cercare tutte le possibili vie di conversazione.

Si dice, sempre negli stessi ambienti, che questa presa di posizione di Mendès-France non sarebbe stata molto gradita a Londra: per cui si aggiungeva un po’ ironicamente «Mendès-France, venuto al potere come filo-inglese, ed antiamericano, va diventando adesso, come i suoi predecessori, molto pigradito a Washington che a Londra».

Si intende che trasmetto l’informazione, di cui sopra, con ogni riserva del caso. Certo è che, se è esatto, si deve trattare di cosa molto segreta perché gli ambienti americani di qui, a quanto mi viene riferito, sono rimasti tutt’altro che entusiasti delle proposte di Mendès-France(3).

1 DGAP, Uff. IV, Versamento CED, 1950-1954, b. 29, fasc. 101. 2 Sottoscrizione autografa. 3 Per il seguito vedi D. 209.

204

L’AMBASCIATORE A BRUXELLES, GRAZZI, AL MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI(1)

Telespr. 4857/24332. Bruxelles, 29 novembre 1954.

Oggetto: Il Benelux e la situazione generale attuale.

Ha avuto luogo avant’ieri una riunione dei Ministri del Benelux, dedicata all’esame della situazione generale attuale nonché all’atteggiamento comune che le tre nazioni intendono assumere al riguardo.

Anzitutto sono state esaminate le possibilità di trattative con i soviets sulla base della nota russa pirecente(3) e del discorso tenuto da Mendès-France alle Nazioni Unite. L’atteggiamento dei tre Paesi è quello di continuare ad esplorare qualsiasi possibilità di negoziato, sempre pera condizione che nel frattempo si proceda il pirapidamente possibile alla ratifica degli Accordi di Parigi. Nessuno dei tre Governi si fa illusioni sulla possibilità di una trattativa seria, sopratutto dopo l’ultima presa di posizione del Governo sovietico. Tuttavia, i punti fermi sui quali si appoggia la politica dei tre Paesi sono:

1) riarmo occidentale da non scambiare contro un modesto pezzo di carta quale sarebbe rappresentato da un nuovo Patto di sicurezza;

2) diffidenza verso le mosse del signor Mendès-France che vengono giudicate intempestive, anche perché la sua recente offerta potrebbe condurre al rafforzamento degli oppositori al riarmo tedesco, tanto in Francia quanto in Germania;

3) propensione ad accettare la divisione definitiva della Germania piuttosto che la rinuncia al riarmo tedesco, quale quello che risulterebbe dal sistema escogitato dai Trattati di Parigi.

Dalle parole con le quali il Ministro Spaak mi ha illustrati i risultati della riunione, si potrebbe credere che nei Paesi del Benelux esista in questo momento un irrigidimento di fronte alla possibilità di negoziare con i russi. Credo che la ferma posizione di Spaak, come forse quella degli altri due Paesi del Benelux, rappresenti piuna fermezza di parole che non di fatti. Al momento opportuno anche in Belgio non si lascerà passare nessuna occasione per trattare, e non si mancherà di tener conto che una trattativa, qualunque essa sia, presuppone sempre l’abbandono di certe posizioni. In questo momento è indifferente per il Belgio di mostrarsi intransigente; ma di fronte a una qualsiasi possibilità di far luogo a conversazioni, specialmente se queste fossero desiderate dalla Gran Bretagna, il Belgio sarà tra i primi Paesi ad appoggiare qualsiasi eventualità in tale senso.

Aggiungo che i tre Paesi del Benelux sono stati unanimi nel condannare il metodo seguito anche questa volta dai cosidetti «Big threes» nel redigere il progetto di risposta alle note sovietiche, e che ognuno di essi intende apportarvi delle variazioni; essi desiderano, e credo si faranno eco di tale desiderio non solo presso il Consiglio del NATO, ma anche attraverso passi diretti nelle tre capitali, che d’ora innanzi risposte del genere vengano studiate sul serio in via collegiale, o per il tramite normale, o per il tramite del Consiglio del Patto Atlantico, dando il tempo ad ogni Paese di esporre la propria opinione, di discuterla con gli altri partners, e forse di procedere a determinate variazioni invece di essere solamente chiamati a dare il benestare su schemi già predisposti.

Si è poi parlato del «pool» degli armamenti, ed il picontrario ad esso si è dimostrato il Ministro olandese. Egli è stato perconvinto ad opera degli altri colleghi a non elevare troppe opposizioni di principio, ma ha conseguito che venga richiesto al Governo francese di fornire precisazioni concrete prima di iniziare la riunione del 17 gennaio a Parigi.

Infine è stata sollevata la questione dell’europeismo, in relazione anche alla dichiarazione di intendimento franco-tedesca di collaborazione economica. Su questo argomento riferisco a parte(4).

1 DGAP, Uff. I, Serie Affari Politici, 1951-1957, b. 301, fasc. USA I, Politica estera belga.

2 Sottoscrizione autografa.

3 Del 13 novembre: vedi d. 195, nota 4.

4 Con T. 15539/580, pari data, Grazzi riferì quanto segue: «Se devo giudicare dalle informazioni datemi da Bech non sembra che dalla riunione del Benelux a Bruxelles siano emerse novità ma solo la riconferma completa e dettagliata all’identità di vedute dei tre sui problemi europei sul tappeto. Circa il pool armamento [sic] il Benelux resta deciso che non parteciperà se non riceverà sicurissime e complete garanzie che il pool non si risolverebbe in un affare franco-tedesco. Per i piccoli Paesi i rischi della partecipazione all’associazione a 6 non sufficientemente sopranazionale sarebbero assai maggiori che quello di rimanere fuori da una eventuale associazione ad assetto definitivo. L’atteggiamento del Benelux nella prossima conversazione sul pool sarà quindi di prudentissima riserva ma senza preconcetta opposizione. Circa Mosella è stato deciso si faccia sapere a Bonn e Parigi il desiderio di una eventuale convocazione alla conferenza con la partecipazione di tutti gli interessati nonché dell’Alta Autorità. Riguardo il problema della CECA, è stata consolidata l’azione comune. Bech avrebbe ottenuto il pieno appoggio belga-olandese per la sede. Circa la presidenza vi è stato uno scambio di idee da cui sembra essere uscito favorito Coppé, qualora la Francia rinunziasse» (DGAP, Uff. I, Serie Affari Politici, 1951-1957, b. 301, fasc. USA I, Politica estera belga).

205

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI AFFARI ESTERI, ZOPPI, ALL’AMBASCIATA A BRUXELLES(1)

T. segreto 11410/139. Roma, 30 novembre 1954, ore 23,20.

Telegramma di codesta Ambasciata 2132.

In collaborazione con Uffici competenti e categorie interessate, abbiamo avviato un approfondito studio in merito eventuale pool degli armamenti, in vista riunione che si terrà a Parigi il 17 gennaio p.v.

Ci rendiamo conto del pericolo che tedeschi e francesi diano vita un giorno, procedendo da soli, a grande cartello industria pesante e quindi intendiamo non (dico non) essere assenti da trattative e decisioni. Del resto in tal senso abbiamo già parlato a tedeschi e francesi. Fino ad oggi, peraltro, non ci è noto alcun progetto concreto ad eccezione di documenti distribuiti, a suo tempo, nelle Conferenze di Londra e Parigi. Preferiremmo comunque astenerci, per il momento, da passo ufficiale per sollecitare delle proposte scritte(3).

1 DGAP, Uff. I, Serie Affari Politici, 1951-1957, b. 332, fasc. Unione Europea Occidentale, dal 23 ottobre 1954.

2 Vedi D. 200.

3 Un telegramma di contenuto analogo fu inviato all’Ambasciata a Washington: vedi D. 207.

206

IL DIRETTORE GENERALE DELLA COOPERAZIONE INTERNAZIONALE, MAGISTRATI, ALL’INCARICATO D’AFFARI A LONDRA, THEODOLI(1)

L. 20/2889. Roma, 1° dicembre 1954.

Caro Theodoli,

grazie della tua 5066 del 26 novembre(2). Vedremo come si andrà precisando l’atteggiamento belga, in cui comunque ci sembra apprezzare una ispirazione francamente europeistica.

Circa i quesiti specifici che mi poni eccoti, sentito l’Ambasciatore Zoppi, il nostro parere.

Per l’organizzazione della riunione di gennaio per il pool armamenti restiamo dell’avviso che vi abbiamo comunicato. Ma non ne facciamo una questione importante e ci rimettiamo alla decisione della maggioranza.

Siamo favorevoli a che continuino le riunioni di esperti a fine di consultazione prima delle assemblee generali dell’ONU; purché, naturalmente, vi partecipino a parità di voce i nostri.

Opportunissima l’inserzione nel questionario della voce «rapporti con la CECA». Noi abbiamo interesse che questi rapporti siano stretti e cordiali ed abbiamo intenzione di adoperarci in tal senso.

Per quel che riguarda il Direttore dell’Agenzia potete mostrare tendenza genericamente favorevole ad una candidatura inglese. Anche peruna candidatura Benelux non ci troverebbe affatto contrari; fermo restando in un caso e nell’altro il criterio di aver riguardo sopratutto alla personalità ed alla specifica competenza del candidato. Quel che ci interessa in questa materia è che appena possibile si abbia un quadro del complesso dei posti direttivi in seno all’UEO, onde fare opportunamente giocare su tale complesso l’elemento nazionalità. Io penso che potreste cominciare a sondare se le altre Rappresentanze abbiano già in proposito qualche idea.

Ti unisco infine, per vostra conoscenza, copia di uno scambio di telegrammi tra la Legazione in Lussemburgo ed il Ministero in merito alla questione della giurisdizione Speciale e, particolarmente alla possibilità di valersi della Corte di Giustizia della CECA(3).

Con molti cordiali saluti

[Massimo Magistrati]

1 DGAP, Uff. IV, Versamento CED, 1950-1954, b. 29, fasc. 102. 2 Vedi D. 201. 3 Per il seguito vedi D. 214.

207

IL MINISTRO DEGLI AFFARI ESTERI, MARTINO, ALL’AMBASCIATA A WASHINGTON(1)

T. segreto 11466/272. Roma, 2 dicembre 1954, ore 14,40.

In collaborazione con uffici competenti et categorie interessate andiamo approfondendo studio circa progettato pool armamenti nel quadro UEO, in vista riunione che si inizierà Parigi 17 gennaio prossimo.

Questione ci pone *seri*2 interrogativi. Da un lato ci rendiamo conto pericolo che tedeschi e francesi procedano da soli, dando vita a grande cartello industria pesante e quindi intendiamo non essere assenti a trattative e decisioni. Dall’altro non sottovalutiamo difficoltà nostra posizione in tali trattative, in relazione particolare situazione industria pesante italiana et nostre limitate possibilità finanziarie.

Ci interesserebbe, per nostro orientamento, avere qualche notizia sul come è visto costì in ambienti governativi ed industriali progettato pool armamenti. Pregasi riservatamente informarsi et riferire(3).

1 Telegrammi segreti originali 1954, partenza, vol. II. 2 Tra asterischi, correzione manoscritta sovrascritta su «grossi». 3 Per la risposta vedi D. 208.

208

L’INCARICATO D’AFFARI A WASHINGTON, LUCIOLLI, AL MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI(1)

T. segreto 15800/676. Washington, 3 dicembre 1954, ore 20,32 (perv. ore 8,10 del 4).

L’esame del problema di cui a suo 2722 è qui ancora in fase embrionale. Il Governo americano è tuttora e presumibilmente rimarrà contrario ad ogni sistema che tenda a limitare anche parzialmente la sua libertà nella distribuzione degli aiuti tra i singoli paesi. Oltre questa posizione pregiudiziale è difficile si manifestino qui orientamenti netti finché la riunione che si inizierà a Parigi il 17 gennaio non avrà delineato pichiaramente i propositi dei Governi europei. In via generale è da attendersi ostilità di principio verso la cartellizzazione ma non si puescludere l’accettazione delle soluzioni che possano essere presentate come ulteriore passo verso «integration» europea.

Riferirulteriormente(3).

1 Telegrammi segreti originali 1954, arrivo, vol. III. 2 Vedi D. 207. 3 Per il seguito vedi D. 215.

209

IL MINISTRO DEGLI AFFARI ESTERI, MARTINO, ALL’AMBASCIATA A PARIGI(1)

Telespr. segreto Segr. Pol. 2272. Roma, 3 dicembre 1954.

Oggetto: Incontro italo-francese.

In vista dell’incontro italo-francese, sembra opportuno fissare alcuni punti che converrà tener presenti nelle conversazioni preliminari che V.E. avrà costì.

- - -

Sul piano della realtà politica, non possiamo tuttavia dimenticare che il pensiero del Presidente Mendès-France è stato, in un primo tempo, orientato verso conversazioni con l’Est contemporanee alla procedura di ratifica nei vari Paesi degli Accordi UEO; in un secondo tempo, verso conversazioni successive all’approvazione parlamentare. Le pirecenti dichiarazioni del Presidente negli Stati Uniti, ripetute anche ai giornalisti italiani, in favore di una Conferenza a Quattro in maggio, non chiariscono completamente il suo pensiero, se cioè l’esecuzione degli Accordi sia subordinata all’eventuale insuccesso della Conferenza.

Il punto di vista italiano è che eventuali colloqui con i sovietici debbano aver luogo non solo ad avvenuta ratifica, ma quando si sia già iniziata un’attività UEO.

4. Relativamente alla presentazione degli Accordi al Parlamento, condivido la considerazione di V.E. che occorra poter dire che essi non precludono negoziati sulla riunificazione della Germania, purché da parte sovietica si consenta alle elezioni libere; e che ugualmente non precludono il disarmo in Europa, compresa la Germania, se l’URSS è veramente decisa a disarmare. Occorre mettere bene in chiaro che non si è pronti a negoziare a spese della Germania. Nel pensiero del Governo italiano, la riunificazione della Germania puprevedibilmente avvenire solo in un’atmosfera di vera distensione che, implicitamente, presupponga il disarmo; bene inteso un disarmo che non si limiti alle due parti della Germania, ma ad entrambi i blocchi ai due lati della cortina.

Tale nostro punto di vista potrà essere suscettibile di modifica o di conferma a seguito dell’apprezzamento della politica sovietica che verrà fatto nella riunione di dicembre del Consiglio Atlantico.

- -

Da un punto di vista generale sembra non si dovrebbe lasciare ai sovietici la possibilità di fare un «bluff», di sbandierare cioè l’offerta di maggiori traffici, quando sembra che questi traffici non possano essere notevolmente incrementati, e ciper ragioni puramente obiettive, inerenti all’economia stessa dei Paesi comunisti.

Se ci trovassimo d’accordo con i francesi, si dovrebbe anche convenire di sostenere presso gli alleati tale punto di vista solo ad avvenuta ratifica dell’UEO, ad evitare che esso possa essere interpretato come segno di acquiescenza alla tesi sovietica.

7. Il principio fondamentale della nostra politica estera è la fedeltà al Patto Atlantico; lo stretto accordo con gli Stati Uniti è anche elemento essenziale della nostra politica.

A questo riguardo, alle evidenti ragioni di politica interna, ricollego le considerazioni che V.E. ha in passato ripetutamente fatto relativamente alla necessità, sentita in alcuni settori, di una qualche riforma del Patto Atlantico che possa essere suggerita dall’esperienza. Non sarà certamente possibile, per ovvie ragioni di opportunità, precisare nei prossimi colloqui i termini del problema; tuttavia le conversazioni dovrebbero favorirci l’occasione per insistere nel nostro punto di vista, essere cioè necessario sviluppare maggiormente il sistema delle «previe consultazioni» onde arrivare alla formulazione ed alla pratica attuazione di una politica estera atlantica, veramente comune ai vari Paesi.

Le recenti discussioni in seno al Consiglio dei Rappresentanti Permanenti, relativamente alla risposta comune alla Nota sovietica, sono state per noi motivo di soddisfazione in quanto abbiamo veduto accettati integralmente i suggerimenti da noi avanzati relativamente ad alcuni punti del progetto di Nota, quale redatto dal gruppo di lavoro NATO da noi stessi suggerito.

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12. Vi è, in secondo luogo, il progettato «pool» degli armamenti. V.E. sa che non ci avviamo alla riunione del 17 gennaio senza interrogativi e preoccupazioni. A parte, Le viene inviato un primo studio elaborato dal Ministero dell’Industria, piuttosto critico della nostra eventuale posizione in seno al pool. Contatti sono anche in corso con gli ambienti industriali interessati, dei quali del resto V.E. ha anche direttamente già conosciuto qualche orientamento. Noi pensiamo che il quadro delle conversazioni italo-francesi che precederanno di pochi giorni la citata riunione ‒si presti a raggiungere qualche chiarimento che renda pifacile la nostra posizione nella riunione stessa. Ci è difficile ancora, in mancanza di piprecise indicazioni circa i progetti francesi (noi non abbiamo altro che i sintetici documenti fatti circolare nelle Conferenze di Londra e di Parigi), precisare con sicurezza la nostra linea; ma su tre punti penso ci converrebbe insistere: a) garanzie per massimo utilizzo delle capacità esistenti in ciascun Paese; b) presa in considerazione dell’Italia meridionale ed insulare non meno di altre zone, quali ad esempio il Nord Africa francese, e c) accentuazione dei caratteri istituzionali di sopranazionalità nel pool, quale garanzia in genere della posizione dei partecipanti pideboli.

Gradirei vivamente conoscere, su tale impostazione, il suo punto di vista.

13. Circa l’allargamento dell’UEO abbiamo recentemente formulato il nostro pensiero e contiamo di confermarlo in occasione dell’incontro. Le considerazioni fatte verbalmente da V.E. ci fanno ritenere che troveremo il Presidente Mendès-France consenziente. Ma appunto perché siamo in principio contrari all’allargamento, almeno per ora, dell’UEO, sarà opportuno esaminare a fondo il problema della cooperazione italo-francese nel seno stesso dell’Unione.

Nell’ambito della collaborazione italiana con gli altri Paesi UEO consideriamo comunque che la nostra cordiale e fattiva cooperazione con Parigi e con Bonn debba – per quanto possibile – mantenersi equidistante.

Questioni minori nel settore UEO sono:

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del Trattato di Pace, ma anche un impegno del Governo statunitense ad appoggiare la Francia perché l’Accordo di Parigi venga a suo tempo inserito nel Trattato di Pace finale. Il rifiuto sarebbe stato netto per ciche concerne l’impegno per le trattative di pace, piconciliante invece è stata la risposta di Dulles circa la temporanea garanzia.

17. Per quanto riguarda la cooperazione franco-italiana, anche alla luce delle dichiarazioni del Presidente Mendès-France in tema di cooperazione economica franco-tedesca, v’è anzitutto da osservare, da un punto di vista generale, che le conversazioni non dovranno apparire come ispirate da preoccupazioni anti-tedesche, così come quelle che stiamo avendo in tema di cooperazione economica con la Germania non debbono creare ingiustificati sospetti a Parigi: il nostro desiderio è quello di sviluppare i nostri rapporti con entrambi i Paesi.

Il momento psicologico appare favorevole per attuare propositi di una pistretta cooperazione economica franco-italiana ed italo-tedesca nella convinzione che, attraverso una maggiore collaborazione con entrambi i Paesi, risulterà, di fatto, una cooperazione triangolare.

Comunque, sarà necessario continuare ad indagare, come del resto stanno facendo altri Paesi (in particolare il Belgio e l’Olanda), sulle reali prospettive del piano Mendès-France circa la cooperazione economica con la Germania. Piprecise idee al riguardo potranno risultare dai nostri contatti in corso con i tedeschi e da quanto riferiranno le Rappresentanze nei Paesi europei.

Sarà comunque assai utile, a conclusione dell’incontro, una dichiarazione di principio circa il comune interesse di procedere in via collegiale e collettiva in materia di cooperazione economica, perché ciservirà a confermare l’accento sull’impostazione europeistica della nostra politica.

18. Circa la cooperazione economica italo-francese, attendiamo di conoscere i risultati dei sondaggi in corso da parte dei nostri ambienti industriali e finanziari (Confindustria, Missione Hugues-Carli-Alasia, ecc.).

È stato recentemente ribadito ai francesi, in sede tecnica, che sul piano economico i nostri rapporti si erano andati anemizzando negli ultimi anni, e che tra gli operatori economici italiani serpeggia un certo malumore per la politica severamente restrittiva seguita dalla Francia. È stato loro detto che, poiché la stasi dei rapporti è determinata da una situazione obbiettiva che ha la sua radice nella differente orientazione fondamentale politico-economica dei due Paesi, una ripresa non poteva essere lasciata alla pura «routine», ma domandava uno sforzo di audacia e di immaginazione da parte dei Governi non meno che degli operatori privati.

Questi problemi saranno del resto ripresi nel corso della prossima riunione della Commissione Mista italo-francese, per cui, all’epoca dell’incontro, al quale da parte nostra contiamo di far intervenire i Ministri economici, si avranno maggiori elementi per le conversazioni.

19. Per le questioni minori rinvio V.E. al carteggio in corso con i competenti Uffici del Ministero(3).

1 DGAP, Uff. I, Serie Affari Politici, 1951-1957, b. 387, pos. 1200.

2 Per le note sovietiche vedi D. 169, nota 2 e D. 195, nota 4. La risposta del 29 novembre dei Governi occidentali alle note sovietiche è in ISPI, Annuario di Politica Internazionale, 1954, pp. 58-60.

3 Per la risposta vedi D. 218.

210

L’AMBASCIATORE A BONN, BABUSCIO RIZZO, AL MINISTRO DEGLI AFFARI ESTERI, MARTINO(1)

R. segreto 19742/2642. Bad Godesberg, 3 dicembre 1954.

Oggetto: Preoccupazioni del Governo tedesco sulla posizione di Mendès-France -Viaggio di Blankenhorn a Parigi e Londra.

Signor Ministro,

i favorevoli risultati delle recenti elezioni regionali in Germania, che hanno rassicurato il Cancelliere federale sul pieno appoggio anche del Bundesrat agli accordi di Londra e di Parigi, vengono offuscati in questo momento dalle notizie che giungono dalla Francia.

Uno dei motivi della fretta di Adenauer nello spingere alle ratifiche era costituito, come è noto – a parte il timore di manovre comuniste e forse, per quanto riguarda la Germania, socialdemocratiche – anche dalla permanente insicurezza della situazione politica francese, dal timore cioè di veder crollare il Governo di Mendès-France prima che esso abbia avuto il tempo di affrontare le ratifiche all’Assemblea Nazionale.

Le notizie portate qui da Blankenhorn, rientrato ieri dal suo viaggio a Parigi ed a Londra, non appaiono perrassicuranti: è vero che Mendès-France, in un suo messaggio ad Adenauer, ha confermato il proprio ottimismo sulla presente situazione parlamentare del suo Governo, anche per ciche concerne le ratifiche, ma seri dubbi permangono, suffragati, come dirpiappresso, da preoccupazioni notate da Blankenhorn anche a Londra.

Quest’ultimo, in una confidenziale conversazione avuta con lui stamani, mi ha detto che la situazione a Parigi gli è apparsa piche mai incerta. L’opposizione al Presidente del Consiglio è attiva e pericolosa e, mi ha aggiunto, non mancano ad essa certo gli spunti, offerti dalle troppe cose che Mendès-France ha voluto affrontare contemporaneamente. La situazione personale del Presidente del Consiglio francese sarebbe venuta deteriorandosi rapidamente dopo il ritorno da Washington: questo viaggio, in altri termini, un po’ per le inevitabili conseguenze dell’assenza, un po’ per quella certa atmosfera antiamericana esistente in Francia, avrebbe, è vero, da un lato accresciuto il prestigio internazionale della Francia, ma dall’altro diminuito quello di Mendès-France all’interno del Paese. Alle difficoltà in Africa (mene comuniste per mi ha detto anche François-Poncet) ai problemi erariali ecc. si è aggiunto l’accordo sulla Saar, di cui l’opposizione si accingerebbe a fare il proprio cavallo di battaglia contro le ratifiche.

Il viaggio di Blankenhorn, destinato quindi a maggiori o forse migliori chiarimenti, ad uso tedesco, degli accordi sarresi, si è scontrato invece ad una situazione estremamente difficile a Parigi. I francesi hanno accusato – e piuttosto aspramente – i tedeschi di aver dato esca alla opposizione governativa con una interpretazione degli accordi troppo favorevole alla Germania, quale appare nella relazione che li accompagna al Bundestag. Né è valsa la obiezione che si tratta di documenti ad uso interno e che nulla avrebbe in contrario il Governo federale a che da parte francese si facesse una analisi diversa ad uso dell’Assemblea Nazionale. Non è certo da attendersi che si compia da parte tedesca qualche passo indietro sulla posizione già assunta ed è quindi molto verosimile che René Mayer si accinga, come ha detto Sotou, a valersi proprio dei documenti ufficiali tedeschi per accusare Mendès-France di aver ceduto la Saar alla Germania.

Comunque stiano le cose, le relazioni franco-tedesche non sembrano aver fatto nuovi progressi, e la Saar rimane ancora una volta la maggior pietra d’inciampo. È stato infatti ritenuto piprudente di non continuare le cosidette conversazioni interpretative, anzi di sospenderle del tutto, per non gettare altro olio sul fuoco, e di rinviare ogni nuova conversazione ad un momento successivo al dibattito sulle ratifiche che avrà luogo all’Assemblea Nazionale ed a quello, in prima lettura, che avrà luogo al Bundestag.

Di conseguenza, e questo riguarda anche noi, vengono rinviati a data imprecisata anche tutti i progetti da me riferiti con telegramma n. 186 del 15 dello scorso mese, sulla costituzione di una commissione a cinque (Benelux-Italia-Inghilterra) per sorvegliare la situazione sarrese e preparare il plebiscito, e sull’incarico al Consiglio dei Ministri dell’UEO per lo studio della figura giuridica e delle attribuzioni del Commissario europeo.

Come ho accennato, Blankenhorn, dopo Parigi – prendendo lo spunto da un gesto di omaggio compiuto dal Governo federale verso Churchill per il suo anniversario – si è recato a Londra ove, oltre al Premier britannico, ha visto anche Kirkpatrick. Anche a Londra, egli mi ha detto, non si è tranquilli. Anche colà si ritiene che Mendès-France sia la sola personalità oggi in grado di far passare gli accordi di Londra e di Parigi al Parlamento francese e la sua indebolita situazione desta non poche preoccupazioni. Se Mendès-France infatti cadesse, si pensa colà che la successione andrebbe o ad una personalità come Mayer contraria agli accordi, o ad altra forse favorevole come Pinay

o Faure, ma troppo debole per affrontare con successo un tale dibattito. Kirkpatrick ha detto a Blankenhorn che il Governo britannico tenterà, attraverso il proprio Ambasciatore a Parigi, e cercando di non urtare le suscettibilità francesi, di influire in qualche modo sugli oppositori dell’attuale Governo per evitare di cadere in un nuovo vacuum con così gravi pericoli per tutti.

Ma anche a Londra si pensa già a quelle che potrebbero essere le conseguenze di un nuovo no francese al riarmo tedesco ed alla organizzazione europea e, a giudicare da quanto ha detto Churchill, vi sarebbero già delle idee precise. Il Premier britannico è stato infatti molto picategorico, secondo il suo costume, e le sue affermazioni non mancano di riguardare direttamente anche noi: egli ha dichiarato che se dovesse ancora una volta verificarsi una carenza francese, con la mancata ratifica degli accordi di Londra e di Parigi, non resterebbe agli altri sei che adottare la politica della «empty chair»: in altri termini proseguire da soli nella organizzazione della UEO lasciando alla Francia il proprio posto per il giorno in cui vorrà occuparlo.

Ho riferito quanto precede affinché la questione possa anche da noi essere esaminata tempestivamente, per le eventualità peggiori, in vista di una situazione che, se riporterebbe tutti ad alternative gravi, già apparse in passato e superate allora solo in grazie della rapida azione britannica, potrebbe questa volta porre specialmente l’Italia di fronte a decisioni inevitabili, con un accresciuto peso internazionale è vero, ma sempre con difficili valutazioni di doveri e di responsabilità.

È bene aggiungere ad ogni modo che tutto viene fatto da una parte e dall’altra per evitare il verificarsi di tali catastrofiche previsioni che non escludo nemmeno possano essere in parte esagerate dalla particolare sensibilità di questo ambiente. Da parte tedesca, ad ogni modo, mi è stato detto, se non sarà possibile variare le proprie tesi interpretative sulla Saar, sarà fatto di tutto e personalmente da Adenauer, per ottenere dai Partiti della coalizione, e specie dai liberali, una certa moderazione di linguaggio nel delicato momento dei dibattiti e non fornire nuove armi agli oppositori di Mendès-France. Da parte britannica ‒si tratta però per il momento di idee ancora molto vaghe ‒si sarebbe disposti, qualora apparisse utile, a prendere la iniziativa di una conferenza a quattro sulla Saar, con la partecipazione cioè, oltre che dei due Paesi interessati, dell’Inghilterra e dell’America nella loro veste di future Potenze garanti degli accordi stipulati. Cipotrebbe sembrare, mi permetto di aggiungere, una esclusione dell’altra grande potenza dell’UEO e cioè dell’Italia, ma continuo a pensare, come ho riferito in passato quando veniva ventilata l’idea di una mediazione italiana, che è nostro interesse di rimanere fuori il pipossibile e di evitare di restar impegolati in una contesa così acuta fra Francia e Germania. La nostra pronta adesione ai progetti inglesi ci ha portato ad un felice consolidamento dei rapporti con questo paese, senza menomare i vincoli che ci uniscono agli Stati Uniti e credo che la nostra posizione internazionale, anche rimanendo direttamente estranei alla risoluzione del dissidio franco-tedesco, verrà naturalmente rafforzata, se i tempi promessi per le nostre ratifiche potessero essere mantenuti. Né credo che tanto da parte tedesca come da parte francese ci si attenda un nostro attivo interessamento. Le ratifiche francesi non sono certo sicure, e mi permetto di richiamare al riguardo alcuni giudizi di François-Poncet riferiti subito dopo la conclusione degli accordi di Parigi. La Saar non sarà infatti il solo problema su cui si accentrerà la opposizione francese, poiché essa non mancherà, come appunto prevede questo Alto Commissario francese, di risuscitare, contro alle garanzie offerte dalla vecchia CED, lo spettro di un esercito nazionale e di uno stato maggiore tedesco.

Se le cose stessero veramente in questo modo non sarebbe nemmeno da escludere che, forse dagli inglesi, possa essere richiesto anche a noi di esercitare una qualche influenza a Parigi sulle correnti politiche ostili a Mendès-France; resta comunque sempre da vedere, ripeto, se le preoccupazioni che si nutrono a Bonn, non siano ingigantite da un osservatorio così interessato come questo, e lascio a V.E. di giudicare se non sia il caso di compiere in proposito un qualche diretto sondaggio a Londra e a Washington.

Voglia gradire, Signor Ministro, gli atti del mio profondo ossequio.

[Francesco Babuscio Rizzo]

DGAP, Uff. IV, Versamento CED, 1950-1954, b. 29, fasc. 102.

211

L’AMBASCIATORE A BRUXELLES, GRAZZI, AL MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI(1)

Telespr. 4990/25032. Bruxelles, 6 dicembre 1954.

Oggetto: Il partito di maggioranza belga ed il momento internazionale.

Ho avuto occasione in questi giorni di parlare con alcuni esponenti del partito socialista belga in merito alle due principali questioni oggi sul tappeto, e cioè gli Accordi di Parigi e trattative con l’URSS e l’avvenire dell’integrazione europea. Stimo opportuno riferirne in proposito a codesto Ministero, tenendo conto anzitutto che le opinioni del Ministro Spaak sono spesso opinioni personali di un uomo che sta al di sopra degli interessi del proprio partito, ed in secondo luogo che il partito socialista belga, in cui esistono com’è noto due correnti, esercita necessariamente una forte influenza sul Primo Ministro e sull’intero Gabinetto, di maniera che non è da escludere che le idee sempre pilarghe e pigenerali di Spaak non abbiano ad un certo momento a subire delle modificazioni imposte dal partito che detiene oggi il Governo.

1) Accordi di Parigi. I dirigenti del partito socialista sono concordi che occorra procedere al pipresto all’approvazione parlamentare per gli Accordi di Parigi, ed in cinon vi è nulla che innovi le previsioni già avanzate da questa Ambasciata, e cioè che gli accordi in parola verranno approvati alla quasi unanimità. Senonché essi dirigenti sono anche dell’avviso che gli Accordi di Parigi debbano costituire un punto di partenza e non già un punto di arrivo.

In altre parole, il partito socialista belga sta assumendo una posizione intermedia tra quella del partito socialista tedesco e quella dei partiti cattolici, nel senso che esso desidera che, pur partendo dall’approvazione degli accordi, si debba tener conto della previsione che l’applicazione di essi possa venir negoziata con l’URSS.

Ho chiesto al senatore Rolin che cosa intendesse con la parola negoziare, poiché essa si presta alle pivaste interpretazioni, di cui una puessere quella data dal signor Mendès-France nel suo discorso all’ONU (di gettare cioè un ponte tra le due Organizzazioni militari dell’Ovest e dell’Est in vista di un eventuale di disarmo, o quanto meno di un’eventuale limitazione degli armamenti) ed un’altra puessere quella data dai neutralisti francesi (di mantenere cioè sospesa l’applicazione effettiva del riarmo tedesco sino a prova concreta dell’impossibilità di intendersi con i Soviets).

Il senatore Rolin mi ha risposto che tutte le interpretazioni erano possibili, ma che a suo avviso una sola era da escludere, e cioè quella che si potesse seriamente pensare di aprire un negoziato effettivo con Mosca dopo aver messi in applicazione gli accordi di Parigi, procedendo al riarmo della Germania senza prima aver esaurite tutte le possibilità di negoziato. L’opinione del senatore Rolin mi risulta condivisa da molti dei suoi colleghi socialisti, o perché essi simpatizzano con una determinata corrente del partito laburista, o perché si solidarizzano col partito socialista tedesco. Il risultato è, o sarebbe, che una deplorevole confusione d’idee sembra regnare in una grande zona di coloro che pur voteranno a favore del Trattato, con la conseguenza non già di rendere pio meno possibili i negoziati con i sovietici, poiché essi non possono dipendere in definitiva che dalla maggior o minor malafede di questi ultimi, bensì di aumentare le dissensioni nel campo occidentale, con un indebolimento pericoloso e progressivo della sua capacità di resistenza. Sarebbe percipreferibile che in una prossima occasione, quale per esempio quella della imminente riunione del NATO, i vari Governi interessati giungessero ad uno scambio d’idee approfondito e, se possibile, definitivo su tale questione la quale, pur apparendo di procedura o di «timing», di fatto si identifica con una vera e propria questione di sostanza.

2) Integrazione europea. Il Partito socialista belga condivide su questo punto le idee accennatemi dal Ministro Spaak e di cui al mio rapporto n. 4898/2453 del 27 novembre u.s.3.

Esso ritiene infatti che a causa dell’atteggiamento britannico non vi sia da fare molto affidamento sulle possibilità di sviluppo e di attività dell’UEO e che quindi ogni sforzo europeista debba d’ora innanzi venir appoggiato sulla CECA, malgrado che essa non racchiuda che sei tra i paesi facenti parte dell’Unione Europea Occidentale. L’attenzione del partito socialista belga è in questo settore unicamente polarizzata sul mercato comune, e cioè sulla possibilità, mediante l’abolizione delle barriere daziarie, di pervenire ad un piintenso scambio di prodotti fra i paesi partecipanti alla Comunità. Il concetto dello scambio di persone e sopratutto dell’adeguamento delle legislazioni economiche, finanziarie e sociali non interessa in modo particolare il partito socialista belga, se non in relazione all’ultimo punto e cioè alla possibilità di adeguare, mediante riforme nel campo sociale, le legislazioni previdenziali e sindacali dei vari paesi. Quanto all’Autorità supernazionale, ossia alla elezione o di un’Assemblea legislativa o di un potere esecutivo capace di imporre a tutti i membri delle decisioni di maggioranza, le personalità belghe con cui ho parlato si dimostrano divise, nel senso che, mentre tutte si dichiarano favorevoli in principio ai maggiori progressi in tale direzione, la maggioranza ritiene che in linea pratica sarebbe vano illudersi al riguardo, e che pertanto occorre concentrare ogni sforzo verso obbiettivi pilimitati e pratici, quali quelli concernenti il campo strettamente economico.

Si pudomandare che cosa, di fronte all’atteggiamento dei socialisti, pensino i cattolici belgi, i quali rappresentano pur sempre una forza così numerosa in questo paese. Per il momento, il partito cattolico belga si trova in una situazione di raccoglimento e di stasi. I pieuropeisti ritengono che le idee dei socialisti non siano da scartare e che convenga di accontentarsi di salvare il salvabile, appoggiandosi alla CECA e sforzandosi verso la realizzazione progressiva di un pilargo scambio delle merci: così si esprimono per lo meno il senatore Struye ed il senatore Wigny. Ma la maggioranza dei cattolici è assorbita dalle preoccupazioni delle elezioni perdute e dell’errore fatto nel non aver partecipato ad un Governo di coalizione con i socialisti, per cui, nell’eventualità che un tale Governo potesse formarsi nel futuro, è da ritenere che il partito cattolico sposerebbe ormai, almeno nella maggior parte, le idee di politica estera di quello socialista.

Da quanto precede risulta che per quanto riguarda gli Accordi di Parigi e le trattative con l’URSS, l’opinione di questo piccolo paese (la quale ha pur nei paesi anglo-sassoni una risonanza non irrilevante) è in preda ad un ondeggiamento pericoloso; mentre per quanto concerne l’europeismo, tutti i partiti, preoccupati di eventuali intese bilaterali franco-tedesche, si orientano decisamente verso i vantaggi di indole economica, ponendo in sott’ordine le questioni di principio e le speranze cui l’entrata della Gran Bretagna nell’UEO avrebbe potuto far luogo.

1 DGAP, Uff. I, Serie Affari Politici, 1951-1957, b. 332, fasc. Unione Europea Occidentale, dal 23 ottobre 1954.

2 Il documento reca i seguenti timbri: «Inviato in copia al Presidente della Repubblica», «Inviato in copia ai Sottosegretari», «Visto dal Ministro», «Visto dal Segretario Generale» con la sigla di Rossi Longhi.

3 Vedi D. 202.

212

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI AFFARI ESTERI DOMINEDÒ1

Appunto(2).

RAPPORTO SULLA RIUNIONE DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI DELLA COMUNITÀ EUROPEA DEL CARBONE E DELL’ACCIAIO SVOLTASI A LUSSEMBURGO IL 7 E L’8 DICEMBRE U.S.

Si sono svolti a Lussemburgo il 7 e l’8 dicembre i lavori del Consiglio dei Ministri della Comunità Europea del Carbone e dell’Acciaio(3).

I principali argomenti trattati dal Consiglio sono stati: l’associazione della Gran Bretagna alla Comunità Europea Carbone e Acciaio, l’approvazione formale della «Decisione» sull’applicazione dell’Articolo 69 del Trattato istitutivo della CECA.

I -Associazione della Gran Bretagna alla Comunità Europea Carbone Acciaio.

Il Consiglio dei Ministri si è accordato con la Gran Bretagna sul testo del trattato di associazione del Regno Unito alla Comunità. Tale Trattato verrà parafato a Londra dai rappresentanti dell’Alta Autorità e del Governo britannico(4).

Non è stato raggiunto l’accordo definitivo sulla lingua nella quale il testo ufficiale dell’accordo sarà redatto. Infatti si sono manifestate due opposte tendenze: una sostenuta dalla maggioranza degli Stati membri, compresa l’Italia, diretta ad ottenere che l’accordo sia redatto nelle quattro lingue della Comunità; l’altra sostenuta dall’Alta Autorità e dalla Francia favorevole alla redazione del testo ufficiale nelle lingue inglese e francese.

La posizione che la Gran Bretagna è venuta ad assumere nell’ambito della Comunità è caratteristica. Infatti il Rappresentante del Regno Unito, che sarà secondo i termini dell’accordo un membro del Governo britannico, siederà in seno al Consiglio dei Ministri della CECA insieme ai sei Ministri nazionali e all’Alta Autorità, ma in posizione distinta.

La presenza del Rappresentante britannico nel Consiglio dei Ministri sarà limitata alle sedute nelle quali verranno discussi problemi relativi ai rapporti tra la Comunità e la Gran Bretagna.

Il problema della manodopera è stato incluso in quelli di interesse comune per la Comunità ed il Regno Unito.

La particolare posizione che la Gran Bretagna è venuta ad assumere nella CECA ha un rilevante interesse per i possibili suoi riflessi sul piano pigenerale della politica europea.

II -Approvazione formale della «Decisione» sull’applicazione dell’art. 69.

Il Consiglio dei Ministri ha proceduto alla approvazione formale della «Decisione» sull’applicazione dell’art. 69 del Trattato istitutivo della Comunità relativa alla libera circolazione dei lavoratori cittadini degli Stati membri della Comunità, per quanto riguarda i settori del carbone e dell’acciaio.

L’approvazione della «Decisione» si è concretata nell’inserzione del documento nel processo verbale della seduta.

La «Decisione» stessa entrerà in vigore entro 20 giorni dalla sua pubblicazione sul Giornale Ufficiale della Comunità.

Come è noto, il testo definitivo della «Decisione» tiene in adeguata considerazione gli interessi del nostro paese e costituisce il primo passo concreto verso la mobilità del lavoro europeo.

III -Proposte del Gruppo di Parlamentari della Commissione per gli Affari Sociali dell’Assemblea Comune.

Nel corso della precedente sessione del Consiglio dei Ministri CECA il Presidente e i membri della Commissione per gli Affari Sociali dell’Assemblea Comune avevano particolarmente insistito sulla necessità di studiare una revisione di alcune clausole della «Decisione» al fine di arrivare ad una maggiore liberalizzazione.

Questo orientamento dei suddetti parlamentari della Commissione per gli Affari Sociali è pienamente conforme alle tesi sostenute dall’Italia. È infatti preciso interesse del nostro Paese di arrivare nel pibreve tempo possibile alla revisione di certe clausole della «Decisione».

Nell’ultima riunione del Consiglio dei Ministri il problema della revisione è stato di nuovo affrontato dalla Delegazione italiana in conversazioni di corridoio. Pur non avendo ottenuto nessun impegno formale in merito si sono gettate le basi dell’azione che verrà svolta da parte italiana per ottenere la menzionata revisione(5).

1 Gabinetto, 1943-1958, b. 132, pos. A/68 CECA.

2 Sottoscrizione autografa. Appunto privo di data trasmesso con Telespr. 65/67285/c. del 21 dicembre da Bounous alle Ambasciate a Parigi, Bruxelles, L’Aja, Bonn e Londra, alla Legazione a Lussemburgo, alla Delegazione presso le Nazioni Unite a Ginevra, alle Rappresentanze presso il Consiglio Atlantico a Parigi, presso il Consiglio d’Europa a Strasburgo e presso l’OECE a Parigi, al Servizio Emigrazione del Ministero del Lavoro e della Previdenza Sociale, al Gabinetto, alle Direzioni Generali del Personale, degli Affari Economici e dell’Emigrazione del Ministero degli Affari Esteri. Il documento reca il timbro: «Visto dal Ministro».

3 Processo verbale in ASUE, CM1, 854.

4 Siglato a Londra il 21 dicembre 1954: Accordo concernente le relazioni tra il Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord e la Comunità Europea del Carbone e dell’Acciaio, in UNTS, vol. 258, n. 3678, pp. 322-369.

5 Per il seguito vedi D. 237.

213

L’AMBASCIATORE A LONDRA, BROSIO, AL MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI(1)

T. 16104/377. Londra, 9 dicembre 1954, ore 20,30 (perv. ore 2 del 10).

Oggetto: Riunione Ministri UEO.

Eden mi ha detto ieri di avere telegrafato personalmente al Cancelliere Adenauer per sollecitare la sua presenza alle riunioni Ministri UEO di cui a mio telegramma 3762.

Egli desidera non perdere tempo nell’attuazione degli accordi di Parigi che devono costituire il punto di partenza per sviluppare efficace collaborazione sette Potenze; mentre invece l’opinione pubblica di tali Paesi sembra essersi addormentata quasi considerasse gli accordi stessi come punto di arrivo di una determinata fase politica. L’idea originaria suggerita dai francesi era di tenere a Parigi prima del Consiglio NATO ultima riunione Trattato di Bruxelles cioè a cinque. Eden mi ha detto essersi opposto suggerendo invece che il Presidente Bech si faccia promotore riunione a sette. Eden ha affermato ripetutamente che considera Italia avere posizione chiave in UEO e che egli vuole seriamente tenerne conto per cooperare con noi(3).

1 DGAP, Uff. IV, Versamento CED, 1950-1954, b. 29, fasc. 102.

2 T. 16048/376 dell’8 dicembre: «Nella riunione odierna della Commissione ad interim UEO il delegato del Lussemburgo ha espresso il desiderio del Presidente Bech di indire la riunione dei Ministri del Consiglio dell’Unione in occasione della loro presenza a Parigi per il Consiglio d’Europa. L’iniziativa è dovuta al fatto che la Presidenza del secondo turno antica organizzazione del Trattato di Bruxelles sarebbe spettata al Lussemburgo. Bech propone di invitare i Ministri sabato sera 18 corrente nella Legazione del Lussemburgo per un pranzo cui seguirebbe un colloquio senza speciale agenda. Si esaminerebbe il lavoro finora svolto e le questioni ancora in sospeso. Caccia ha accennato alla possibilità di accordarsi in tale occasione circa la nomina del Direttore dell’Agenzia Armamenti. Poiché la presenza di Adenauer a Parigi non è ancora sicura, dato il rinvio della discussione al Parlamento francese, il delegato tedesco si è riservato di comunicare l’accettazione del Cancelliere. Sarei grato farmi conoscere la risposta di V.E.» (DGAP, Uff. I, Serie Affari Politici, 1951-1957, b. 332, fasc. Unione Europea Occidentale, dal 23 ottobre 1954).

3 Per il seguito vedi DD. 231, 235 e 236.

214

L’AMBASCIATORE A LONDRA, BROSIO, AL MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI(1)

Telespr. 5279/26862. Londra, 9 dicembre 1954.

Oggetto: Unione Europea Occidentale. Commissione ad interim.

Riassumo di seguito il lavoro svolto recentemente dalla Commissione ad interim dell’UEO.

I. Il 2 dicembre ha avuto luogo una seduta cui ha partecipato il Segretario Generale del NATO Lord Ismay, venuto appositamente da Parigi. Scopo della riunione era di avere uno scambio di idee circa la questione dei rapporti fra UEO e NATO. Dato che in seno all’UEO non esisterà alcun organismo militare permanente all’infuori dell’Agenzia di Controllo degli Armamenti e ribadito il principio (già affermato durante la Conferenza di Parigi) che fra il NATO e l’UEO deve essere assicurata una stretta collaborazione, Lord Ismay si è dichiarato d’accordo sull’inutilità che esista a Londra un osservatore permanente del NATO, distaccato presso il Segretariato dell’UEO. Quando il Consiglio dell’Unione riterrà opportuna la presenza di un osservatore del NATO per qualche questione, sarà bene che gli ordini del giorno delle sedute del Consiglio siano fatti pervenire in tempo utile a Parigi, affinché vi sia deciso se e quale funzionario del Segretariato NATO sia conveniente partecipi ai lavori del Consiglio dell’UEO.

Tutti i delegati si sono dichiarati d’accordo su tale procedura nonché sulla convenienza che vi sia la massima collaborazione fra i due Segretariati mediante contatti diretti, scambi di documenti ecc. ecc.

II. Ieri 8 corrente la Commissione ad interim ha tenuto un’altra seduta in cui è stato continuato l’esame delle risposte pervenute dai Governi in merito al noto questionario.

Al riguardo ritengo opportuno riassumere, secondo l’ordine del questionario stesso (trasmesso con telespresso 4716/2415 dell’8 novembre)3 le posizioni raggiunte sui singoli punti.

A) Organizzazione permanente dell’Unione.

- - - -

Circa i rapporti con l’OECE, soltanto la Delegazione tedesca ha formulato una riserva intendendo presentare delle proposte in merito alle modalità da seguire per assicurare la cooperazione economica fra i Sette.

Per quanto concerne le riunioni di esperti per consultazioni prima delle Assemblee generali dell’ONU, abbiamo dato la nostra adesione affinché il sistema fin qui seguito dai Cinque sia continuato. Anche la Germania desidera partecipare a tali riunioni e ritiene necessario che si stabilisca una procedura analoga nei riguardi dell’ECE.

4. Circa i rapporti con il NATO mi riferisco a quanto detto pisopra.

Per i rapporti con il Consiglio d’Europa si è ritenuto opportuno che sia ripristinato il sistema previsto originariamente dal Trattato di Bruxelles ma in realtà non attuato, e cioè che il Presidente del Consiglio dell’Unione presenti a Strasburgo un rapporto annuale da cui siano escluse le questioni militari.

La presenza di osservatori degli Stati Uniti e del Canada sarà richiesta di volta in volta quando se ne constati l’opportunità.

Sui rapporti con la Comunità Carbone-Acciaio abbiamo sottolineato il nostro desiderio che essi siano stretti e cordiali. Il Delegato olandese ha perfatto presente che, data la differenza di struttura fra l’UEO e la CECA (quest’ultima avendo un carattere sopranazionale che manca all’Unione), non pu«a priori» stabilirsi su quali basi tali rapporti potranno svilupparsi e in che modo potranno essere assicurati. Egli ha quindi chiesto che in proposito ci si astenga dal prendere alcun impegno.

5. In merito all’organizzazione dell’Assemblea vi è unanimità affinché ci si avvalga di quanto è disponibile a Strasburgo. Per ciche concerne il Segretariato, la posizione è invece la seguente: le Delegazioni tedesca e belga si sono dichiarate in favore di personale e bilancio distinti da quelli del Consiglio d’Europa; quella olandese desidera che il personale sia pure quello del Consiglio d’Europa ma posto temporaneamente alle dipendenze del Segretario Generale dell’UEO. Francia, Regno Unito e Lussemburgo preferiscono invece che il personale sia fornito dal Consiglio d’Europa, con inserimento nei gradi superiori di alcuni elementi del Segretariato dell’Unione. La loro posizione è quindi in certo modo analoga alla nostra, che desidera che il Segretariato dell’Assemblea dell’UEO abbia in qualche maniera una fisionomia a sé.

Date le divergenze d’opinione era stato deciso di affidare a un Sottocomitato l’elaborazione di un documento da presentare ai Ministri. Nel frattempo perè qui pervenuto da Strasburgo il documento n. 322 con il rapporto Maclay, con cui il Comitato degli Affari Generali formula delle proposte per definire l’intera questione. Non si è quindi ritenuto opportuno redigere alcun documento in proposito, ma si è preferito incaricare il Segretario Generale Aggiunto dell’UEO, che si è recato in questi giorni a Strasburgo, di esporre colà il punto di vista della Commissione ad interim e prendere accordi al riguardo.

Alle questioni riguardanti la costituzione dell’Agenzia di Controllo degli Armamenti nonché la preparazione del Gruppo di Lavoro per la Produzione e la Standardizzazione degli armamenti sarà dedicata la prossima seduta della Commissione, fissata per lunedì 13 corrente. Frattanto il Segretario Generale è in contatto con le varie Rappresentanze allo scopo di accertare i singoli punti di vista sia per i criteri di scelta del Direttore dell’Agenzia, sia per le modalità da seguire per la sua nomina. Egli presenterà poi un rapporto alla Commissione.

L’esame delle altre questioni di cui ai punti 8, 9, 10 e 11 del questionario è stato rinviato(5).

1 DGAP, Uff. I, Serie Affari Politici, 1951-1957, b. 332, fasc. Unione Europea Occidentale, dal 23 ottobre 1954.

2 Sottoscrizione autografa. Il documento reca il timbro: «Visto dal Segretario Generale» con la sigla di Rossi Longhi.

3 Vedi D. 193, nota 3.

4 Vedi D. 193.

5 Per il seguito vedi D. 224.

215

L’AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI, AL MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI(1)

Telespr. 17615/5715. Washington, 9 dicembre 1954.

Oggetto: Pool armamenti europei.

Riferimento: Mio telegramma del 3 dicembre(2).

Faccio seguito al citato telegramma di questa Ambasciata per fornire a codesto Ministero qualche ulteriore notizia sul risultato dei contatti avutisi al Dipartimento di Stato sull’atteggiamento americano nei confronti di un eventuale pool di armamenti europei. Nel corso di tali contatti i funzionari del Dipartimento si sono ripetutamente riferiti alle dichiarazioni che il Segretario di Stato Dulles avrebbe al riguardo fatto alle riunioni sia di Londra e sia di Parigi in seduta segreta e che non sono risultate pubblicate. Riassumendo il pensiero del Segretario di Stato quale allora espresso e quale rappresentante ancora oggi il pensiero americano sulla questione, i funzionari hanno fatto presente quanto segue:

- - -

Tuttavia i funzionari del Dipartimento, pur dichiarando che era in tal modo caratterizzabile la posizione americana sulla questione, hanno tenuto a far presente che per il momento il Governo di Washington non intendeva prendere alcuna iniziativa in materia, ma attendere invece che si svolgessero i lavori del gruppo che si riunirà il 17 gennaio a Parigi, considerandosi la proposta francese una iniziativa europea e, in quanto tale, suscettibile di studio e di evoluzione nell’ambito europeo. Abbiamo chiesto ai funzionari del Dipartimento se tale atteggiamento poteva essere ascritto a freddezza o a indifferenza nei confronti dell’iniziativa francese. I funzionari interpellati si sono limitati a rispondere che la posizione americana era di una completa «neutralità» e che avrebbe potuto meglio precisarsi con l’andare del tempo e in relazione agli sviluppi del problema in sede europea.

Comunque, in vista [recte: veste] del tutto personale, i funzionari interpellati hanno tenuto nuovamente a ribadire che il Governo americano non si sarebbe mai prestato all’accettazione di formule che in un qualsiasi modo avessero diminuito la sua libertà di azione nei confronti dei contributi da fornire al riarmo delle forze armate tedesche.

Un altro elemento di freddezza è poi costituito dal fatto che gli americani non possono non preoccuparsi di dover sottoporre l’esame dei propri programmi alla revisione di una nuova «agency» con la creazione di indubbi doppioni con quelle già esistenti.

In altre parole, siccome i programmi di aiuti americani vengono già elaborati dai Paesi riceventi, esaminati dai MAAG’s e compresi nella revisione annuale in sede NATO, si considera elemento di indubbia complicazione l’inserimento di un ulteriore esame da parte di una nuova organizzazione.

I predetti funzionari hanno peraltro anche aggiunto che se dagli sviluppi che la «agency» potrà avere deriverà invece l’impressione che una pistretta armonizzazione potrà condurre ad una maggiore efficienza, il Governo americano potrà rivedere le sue posizioni, sempre peraltro nei limiti delle disposizioni legislative vigenti in tema di aiuti.

Per conto nostro non abbiamo mancato di fare qualche accenno alle preoccupazioni che potrebbero derivare all’industria italiana se nella pianificazione dei programmi finisse per manifestarsi la creazione di qualche intesa cartellistica tra le industrie pesanti americana e francese. Il Dipartimento ha riconosciuto pienamente la legittimità di tali preoccupazioni e ha dato l’impressione che esse troverebbero negli Stati Uniti adeguata attenzione. Al riguardo i funzionari del Dipartimento hanno lasciato intendere che Olanda e Belgio continuerebbero ad intrattenere un atteggiamento ben poco favorevole al pool.

Segnalo infine che i predetti, a complemento delle notizie già a suo tempo fornite a seguito dei colloqui di Mendès-France, hanno lasciato intendere che malgrado l’atteggiamento sostanzialmente negativo assunto da parte americana a quel momento, da parte francese si è continuato a insistere affinché Dulles consenta a che Mendès-France possa almeno dichiarare in sede di dibattito parlamentare per la ratifica degli accordi di Parigi che il Governo americano si terrà in contatto con la nuova «agency» per «informarla» dei programmi di aiuti americani e eventualmente per «consultarsi» con la stessa. Non sarebbe quindi da escludersi che un riferimento del genere Mendès-France venga autorizzato a fare.

Quanto all’opinione degli ambienti industriali di cui è cenno nel telegramma di V.E.3, mi sembra possa dirsi che la questione non è sembrata finora essere oggetto di attenzione in tali settori né è stata menzionata in nessuna delle riunioni (quale quella della National Association of Manufacturers) che in questo scorcio dell’anno si sono ripetutamente avute da parte di Organizzazioni di uomini d’affari(4).

DGAP, Uff. I, Serie Affari Politici, 1951-1957, b. 332, fasc. Unione Europea Occidentale, dal 23 ottobre 1954.

2 Vedi D. 208.

3 Vedi D. 207.

4 Per la risposta vedi D. 225.

216

L’AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI, AL MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI(1)

T. segreto 16154/1068. Parigi, 10 dicembre 1954, ore 23,45 (perv. ore 23,50).

Il Quai D’Orsay informa, sottolineando l’urgenza, che il Comitato interinale di Londra dovrà prendere lunedì 13 una decisione circa le modalità dell’organizzazione della riunione (17 gennaio) a Parigi del gruppo lavoro per il pool degli armamenti. Il Governo francese ha proposto che tale riunione venga organizzata in maniera del tutto indipendente dai servizi del NATO così da costituire una manifestazione dell’Unione Europea Occidentale. Il Governo francese, che metterà a disposizione del gruppo di lavoro il materiale ed il personale tecnico necessario (oltre essere disposto di massima a sopperire in larga parte alle spese), osserva che l’autonomia della riunione dal NATO è necessaria perché occorre:

1) dimostrare sin dal principio la funzionalità dell’Unione;

2) mettere in rilievo le finalità particolari dell’Unione;

3) resistere a certi orientamenti degli ambienti NATO tendenti a fagocitare l’Unione.

La tesi francese sarebbe condivisa dalla Germania e dal Belgio; osteggiata principalmente dall’Olanda; l’Italia, l’Inghilterra non avrebbero ancora preso una netta posizione.

Al Quai d’Orsay viene in via confidenziale fatto presente che Mendès-France è personalmente deciso a sostenere la tesi suesposta, anche in considerazione dell’opportunità di lasciar sussistere la speranza degli ambienti europeisti che l’Unione, sviluppandosi automaticamente, possa riprendere le finalità della CED.

Questo Governo pertanto prega vivamente di dare istruzioni al nostro Rappresentante al Comitato di Londra affinché appoggi la tesi francese. Ci è stato aggiunto che il Governo francese ci farà pervenire quanto prima il suo nuovo progetto (che la stampa stasera dice essere appoggiato dagli Stati Uniti) del pool degli armamenti e che è intenzione di Mendès-France di intrattenerne in modo particolare V.E. in occasione dell’incontro di Roma.

Il Quai D’Orsay gradirebbe essere informato circa la nostra posizione di fronte alla richiesta francese ed il tenore delle istruzioni da noi inviate a Londra. Pregherei pertanto un riscontro telegrafico(2).

1 DGAP, Uff. IV, Versamento CED, 1950-1954, b. 29, fasc. 102. 2 Per il seguito vedi D. 226.

217

L’AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI, AL MINISTRO DEGLI AFFARI ESTERI, MARTINO(1)

R. riservato 1654. Parigi, 10 dicembre 1954.

Signor Ministro,

ringrazio V.E. per le istruzioni inviatemi con il suo dispaccio n. 2272 del 3 corrente(2). Mentre mi riservo di riferire a parte quanto sull’argomento mi hanno detto Mendès-France e Parodi3, vorrei permettermi di sottoporle alcune osservazioni:

1) Sono perfettamente d’accordo nel non insistere sullo spirito di Santa Margherita: Santa Margherita importava un obbligo di consultazione che non è stato osservato, in pratica, né da una parte né dall’altra; del resto, tutti questi impegni di consultazione si osservano solo quando fa comodo.

A mio avviso, per noi, le relazioni con gli Stati Uniti debbono avere la precedenza su tutte le altre così come, fino al 1930, le relazioni coll’Inghilterra avevano la precedenza su di ogni altra cosa: e questo per ragioni evidenti.

Premesso questo, noi dovremmo cercare di avere le migliori possibili relazioni colla Francia, con l’Inghilterra e con la Germania, senza considerare in nessuna forma queste relazioni come esclusive od antitetiche l’una coll’altra: attualmente, non mi sembra abbiamo interesse a sposare i contrasti dell’uno e dell’altro, né di spingerci a fare il conciliatore, il quale spesso finisce per dispiacere a tutti e due.

I nostri rapporti con la Francia, durante tutti questi anni, sono stati passabili, naturalmente con degli alti e dei bassi. Ritengo di non avere mai dato al Governo italiano delle illusioni sulla possibilità effettiva di contare sulla Francia: e cinon per cattiva volontà. La Francia è una Grande Potenza per cortesia: come tale, essa ha fin troppe grane sue per potersi realmente occupare delle questioni degli altri. L’instabilità governativa ed il disorientamento dell’opinione pubblica e del Parlamento fanno il resto. Ma se essa non ha molte possibilità positive, ne ha invece molte di negative: la Francia punon far fare molte cose. Non ci sarebbe nessuna ragione di interesse nostro, ritengo almeno, di non curare le relazioni colla Francia, pur, ripeto, senza farsi illusioni su quello che esse ci possono dare.

L’esperienza degli anni passati sta anche a dimostrarci che, per tante ragioni a cui ho accennato, la Francia è incapace di grandi cose: per cui, quando ci siamo illusi di poter fare colla Francia delle cose rivoluzionarie, tipo unione doganale o esercito europeo, siamo andati incontro ad uno scacco. Con la Francia bisogna, fino a che essa è così come è – e, temo, lo sarà per un pezzo – contentarsi di fare della buona normale amministrazione. Il che non è poi né così facile, né così poco importante, soprattutto se non dimentichiamo l’ottima tradizione di litigarci che, da una parte e dell’altra delle Alpi, abbiamo nel sangue.

Del resto, come V.E. ricorda, nel proporle questo incontro con Mendès-France, avevo in vista soprattutto alcune considerazioni:

- - - - -

Come è noto a V.E. il COCOM, che è specializzato per questo genere di problemi, ha già portato ad un certo rilassamento del «blocco»: ma, come che sia, non mi sembra esso la sede piadatta per discutere una questione del genere. Che cosa vorremmo proporre ai francesi? Di parlare in linea generale a Londra e a Washington sull’opportunità di modificare la politica seguita finora? ed in che misura?

Il problema merita certo di essere approfondito e qui si è certo disposti a farlo: vorrei solo sapere in che misura e in che forma.

3) Per quello che concerne il punto 8, vorrei precisare ancora una volta il mio punto di vista.

È una questione di cui con i francesi possiamo parlare colla massima facilità: l’ingresso della Germania nello «Standing Group», per ragioni differenti dalle nostre, seccherebbe moltissimo i francesi che faranno tutto il possibile perché questo non avvenga, almeno in un prossimo futuro. Detto questo, non è affatto certo che i francesi riusciranno ad impedirlo.

Mi permetto tuttavia di porre ancora una volta a V.E. la questione: ci conviene farlo?

La risposta ad una nostra richiesta di entrare a far parte del «Standing Group» non potrà essere che negativa: abbiamo già tentato varie volte, in condizioni migliori delle attuali, dal punto di vista interno nostro ed abbiamo avuto solo dei no nettissimi. È un posto che noi ci potremmo, forse, un giorno guadagnare attraverso la politica interna: ma questo giorno è molto lontano. Sono di quelle richieste a base di prestigio storico che gli americani non capiscono e non ammettono.

Mi si dice: cosa diranno i comunisti in Italia se la Germania entra nello «Standing Group» e l’Italia ne resta fuori? Vorrei rispondere: cosa diranno i comunisti se l’Italia chiede di entrarci e resta fuori lo stesso?

Ripeto, non ho nessuna difficoltà a parlare con i francesi di questo argomento: se esito a farlo, è perché non vorrei prendermi la responsabilità di mettere V.E. per una strada che non pucondurre che ad uno scacco anche abbastanza clamoroso. Abbiamo in questo ramo avuti già molti esempi cocenti: ultimo il Comando Sud Europa.

Aggiungo, in via subordinata, che appena noi parleremo di questo, ne sarà avvertito Bonn: per quanto noi cerchiamo di spiegarlo, sarà molto difficile negare ai tedeschi che in questa maniera noi ci opponiamo al loro ingresso nello «Standing Group», che fra l’altro non è certo per ora. Per quanto noi possiamo spiegare, i tedeschi si offenderanno certo alla sola idea che sul piano militare noi ci consideriamo loro pari. I francesi, per conto loro, saranno felicissimi di mettere avanti noi di fronte ai tedeschi: a che cosa ci giova? Almeno avessimo delle chances di riuscire!

4) Per quanto concerne il punto 12, a quanto mi consta, le idee dei francesi sono ancora molto vaghe, sia negli ambienti governativi che in quelli industriali.

In alcuni circoli politici vicini a Mendès-France mi è stato detto che si sta evolvendo verso l’idea di limitare il pool degli armamenti a tre settori: atomico, elettronico, aviatorio. Ossia i settori che, soprattutto in considerazione del new look, risultano essenziali.

Il ragionamento che si fa è il seguente: una volta restituita alla Germania la sua sovranità, la tentazione per lei di trattare la sua unificazione con i russi sarà forte. Bisogna quindi legarla all’Occidente.

Facciamo, per questi tre settori, un pool dei mezzi, delle capacità scientifiche dei nostri tre paesi; si tratta di un’industria che è in gran parte da sviluppare: si costituirà così un legame che la Germania stessa non avrà interesse a sciogliere. Per la parte atomica, queste idee francesi si ricollegano alla scoperta, di cui si parla molto, di grandi giacimenti di uranio nell’estremo sud algerino. Mi è stato aggiunto che Mendès-France avrebbe avuto in animo di domandarci se non avremmo potuto far tornare in Europa Fermi: purtroppo adesso non se ne pupiparlare.

In tutti gli ambienti, che siano politici, industriali o amministrativi, c’è un punto che ho potuto riscontrare ben fermo: la combinazione-base deve essere a tre: Francia, Germania e Italia. Un’alta personalità politica, con una certa brutale franchezza, mi ha detto: «Noi siamo al corrente della scarsa importanza dell’industria italiana in questi settori, ma vi vogliamo lo stesso con noi perché non è concepibile un dialogo franco-tedesco a due».

Premesso questo, non vedo difficoltà di principio a fare ammettere «il massimo utilizzo delle capacità esistenti in ciascun paese», purché per capacità esistenti si intendano le capacità reali e non quelle immaginarie: nemmeno credo che vi siano delle particolari difficoltà ad ottenere che sia presa in considerazione l’Italia meridionale ed insulare, la seconda, ed in particolare la Sardegna, pidella prima.

Là dove invece suppongo che ci saranno delle difficoltà, sarà nell’«accentuazione dei caratteri istituzionali di sopranazionalità». Non discuto se questo sistema possa effettivamente essere una «garanzia della posizione dei partecipanti pideboli», sebbene abbia qualche dubbio sulle virttaumaturgiche delle istituzioni sopranazionali. Ma è che non bisogna dimenticarci che la CED non è passata al Parlamento francese, perché i suoi ideatori hanno voluto troppo marcare l’autorità sopranazionale nel settore industriale. Potrà anche essere una cosa ottima, ma non c’è Governo francese che sia capace di far passare davanti al suo Parlamento delle cose di questo genere.

5) Per quello che concerne la Saar, come ho spiegato a V.E., nel momento attuale, piche su questioni di sostanza, il dissenso verte sulla presentazione al Parlamento tedesco, la cui forma rischia di rendere le cose pidifficili al Parlamento francese. Del resto se, per l’11 gennaio, gli accordi di Parigi non sono ancora passati davanti al Parlamento francese – e, con loro, gli accordi per la Saar – vuol dire che gli oppositori stanno guadagnando terreno e le chances di ratifica sono ridotte a ben poche. Quindi, mi permetterei di consigliare di non toccare, almeno in questa fase preliminare, la questione della Saar: ne abbiamo già parlato e basta.

6) Per quello che riguarda poi la parte economica del futuro incontro, sono perfettamente d’accordo sulla necessità che ogni nostra intesa non abbia un carattere antitedesco: ma, per questo, sarebbe anche opportuno che da parte nostra non si mostrasse di aver tanta paura di un eventuale dialogo franco-tedesco. Perché, partendo da questa impostazione, ogni nostro inserimento sarà una vittoria sui tedeschi, o sui francesi: il che ci conviene evitare.

La parte economica è senza dubbio la piimportante; sarebbe pernecessario che mi si facessero conoscere, al pipresto possibile, delle idee nostre concrete: altrimenti, resteremmo nei limiti di un vago comunicato che potrà essere di qualche importanza agli effetti psicologici sul momento, ma che poi lascerà assolutamente il tempo che trova.

Non so se Mendès-France gliela farà a restare al potere fino all’11 gennaio: ma comunque, dopo la visita a Roma, presto o tardi cadrà. Se, dopo l’incontro di Roma, si sarà raggiunto un accordo almeno di principio su qualche questione concreta di collaborazione, è probabile che si potrà svilupparlo anche sotto il suo successore: se invece saremo rimasti nel vago, una volta caduto Mendès-France, bisognerà ricominciare tutto da capo.

Mi permetto quindi di sollecitare, su questo campo, le decisioni del Governo italiano(4).

La prego di voler gradire, signor Ministro gli atti del mio devoto ossequio.

[Pietro Quaroni]

Ambasciata a Parigi, 1951-1960, b. 55, pos. 11/19.

2 Vedi D. 209.
3 Vedi D. 218.
4 Per il seguito vedi D. 247.
218

L’AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI, AL MINISTRO DEGLI AFFARI ESTERI, MARTINO(1)

R. riservato 1655. Parigi, 10 dicembre 1954.

Signor Ministro,

ho esposto a Mendès-France, sulla base del dispaccio di V.E. n. 2272 del 3 corrente2, quello che secondo i nostri desideri dovrebbe essere l’ordine del giorno dell’incontro di Roma. Mendès-France si è dichiarato d’accordo e mi ha indicato quali dei suoi collaboratori sono da lui incaricati di preparare l’incontro, sia per la parte generale che per le questioni minori. Restando inteso che, appena fatto un po’ di lavoro, riprendercontatto diretto con lui.

Mi ha confermato il suo desiderio di vedere questo incontro preparato con ogni possibile cura.

Circa il punto 3 del rapporto suindicato, mi ha voluto precisare il suo pensiero.

«La mia ferma intenzione è che gli accordi di Parigi non sono negoziabili. Non intendo, sotto nessuna forma, negoziare con i russi la loro ratifica e nemmeno la loro esecuzione. In questo non sono affatto d’accordo con le idee del Generale De Gaulle: e non intendo accettare, al momento della ratifica, nessuna condizione da parte del Parlamento.

Se i russi sono disposti a negoziare sull’Austria, questo non ha nulla a che vedere con il Trattato di Parigi. Sarà soltanto una prova di buona volontà che puessere un elemento di distensione.

Dubito molto che la Russia sia realmente disposta a negoziare l’unificazione della Germania, e soprattutto ad accettare delle elezioni veramente libere. Se, nonostante le mie previsioni, questo dovesse avvenire, allora negozieremo tutti, e sarà tutt’altra cosa.

Ho invece qualche maggiore speranza circa la possibilità che la Russia possa accettare qualche prima forma di disarmo generale e controllato. Ma, anche in questo caso, non si tratta di negoziare gli accordi di Parigi, ma di tutt’altra cosa».

Circa il Pool degli armamenti mi ha detto che, personalmente, egli non è andato al di là dei documenti fatti circolare nelle conferenze di Parigi e di Londra. I suoi esperti stanno studiando varie possibilità in contatto con tutti gli ambienti. Appena le sue idee cominceranno a concretarsi, e questo sarà ben prima del nostro incontro, egli ci aprirà il dossier in maniera che le idee francesi ci siano perfettamente chiare.

Gli ho espresso i nostri dubbi e le nostre perplessità, che ha mostrato di comprendere: gli ho detto molto chiaramente che la nostra possibilità di appoggiare le tesi francesi alla conferenza del 17 gennaio dipendeva dalla possibilità o meno di rispondere a queste nostre preoccupazioni. Mi ha ripetuta formalmente la sua promessa di tenerci al corrente ed ha annuito quando gli ho detto che avere ottime relazioni non significava affatto voler avere le stesse idee su tutte le cose: quello che importava era di conoscere le idee dell’altra parte e sapere fino a che punto si poteva contare l’uno sull’altro.

La stessa promessa di metterci al corrente del dossier prima delle decisioni finali è stata fatta da Soutou a Tassoni.

Circa l’allargamento dell’UEO, Mendès-France è stato egualmente reciso nel confermarmi che anche la Francia è nettamente contraria a ogni allargamento. La Francia non vuole che l’UEO venga diluita diventando la stessa cosa della NATO.

Circa i rapporti economici, mi ha ripetuto che sul terreno franco-tedesco non c’è nulla di concreto, sebbene egli sia fermamente deciso a marciare per questa strada. Ma è egualmente deciso a che ci sia una partecipazione italiana a questa eventuale collaborazione franco-tedesca, aggiungendomi che, se non si dovesse realizzare una collaborazione franco-tedesca, questa non è una ragione per rinunciare anche ad una collaborazione franco-italiana.

In merito alla Tunisia ha mostrato di comprendere il nostro punto di vista e mi ha assicurato che saremmo stati tenuti al corrente dei negoziati franco-tunisini.

Per tutte le questioni cosiddette minori mi ha promesso il suo appoggio.

Mi ha detto, per ultimo, di condividere pienamente il nostro desiderio di dare all’incontro, in quanto possibile, un carattere concreto.

Sullo stesso argomento ho avuta anche una conversazione con Parodi, il quale non mi ha, per il momento, aggiunto nulla di importante a quanto mi aveva detto Mendès-France.

Solo, a mia richiesta, mi ha confermato che da parte francese si tiene molto particolarmente a che la sede della CECA venga trasportata a Saarbrken. Il Governo francese vede in questo una certa forma di garanzia per il futuro degli accordi per la Saar. Esso si opporrà quindi, con tutte le sue forze, alla tendenza di mantenere la sede al Lussemburgo. Sa di incontrare in questo l’opposizione del Benelux, ma conta sull’appoggio tedesco, che, secondo lui, sarebbe già acquisito in linea di massima(3).

La prego di voler gradire, signor Ministro, gli atti del mio devoto ossequio.

[Pietro Quaroni]

1 Ambasciata a Parigi, 1951-1960, b. 55, pos. 11/19. 2 Vedi D. 209. 3 Per il seguito vedi D. 247.

219

L’AMBASCIATORE A BRUXELLES, GRAZZI,

AL DIRETTORE GENERALE DEGLI AFFARI POLITICI, MAGISTRATI(1)

L. 5063. Bruxelles, 10 dicembre 1954.

Caro Massimo,

ti ringrazio anzitutto per la tua lettera n. 20/2893 del 1° corrente, con la quale hai voluto trasmettermi un interessante studio del Ministero dell’Industria sul progettato «pool» degli armamenti. E poiché tu mi domandi eventuali osservazioni al riguardo, mi permetto di sottoporti talune considerazioni in materia.

Premetto che il progetto francese mi ha rammentato molto da vicino un progetto analogo del signor van Zeeland che si chiamava «Fonds d’intégration commun»2; e poiché a quell’epoca il mio collaboratore Gardini, ebbe a studiare in profondità la materia, così l’ho incaricato di redigere un breve studio che troverai qui unito(3) e che per mio conto trovo molto ben fatto.

Aggiungo poi che in questa questione le considerazioni politiche sono certamente preponderanti, il che non toglie perche taluni aspetti eccomici non debbano giustamente preoccuparci. Quanto al lato politico, mi limitera dire che è inevitabile la nostra partecipazione, come pure che i pericoli che stanno al limite da un lato e dall’altro possono sintetizzarsi in due eventualità: un disaccordo franco-tedesco che getterebbe a terra ogni possibilità di intesa militare ed integrativa dell’Europa, o un troppo stretto accordo tra Francia e Germania, il quale darebbe luogo ad un cartello al quale i paesi minori dovrebbero sottostare con tutte le conseguenze che ne derivano. Passare fra i due scogli è compito dei negoziatori; ed i rappresentanti del Belgio, il quale ha forse altrettanto da temere che noi, potranno essere di utile appoggio per i nostri delegati.

Quanto al contenuto economico, è evidente che una questione ci troverà concordi, quella della standardizzazione degli armamenti. Una seconda questione, quella della specializzazione, desterà in noi preoccupazioni maggiori; ma è ovvio che, per essere una cosa seria, qualsiasi progetto di «pool» non pufarne astrazione. È facile dire, come scrive il Ministero dell’Industria, che in nessun caso si dovrà procedere alla chiusura degli stabilimenti; ma sarebbe meno facile il sostenere che non si debba procedere a modificazioni o degli stabilimenti o degli impianti, tali da consentire a ciascun paese di specializzarsi in determinate fabbricazioni.

Dove vedo un vantaggio è nella messa in comune di talune risorse fra i paesi partecipanti. Ad esempio, diritto di preferenza per ottenere all’Italia talune materie prime (mi riferisco in particolare ai minerali di ferro nord africani che i francesi vendono pivolentieri agli inglesi che a noi, o al rame del Congo che i belgi preferiscono vendere in dollari); messa in comune di progetti di studi (per esempio, in materia aeronautica o piuttosto di materiali sussidiari per l’Aeronautica), in quanto cirappresenterebbe un risparmio nelle spese generali, di ricerca e di laboratorio. È questo un concetto che abbiamo sostenuto nel progetto di «pool» aereo, sottoposto a Strasburgo dal Ministro Sforza nel 19494.

Infine, l’apporto di capitali provenienti da ciascun paese partecipante per costituire degli impianti nuovi e specializzati in talune zone da determinarsi, rappresenta ai miei occhi un vantaggio ulteriore. Tale vantaggio è evidente, se si tratta di costruire nuovi impianti in Sardegna o nel sud dell’Italia; è meno evidente, ma sempre reale, se si tiene conto che un’azienda formata da capitali pivasti, quali quelli che proverrebbero da pipaesi invece che da uno solo, rende di pie costa di meno che non la somma di altrettante aziende formate con capitali separati.

Tralascio di occuparmi di questioni di mano d’opera, perché francamente non credo molto alla possibilità di trasferire o grosse quantità di lavoratori o operai specializzati italiani in terzi paesi; ma non è da dimenticare che nella costruzione di impianti saranno necessari anche i semplici sterratori e manovali, e forse anche qualche capo tecnico. Per non mi polarizzerei sulla questione della mano d’opera, al punto di passare in seconda linea tutti gli altri lati della questione; perché, more solito, con qualche parola di incoraggiamento al riguardo, i nostri partners non mancherebbero di imporci ben altri e pieffettivi sacrifizi.

Tutto cipremesso, aggiungo che gli eventuali vantaggi non possono essere raggiunti se non attraverso la buona volontà e mediante l’iniziativa dei nostri industriali; e percicredo che avete agito molto saggiamente, favorendo subito i contatti diretti fra i rappresentanti delle nostre principali industrie e quelli delle industrie francesi e tedesche.

Infine, rilevo una differenza sostanziale fra il progetto di van Zeeland e quello attuale. Il primo aveva principalmente di mira di ottenere gli apporti finanziari nord americani; il secondo non si occupa specialmente di tale questione, anche perché pare escluso che gli americani accetterebbero di passare per il «pool» per la distribuzione degli aiuti finanziari militari.

Ma se cifosse, rimarrebbe pur sempre aperta una altra possibilità: quella di negoziare dei prestiti, analoghi a quello che la CECA ha ottenuto, i quali dovrebbero essere di più facileconseguimento, da un lato perché gli istituti americani ‒senza parlare del Governo ‒non potrebbero non vedere con particolare piacere questa nuova forma di integrazione europea, e perché dall’altro i prestiti dovrebbero essere basati su una garanzia solidale di tutti i paesi partecipanti. È questo un punto forse che converrebbe fino dall’inizio sollevare e mettere in rilievo.

Su queste mie generiche considerazioni ho trovato i belgi pio meno d’accordo. Essi hanno domandato ai francesi, come avevo già segnalato, di far loro giungere delle proposte scritte piprecise, e ne hanno ottenuta la promessa. A tutt’oggi nessun documento è peraltro pervenuto da Parigi e Bruxelles; se esso giungerà, me ne è stata promessa copia e mi affrettera mandartela.

Credimi, con i piaffettuosi saluti

[Umberto Grazzi]

1 DGAP, Uff. V, UEO, b. 13, fasc. UEO. Pool Armamenti, fasc. 1, gennaio.

2 Si fa riferimento al Memorandum confidenziale NATO D-D(51)1 del 1° gennaio 1951, Arms production in Europe, presentato da van Zeeland, e discusso nel Consiglio dei sostituti del 4 gennaio (resoconto sommario segreto NATO D-R/51.1: entrambi i documenti sono consultabili sul portale dei NATO Archives Online). Si veda in proposito anche FRUS, 1951, European Security and the German Question, vol. III, Part 1, D. 4.

3 Non si pubblica. 4 In realtà il progetto di unione aeronautica europea fu presentato nella seduta del Consiglio d’Europa del 4 maggio 1951: vedi DDI, serie undicesima, vol. V, D. 390.

220

IL MINISTRO A LUSSEMBURGO, CAVALLETTI,

AL SEGRETARIO GENERALE AGLI AFFARI ESTERI, ROSSI LONGHI(1)

L. 07943. Lussemburgo, 10 dicembre 1954.

Caro Ambasciatore,

permettimi, in questa prima lettera che ti scrivo nella tua qualità di Segretario Generale, di farti anzitutto, le mie pidevote e sincere felicitazioni per la tua nomina, augurandoti di cuore pieno successo nel tuo nuovo e importantissimo lavoro.

In questi primi tempi sarai occupatissimo e non vorrei tediarti con questioni non urgentissime; riterrei perche quella della presidenza dell’Alta Autorità sia tale e anche vorrei brevemente intrattenertene, anche in vista dei colloqui che potrete avere fra breve a Parigi.

Facendo riferimento alla lettera (n. 7673 del 27 novembre)2 che ho scritto a Zoppi sulla questione, desidererei ora attirare la tua attenzione sul fatto che dall’8 corrente il turno di presidenza del Consiglio Speciale di Ministri è passato all’Italia (fino al 7 marzo), sì che a S.E. Martino spetta un particolare compito e incombe una particolare responsabilità nella designazione del successore di Monnet.

Anzitutto va tenuto presente che, ai termini del Trattato, il nuovo presidente dell’Alta Autorità deve essere nominato dai governi, e cioè praticamente dal Consiglio Speciale di Ministri, funzionante non come organo della Comunità ma come riunione dei rappresentanti dei governi. In altre parole il Consiglio Speciale di Ministri, che normalmente è composto dei sei Ministri dell’Economia (per noi vi partecipa il Sottosegretario all’Industria, Sen. Battista), dovrebbe essere formato, per la nomina del presidente dell’Alta Autorità, dai sei Ministri degli Esteri e lavorare sotto la guida di

S.E. Martino.

Malgrado che cisia ben chiaro nel Trattato, ho avuto l’impressione che i sei Ministri dell’Economia, i quali in occasione della sessione del Consiglio del 7 corrente, hanno avuto fra di loro, privatamente, qualche scambio di idea sull’argomento, desidererebbero interessarsi attivamente della nomina del presidente dell’Alta Autorità andando al di là delle loro competenze, il che sarebbe dannoso anche per il prestigio della Comunità. Essa infatti, passando sotto la competenza esclusiva dei Ministri tecnici, perderebbe sempre piquel suo carattere politico che, pur essendo stato diminuito dagli ultimi avvenimenti, non potrebbe, a mio avviso, completamente sparire senza gravi danni per l’idea europea.

Circa poi la scelta del nuovo presidente, molto dipende, come ho già fatto presente nella lettera sopracitata, dal governo francese. E a tale riguardo il Sen. Battista riterrebbe opportuno ‒e in proposito egli mi ha detto di voler intrattenere S.E. Martino ‒che da parte italiana si prendesse l’iniziativa di caldeggiare con il governo francese

la nomina di nuovo membro francese di primissimo piano, assicurando il nostro appoggio per farlo poi nominare presidente dell’Alta Autorità.

Non discordo in massima con il Sen. Battista, ritenendo anche io che, per la CECA, sarebbe utilissimo che il nuovo presidente sia una grossa personalità, benché l’essenziale è, a mio avviso, che il nuovo presidente sia sopratutto un buon amministratore. Tuttavia mi sembra che non converrebbe di buttarsi troppo avanti con la Francia, a meno che vi siano speciali ragioni nel quadro politico generale. In contatti confidenziali si potrebbe forse far comprendere ai francesi l’interesse che essi avrebbero a consultarsi sulla designazione del nuovo membro francese sia in vista di un nostro eventuale appoggio in favore di una presidenza francese, sia anche per il fatto che S.E. Martino detiene ora la presidenza e potrebbe quindi esercitare una azione sugli altri governi. Ma mi sembrerebbe opportuno di offrire il nostro appoggio solo se ne fossimo richiesti e solo dopo aver saputo chi la Francia intenda nominare(3).

Credimi molto devotamente,

[Francesco Cavalletti]

1 Ambasciata a Parigi, 1951-1960, b. 41 bis, pos. 12/12.

2 Nella lettera, non pubblicata, Cavalletti formulava alcune ipotesi sui possibili candidati alla presidenza dell’Alta Autorità (ibidem).

3 Per il seguito vedi D. 262.

221

IL MINISTRO A LUSSEMBURGO, CAVALLETTI, AL DIRETTORE GENERALE DEGLI AFFARI POLITICI, MAGISTRATI(1)

L. 079492. Lussemburgo, 10 dicembre 1954.

Caro Massimo,

ti ringrazio molto di avermi cortesemente chiesto le mie idee circa gli eventuali contatti tra la CECA e l’UEO (tua lettera 20/2885 del 1° corrente) e con molto piacere ti diril mio pensiero.

A prima vista ‒premetto però che conosco assai superficialmente gli accordi UEO ‒non mi sembra che vi siano molte possibilità di associazione tra la CECA e l’UEO; a meno che vi siano effettivamente importanti sviluppi economici dell’UEO, il che pernon sembra, per ora, molto probabile.

In tempo di pace la fabbricazione degli armamenti incide in limitata misura sulla produzione dell’acciaio, non è quindi possibile ‒come avevo pensato in un primo momento ‒di servirsi della CECA, la quale ha ampissimi e sovrani poteri di controllo sulla produzione dell’acciaio, per controllare anche gli armamenti.

Tuttavia qualche correlazione tra l’industria dell’acciaio (e quindi anche del carbone) e gli armamenti evidentemente esiste. Problemi come quelli della espansione del mercato dell’acciaio o della politica degli investimenti nella siderurgia, per i quali la CECA è competente, non possono essere completamente ignorati da una organizzazione internazionale che si occupa di armamenti. Tali problemi e quindi le relative decisioni dell’Alta Autorità non possono, d’altra parte, non essere affatto influenzati dalle decisioni dei governi, in sede UEO, sul volume e lo sviluppo degli armamenti.

Pudarsi quindi che qualche collegamento si dimostri necessario o per lo meno opportuno. Uno scambio di rapporti, come avviene ad esempio fra Consiglio d’Europa e CECA, potrebbe facilmente avvenire; le relazioni conclusive della Alta Autorità potrebbero essere trasmesse al Consiglio di Ministri dell’UEO e all’Assemblea dell’Unione e questi organi potrebbero essere autorizzati a trasmettere le loro osservazioni. Ma è ben poca cosa.

Nel campo delle Assemblee, la identità personale dei membri delle varie Assemblee potrebbe essere un altro legame. Ma questo principio, in massima, esiste di già per quanto facoltativo e non sempre applicato (non da noi).

Credo che, per le Assemblee, a un certo momento si imporrà la adozione del vecchio piano Eden, che ho sempre ritenuto irrealizzabile per gli altri organi, ma realizzabile per le Assemblee. Il moltiplicarsi di Assemblee europee e di segretariati sta creando una tale confusione per cui solo pochi iniziati riescono ormai a capirci qualche cosa. Ma porre ora un problema del genere sarebbe fuori posto e creerebbe inopportuni ritardi.

Forse una effettiva possibilità di collegamento fra CECA e UEO ci viene offerta dal recente accordo fra la Gran Bretagna e la CECA. Questo accordo crea, come sai, un organo nuovo, quello che è stato erroneamente, ma espressivamente, chiamato il «Gran Consiglio»; alludo alle «riunioni congiunte» previste dall’accordo, a cui partecipano i Ministri dei sei Paesi della Comunità, l’Alta Autorità e un Ministro britannico. Non si sa ancora esattamente come questo organo funzionerà, ma le sue competenze e funzioni sono state lasciate abbastanza elastiche.

Questo organo potrebbe forse utilmente servire per esaminare le questioni relative alle due organizzazioni, perché tutti gli interessati sono presenti, ciascuno partecipandovi con i diritti e i doveri propri.

Si potrebbe forse stabilire in sede UEO che, se si incontrano tali questioni, esse vengano esaminate da questo speciale Consiglio. I casi saranno probabilmente pochi, ma almeno il principio del collegamento sarebbe salvo.

D’altra parte penso che il modello di questo nuovo organo associativo potrebbe riuscire utile, se si arrivasse al «pool» degli armamenti.

Ho letto con grande interesse i documenti che mi hai voluto inviare sul «pool» e comprendo perfettamente le vostre perplessità. Non mi sembra infatti ancora chiaro se e come l’eventuale «pool» avrebbe il carattere sopranazionale. E io credo che solo se esso avesse veramente tale carattere (non solamente con una votazione a maggioranza di un Consiglio di Ministri, cosa che per noi sarebbe pericolosissima, ma con una vera e propria Alta Autorità) si potrebbero superare le riluttanze nostre e del Benelux. Solo una Alta Autorità con una visione generale dell’interesse comune e con la facoltà di impiegare fondi di perequazione e mezzi di salvaguardia potrebbe impedire ‒come ha impedito nel mercato comune del carbone e dell’acciaio ‒ che i più deboli siano la vittima dei più forti.

La Francia è ora contraria ai sistemi del tipo A.A., ma, nel caso degli armamenti, visto che è essa stessa a desiderare e a chiedere il «pool», le sue opposizioni dovrebbero cadere se da parte nostra e del Benelux, si ponesse il carattere sopranazionale come condizione sine qua non all’accettazione del «pool».

La Gran Bretagna non entrerebbe mai in un «pool» di tipo sopranazionale, ma, anche essa, non potrebbe opporsi; e per la sua associazione con il «pool» vi sarebbe già ‒e qui riprendo l’inizio del mio ragionamento ‒un modello di un organo e di un sistema che essa stessa ha accettato e di cui presto avremo le esperienze pratiche. Dico modello, perché naturalmente l’organo sarebbe differente da quello previsto sull’accordo CECA-Inghilterra, perché invece dell’Alta Autorità della CECA vi parteciperebbe la nuova Alta Autorità degli armamenti.

[Francesco Cavalletti]

1 Ambasciata a Londra, 1955, b. 22, fasc. 1.

2 Trasmessa da Magistrati a Theodoli con L. 21/0031 del 5 gennaio 1955.

222

IL CONSOLE GENERALE A STRASBURGO, CITTADINI CESI, AL MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI(1)

T. 16230/104. Strasburgo, 11 dicembre 1954, ore 20 (perv. ore 23,35).

Oggetto: Lavori Assemblea Consultiva.

Mio 1032. L’Assemblea Consultiva ha terminato oggi i suoi lavori votando tre (ripeto tre) risoluzioni: su protocolli Parigi, Assemblea UEO, accordo Saar(3).

Prima risoluzione manifesta la soddisfazione dell’Assemblea per la soluzione raggiunta e sottolinea la necessità di una rapida ratifica degli accordi, esprime il parere che detta ratifica metterà le potenze occidentali in condizioni di aprire quanto prima negoziati con l’Unione Sovietica.

L’Assemblea emette inoltre voto che UEO sia dotato di mezzi di azione suscettibili di avviare la progressiva integrazione europea.

Risoluzione è stata adottata con 82 voti favorevoli, 7 contrari e 14 astensioni. Fra queste ultime, i democristiani francesi; tra i contrari, i socialisti tedeschi.

La seconda risoluzione dice tra l’altro che l’Assemblea UEO dovrà essere strettamente associata con l’Assemblea Consultiva del Consiglio d’Europa ed avere, con quest’ultima, servizi segretariato in comune.

La risoluzione è stata adottata con 66 voti favorevoli e 38 astensioni, fra cui i democristiani e socialisti tedeschi e democristiani francesi.

La terza risoluzione, votata con 77 voti favorevoli, 5 contrari e 6 astensioni, esprime la soddisfazione dell’Assemblea per l’accordo franco-tedesco sulla Saar.

Dall’insieme del dibattitto politico si è rilevata: generale soddisfazione britannica per l’insieme degli accordi di Parigi: qualche riserva da parte dei democristiani francesi; crescente aggressività dei socialisti tedeschi contro l’accordo sarrese, debolmente difeso dai democristiani(4).

1 Telegrammi ordinari 1954, Francia (Consolati e possedimenti), arrivo e partenza.

2 Con TT. 16049/101, 16111/102 e 16170/103 rispettivamente dell’8, del 9 e dell’11 dicembre (ibidem), Cittadini aveva riferito l’andamento del dibattito svoltosi durante la Sesta sessione dell’Assemblea Consultiva del Consiglio d’Europa che tenne i suoi lavori a Strasburgo dall’8 all’11 dicembre 1954: ISPI, Annuario di Politica Internazionale, 1954, pp. 317-320.

3 I testi delle risoluzioni, rispettivamente 66, 67 e 68 (1954), sono consultabili on-line sul sito dell’Assemblea Parlamentare del Consiglio d’Europa.

4 Per il seguito vedi D. 250.

223

IL DIRETTORE GENERALE DEGLI AFFARI POLITICI, MAGISTRATI,

ALL’AMBASCIATORE A BRUXELLES, GRAZZI(1)

L. 20/2951. Roma, 11 dicembre 1954.

Caro Umberto,

questo Ambasciatore d’Olanda mi ha detto, su istruzioni del suo Governo, che la recente riunione del Benelux ha appianato quella certa divergenza di apprezzamento fra i tre Governi che aveva avuto recentemente qualche manifestazione nei riguardi dei problemi UEO. Vi è di nuovo una completa linea comune. E sarà il Ministro degli Esteri d’Olanda incaricato in avvenire di dare formulazione a questo punto di vista comune.

La notizia mi pare interessante. Le tue osservazioni e commenti in proposito mi saranno come sempre preziosi, specie in questo momento in cui andiamo maturando nostri piprecisi orientamenti appunto per il quadro UEO(2).

Credimi con affettuosi saluti

[Massimo Magistrati]

1 DGAP, Uff. IV, Versamento CED, 1950-1954, b. 29, fasc. 102. 2 Per la risposta vedi D. 229.

224

L’AMBASCIATORE A LONDRA, BROSIO, AL MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI(1)

T. s.n.d. 16291/383. Londra, 13 dicembre 1954, ore 21,20 (perv. ore 7,30 del 14).

Caccia mi ha detto oggi che per la prossima riunione del Consiglio del NATO l’attenzione britannica si concentra sulla revisione dei concetti strategici e l’impiego delle armi atomiche. Da una parte infatti è necessario che il SACEUR possa predisporre l’impiego di tali armi nel modo pirapido ed efficiente. D’altra parte occorre che la decisione relativa rimanga nelle mani degli organi politici. Londra si rende conto delle difficoltà di conciliare questi due principi e non ha un progetto definitivo al riguardo ma desidera che la questione venga ampiamente dibattuta in tutti i suoi aspetti.

Circa la riunione del Gruppo Lavoro del 17 gennaio per il pool degli armamenti Caccia ha osservato che il Governo inglese non partecipando al pool non ha proposte da fare. Si augura perche il Governo francese non presenti un progetto troppo macchinoso il quale incontrerebbe certamente l’ostilità degli altri Paesi date le preoccupazioni che già si manifestano a Bruxelles e L’Aja.

Nell’odierna riunione della Commissione ad interim dell’UEO il Segretario Generale aggiunto ha esposto i risultati del suo viaggio a Parigi dove ha discusso con il Segretariato del NATO e con il Quai d’Orsay l’Organizzazione del Gruppo di Lavoro per il pool armamenti. Il NATO è pronto ad assumere l’organizzazione pur non tenendoci in modo particolare, pone perla condizione che il Segretario del Gruppo Lavoro appartenga proprio al Segretariato e fa riserve circa la durata dei lavori dello Working Group che potrebbe interferire con l’attività del NATO: in ogni modo intende che il suo rappresentante partecipi alla discussione e non sia un semplice osservatore.

Dato quanto precede la commissione (con l’unica riserva del delegato olandese che deve riferire all’Aja) ha preferito la proposta francese secondo la quale il Quai d’Orsay provvederebbe all’organizzazione materiale dei lavori fornendo il personale occorrente in collaborazione con il Segretariato UEO cui funzionario sarebbe Segretario Generale del Gruppo Lavoro. Per suggerimento dello stesso Mendès-France la presidenza del Gruppo Lavoro spetterebbe al paese cui compete la Presidenza di turno della Commissione ad interim ossia il Lussemburgo. Circa la partecipazione del rappresentante del NATO ai lavori stessi la commissione ha espresso parere favorevole. Il Governo francese ha preannunciato la presentazione imminente del suo progetto come documento di lavoro.

Il delegato lussemburghese ha poi chiesto di conoscere quali saranno i due delegati che accompagneranno V.E. per il pranzo e la riunione dell’UEO che avrà luogo sabato sera [il 18 dicembre]2 e in cui Adenauer sarà rappresentato dal Vice Cancelliere Blcher.

Per tale riunione viene preparata una breve relazione sui lavori finora svolti e che servirà di traccia alla discussione. Trasmetterdirettamente a Parigi tale documento(3).

1 DGAP, Uff. IV, Versamento CED, 1950-1954, b. 29, fasc. 102.

2 Vedi DD. 231 e 235.

3 Per la successiva riunione della Commissione ad interim vedi D. 236.

225

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI AFFARI ESTERI, ROSSI LONGHI, ALL’AMBASCIATA A WASHINGTON(1)

T. 11875/289. Roma, 14 dicembre 1954, ore 16,15.

In riferimento a telespresso di V.E. n. 57152, ci è stato ora effettivamente presentato da questa Ambasciata americana un promemoria nel quale è contenuta la risposta del Dipartimento di Stato alla richiesta avanzata dal Presidente del Consiglio francese circa la necessità di instaurare maggiori collegamenti, nel settore forniture militari americane, fra Governo Stati Uniti e UEO.

Il Governo americano mostra, in tale risposta, una maggiore comprensione per il punto di vista francese e assicura che potranno essere creati in avvenire opportuni organismi il cui compito sarà appunto quello di permettere un controllo delle forniture americane, in certi limiti.

Nei confronti di quella manifestata dal Segretario di Stato Foster Dulles nelle conferenze di Londra e Parigi, tale atteggiamento sembra confermare una minore rigidità.

1 DGAP, Uff. I, Serie Affari Politici, 1951-1957, b. 332, fasc. Unione Europea Occidentale, dal 23 ottobre 1954.

2 Vedi D. 215.

226

L’AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI, AL MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI(1)

T. segreto 16317/1076. Parigi, 14 dicembre 1954, ore 16 (perv. stessa ora).

Mi permetto di sollecitare urgente risposta al mio telegramma 1068 del 10 corrente mese(2).

I francesi attribuiscono naturalmente un sensibile valore indicativo a quella che sarà la nostra risposta e non ritengo di poterli ulteriormente lasciare nel dubbio circa le nostre intenzioni.

Mi occorrerebbe soprattutto conoscere quali istruzioni siano state inviate a Londra in materia(3).

1 DGAP, Uff. IV, Versamento CED, 1950-1954, b. 29, fasc. 102. 2 Vedi D. 216. 3 Per la risposta vedi D. 230.

227

L’AMBASCIATORE A L’AJA, BENZONI, AL MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI(1)

Telespr. segreto 2793/15032. L’Aja, 14 dicembre 1954.

Oggetto: Sviluppi degli Accordi di Parigi e progressi della procedura di ratifica.

Riferimento: Seguito telespresso 2747/1469 del 7 dicembre u.s.3.

A seguito di quanto ho già riferito circa i progressi della ratifica olandese degli Accordi di Parigi, ho l’onore di comunicare che da notizie attinte dall’Ufficio competente di questo Ministero degli Esteri risulta che il disegno di legge relativo è stato recentemente restituito dal Consiglio di Stato, accompagnato da un parere caldamente favorevole.

Il disegno di legge è stato ora trasmesso alla Regina, che dovrà unirvi un proprio «messaggio». Nel frattempo si sta terminando la relazione che, a quanto dettomi, farà soprattutto riferimento alle considerazioni che verranno fin d’ora anticipate nel «memorandum» con cui il Governo risponderà alle osservazioni della Camera sul bilancio degli Esteri.

Mentre faccio riserva di trasmettere appena possibile questi documenti, corredandoli della traduzione dei passi principali, aggiungo che mi è stato ancora confermato che specie per l’insistenza dei settori parlamentari europeistici, si intende questa volta di non ratificare gli accordi prima degli altri contraenti.

Quanto alle previsioni sulla loro approvazione, questa è evidentemente scontata.

Segnalo infine che le ottime previsioni circa la nostra ratifica, quali emergono dall’ultima votazione della Commissione per gli Affari Esteri, sono state qui debitamente rilevate.

***

Riferisco con l’occasione alcune osservazioni raccolte in questi giorni presso gli Uffici di questo Ministero degli Esteri in merito agli sviluppi degli Accordi di Parigi.

Non si nasconde qui una certa preoccupazione per quella che si considera l’impazienza germanica di dare agli accordi un pipreciso contenuto integrativo e un pimarcato indirizzo sopranazionale. Si attribuisce questa impazienza all’età avanzata del Cancelliere Adenauer che, si ritiene, sarebbe ansioso di vedere raggiunta, prima di lasciare la scena politica, una soluzione organica del problema europeo che valga a tranquillizzare il suo pessimismo sul futuro della Germania.

Questi concetti che si attribuiscono ad Adenauer, non sono una novità. Essi si trovavano già ripetuti nelle note indiscrezioni del periodico «Der Spiegel», che qui sono tenute per sostanzialmente esatte e sufficientemente indicative.

Da parte olandese si ritiene invece che sia essenziale di procedere con molta cautela sulla via degli sviluppi europeistici e sopranazionali, perché occorre anzitutto considerare la posizione della Gran Bretagna ed evitare ogni sviluppo che potrebbe compromettere la recente acquisizione britannica all’Unione europea.

Si è percipiuttosto freddi verso le possibilità di sviluppare le proposte francesi relative al pool degli armamenti e si è del parere che anche il problema dell’organizzazione e dei compiti della futura assemblea parlamentare va considerato senza eccessivi entusiasmi europeistici. Questa sembra essere almeno l’opinione prevalente al Ministero degli Esteri, dove si considera ad esempio che la recente risoluzione Maclay votata a Strasburgo vada oltre ai limiti previsti negli Accordi di Parigi e sia anche suscettibile di dar luogo all’interno a qualche difficoltà d’ordine costituzionale.

Diverso è invece, a giudicare dai resoconti qui pervenuti, l’atteggiamento dei parlamentari olandesi che a Strasburgo sono stati dei piattivi. Questa attività peraltro, se ha valso loro qualche consenso, non è stata giudicata senza riserve da alcuni settori della stampa che hanno avanzato considerazioni analoghe a quelle che ho sopra riferito.

***

Nel quadro delle questioni che interessano i rapporti tra NATO e UEO e gli eventuali problemi relativi al NATO che nascano dal lavoro della Commissione interinale di Londra, non mi è stato segnalato al Ministero degli Esteri che siano sorti problemi di rilievo che abbiano comunque attirata l’attenzione di questo Governo in vista della conferenza atlantica.

Circa la scelta del Direttore della futura Agenzia degli Armamenti, mi è stato confermato che i Paesi Bassi avrebbero appoggiato la candidatura di un inglese e si è aggiunto che qui si pensava all’Ammiraglio Dick, come particolarmente indicato.

Circa la Saar è opinione di questo Governo che convenga aspettare che Francia e Germania accordino i rispettivi punti di vista. Analogamente si considera prematura la questione della nomina dell’Alto Commissario, per il quale anche questa stampa ha fatto insistentemente il nome di van Naters e successivamente quello del Borgomastro di Amsterdam, d’Ailly, ed infine anche quello di Stikker. Naturalmente non si avrebbero obiezioni alla scelta di un olandese.

Per quanto riguarda infine i rapporti est-ovest ho tratto l’impressione da una conversazione con Beyen che egli consideri che le ultime dichiarazioni sovietiche non significano necessariamente che non si potrà magari discutere ancora, beninteso dopo la ratifica.

Circa quest’ultima Beyen è stato piesplicito nel farmi parte delle incertezze che qui ancora si nutrono, tanto verso la Germania, che verso la Francia. Sopratutto nei riguardi di questa ultima egli sembra temere, che fra ratifica e deposito degli strumenti di ratifica a Bruxelles, qualche altra iniziativa del tipo di quella recente sul trattato austriaco possa maturare nella mente di Mendès-France.

1 DGAP, Uff. IV, Versamento CED, 1950-1954, b. 29, fasc. 102.

2 Sottoscrizione autografa.

3 Con il telespresso in riferimento, Benzoni informava che il dibattito in Parlamento sulla ratifica degli Accordi di Parigi era stato fissato a febbraio dell’anno successivo e che non avrebbe mancato di riferire non appena avesse avuto ogni utile informazione al riguardo (DGAP, Uff. IV, Versamento CED, 1950-1954, b. 29, fasc. 102).

228

IL MINISTRO A LUSSEMBURGO, CAVALLETTI, AL MINISTRO DEGLI AFFARI ESTERI, MARTINO(1)

R. 008005. Lussemburgo, 14 dicembre 1954.

Signor Ministro,

l’accordo fra la CECA e i sei paesi della Comunità da un lato e la Gran Bretagna dall’altro è oramai concluso, anche se la firma dovesse, per difficoltà minori (questione delle lingue), essere ritardata. Esso ha impiegato, per realizzarsi, quasi due anni di scambi di idee e circa sei mesi di attivi negoziati.

La lunghezza delle trattative ‒complicate anche dal sistema di negoziato previsto par. 14 della Convenzione transitoria – è stata dovuta sopratutto, ritengo, a una iniziale differente impostazione del problema: l’Alta Autorità mirava a un accordo sopratutto di carattere politico, che le aumentasse il prestigio e dimostrasse al tempo stesso la possibilità di associare la Gran Bretagna alla Comunità dei sei Paesi, la Gran Bretagna invece (particolarmente gli Steel and Coal Boards) desiderava principalmente un accordo tecnico, che le assicurasse vantaggi pratici, ignorando, per lungo tempo, ‒altro motivo del ritardo ‒ quali questi potessero essere.

L’accordo si è realizzato quando il governo inglese, sotto la spinta degli avvenimenti politici europei, facendo tacere le resistenze degli Steel and Coal Boards, ha creduto di rinunciare a immediati vantaggi tecnici ‒che del resto esso non era riuscito ancora a individuare ‒e si è accontentato di iscrivere al suo attivo un certo «droit de regard» sulla Comunità.

Sotto questo aspetto infatti l’attuale accordo, di cui non sto a ripetere le clausole che sono ben note a V.E., sembra portare, in via di massima, pivantaggi alla Gran Bretagna che alla Comunità; malgrado che l’Alta Autorità, negoziatrice dell’accordo, sostenga che i diritti e doveri sono reciproci e identici, di fatto sarà molto pifacile alla Gran Bretagna di vegliare sulle cose della Comunità che non il contrario.

Ma di fronte a questi, del resto non gravi rischi, in quanto i segreti della Comunità sono ben pochi, la Comunità ha ottenuto un successo morale o politico. L’associazione con la Gran Bretagna, la cui saggezza in queste cose è proverbiale, associazione da durare la durata del Trattato CECA, porta una smentita a coloro che cominciavano a parlare dei funerali della Comunità.

Da un punto di vista di sostanza tecnica l’accordo è un po’ una cornice senza dipinto, né sappiamo ancora come questa cornice sarà riempita. Personalmente non credo che l’accordo condurrà molto lontano, tuttavia è indubbio che viene messo, con esso, in moto un meccanismo utile o nuovo, poiché per la prima volta la Gran Bretagna s’impegna a discutere con altri alcuni problemi della sua politica economica. Molto dipenderà evidentemente sia dall’efficacia con cui la CECA riuscirà a lavorare, sia dallo sviluppo della congiuntura europea tanto economica quanto politica.

E riguardo a tale ultima questione va incidentalmente rilevato che l’accordo fra CECA e Gran Bretagna offre anche un altro vantaggio: alla vigilia del negoziato per il «pool» europeo degli armamenti, l’accordo, oltre a dare la prova della buona volontà britannica, fornisce un pratico modello di associazione, che potrebbe utilmente essere adottato in altri campi dell’integrazione europea.

Voglia accogliere, signor Ministro l’espressione del mio profondo ossequio.

[Francesco Cavalletti]

DGAP, Uff. I, Serie Affari Politici, 1951-1957, b. 334, fasc. Piano Schuman. Comunità Europea Carbone Acciaio.

229

L’AMBASCIATORE A BRUXELLES, GRAZZI, AL DIRETTORE GENERALE DEGLI AFFARI POLITICI, MAGISTRATI(1)

L. 5092. Bruxelles, 14 dicembre 1954.

Caro Massimo,

rispondo alla tua lettera n. 20/2951 dell’11 corr.2.

Quanto mi chiedi è stato pio meno già da me segnalato in questi ultimi tempi e in varie occasioni; ti cito riguardo i miei rapporti n. 4898/2453 e n. 4857/2433 rispettivamente del 27 e 29 novembre u.s.3.

In essi, in sostanza, riferivo che, dopo un primo momento di dissenso in cui gli olandesi si trovavano dalla parte degli oppositori, un accordo di massima su una linea comune è stato raggiunto fra i tre paesi del Benelux nel senso di non opporsi alla proposta di «pool» per gli armamenti, come gli olandesi avrebbero voluto, bensì di sostenere alcune delle idee che ti ho segnalate nella mia lettera personale n. 5063 del 10 corrente(4). Di pigli olandesi hanno ottenuto di poter far chiedere dai tre Governi a Parigi un nuovo documento scritto con delle proposte francesi piprecise. Tale documento non mi risulta ancora arrivato e faccio la illazione che si potrebbe trattarsi [sic] del documento che, secondo notizie dei giornali, i francesi avrebbero distribuito o starebbero distribuendo alle sei Capitali.

Se così fosse, sarebbe da ritenere che la richiesta fatta dai Paesi del Benelux di informazioni piprecise, congiunta alla nota ostilità americana, abbia condotto i francesi a modificare e ad addolcire grandemente le loro proposte. Ripeto, queste sono illazioni che traggo dalla stampa, poiché nessun documento francese essendo qui pervenuto a tutt’oggi, non sono in grado di discutere su elementi di fatto.

Per quanto riguarda l’UEO, premetto che sono i belgi e non già gli olandesi, come dice Theodoli, che vorrebbero ottenere il posto di Segretario Generale(5). In secondo luogo, non c’è dubbio che i paesi del Benelux faranno il possibile perché sia dato all’UEO il maggiore valore e la maggiore efficienza; pernon si fanno illusioni circa il grado di efficienza cui si potrà arrivare, data la posizione inglese al riguardo.

Ed è perci come ho già segnalato, che i tre Paesi stanno ripiegando sull’idea di trasportare sulla CECA quanto in un primo tempo avevano sperato di poter concentrare nell’UEO. Ci sopratutto dal lato economico, poiché dal lato politico il massimo desiderio di Spaak (di aver un’Assemblea di Deputati che si occupasse dell’UEO) fu bocciato a Londra; e perciqualsiasi valorizzazione anche in campo politico della CECA sarebbe in questo momento ben vista dai dirigenti belgi.

Quanto al lato militare, qui si è d’accordo a che l’Organismo di controllo abbia la massima efficienza.

Credimi, con i piaffettuosi saluti,

sempre tuo aff.mo

Umberto

1 DGAP, Uff. IV, Versamento CED, 1950-1954, b. 29, fasc. 102.

2 Vedi D. 223.

3 Vedi DD. 202 e 204.

4 Vedi D. 219.

5 Nota di Grazzi in calce: «Mi accorgo di aver sbagliato: il Theodoli parla del Direttore dell’Agenzia di Armamenti, e non già del Segretario Generale: ma non ho tempo di far ricopiare questa lettera prima della chiusura del corriere».

230

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI AFFARI ESTERI, ROSSI LONGHI, ALL’AMBASCIATA A PARIGI(1)

T. segreto 11904/533. Roma, 15 dicembre 1954, ore 13,10.

Suo 10762.

Ambasciata Londra telegrafa(3) che Commissione Interinale (con unica riserva del Delegato olandese che deve riferire a L’Aja) ha accolto proposta francese secondo la quale il Quai d’Orsay provvederà at organizzazione materiale lavori pool armamenti fornendo personale occorrente in collaborazione con Segretariato UEO un cui funzionario assicurerà direzione Segretariato Gruppo Lavoro. Per suggerimento Mendès-France presidenza Gruppo di lavoro spetterebbe al Paese cui compete la presidenza di turno della Commissione ad interim ossia il Lussemburgo. Circa la partecipazione del Rappresentante del NATO ai lavori stessi la Commissione ha espresso parere favorevole.

Con tale decisione, cui delegato italiano è stato lieto dare sua pronta adesione, problema di cui alle comunicazioni di V.E. appare risolto secondo desiderio francese.

1 Telegrammi segreti originali 1954, partenza, vol. II. 2 Vedi D. 226. 3 Vedi D. 224.

231

IL DIRETTORE GENERALE DEGLI AFFARI POLITICI MAGISTRATI(1)

Appunto segreto(2). Roma, 20 dicembre 1954.

APPUNTO RELATIVO ALLA XV RIUNIONE MINISTERIALE DEL CONSIGLIO ATLANTICO (Parigi, Palais de Chaillot, 17-18 dicembre 1954)

Sotto la direzione del Ministro degli Affari Esteri di Grecia, Stephanopoulos, e con la presidenza effettiva di Lord Ismay, si è svolta a Parigi, nel Palais de Chaillot, alla data indicata del 17-18 dicembre 1954, la XV Riunione del Consiglio Atlantico al livello Ministri.

Sono intervenuti, accompagnati da numerose Delegazioni, tutti i Ministri degli Esteri dei Paesi Atlantici. Per l’Italia il Ministro On. Martino con il quale erano il Ministro della Difesa, On. Taviani, ed il Ministro del Bilancio, On. Vanoni. Presenti anche il Segretario Generale di Palazzo Chigi, Ambasciatore Rossi Longhi, ed il Capo di Stato Maggiore della Difesa, Generale Mancinelli.

Alle sedute ha, inoltre, preso parte il Comandante Supremo delle Forze Alleate in Europa, Generale Gruenther, che ha avuto occasione di fornire al Consiglio alcune notizie di carattere militare in merito soprattutto all’organizzazione dello SHAPE ed alla necessità di rendere sempre piefficiente la propaganda relativa alla formazione ed all’azione della NATO.

Dopo il Consueto «Rapporto» del Segretario Generale, contenente alcune indicazioni circa l’opera compiuta dal Segretariato in questi ultimi mesi, il Consiglio ha dato inizio ad uno scambio di idee sulle questioni politiche di interesse comune. Prima, fra queste, l’esame dei rapporti est-ovest all’indomani del noto scambio di comunicazioni diplomatiche tra l’Unione Sovietica e gli Stati Occidentali(3).

La discussione dell’argomento si è indirizzata particolarmente sulla necessità di permettere, nel campo occidentale, sempre maggiori iniziative tali da togliere all’altra parte quella libertà di manovra che ha caratterizzato l’azione sovietica di questi ultimi anni. E, da piparti, è stata fatta presente l’opportunità di evitare che il Governo di Mosca si senta incoraggiato a nutrire illusioni sulla possibilità di sfruttare talune differenze esistenti nello schieramento politico occidentale in modo da renderlo diviso e quindi meno efficiente.

Sull’argomento il Ministro, On. Martino, ha posto in rilievo come «l’alleanza atlantica non debba essere semplicemente una comunità militare, economica e civile, ma anche una comunità diplomatica». Per tale motivo ‒egli ha aggiunto ‒appare indubbiamente indispensabile poter meglio sincronizzare le varie iniziative diplomatiche e la loro elaborazione comune evitando che si crei l’impressione che tre Potenze prendano, esse sole, delle decisioni politiche di ordine generale atte a toccare gli interessi dell’intera Comunità.

La discussione stessa è apparsa di non piccola attualità per il fatto che, proprio poche ore prima dell’inizio della riunione atlantica, il Governo sovietico aveva fatto diffondere la sua Nota di «avvertimento» alla Francia contenente la minaccia di una denuncia del Patto di Amicizia franco-russo qualora il Parlamento di Parigi dovesse ratificare gli Accordi relativi alla costituzione dell’Unione dell’Europa Occidentale ed all’ingresso della Germania di Bonn nella NATO: situazione, questa, che ha provocato, in seno alla riunione, una pronta e molto decisa dichiarazione del Presidente del Consiglio di Francia, Mendès-France, intesa a porre in rilievo come i membri del Parlamento francese non avrebbero mancato di reagire a questa imposizione proveniente da Mosca.

Tale intervento francese ha permesso al Consiglio di rivolgere, subito dopo, la propria attenzione alla necessità di una pronta ratifica degli Accordi di Parigi. Ed il Rappresentante italiano, On. Martino, ha potuto informare, in dettaglio, i suoi colleghi sull’andamento dei lavori che fanno ritenere molto prossima, e con notevole maggioranza, la ratifica da parte del primo ramo del Parlamento italiano in modo che il Senato possa essere messo in condizione di discutere ed approvare gli Accordi stessi nei primissimi mesi dell’anno nuovo.

Il Consiglio ha poi rivolto la sua attenzione ai problemi prettamente militari relativi all’efficienza ed al potenziamento dell’Alleanza Atlantica. Ed ha approvato il Rapporto presentato, sull’argomento, dal Comitato Militare.

Ma, in tale settore, è apparsa subito di grande rilievo la questione concernente la ricerca della struttura adatta ad assicurare, nel corso dei prossimi anni, il massimo di efficienza alle Forze militari dei Paesi alleati. Il cosiddetto «new look» si è, cioè, rivelato, quest’anno, di grande e particolare importanza politica oltre che militare, inquantoché, per la prima volta, è stato in pieno abbordato il problema della dotazione e dell’impiego delle nuove armi termonucleari ed atomiche.

Un rapporto, infatti, compilato dalle responsabili Autorità militari dell’Alleanza, aveva posto i Governi, proprio pochi giorni prima dell’inizio della Riunione ed in forma precisa ed inequivoca, dinanzi al quesito di concedere o meno, previamente e preliminarmente, a quelle Autorità stesse l’autorizzazione di procedere alla «pianificazione» della difesa europea sulla base dell’immediato e diretto impiego delle armi nuove: posizione, questa, ritenuta, oggi, sotto il profilo tecnico, del tutto indispensabile data la grave e permanente sperequazione delle Forze Armate dei due blocchi.

La delicata e molto importante discussione in seno al Consiglio ha dato la netta impressione che i Governi, gelosi delle loro responsabilità e consci della necessità di conservare integra la loro iniziativa e la loro decisione in un campo atto ad avere indubbie e pesanti rifrazioni di ordine politico interno oltre che internazionale, siano tutti propensi, anche se con qualche diversa gradazione, a mantenere intatta la loro potestà decisoria lasciando all’Autorità militare soltanto il compito della preparazione e dell’apprestamento della difesa e non già la preventiva decisione di impiego. Naturalmente esiste, nella questione, un aspetto teorico, inquantoché, in caso di immediata necessità, provocata da un’improvvisa aggressione, sarebbe ben difficile applicare una complessa ed indubbiamente lenta procedura intesa ad ottenere la completa adesione dei quattordici Governi atlantici per l’impiego suddetto. Ma, d’altra parte, nessun Governo si è sentito attualmente di rinunciare ai suoi poteri e tutti i Rappresentanti atlantici, quindi, hanno dato la loro piena approvazione ad una formula in certo modo conciliativa per la quale il Consiglio, pur dando la sua approvazione al Rapporto delle Autorità militari per la nuova preparazione della difesa, ha chiaramente osservato come «questa approvazione non implichi una delega della responsabilità che incombe invece ai Governi per quanto concerne la messa in azione di quei piani in caso di conflitto armato».

Da parte italiana è stata presa, sull’argomento, una molto chiara posizione. Il Ministro, On. Martino, infatti, non soltanto ha posto in rilievo come i Governi Alleati debbano conservare interamente quella loro potestà decisoria, ma ha anzi, nell’occasione, aggiunto come il Governo italiano si proponga di «appoggiare qualsiasi iniziativa che tenda al raggiungimento, in un prossimo avvenire, di una Convenzione generale sulla limitazione e sul controllo degli armamenti e sul problema delle armi atomiche e nucleari, nel senso proposto dalle Potenze occidentali in seno alla Commissione degli armamenti delle Nazioni Unite». «Conseguentemente ‒egli ha aggiunto ‒appare naturale che l’approvazione data dal Consiglio Atlantico al documento militare debba essere considerata quale limitata al periodo di tempo nel quale non sarà stato possibile raggiungere l’auspicato accordo che, solo, potrà evitare all’umanità le conseguenze di una guerra atomica».

Il Ministro italiano ha espresso la speranza che il principio della limitazione e del controllo generale degli armamenti potesse essere affermato apertamente anche dal Consiglio Atlantico: affermazione che indubbiamente non avrebbe potuto non costituire un buon «punto» a favore della Comunità Atlantica nella guerra psicologica che si va combattendo da tempo e nella quale il blocco orientale ha saputo sempre mantenere l’iniziativa.

È stata questa, in riassunto, la prima chiara parola detta, nel quadro atlantico, in merito all’opportunità di una presa di posizione favorevole ad una limitazione e ad un controllo generale degli armamenti quale presupposto per il ristabilimento dell’equilibrio delle forze e, quindi, all’auspicata abolizione delle armi nuove. Essa, evidentemente, non poteva non suscitare qualche interrogativo specialmente da parte di quei Paesi, come l’America, che temono sempre un indebolimento, attraverso affermazioni di tale natura, della coesione atlantica. Ma, alla fine, il chiaro concetto, esposto nella dichiarazione del Rappresentante italiano, ha finito per prevalere e così in seguito il Consiglio ha potuto all’unanimità, nel comunicato finale relativo ai lavori della riunione, nettamente affermare come esso «accolga con soddisfazione gli sforzi intrapresi in seno alle Nazioni Unite per un accordo mondiale sulla limitazione e sul controllo degli armamenti».

Con tale importante presa di posizione, l’Alleanza Atlantica ha praticamente dimostrato di sapere, coraggiosamente e al momento opportuno, considerare tutti i diversi aspetti della delicata questione del potenziamento degli armamenti, in modo da concorrere a togliere all’Unione Sovietica l’iniziativa di voler sempre addossare al blocco occidentale la responsabilità della cosiddetta «corsa al riarmo», con tutte le conseguenze psicologiche ed economiche che ne provengono nei differenti paesi.

Sempre nel settore militare, il Consiglio ha poi preso in esame, secondo il solito, il Rapporto sulla «Revisione Annuale» 1954. Tale esame è stato molto rapido inquantoché oramai – sorpassata, cioè, la fase febbrile della preparazione costituita, negli scorsi anni, dalla crisi del periodo coreano – si tratta soprattutto del mantenimento dell’equilibrio delle forze già raggiunto e, quindi, soltanto di perfezionamenti e miglioramenti da apportare, senza eccessivi nuovi aggravi finanziari agli apprestamenti oggi esistenti.

Sull’argomento il Ministro italiano della Difesa, On. Taviani, ha dato alcune notizie al Consiglio circa le linee generali del «piano di riorganizzazione» delle Forze Armate in merito particolarmente all’organizzazione territoriale ed al meccanismo della mobilitazione sulla base degli studi da tempo iniziati da parte dello Stato Maggiore di Roma in collaborazione con i Comandi Atlantici. Tale piano di riforma dovrà svilupparsi in un periodo di tre anni al cui termine la situazione delle Forze Armate italiane non potrà non trovarsi migliorata in misura considerevole. Naturalmente – ha concluso l’On. Taviani – le Autorità italiane si dichiarano pronte ad accettare in linea di principio le raccomandazioni avanzate dagli organi NATO, ma cisempre nei limiti delle disponibilità finanziarie del nostro Paese.

Esaurita questa parte dell’ordine del giorno relativa, come si detto, alle questioni prettamente militari, il Consiglio ha proceduto alla formulazione del comunicato conclusivo relativo a questi suoi rapidi lavori ed ha inoltre deciso di accettare, in linea di massima, un invito rivolto dal Governo ellenico perché la prossima riunione atlantica possa aver luogo ad Atene anziché a Parigi: e ciallo scopo di dare, di tempo in tempo, la possibilità ai Paesi atlantici, e specialmente a quelli maggiormente periferici, la possibilità di seguire da vicino i lavori dell’organo supremo direttivo dell’Organizzazione.

Il comunicato finale è apparso non contenere ‒ad eccezione dell’affermazione relativa all’auspicato accordo mondiale sulla limitazione ed il controllo degli armamenti, alla quale si è sopra accennato ‒nessun elemento particolarmente nuovo e «sensazionale». La politica sovietica vi viene definita quale sempre capace di provocare pericolose sorprese dato che oggi «non appare esistere alcun motivo adatto a far credere che la minaccia che grava sul mondo libero, si sia effettivamente ridotta». Da cila necessità che il lavoro per la pace sia parallelo a quello destinato a rafforzare la coesione e la potenza dell’Alleanza. E in tale campo il Consiglio, in quel suo comunicato, mostra di essere non insoddisfatto dell’efficienza raggiunta dalle Forze Armate dei Paesi Alleati. A tale proposito «la contribuzione tedesca alla difesa, prevista dagli Accordi di Parigi, resta, a parere del Consiglio, un complemento indispensabile allo sforzo protettivo che si sta compiendo».

Il Consiglio, infine, ha messo l’accento sui progressi economici incoraggianti compiuti da taluni Paesi Alleati e ha riconosciuto che un accrescimento regolare della potenza economica della Alleanza nel suo complesso è indispensabile per permettere di mantenere e di sviluppare la prosperità e la sicurezza di tutti i Paesi membri con il rafforzamento della cooperazione economica tra loro.

La riunione di Parigi ha permesso, secondo il solito, ai Rappresentanti Alleati di avere tra loro, anche in sede privata, opportuni e utili scambi di idee.

Essa, inoltre, ha reso possibile un diretto incontro tra i Ministri degli Esteri dei sette Paesi della futura Unione dell’Europa Occidentale i quali, sotto la Presidenza del Ministro degli Affari Esteri del Lussemburgo, Bech, hanno potuto dare uno sguardo riassuntivo, alla vigilia della ratifica parlamentare degli Accordi di Parigi, alle questioni organizzative che già appaiono all’orizzonte in merito alla futura vita ed alla futura attività dell’UEO. Tra queste, di molto notevole importanza, l’assegnazione del posto di Direttore dell’Agenzia destinata al controllo degli effettivi e degli armamenti dei Paesi continentali dell’Unione. E qui l’Italia ha marcato un punto, a suo favore, di grande rilievo, inquantoché, su proposta del Presidente francese Mendès-France, direttamente appoggiata dal Ministro degli Affari Esteri del Regno Unito, Eden, si è visto assegnare, all’unanimità, quel posto il quale, si ripete, sarà senza dubbio il pidelicato e il pisignificativo, ai fini pratici, dell’intera futura organizzazione.

Dal canto suo, il Ministro del Bilancio, On. Vanoni ha avuto, alla presenza degli Ambasciatori Magistrati e Cattani, una lunga conversazione con il Direttore della FOA, Stassen, il quale ha posto in rilievo come l’Italia si appresti a presentare in sede OECE, agli inizi del prossimo gennaio, il suo «piano economico decennale», ottenendo dall’interlocutore americano un consenso di massima ed una assicurazione di appoggio, dato che lo stesso Stassen sarà personalmente presente al Consiglio OECE.

In riassunto:

- - -

E qui – a norma di quanto si è sopra accennato – è stata trovata una formula che, mentre permette ai Comandi competenti di procedere a quella preventiva pianificazione, atta ad annullare, con l’eventuale pronto impiego di quelle armi, lo squilibrio di forze tuttora presenti, lascia intatte la responsabilità e la potestà dei Governi per determinare le circostanze dell’impiego(4).

1 Ambasciata a Parigi, 1951-1960, b. 40, pos. 11/18.1. 2 Sottoscrizione autografa.

3 Note sovietiche del 9 dicembre (in risposta alla nota tripartita del 29 novembre), del 17 dicembre (ai Paesi che avevano rifiutato l’invito alla Conferenza di Mosca), del 16 dicembre a Parigi (sulla questione del trattato franco-sovietico): ISPI, Annuario di Politica Internazionale, 1954, pp. 63 e 297. Per quel che concerne le note precedenti vedi D. 169, nota 2, D. 195, nota 4 e D. 209, nota 2.

4 Per il seguito vedi D. 232.

232

IL MINISTRO DEGLI AFFARI ESTERI, MARTINO, AD AMBASCIATE E LEGAZIONI(1)

T. 12180/c.2. Roma, 23 dicembre 1954, ore 23.

In occasione delle recenti conversazioni di Parigi tra i Ministri degli Affari Esteri rappresentanti i sette paesi dell’UEO(3) venne unanimemente stabilito, su proposta francese, che futuro posto di Direttore dell’Agenzia di Controllo prevista dagli Accordi di Parigi venisse attribuito a persona di nazionalità italiana.

In tali condizioni, mi riservo di inviare nei prossimi giorni una comunicazione ufficiale ai sei Ministri degli Esteri per indicare loro una terna di nominativi. Primo tra essi sarà quello dell’On. Ivan Matteo Lombardo, antico Ministro dell’Industria e già nostro Rappresentante Permanente nel Comitato della CED.

Tanto per sua conoscenza e per norma di linguaggio(4).

1 DGAP, Uff. I, Serie Affari Politici, 1951-1957, b. 332, fasc. Unione Europea Occidentale, dal 23 ottobre 1954.

2 Indirizzato alle Ambasciate a Parigi, Bonn, L’Aja, Bruxelles, Londra e alla Legazione a Lussemburgo.

3 Vedi D. 231.

4 Per il seguito vedi DD. 239-241.

233

IL DIRETTORE GENERALE DEGLI AFFARI POLITICI, MAGISTRATI, AL MINISTRO DEGLI AFFARI ESTERI, MARTINO(1)

Appunto(2). Roma, 23 dicembre 1954.

Oggetto: Visita a Roma del deputato tedesco von Brentano.

Nella sede dell’Ambasciata di Germania, dove egli risiede, in questi giorni, presso suo fratello, mi è stato dato di avere una conversazione con il deputato al Bundestag, Heinrich von Brentano, che, come è noto, è anche rappresentante parlamentare tedesco in seno alle Assemblee della CECA e del Consiglio di Europa.

Data la personalità dell’interlocutore, il quale, secondo talune voci, sarebbe destinato a succedere prossimamente, nella qualità di Ministro degli Affari Esteri, al Cancelliere Adenauer, stimo utile riassumere qui appresso talune idee da lui espresse:

1. Circa la composizione e la formazione del futuro organo direttivo dell’UEO, che avrà sede a Londra, da parte tedesca si ritiene opportuno che esso sia del tutto autonomo e indipendente, nel senso che sarebbe difficile dare agli Ambasciatori residenti nella capitale britannica il compito di rappresentare i loro Paesi in un organismo internazionale, nel cui seno potrebbero svilupparsi delicate situazioni non sempre consone alle funzioni e agli atteggiamenti di personalità diplomatiche destinate a rappresentare i loro Paesi presso la Corte di San Giacomo. Da parte tedesca, quindi, si pensa di nominare in avvenire, quale Rappresentante della Repubblica Federale in seno al Consiglio stesso, un proprio Delegato autonomo e indipendente, si ripete, dalla Ambasciata.

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Il Signor von Brentano rimarrà a Roma fino al 2 gennaio, a meno che il Governo francese dovesse entrare in crisi nei prossimi giorni, nel qual caso egli raggiungerebbe il Cancelliere Adenauer a Bonn.

1 Gabinetto, 1943-1958, b. 68, fasc. Germania (Parte Generale).2 Sottoscrizione autografa. Indirizzato, per conoscenza, a Benvenuti e a Rossi Longhi.

234

IL DIRETTORE GENERALE DEGLI AFFARI POLITICI MAGISTRATI(1)

Appunto 23/6142. Roma, 23 dicembre 1954.

APPUNTO CIRCA LA XV SESSIONE DEL COMITATO DEI MINISTRI DEL CONSIGLIO D’EUROPA (Parigi, 19 dicembre 1954)

1) Il 19 corrente sotto la Presidenza del Presidente di turno, Ministro degli Affari Esteri di Grecia Stephanopoulos, si è tenuta in Parigi, al Chateau della Muette, la XV sessione del Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa(3).

Ad eccezione della Repubblica federale tedesca rappresentata dal Vice Cancelliere Blher e della Svezia rappresentata dall’Ambasciatore in Parigi Westman, tutti gli altri membri sono stati rappresentati dai titolari dei rispettivi dicasteri degli Affari Esteri accompagnati da delegazioni che comprendevano alti funzionari delle amministrazioni centrali oltre ai rappresentanti permanenti in Strasburgo. Secondo una prassi ormai stabilita, il rappresentante del territorio della Saar Lorscheider, direttore dell’ufficio degli affari europei ed esteri, ha presenziato alle riunioni in qualità di osservatore. Data la brevità del tempo a disposizione dei Ministri, il lavoro si è dovuto concentrare in due sedute della giornata festiva.

Gli argomenti all’ordine del giorno, definitivamente fissati nella XXV riunione del Comitato dei Delegati che ha avuto luogo in Parigi nei giorni 14 e seguenti, oltre a questioni di interesse minore (quali la fissazione della data per la riunione comune del Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa con l’Alta Autorità della CECA, la richiesta di sovvenzione al Consiglio parlamentare del Movimento Europeo, e l’elezione ad un seggio vacante in seno alla Commissione europea dei Diritti dell’Uomo) comprendevano problemi di interesse politico.

2) Fra di essi il primo trattato in un ampio dibattito nelle due sedute si riferiva al «ruolo» del Consiglio d’Europa. Il problema è stato introdotto con una interessante dichiarazione del Presidente del Comitato, Stephanopoulos, nella quale venivano espresse con franchezza le preoccupazioni del Governo ellenico sull’attuale posizione del Consiglio d’Europa sia per quanto riguarda uno sfasamento fra le iniziative dell’Assemblea e l’atteggiamento dell’organo esecutivo del Consiglio che ‒in generale ‒per una certa passività da parte dei Paesi membri nell’utilizzare l’organizzazione di Strasburgo per svolgere la propria attività comune sul piano intergovernativo. In particolare Stephanopoulos si è richiamato alla creazione della nuova organizzazione nata dagli accordi di Londra e di Parigi e si è fatto esplicitamente eco dei timori chiaramente espressi in seno all’Assemblea Consultiva circa il pericolo che l’Unione dell’Europa Occidentale abbia ad assorbire e ad accaparrare i piimportanti compiti affidati al Consiglio d’Europa e specialmente quello di guida e di strumento del movimento di integrazione europea. Dopo aver esposto alcune critiche sull’attività sinora svolta dal Consiglio, il Ministro ellenico ha indicato la necessità di definire come obiettivo immediato del Consiglio di Strasburgo la ricerca di un atteggiamento politico comune dei Paesi della libera Europa negli incontri internazionali e come secondo obiettivo, a pilungo termine, il problema del proseguimento dell’azione di integrazione europea.

Nella discussione subito apertasi è intervenuto per primo il Ministro Spaak, che si è riferito in particolare alle osservazioni relative allo sfasamento fra l’attività e le iniziative dell’Assemblea rispetto al Comitato dei Ministri. Il Ministro belga ha rilevato che non è opportuno essere troppo severi nel giudicare le iniziative dell’Assemblea che, malgrado il suo nome, non essendo mai stata consultata dal Comitato dei Ministri, ha mostrato spesso la tendenza ad uscire dai propri limiti costituzionali. Spaak ha inoltre manifestato l’avviso che sia compito dei Ministri di indirizzare e di incanalare i lavori dell’Assemblea su problemi concreti di specifico interesse. Al riguardo egli ha proposto di incaricare l’Assemblea di esaminare i problemi dell’integrazione economica suggerendo inoltre che i Ministri accettino di presentarsi all’Assemblea Consultiva per rispondere ad eventuali interrogazioni.

Il Ministro Martino nel suo primo intervento di carattere generale, dopo aver richiamato i risultati raggiunti dal Consiglio d’Europa malgrado le difficoltà incontrate e dopo aver fatto un breve cenno ai motivi che hanno condotto alcuni Stati membri alla creazione di organizzazioni con compiti distinti da quelli del Consiglio, ha ricordato che il Governo italiano si mantiene fedele all’obiettivo di unificazione europea e considera che il Consiglio rappresenta il foro piappropriato per l’esame comune di problemi nazionali, sottolineando inoltre l’importanza della funzione dell’Assemblea Consultiva come libera tribuna dell’opinione parlamentare europea. Egli ha concluso appoggiando le proposte del Presidente Stephanopoulos e di Spaak.

Successivamente ha preso la parola il Ministro norvegese Lange che ha proposto al Comitato di invitare l’Unione dell’Europa occidentale a precisare i propri compiti e stabilire i propri limiti. Il Ministro olandese Beyen, dichiarandosi favorevole alla proposta di predisporre, durante una riunione dei Ministri da tenersi nel prossimo aprile, una lista di quesiti da rivolgere all’Assemblea, si è mostrato scettico sulla possibilità che l’UEO sia in grado di precisare la propria sfera. Il Presidente Mendès-France, dopo aver ringraziato Stephanopoulos, per «l’esame di coscienza» contenuto nelle sue osservazioni ed essersi richiamato alla risoluzione con cui il Comitato dei Ministri precisava che il Consiglio rappresenta il «quadro generale della politica europea», ha sostenuto l’opportunità che il Consiglio abbia a sbarazzarsi al pipresto dell’attuale «complesso di inferiorità»; si è dichiarato d’accordo con le proposte di Spaak particolarmente per quanto riguarda la possibilità di utilizzare l’Assemblea per la soluzione di problemi concreti, suggerendo di sottoporle dei «dossiers» tecnici ed autorizzando i Ministri tecnici a partecipare ai dibattiti. Il Ministro Eden, pur concordando in generale sulle proposte, ha espresso qualche dubbio sulla possibilità che un invio all’Assemblea di una lista di problemi possa permettere di risolverli. Circa l’UEO ha sottolineato che i suoi compiti sono precisi e limitati, che non rientrano in quelli del Consiglio d’Europa e, scusandosi di parlare a nome dei Sette, che la nuova organizzazione non intende monopolizzare materie di competenza di altri organismi.

La discussione sul «ruolo del Consiglio» si è conclusa nel pomeriggio con l’approvazione di una risoluzione con cui, dopo richiamata l’opportunità di meglio definire la funzione del Consiglio nell’organizzazione della collaborazione intergovernativa europea, nonché il compito del Consiglio di rappresentare il quadro generale della politica europea, il Comitato dei Ministri decide di rinviare ai Delegati lo studio della posizione del Consiglio nel quadro delle organizzazioni europee sulla base di un memorandum riassumente le dichiarazioni di Stephanopoulos e le osservazioni dei Ministri partecipanti alla discussione. Con la stessa risoluzione il Comitato rivolge invito ai Governi di avanzare proposte per la definizione di una lista di argomenti su cui l’Assemblea dovrà esprimere un parere che dovrebbe informare l’azione dei Governi; il Comitato decide infine di riesaminare nella prossima riunione in qual modo i Ministri potranno prendere parte piattiva ai lavori dell’Assemblea.

3) Il secondo importante argomento trattato, cioè lo scambio di vedute sulle risoluzioni dell’Assemblea relative ai recenti sviluppi della situazione internazionale, riguardava particolarmente le tre risoluzioni adottate dall’Assemblea a Strasburgo l’11 dicembre scorso circa gli accordi di Parigi (N. 66), l’organizzazione dell’Assemblea dell’UEO e i collegamenti da stabilire fra l’Unione e il Consiglio d’Europa (N. 67) ed il futuro Statuto della Saar (N. 68).

La discussione ha avuto inizio con la manifestazione di una riserva svedese sull’opportunità di discutere la risoluzione relativa all’organizzazione dell’Assemblea dell’UEO. Con un successivo intervento appoggiato dal Vice Cancelliere tedesco, l’olandese Beyen sostenne con vari argomenti di carattere procedurale che i Ministri dovevano limitarsi a prendere atto delle tre risoluzioni dell’Assemblea, mentre il Ministro Martino, pur dichiarando di concordare sulle ragioni esposte, mise in rilievo l’opportunità che il Comitato nell’accogliere la prima parte della risoluzione 66 (ove è manifestato l’avviso che gli accordi di Parigi conferiscono alle potenze occidentali la coesione necessaria per ricercare nei negoziati con l’URSS una pacifica soluzione dei problemi della sicurezza europea ed in primo luogo la unificazione della Germania ed il Trattato con l’Austria) avesse ad includervi la menzione di una azione comune per la limitazione ed il controllo degli armamenti. La proposta italiana, malgrado l’interesse manifestato dal Presidente del Consiglio francese e, in forma piattenuata, dal Vice Cancelliere tedesco, non trovterreno favorevole specie per l’opposizione di Spaak che, tralasciando gli aspetti procedurali della questione, si dichiarcontrario a che il Comitato dei Ministri adottasse una risoluzione di carattere politico che la propaganda avversaria non avrebbe mancato di esaminare in relazione alle deliberazioni raggiunte il giorno precedente in sede di Consiglio Atlantico. La posizione assunta da Spaak raccolse l’appoggio degli inglesi mentre Beyen insisteva sugli argomenti procedurali che impedivano ai Ministri di accogliere la risoluzione. Dopo nuovi interventi di Spaak e del rappresentante svedese, il Presidente Stephanopoulos constatche la maggioranza del Comitato condivideva l’opinione del Ministro olandese e pertanto venne approvato l’inserimento nel processo verbale dell’indicazione che il Comitato dei Ministri aveva preso nota delle risoluzioni dell’Assemblea Consultiva decidendo di mantenerle all’ordine del giorno della prossima sessione ed incaricando il Segretario Generale di informare l’Assemblea dell’atteggiamento preso dal Comitato. Il Ministro Martino chiese che il verbale riportasse menzione del suggerimento avanzato dalla delegazione italiana.

4) Il primo argomento trattato nella riunione pomeridiana è stato l’esame di due risoluzioni dell’Assemblea Consultiva sull’avvenire delle nazioni europee soggiogate

(N. 47) e sulle persecuzioni religiose nell’Europa centrale e orientale (N. 59).

Dopo una brevissima discussione il Comitato ha adottato unanimemente una risoluzione con cui si associa all’Assemblea «per manifestare la propria fiducia nell’unità nell’insieme dell’Europa» ed esprime la propria comunanza di vedute «con lo spirito di solidarietà e fraternità che ha inspirato i membri dell’Assemblea Consultiva».

5) Il quinto argomento dell’ordine del giorno riguardava una raccomandazione

(N. 61) dell’Assemblea Consultiva relativamente al rapporto speciale dell’OECE, sul «Piano di Strasburgo». La questione, ampiamente dibattuta in seno del Comitato dei Delegati, toccava delle importanti proposte del Consiglio circa la cooperazione delle potenze metropolitane e dei territori coloniali dipendenti con gli altri Paesi membri del Consiglio. Dopo un intervento del rappresentante britannico Lord Hope che si dichiarcontrario alle proposte concrete contenute nella raccomandazione dell’Assemblea, e dopo le dichiarazioni del rappresentante svedese che in sostanza favorivano il rinvio al [sic] problema all’OECE, il Vice Cancelliere tedesco sottolineò la necessità di raggiungere una decisione in vista dell’importanza dell’argomento trattato nel Piano di Strasburgo.

Il Ministro Martino intervenne a favore dell’approvazione in toto della raccomandazione dell’Assemblea e nel precisare che accettava la risoluzione proposta, che rinviava l’esame del problema al Comitato dei Delegati in vista della riunione del Comitato Misto, richiaml’opportunità di trovare una formula per favorire anche la soluzione del problema del regime di ammissione delle persone e delle imprese nei territori d’oltremare. Dopo un intervento del rappresentante francese de Moustier e dello svedese, la risoluzione fu accolta con un emendamento britannico che fece togliere uno specifico richiamo al Piano di Strasburgo.

6) L’esame del rapporto del signor Pierre Schneiter, rapprentante speciale del Consiglio d’Europa per i rifugiati nazionali e le eccedenze di popolazione in Europa, è stato un argomento di grande interesse nella discussione del Comitato e nel quale la tesi italiana, già accuratamente preparata in seno al Comitato dei Delegati, è riuscita ad ottenere un notevole successo.

Dopo un breve esordio del Ministro olandese tendente a non impegnare il proprio Governo sul fondo delle proposte contenute nel rapporto del rappresentante speciale, il Ministro Martino dichiarche il Governo italiano dava il suo pieno appoggio al piano Schneiter suggerendo l’opportunità che la risoluzione, che il Comitato avrebbe adottato in merito, indicasse nel modo piesplicito l’accettazione di massima del rapporto e facesse inoltre menzione della costituzione del fondo per il finanziamento del piano. Si ebbe successivamente un intervento danese a favore di un progetto di risoluzione niente affatto impegnativo, mentre il Rappresentante irlandese ed il Rappresentante francese de Moustier si esprimevano per la risoluzione favorevole alla nostra tesi. Successivamente il rappresentante britannico Lord Hope illustrun progetto di risoluzione che ‒pur essendo meno soddisfacente per i nostri desideri ‒conteneva elementi interessanti per la nostra tesi e certamente contribuì a superare l’opposizione dei rappresentanti degli Stati scandinavi. Lord Hope specificche il Regno Unito non è purtroppo in grado di prendere impegni per l’immigrazione nel proprio territorio metropolitano. Circa i territori africani affermche si trattava di questioni che sono in gran parte di competenza dei Governi locali e che non pudirsi vi sia, per quanto riguarda la Gran Bretagna, un denominatore comune agli effetti di una politica di immigrazione. Circa l’istituzione di un fondo di finanziamento, pur dichiarando la contrarietà del Governo inglese a versamenti a titolo gratuito, dichiarche il Governo inglese vedeva con interesse la proposta di un prestito ricuperabile.

Dopo le dichiarazioni del rappresentante svedese e dei Ministri norvegese Lange e danese Hansen dirette a sottolineare la necessità di dare priorità alla soluzione del problema dei rifugiati internazionali rispetto a quello dei rifugiati nazionali e delle eccedenze di popolazione, nonché circa l’inopportunità di creare nuovi organismi che interferiscano con l’opera dell’OECE e del CIME, il Comitato decise di ascoltare l’illustrazione da parte del signor Schneiter dei principali aspetti delle proposte contenute nel rapporto. Il rappresentante speciale, con notevole sicurezza di presentazione, indicle linee direttive e le caratteristiche del piano. Terminata tale esposizione il Ministro Martino riprendendo un accenno di Schneiter al lato umano del problema richiaml’attenzione dei Ministri sull’attuale problema di fondo che è quello di ottenere una produzione alimentare sufficiente ai bisogni della popolazione mondiale. Dopo aver precisato che la produzione alimentare mondiale copre attualmente appena i due terzi del fabbisogno puramente fisiologico della popolazione del mondo, additchiaramente i pericoli delle conseguenze politiche della fame e dell’inanizione, sottolineando che si tratta quindi di risolvere il problema di produzione e non un problema di emigrazione. Si tratta percidi un problema comune che interessa direttamente tutti i paesi, siano essi sopra popolati o sotto popolati. Egli rilevche, malgrado la somma iniziale prevista per il finanziamento del piano Schneiter fosse certamente troppo modesta, ciche piinteressava il Governo italiano era lo spirito che animava le proposte. Il Ministro Martino concluse il suo dire dichiarando che in via conciliativa era disposto ad accettare il progetto di risoluzione britannico a condizione che vi fosse aggiunto un emendamento che richiamasse specificamente la costituzione del fondo.

La proposta italiana fu subito accolta dal rappresentante britannico in modo che il Comitato, con la sola eccezione del rappresentante svedese che dichiardi astenersi, adottla risoluzione con cui si decide di approvare lo spirito che ha ispirato le linee direttive nel rapporto Schneiter; il rinnovo per un anno del mandato al rappresentante speciale con l’invito a sottoporre delle proposte particolareggiate sulla base del rapporto e tenendosi in speciale considerazione la creazione del fondo di finanziamento; la costituzione di un comitato di alti funzionari specializzati nella materia che sarà a disposizione del signor Schneiter per consultazioni e pareri; la comunicazione del rapporto Schneiter all’Assemblea Consultiva.

7) All’inizio dei lavori della sessione i Ministri hanno proceduto alla firma di due convenzioni europee (la 6a e la 7a negoziate in sede del Consiglio d’Europa): una convenzione culturale che stabilisce dei criteri generali in materia di scambi culturali e mira a favorire lo studio delle lingue, della storia e della cultura dei paesi membri ed una convenzione sulla classificazione internazionale dei progetti di invenzione.

8) La XV Sessione del Comitato dei Ministri suggerisce le seguenti considerazioni: in generale si è manifestata la necessità di fare il punto sulla posizione del Consiglio d’Europa per esaminarne schiettamente il grado di vitalità e precisarne meglio le funzioni nel quadro delle organizzazioni internazionali esistenti ed in particolare di quelle europee. Gli Stati «periferici» non appartenenti all’UEO temono che, pur essendo venuta meno o attenuatasi la politica delle «comunità parziali», la nuova organizzazione dell’UEO si sostituisca, nei compiti politici, al Consiglio di Europa. Da parte britannica sembra non si desideri allargare troppo le funzioni ed i compiti dell’UEO, mantenendo peral Consiglio d’Europa soltanto la vaga funzione di cornice all’attività politica intergovernativa con un ancor pigenerico compito di stimolo alla politica di unità europea. La Svezia si preoccupa della tendenza dell’Assemblea del Consiglio d’Europa ad instaurare stretti legami con la nuova organizzazione, temendo che i compiti militari affidati a quest’ultima possano compromettere la propria politica di tradizionale neutralità.

In generale pudirsi che si ritiene sia venuto il momento di coordinare piefficacemente l’attività dell’Assemblea Consultiva con l’organo esecutivo costituito dal Comitato dei Ministri. Ma mentre si riconosce l’opportunità di rendere pifunzionali i rapporti esistenti sì da togliere il carattere troppo accademico di molte deliberazioni dell’organo parlamentare, riesce pidifficile poter indicare sin d’ora quali decisioni concrete il Comitato dei Ministri sia disposto, nel suo insieme, a raggiungere per vivificare e tonificare l’attività del Consiglio d’Europa(4).

1 DGAP, Uff. I, Serie Affari Politici, 1951-1957, b. 333, fasc. Consiglio d’Europa.

2 Sottoscrizione autografa.

3 Il processo verbale della riunione e il testo della risoluzione sono consultabili on-line sul sito del Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa.

4 Per il seguito vedi D. 250.

235

IL DIRETTORE GENERALE DEGLI AFFARI POLITICI, MAGISTRATI, ALL’INCARICATO D’AFFARI A LONDRA, THEODOLI(1)

L. 20/3023. Roma, 23 dicembre 1954.

Carissimo, come conosci, in occasione della nostra permanenza a Parigi per il Consiglio

Atlantico, abbiamo avuto ‒secondo quanto era stato in precedenza convenuto ‒una

simpatica riunione conviviale nella Legazione del Lussemburgo, alla quale ha fatto seguito una vera e propria piccola conferenza tra i rappresentanti dei sette Paesi dell’UEO(2).

In riassunto:

- - - -

Credimi sempre

[Massimo Magistrati]

DGAP, Uff. IV, Versamento CED, 1950-1954, b. 29, fasc. 102.

Vedi D. 231. Vedi D. 232. Vedi D. 233.
236

L’INCARICATO D’AFFARI A LONDRA, THEODOLI, AL MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI(1)

Telespr. 5566/27882. Londra, 23 dicembre 1954.

Oggetto: Unione Europa Occidentale. Commissione ad Interim.

Riferimento: Telespresso di questa Ambasciata n. 5357/2721 del 16 corr.3.

La Commissione ad interim dell’UEO ha tenuto ieri una breve seduta per prendere conoscenza dei risultati della riunione dei Ministri degli Esteri che ha avuto luogo sabato scorso 18 dicembre(4). Il Segretario Generale ha presentato il rapporto qui allegato5, accompagnandolo con una schematica relazione orale.

L’unico punto che ha attirato l’attenzione della Commissione è quello di cui al n. 6 del rapporto stesso, da cui risultava che la Commissione dovrebbe mettere allo studio un progetto per l’organizzazione dell’Agenzia di Controllo degli Armamenti. Alcuni delegati, fra cui principalmente l’olandese e il britannico, hanno espresso dubbi circa la possibilità che la Commissione si assuma tale compito per cui sarebbe necessaria la presenza di svariati esperti militari; ed hanno posto in rilievo che ciapparirebbe in contrasto con l’articolo IV del 4° Protocollo di Parigi secondo il quale spetta al Direttore dell’Agenzia sottoporre al Consiglio un piano per l’organizzazione dell’Agenzia stessa. L’Ambasciatore Massigli, che presiedeva, ha osservato perche nell’attesa della nomina del Direttore sembrava opportuno che la Commissione compisse alcuni studi preliminari, soprattutto per quanto riguarda la parte amministrativa e giuridica della questione; ha riconosciuto d’altro lato che per compiere un lavoro piesauriente la Commissione avrebbe avuto bisogno di consultarsi con esperti militari.

È stato quindi deciso che ogni Delegazione chieda istruzioni al proprio Governo circa la portata delle decisioni di cui al punto 6° del rapporto di cui trattasi.

Prego quindi volermi cortesemente far pervenire le istruzioni predette(6).

1 DGAP, Uff. IV, Versamento CED, 1950-1954, b. 29, fasc. 102.

2 Sottoscrizione autografa. Indirizzato, per conoscenza alla Rappresentanza presso il Consiglio Atlantico a Parigi.

3 Relativo ai lavori della Commissione ad interim del 13 dicembre (DGAP, Uff. IV, Versamento CED, 1950-1954, b. 29, fasc. 102), a proposito della quale vedi D. 224.

4 Vedi DD. 231 e 235.

5 Non presente nel fascicolo.

6 Per il seguito vedi D. 241.

2 3 4
237

L’INCARICATO D’AFFARI A LONDRA, THEODOLI, AL MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI(1)

Telespr. 5567/27892. Londra, 23 dicembre 1954.

[Oggetto]: Convenzione del Regno Unito con la Comunità Carbone Acciaio.

[Riferimento]: Telegramma di V.E. del 18 corrente(3).

Martedì 21 corr. ha avuto luogo la firma della Convenzione fra il Regno Unito e la Comunità Europea per il Carbone e per l’Acciaio.

All’avvenimento il Governo britannico ha voluto dare un notevole rilievo. Un ricevimento è stato offerto il giorno precedente dal Ministro Duncan Sandys in onore del Sig. Monnet, degli altri membri dell’Alta Autorità e dei funzionari della Comunità qui convenuti in buon numero. Alla cerimonia della firma erano presenti numerosi giornalisti e una larga rappresentanza del National Coal Board e dell’Iron & Steel Board, i cui presidenti del resto sedevano a fianco del Ministro Sandys ed hanno firmato con lui la Convenzione per conto del Governo Britannico.

Prima della firma il Ministro Duncan Sandys ha dato lettura della dichiarazione concordata con l’Alta Autorità.

Essa, dopo aver brevemente rievocato i rapporti mantenuti dal Regno Unito con la Comunità fin dal suo inizio, fa un riassunto piuttosto ampio dell’accordo stesso e sottolinea l’importanza delle due nuove forme di collegamento create fra il Regno Unito e la CECA. Come è noto, l’una sarà costituita dal «Consiglio di Associazione» nel quale siederanno quattro rappresentanti britannici, e l’altra dalle speciali riunioni del Consiglio dei Ministri con la partecipazione di rappresentanti del Governo britannico per ciche riguarda le questioni di competenza dei Governi degli Stati membri.

Dopo la firma, il Ministro britannico e il Sig. Monnet hanno pronunciato brevi discorsi. Duncan Sandys, in particolare, ha detto che il nuovo accordo, pur non intaccando in alcun modo la completa libertà di decisione di ciascuna delle due parti, costituisce una nuova prova della volontà britannica di cooperare alla unità e prosperità dell’Europa; con questo proposito il Governo, dopo aver mantenuto rapporti con la Comunità attraverso il semplice tramite di una rappresentanza diplomatica, resosi conto dell’importanza e vitalità dell’opera compiuta, si è deciso di effettuare un nuovo passo avanti per una piintima associazione.

Lo stesso concetto che l’accordo deve tendere non solo alla prosperità ma anche all’unità dell’Europa è stato affermato dal Segretario di Stato Nutting nelle dichiarazioni che in proposito egli ha fatto alla Camera dei Comuni. Il suo breve discorso è stato accolto con soddisfazione in ogni settore dell’Assemblea e non ha quindi dato luogo a un dibattito prolungato.

L’ex Ministro del Lavoro, il laburista sig. Robens, ha espressamente fatto presente che il suo partito, pur essendo contrario ad autorità sopranazionali, è tuttavia decisamente in favore di strette relazioni fra il Regno Unito e l’Alta Autorità; egli ha, inoltre, chiesto – ed ottenuto – assicurazioni affinché nella designazione delle persone che rappresenteranno gli enti britannici interessati nel Consiglio di Associazione si consultino anche le Trade Unions. Un altro deputato, Wede, ha chiesto se quel rappresentante del Regno Unito nel Consiglio di Associazione che non è stato ancora designato (gli altri tre rappresenteranno, come noto rispettivamente il Governo, il National Coal Board e l’Iron & Steel Board) potrà essere un esponente degli interessi dei consumatori. La risposta del Ministro Nutting è stata vaga ma non negativa.

La stampa ha commentato l’accordo in modo decisivamente favorevole. Essa generalmente osserva, tuttavia, che l’accordo in sé stesso non è che un «impegno a discutere» e che, quindi, tutto dipenderà dall’effettiva volontà di cooperazione che sarà dimostrata dalle due parti. In questo senso alcuni fra i giornali piautorevoli, come ad esempio il «Daily Telegraph» e il «Manchester Guardian», esplicitamente invitano i rappresentanti britannici a dare il massimo contributo all’Associazione, in modo che essa possa, sul terreno pratico, raggiungere al pipresto risultati concreti.

1 Ambasciata a Londra, 1951-54, b. 152, fasc. 7. 2 Indirizzato per conoscenza al Ministero del Commercio Estero.3 T. 12033/250, col quale Benvenuti incaricava Theodoli di firmare il Trattato di Associazione

della Gran Bretagna alla CECA, in Telegrammi ordinari 1954, Gran Bretagna (Ambasciata a Londra), arrivo e partenza.

238

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI AFFARI ESTERI, ROSSI LONGHI, AD AMBASCIATE, LEGAZIONI E RAPPRESENTANZE(1)

T. 12186/c.2. Roma, 24 dicembre 1954, ore 11,30.

Camera approvato stasera Accordi di Parigi con maggioranza di ben 120 voti (335 contro 215)3. Tale affermazione ha speciale significato dato che solo estrema social-comunista si è esclusa dallo schieramento a favore degli accordi ed acquista nel presente momento particolare valore. Camera ha inteso col suo voto riconoscere importanza degli accordi quale efficace elemento costruttivo nel quadro della politica occidentale volta ad assicurare, attraverso la sicurezza del mondo libero, il mantenimento della pace.

V.E. (V.S. illustrissima) vorrà opportunamente valorizzare costì la votazione.

1 Telegrammi ordinari circolari 1954, partenza.

2 Indirizzato alle Ambasciate a Ankara, Atene, Bad Godesberg, Bruxelles, Londra, L’Aja, Ottawa, Parigi, Washington, Copenaghen, Oslo, Lisbona, alla Legazione a Lussemburgo e alla Rappresentanza presso il Consiglio Atlantico a Parigi.

3 Atti Parlamentari, Camera dei Deputati, legislatura II, Discussioni, seduta del 23 dicembre 1954, pp. 15846-15847.

239

L’AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI, AL MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI(1)

T. segreto 16895/1111. Parigi, 27 dicembre 1954, ore 21,50 (perv. ore 22,45).

Suo 8762.

Ho informato Margerie del nominativo di Ivan Matteo Lombardo che è qui ben conosciuto. A suo avviso personale ci converrebbe fermarsi su questo nominativo e farne un altro solo nel caso, secondo lui improbabile, che incontrassimo resistenze alla persona.

Margerie ha anche segnalato l’opportunità che da parte nostra si agisca rapidamente, anche presso gli Americani. Secondo le sue impressioni la reazione del Bene-lux, ed in particolare dell’Olanda, sarebbe assai poco favorevole alla proposta di un nominativo italiano; essi stanno facendo passi dappertutto per opporsi(3).

1 Telegrammi segreti originali 1954, arrivo, vol. I.

2 Si tratta palesemente di un errore in quanto il protocollo dell’ultimo telegramma indirizzato a Parigi anteriore al 27 dicembre è il n. 12168/555 e risale al 23 dicembre. L’unico telegramma pertinente con l’argomento qui trattato è il D. 232.

3 Per il seguito vedi DD. 240 e 251.

240

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI AFFARI ESTERI, ROSSI LONGHI, AD AMBASCIATE E LEGAZIONI(1)

T. segreto 12295/c.2. Roma, 29 dicembre 1954, ore 13,30.

Per tutti meno L’Aja: Trascrivesi per conoscenza seguente telegramma inviato in data odierna all’Ambasciata L’Aja:

Per tutti: Telegramma Ministeriale 12180/c.3.

Abbiamo ricevuto informazione confidenziale dal Quai d’Orsay(4) che Benelux ed in particolare codesto Governo sarebbe assai poco favorevole alla designazione di personalità italiana quale Direttore Agenzia Controllo. Abbiamo interessato al riguardo questa Ambasciata di Olanda(5) ove ci è stato detto che in effetti Ministro Beyen non (dico non) aveva ricavato l’impressione a Parigi che fosse stata raggiunta decisione unanime su proposta di Mendès-France di affidare Direzione Agenzia a personalità italiana et riteneva pertanto che se ne dovesse discutere in sede piappropriata ossia nel Comitato interinale a Londra; e che, a quanto qui si sapeva, da parte olandese si sarebbe per ragioni di equilibrio preferito nomina direttore inglese.

Abbiamo replicato che, come V.E. sa, non vi erano dubbi per noi che nella riunione di Parigi designazione personalità italiana proposta da Mendès-France e appoggiata particolarmente da Eden fosse stata accolta da tutti; ed abbiamo informato l’Ambasciata della candidatura Onorevole Lombardo ed essa si è riservata chiedere telegrafiche informazioni suo Governo. Non abbiamo mancato far comprendere che apprezzeremmo risposta favorevole, così come ci è già stata data da parte Governo francese.

Tanto comunicasi per norma di linguaggio et per azione costi che V.E. riterrà opportuna(6).

1 Telegrammi segreti originali 1954, partenza, vol. II.

2 Indirizzato alle Ambasciate a Bad Godesberg, Bruxelles, Londra, Parigi, L’Aja e alla Legazione a Lussemburgo.

3 Vedi D. 232. 4 Vedi D. 239. 5 Colloquio di Straneo con l’Incaricato d’Affari dei Paesi Bassi, Tammenoms Bakker, del 28 dicembre (Appunto pari data in DGAP, Uff. I, Serie Affari Politici, 1951-1957, b. 332, fasc. Unione Europea Occidentale, dal 23 ottobre 1954), il cui contenuto è qui riassunto.

6 Per il seguito vedi DD. 241, 243, 244, 245, 246 e 251.

241

IL DIRETTORE GENERALE DEGLI AFFARI POLITICI, MAGISTRATI, ALL’AMBASCIATA A LONDRA(1)

T. segreto 12307/251. Roma, 29 dicembre 1954, ore 16,25.

Suo telespresso 2788 del 23 corrente(2).

Come V.S. avrà rilevato da nostri telegrammi 12180 et 12295/c.3 versione circa designazione direttore Agenzia Controllo contenuta in riassunto redatto da Segretario Generale Organizzazione Bruxelles non corrisponde a quel che sono stati effettivo andamento discussione et decisione raggiunta. Pregasi intervenire per opportuno chiarimento et rettifica. Restiamo in attesa cortese riscontro telegrafico(4).

1 Telegrammi segreti originali 1954, partenza, vol. II.

2 Vedi D. 236.

3 Vedi DD. 232 e 240.

4 Per la risposta vedi D. 246.

242

L’AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI, AL MINISTRO DEGLI AFFARI ESTERI, MARTINO(1)

R. segreto 186432. Washington, 29 dicembre 1954.

Oggetto: Ratifica degli accordi di Parigi da parte della Francia.

Signor Ministro,

nel momento attuale, in cui la ratifica francese degli accordi di Parigi sembra ormai acquisita, è superfluo cercare di stabilire con precisione cosa sarebbe accaduto se essa fosse mancata ed è troppo presto per valutare esattamente le conseguenze che la votazione negativa del 23 corrente non potrà non avere, malgrado le votazioni favorevoli dei giorni successivi. Tuttavia ritengo si possa fare qualche considerazione sommaria.

1. La votazione del 23 corr. ha suscitato nel Governo di Washington sentimenti di sorpresa, di dispetto, di sfiducia nella possibilità di mantenere i rapporti franco-americani su un piano di intima collaborazione politico-militare, di preoccupazione per l’avvenire del NATO, non meno intensi di quelli suscitati nel Governo di Londra. (Anzi, per quanto riguarda la sorpresa, non escludo che a Washington il colpo sia stato sentito piduramente che a Londra). Peraltro, sull’opportunità di reagire pubblicamente prima che gli accordi fossero sottoposti da Mendès-France alla prova decisiva del voto di fiducia, il Dipartimento di Stato è stato dapprima assai dubbioso. Ha finito per cedere (come ho telegrafato) alla tesi britannica non tanto per essersi convinto che una pubblica reazione ufficiale anglo-americana costituisse un efficace mezzo di pressione sul Parlamento francese quanto per le insistenze britanniche e per timore che il riserbo del Governo suscitasse improvvise critiche da parte del Congresso. Del dubbio iniziale rimane traccia nel tono delle dichiarazioni della Casa Bianca, pipacate di quelle del Foreign Office.

- - - -

Ne consegue che gli Stati Uniti continueranno a tener presente, sia pure in forma attenuata rispetto a quanto sarebbe accaduto in caso di definitivo rigetto degli accordi di Parigi, la necessità di contare meno sulla Francia che su altri punti d’appoggio in Europa. Certo, un processo di «re-adjustement» della politica americana verso l’Europa, ispirato da questa necessità, presenta difficoltà non solo dal punto di vista della strategia militare, ma anche dal punto di vista politico. Tuttavia, quando certe esigenze si verificano, si finisce gradualmente per riuscire a trovare la formula atta a soddisfarle; e sono sicuro che già i supremi organi politici e militari degli Stati Uniti stanno esaminando il problema concretamente, partendo dagli studi preliminari che ne erano stati fatti durante l’«agonia» della CED.

È superfluo aggiungere che un processo del genere deve essere attentamente seguito dall’Italia, per quella maggiore fluidità che comporta nella situazione europea e per la sempre maggiore importanza che a causa di esso possono assumere i rapporti bilaterali e soprattutto italo-americani. È, questo, un argomento che meriterà piampia trattazione quando la situazione sarà meno confusa(3).

Gradisca, Signor Ministro, l’espressione del mio pidevoto ossequio.

Tarchiani

1 DGAP, Uff. IV, Versamento CED, 1950-1954, b. 29, fasc. 102.

2 Il documento reca i seguenti timbri: «Inviato in copia al Presidente della Repubblica», «Inviato in copia ai Sottosegretari», «Visto dal Ministro», «Visto dal Segretario Generale» con la sigla di Rossi Longhi.

3 Per il seguito vedi D. 249.

243

IL MINISTRO A LUSSEMBURGO, CAVALLETTI, AL MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI(1)

T. segreto 17012/619. Lussemburgo, 30 dicembre 1954, ore 17,45 (perv. ore 18,10).

Suo 12295/c.2.

Non ho potuto parlare con Bech perché ammalato. Il suo principale collaboratore, che ha partecipato alle conversazioni di Parigi, mi ha detto di essere sicuro di interpretare il pensiero di Bech assicurando il pieno appoggio del Lussemburgo alla candidatura italiana, almeno per l’azione che il Lussemburgo potrà svolgere nell’ambito del Benelux.

Egli ha aggiunto che recentemente il Governo tedesco aveva caldeggiato la nomina di un lussemburghese a direttore dell’Agenzia, ma il Governo del Lussemburgo è contrario ad assumere tale responsabilità.

Il mio interlocutore mi ha permanifestato qualche dubbio circa la conclusione delle conversazioni di Parigi, non essendo personalmente ben certo che tutti i presenti si siano pronunciati chiaramente e impegnativamente sulla proposta francese in favore della candidatura italiana(3).

1 Telegrammi segreti originali 1954, arrivo, vol. III.

2 Vedi D. 240.

3 Per il seguito vedi D. 251.

244

L’INCARICATO D’AFFARI A L’AJA, SEBASTIANI, AL MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI(1)

T. segreto 17035/95-96. L’Aja, 30 dicembre 1954, ore 19,40 (perv. ore 21,30).

Telegramma di V.E. 12295/c. del 29 corrente(2).

Questo Direttore Generale della Cooperazione economica e militare, in occasione di un colloquio per altre questioni, mi ha informato di aver ricevuto la comunicazione da codesta Ambasciata dei Paesi Bassi circa il Direttore dell’Agenzia controllo per cui mi ha pregato oggi di passare ancora da lui.

Egli teneva a spiegare che fin dal primo momento si era qui pensato ad una candidatura inglese e si caldeggiava la nomina dell’Ammiraglio Dick (vedasi rapporto nr. 1503 del 14 corrente)3 che avrebbe prossimamente lasciato l’incarico presso il NATO. Dati i delicati riflessi anche economici dell’Agenzia controllo si preferiva che la direzione fosse affidata a rappresentante unico di Paese libero da controlli. In tal senso Stikker aveva avuto istruzioni di avanzare la candidatura di Dick al Comitato interinale. Tale era a parere di questo Governo la procedura da seguire, il che naturalmente non escludeva una nostra candidatura cui, a suo avviso, si sarebbero probabilmente affiancate altre ancora. Circa le conversazioni dei Ministri degli Esteri a Parigi si è richiamato ad un resoconto fattone da Starkenborgh in cui è bensì menzionata la proposta di Mendès-France, ma non si cita Eden e si nota che Beyen e Spaak avrebbero espresso il desiderio che il direttore fosse inglese. Ha concluso sottolineando che l’atteggiamento olandese, dettato da motivi generali, non aveva nulla da vedere con la persona dell’Onorevole Lombardo di cui era ben nota la competenza.

A mia richiesta ha precisato che si era preso nota della candidatura dell’Onorevole Lombardo ma che la comunicazione preannunziata non risultava ancora pervenuta ed ha aggiunto che si rendeva conto della profonda divergenza della nostra interpretazione (anche alla luce dei chiarimenti che ho ritenuto fornirgli valendomi del contenuto del telegramma ministeriale 121804 e successivi)5.

Telegrammi segreti originali 1954, arrivo, vol. III.

2 Vedi D. 240.

3 Vedi D. 227.

4 Vedi D. 232.

5 Per il seguito vedi D. 251.

245

L’AMBASCIATORE A BONN, BABUSCIO RIZZO, AL MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI(1)

T. segreto 17063/216. Bad Godesberg, 31 dicembre 1954, ore 14,40 (perv. ore 18,30).

Suo 121802.

Mi è stato detto alla Cancelleria Federale che la posizione del Governo federale sulla nomina del Direttore dell’Agenzia controllo verrà definita soltanto nell’entrante settimana nella prossima seduta del Consiglio dei Ministri. Non mi è tuttavia apparso che questi ambienti Governativi siano orientati verso la candidatura italiana in quanto per motivi di interessi industriali e di concorrenza, i tedeschi preferirebbero una personalità del Benelux possibilmente Lussemburgo, per quanto lo stesso Blankenhorn mi sia apparso scettico sulla possibilità di quest’ultimo Paese di offrire una personalità adatta. È pervenuta intanto all’Auswaertiges Amt notizia della presentazione da parte olandese della candidatura ufficiale dell’Ammiraglio britannico Dick che non (dico non) è stata accolta qui favorevolmente.

In seguito ad istruzioni pervenutemi con telegramma 122953 e data l’iniziativa olandese ho ritenuto opportuno da parte mia avanzare a Blankenhorn, con preghiera d’informare Adenauer, il nome dell’On. Ivan Matteo Lombardo che è stato quindi accolto come nostra candidatura ufficiale. Sarei grato fornirmi notizia dell’atteggiamento degli altri Paesi in vista ulteriore possibile azione da svolgere qui(4).

Telegrammi segreti originali 1954, arrivo, vol. II.

2 Vedi D. 232.

3 Vedi D. 240.

4 Per il seguito vedi D. 251.

246

L’INCARICATO D’AFFARI A LONDRA, THEODOLI, AL MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI(1)

T. segreto 17672/396. Londra, 31 dicembre 1954, ore 14,18 (perv. ore 20,30).

Suo 251 e precedenti(2).

Il Foreign Office e il Segretariato della Commissione Interim confermano la sostanziale esattezza dello schematico riassunto redatto dopo la riunione di Parigi.

Nel corso di tale riunione Mendès-France, dichiarando che il suo Paese non intendeva concorrere al posto di direttore dell’Agenzia degli armamenti, invitil Governo italiano a proporre i propri candidati. Egli fu effettivamente appoggiato da Eden ma non nel senso che la candidatura italiana dovesse essere esclusiva giacché la proposta di Mendès-France si inseriva nella discussione che aveva mostrato il desiderio della maggioranza di porre l’accento piuttosto sulle qualifiche che sulla nazionalità. Durante la riunione erano anche affiorate chiaramente (specie da parte del Benelux) preferenze per una candidatura britannica.

Opinione del Segretario Generale è quindi che in pratica la rosa dei candidati si restringe ormai a italiani e britannici; e che la scelta dipenderà in gran parte dal giudizio sulle qualificazioni tecniche dei candidati stessi.

Aggiungo che ieri l’Ambasciata di Olanda ha ufficialmente proposto il nome dell’Ammiraglio inglese Dick attualmente di collegamento fra lo Standing Group e Parigi e che deve fra poco lasciare il servizio attivo per limiti di età3.

1 Telegrammi segreti originali 1954, arrivo, vol. II. 2 Vedi DD. 232, 240 e 241. 3 Per il seguito vedi D. 251.

247

RIUNIONE MINISTERIALE (Roma, 31 dicembre 1954)1

Verbale segreto(2).

Verbale della riunione preparatoria per l’incontro italo-francese. Questioni di politica generale.

Nella riunione del 31 dicembre, presieduta dal Segretario Generale, sono state esaminate le seguenti questioni:

I. Relazioni con l’U.R.S.S.

L’Ambasciatore Magistrati fa presente che, all’indomani della votazione francese in favore degli Accordi di Parigi, uno dei problemi che si pone con maggiore attualità è quello della impostazione da dare ai rapporti delle Potenze occidentali con la Russia. La impostazione italiana in proposito è ben nota ed è stata ribadita dal Ministro Martino anche nel suo ultimo discorso alla Camera(3). Essa si puriassumere nel concetto che è necessario addivenire alla Unione Europea Occidentale proprio per giungere a quel controllo e a quella limitazione degli armamenti che è ormai invocata dalla opinione pubblica di quasi tutti i Paesi e alla quale la stessa Russia si dice favorevole. Movendo da questa impostazione, occorre dare ai francesi la sensazione che il Governo italiano ha una sua opinione determinata in proposito.

Il Ministro Grillo propone di chiedere ai francesi il loro pensiero sulla politica russa nei confronti della Cina, perché se risultasse che la Russia si propone di lasciare mano libera alla Cina in Asia, cipotrebbe indicare una sua intenzione di riprendere l’iniziativa in Europa.

Grillo accenna poi ad altre questioni sulle quali sarebbe opportuno chiedere ai francesi il loro pensiero e precisamente:

- - - - -

Riassumendo questo primo punto, il Segretario Generale conclude che sull’argomento dei rapporti con la Russia gli Uffici dovranno predisporre un appunto che possa servire al Ministro per intrattenerne il Presidente del Consiglio, allo scopo di ottenere su tale argomento una decisione del Governo.

Il prof. Toscano osserva che nel predisporre tali appunti, occorre tener presente la opportunità che le questioni vengano poste ai francesi in forma di interrogativi e ciper non trovarci impegnati ed eventualmente imbarazzati in avvenire se, come la nostra Ambasciata a Parigi prevede5, Mendès-France dovesse cadere a breve scadenza. Il Segretario Generale concorda.

II. Politica atlantica.

Il Ministro Grillo illustra gli argomenti che rientrano sotto tale voce: «adattamento» rispettivo delle vedute italiane e francesi sulla politica atlantica e diversità di impostazione fra la valutazione nostra e quella francese della funzione dell’Alleanza. Egli ricorda che un memoriale segreto relativo ad una recente conversazione fra Mendès-France e De Gaulle, venuto in nostro possesso, rivelerebbe che i due interlocutori si sarebbero trovati d’accordo nel riconoscere al Patto Atlantico un valore meramente contingente. Si darebbe in sostanza al Patto una interpretazione non del tutto ortodossa, in quanto potrebbe essere accantonato qualora le esigenze della politica interna francese lo richiedessero.

L’Ambasciatore Magistrati osserva che a questi argomenti se ne aggiunge un altro, che costituisce una delle maggiori questioni attuali dell’Alleanza: la Germania sta entrando nella NATO; che cosa intende farne la Francia? Quale funzione e quale rango ritiene che le debbano essere attribuiti? Intende farla entrare a far parte dello Standing Group? Questo problema nel suo insieme ‒ma sopratutto l’eventuale ingresso della Germania nello Standing Group ‒è destinato ad avere profonde ripercussioni in Italia ed il Ministro Martino mostra di preoccuparsi delle reazioni della nostra opinione pubblica in proposito.

Il Segretario Generale, concordando sulla delicatezza di tale problema, osserva che non ritiene opportuno che ci si spinga troppo a fondo su questa via nei colloqui con i francesi, preoccupandosi delle relazioni con la Germania. Noi non vogliamo creare un asse Roma-Parigi allo stesso modo come non vogliamo un asse Roma-Berlino. Egli conclude quindi rilevando che vi sono due motivi per non impegnarci in un’azione nel senso enunciato e cioè, in primo luogo, per la permanenza prevedibilmente non lunga di Mendès-France al Governo e poi la necessità di non trovarci male nei nostri rapporti con la Germania, rapporti dei quali dobbiamo preoccuparci al pari dei rapporti con la Francia.

Il prof. Toscano aggiunge ‒e il Segretario Generale concorda ‒che infine non si puparlare con la Francia della posizione da attribuire alla Germania nella NATO, senza averne parlato con gli americani.

III. Unione Europea Occidentale.

L’Ambasciatore Magistrati ricorda che una settimana dopo le conversazioni di Roma, e precisamente il 17 gennaio, avrà inizio a Parigi la riunione per il Pool degli armamenti. La concezione francese che sta alla base dell’UEO è di conseguire il

controllo della produzione europea degli armamenti. Non si ritiene sufficiente ‒ad evitare sorprese da parte tedesca ‒di conoscere il numero degli armamenti già prodotti

dall’industria germanica, ma sembra necessario conoscere e limitare in anticipo la capacità produttiva dell’industria bellica tedesca. Su questo argomento, è da prevedere che i francesi ci chiederanno di metterci d’accordo su di una linea comune di azione. Mendès-France farà valere le difficoltà da lui incontrate al Parlamento nei giorni scorsi per ottenere l’approvazione degli Accordi di Parigi e forse ci dirà di essersi impegnato col Parlamento a non permettere che il riarmo tedesco avvenga indiscriminatamente. In queste condizioni, occorre prepararsi su questo argomento e stabilire, in sede politica, la linea da seguire.

L’Ambasciatore Magistrati prosegue rilevando che i punti di vista dei vari organi italiani a livello tecnico sono discordi: il Ministero dell’Industria ed i Militari si preoccupano che la creazione di un pool degli armamenti danneggi seriamente l’industria italiana e vedono nel pool la fine del sistema degli aiuti americani, che tanto hanno giovato a darle ossigeno. Gli industriali, temendo che il pool si faccia anche senza ‒e al di fuori ‒di noi, sono invecefavorevoli a parteciparvi per poterne in qualche modo controllare gli sviluppi e l’azione. Nelle riunioni finora avute a livello tecnico non è stato ancora possibile trovare una linea mediana e si è quindi convenuto di andare alla Conferenza di Parigi, recando alcuni «desiderata» che si dovrebbero far valere da parte nostra.

Secondo le ultime informazioni, sembra che i settori degli armamenti, che dovrebbero essere sottoposti al pool, vadano restringendosi e che si ridurrebbero ai seguenti: settore aeronautico, settore elettronico, settore atomico. Tenuto conto che nel settore aeronautico la nostra industria è quasi inesistente, che nel settore elettronico la nostra industria è ben piazzata ed in grado di praticare prezzi competitivi e che nel settore atomico la nostra produzione è nulla, non vi sono motivi per opporci, da parte nostra, al pool degli armamenti. Ciche dobbiamo invece fare, data la posizione favorevole di cui attualmente godiamo presso l’America e dato che le commesse americane verranno piazzate in Italia anche nel prossimo anno per un importo di circa $ 100.000, è di opporci a tutto ciche possa far determinare le commesse o comunque il sistema di aiuti americani, sostenendo invece l’opportunità di continuare a far contribuire l’America al riarmo europeo con forniture di munizioni, ecc., che possono esser prodotte dall’industria italiana.

In conclusione, occorre tenere aperti gli occhi per non cadere vittima di qualche accorgimento che faccia cessare l’afflusso del dollaro all’industria italiana.

Il Segretario Generale fa presente che di tutte queste questioni sembra opportuno parlarne coi francesi dapprima a livello funzionari, per poter poi orientare i Ministri. Occorre inoltre svolgere un’azione per cercare di mettere d’accordo gli industriali ed i militari, perché è essenziale giungere alla elaborazione di un punto di vista italiano unico, che tenga conto degli interessi nazionali prevalenti. Per quanto concerne le eventuali proposte che ci venissero fatte da parte francese circa il pool, anche a questo riguardo occorre far comprendere ai francesi che noi siamo disposti a marciare con loro, purché non in senso antitedesco. Siamo pronti ad aiutare la Francia a conseguire il controllo degli armamenti, se questo è ritenuto da lei necessario, ma a condizione che il controllo sia generale e non in funzione antitedesco o discriminatorio.

Riguardo alla questione pigenerale della creazione della UEO, l’Ambasciatore Magistrati sottolinea l’esigenza psicologica che di fronte alla sensazione ormai diffusa che la Unione Europea Occidentale stia mettendosi finalmente in moto, da parte dell’Italia, che non ne è socio fondatore, si chieda e si ottenga qualcosa. L’Unione, estensione di un sistema preesistente, funziona al di fuori di noi ed i soci fondatori stanno rafforzando le loro posizioni in nostra assenza. Fortunatamente non siamo soli in questa posizione, che è condivisa dalla Germania. Ma poiché l’Unione è saldamente stabilita a Londra, donde gli inglesi non la lasceranno mai partire e poiché nel Segretariato, ormai formato da tempo, vi è un equilibrio precostituito, determinato dalla distribuzione delle cariche fra personale delle varie nazionalità, che non sarà facile modificare, noi dobbiamo almeno chiedere ai francesi di sostenerci in pieno nella questione della nomina del Capo dell’Agenzia degli armamenti e di esaminare insieme la ripartizione dei compiti. In particolare, poiché sembra che la candidatura italiana per il posto di capo dell’Agenzia degli armamenti, che è stata originariamente offerta all’Italia dallo stesso Mendès-France, venga messa in discussione, occorre che Mendès-France stesso s’impegni in un’azione a fondo a nostro favore.

Vi sono poi alcune questioni particolari, sempre inerenti all’UEO:

- - - - -

La riunione ha termine con l’intesa che una nuova riunione verrà tenuta giovedì 6 corrente, alle 10 precise.

1 Gabinetto, 1943-1958, b. 67, pos. A1/Francia. 2 Predisposto dalla Direzione Generale degli Affari Politici. 3 Discorsi del 22 e 23 dicembre pronunciati in sede di discussione del disegno di legge di ratifica degli Accordi di Parigi: testi in G. Martino, Discorsi parlamentari di Gaetano Martino, pubblicati per deliberazione della Camera dei Deputati, Roma, Grafica Editrice Romana, 1977, vol. I, pp. 467-491.

4 United Nations, General Assembly, Ninth session, 498th plenary meeting, 22 November 1954, New York, pp. 283-287.

5 Vedi D. 217.

248

L’AMBASCIATORE A BONN, BABUSCIO RIZZO, AL MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI(1)

Telespr. 035. Bonn, 31 dicembre 1954.

Oggetto: Reazioni tedesche al voto della Camera francese.

Il voto favorevole intervenuto ieri all’Assemblea nazionale francese sull’UEO è stato accolto da Adenauer non soltanto con profonda soddisfazione ma anche con un vero e proprio senso di sollievo; e cinon soltanto per il fatto di essere uscito finalmente, e felicemente, da una vigilia di grave ansia, ma anche per quello di aver potuto evitare la dura alternativa di soluzioni che avrebbero ancora una volta aggravato, forse senza rimedio, il dissidio franco-tedesco.

Mi è risultato infatti che, nella deprecata ipotesi di un nuovo «no» francese, era già prevista, ad iniziativa americana, una riunione a tre con inglesi e tedeschi a Londra la mattina di lunedì prossimo 3 gennaio, per provvedere alle misure ritenute necessarie per parare alle conseguenze politiche e psicologiche di un voto negativo dell’Assemblea nazionale nei vari Paesi interessati e specialmente nella Repubblica federale. Si trattava di una conferenza destinata ad esaminare il ripristino della sovranità tedesca, le garanzie di sicurezza, il mantenimento delle truppe di difesa, ecc., seguita immediatamente da una conferenza dei Paesi dell’UEO, ad esclusione evidentemente della Francia, per decidere il proseguimento dell’organizzazione dell’Europa occidentale.

Superato lo scoglio costituito dal voto francese, l’attenzione della Cancelleria federale è oggi volta essenzialmente al consolidamento dei rapporti franco-tedeschi ed alle reazioni dell’Unione Sovietica.

Per quanto riguarda i rapporti con la Francia ancora una volta si considera che molto dipende dalla soluzione che troverà il problema sarrese. Mi è stato confermato ‒come ebbi del resto già a segnalare ‒ che Soutou sarà a Bonn il 5 o il 6 di gennaio per preparare quell’incontro fra Adenauer e Mendès-France (che dovrebbe aver luogo a Baden-Baden nel viaggio di ritorno di questi da Roma), in cui si spera possa giungersi all’auspicata definizione della questione.

Per quanto concerne il secondo punto, non ci si attende qui a che le proposte di Mendès-France per una conferenza a quattro possano avere attuazione nei termini auspicati dal Presidente francese. Si prevede invece un inasprimento delle relazioni est-ovest senza peraltro nutrire alcuna preoccupazione per reazioni sovietiche di maggiore portata. Ricollego questa opinione raccolta alla Cancelleria federale colle impressioni ricevute in una recente conversazione con François-Poncet il quale pure mi ha detto che sia da attendersi nei prossimi tre o quattro mesi un indurimento dei rapporti della Russia verso l’Occidente durante i quali «sarà necessario mantenere i nervi a posto», per non rendere pidifficile la ripresa delle conversazioni con Mosca.

DGAP, Uff. IV, Versamento CED, 1950-1954, b. 29, fasc. 102.

249

L’AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI, AL MINISTRO DEGLI AFFARI ESTERI, MARTINO(1)

R. segreto 18712. Washington, 31 dicembre 1954.

Oggetto: Ripercussioni voto francese.

Signor Ministro,

faccio seguito al mio rapporto n. 18643 del 29 corrente(2) per sintetizzare i principali riflessi del voto francese sul Governo americano.

Col mio telegramma di ieri n. 719 [recte: 718]3 avevo indicato la diversità di tono nei commenti di Foster Dulles e del Presidente Eisenhower. La prudenza manifestata dal Segretario di Stato – del resto riconfermata nella sua conferenza stampa odierna – riflette le preoccupazioni tuttora esistenti al Dipartimento circa il futuro atteggiamento della Francia nelle successive fasi del processo di ratifica e susseguentemente nell’applicazione dei trattati stessi.

Il voto francese è stato accolto con vero sollievo ma lascia un solco nei rapporti franco-americani e un’ombra di dubbio sull’affidamento che si possa fare in un futuro su detto paese.

Mentre è prevedibile che tale solco potrà essere colmato al livello politico, non fosse altro perché del concorso francese vi sarà sempre bisogno in decisioni che riguardano vari scacchieri del mondo, è pidifficile pensare che esso possa essere cancellato negli ambienti militari che non hanno perdonato alla Francia la débâcle indocinese, i ritardi frapposti al riarmo tedesco, le inadempienze negli impegni NATO per non parlare infine della sua carenza militare dal 1939 in poi e del suo latente neutralismo. Su questo risentimento, che assume le forme di un’ondata di sfiducia, si è chiaramente espresso finanche il «New York Times» – che è tra gli organi pifrancofili – a due riprese: il 29 corrente con un articolo del suo critico militare Baldwin, che riflette il pensiero del Pentagono, e un successivo articolo comparso oggi di James Reston, autorevole interprete delle vedute del Dipartimento. In entrambe queste note si sostiene ormai giunto il momento di liberarsi del «complesso» francese che ha dominato la politica americana per impostare una nuova politica che non faccia perno sulla Francia.

Molto dipenderà dalla Francia perché questi «trends» ora ben definiti vengano contenuti e poi superati, ma la crisi che a due riprese nel 1954 Parigi ha aperto nel quadro atlantico non resterà senza conseguenze sull’orientamento di questi circoli responsabili. Esse possono così riassumersi:

1) Rafforzarsi dell’alleanza a due – Inghilterra-Stati Uniti – non solo nell’ambito atlantico ma in quello generale. Tale collaborazione costituisce oggi piche mai la pietra angolare di ogni azione diplomatica e militare americana;

2) una maggiore considerazione del Belgio e dell’Olanda non solo per la loro stabilità interna ma soprattutto perché rappresentano i punti di accesso pidiretti per venire in aiuto alla Germania;

3) una valorizzazione della posizione strategica dell’Italia;

4) un rinnovato interesse per la Spagna che il Pentagono vorrebbe, non so con quanta probabilità di successo, vedere ammessa nel NATO.

Per ciche riflette il nostro paese mette conto rilevare che il voto del Parlamento italiano ha fatto qui profonda e favorevole impressione. La notizia giunse lo stesso giorno in cui il Parlamento francese bocciava gli accordi di Parigi e per forza di cose passin seconda linea nella presentazione giornalistica, ma per converso, assunse maggior valore agli occhi di quanti si occupano di politica. Una prova eloquente si è avuta ieri nel commento del Presidente Eisenhower al voto francese, in cui è detto: «… l’azione francese è tanto pisignificativa in quanto segue il voto di ratifica del Parlamento italiano che ha approvato i piani di difesa occidentale con maggioranza decisiva».

Questo alto riconoscimento, ritrasmesso e pubblicato da tutte le radio e giornali d’America, ha valorizzato e rinforzata la nostra posizione nei confronti di questa opinione pubblica e di tutti i parlamentari americani. Tuttavia, se vogliamo a pieno sfruttare la favorevole congiuntura per tutti i nostri piani occorre, come questa Ambasciata ha avuto occasione di riferire col rapporto n. 15786 del 28 ottobre u.s.4, che la lotta anticomunista venga perseguita con vigore e che i procedimenti di ratifica siano al pipresto ultimati.

Gradisca, Signor Ministro l’espressione del mio pidevoto ossequio.

[Alberto Tarchiani]

1 Ambasciata a Washington, 1940-1973, b. 27, fasc. 737.

2 Vedi D. 242.

3 T. 17044/718: «In una misurata dichiarazione alla stampa Dulles ha espresso la soddisfazione dell’America per il voto francese e ha manifestato la speranza che le procedure delle ratifiche saranno ora rapidamente ultimate da tutti i Paesi interessati. Picalorose dichiarazioni sono state fatte dal Presidente Eisenhower ai giornalisti che lo hanno raggiunto ad Augusta dove trascorre un breve periodo di riposo. Influenti senatori hanno commentato favorevolmente la notizia esprimendo l’augurio che le comprensibili preoccupazioni francesi saranno superate dalla rapida e leale applicazione degli accordi», in Telegrammi ordinari 1954, Stati Uniti d’America (Ambasciata a Washington), arrivo e partenza.

4 Vedi D. 173.

250

IL CONSOLE GENERALE A STRASBURGO, CITTADINI CESI, AL MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI(1)

Telespr. 1/12. Strasburgo, 2 gennaio 1955.

Oggetto: XV Sessione del Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa – punti 2 e 3 all’ordine del giorno: ruolo del Consiglio e scambio di vedute sulle risoluzioni dell’Assemblea Consultiva n. 66, 67, 68.

Uno degli argomenti di maggiore interesse politico, discussi nella quindicesima sessione del Comitato dei Ministri3, è stato quello del ruolo del Consiglio d’Europa nell’attuale situazione internazionale.

L’inclusione di tale punto all’Ordine del Giorno si deve attribuire ad una iniziativa del Governo greco. È stato infatti il Ministro Stephanopoulos, presidente di turno del Comitato, ad aprire la discussione con un notevole discorso in cui ha svolto delle considerazioni generali sul funzionamento del Consiglio d’Europa in relazione alle attività delle altre organizzazioni europee, mettendone in luce le deficienze ed attirando l’attenzione del Comitato su tre aspetti del problema:

1) delimitazione dei compiti tra il Consiglio d’Europa e l’Unione Europea Occidentale. Secondo il Ministro Stephanopoulos, le attribuzioni della UEO dovrebbero essere strettamente limitate alla sfera per cui essa è stata creata, cioè difesa e questione sarrese. L’oratore ha espresso a questo proposito il timore che hanno gli Stati della «periferia europea», di vedere la nuova organizzazione accaparrarsi, a detrimento del Consiglio, tutte le attività tendenti alla realizzazione di una pistretta unione europea;

2) utilizzazione del Consiglio per il raggiungimento di una linea comune dei paesi membri nelle istanze internazionali a base pilarga. Questa linea comune, ha osservato il Ministro Stephanopoulos, potrebbe limitarsi, almeno all’inizio, alle questioni di carattere tecnico e di facile soluzione;

3) proseguimento della politica di integrazione europea nella nuova situazione determinatasi dopo il rigetto del Trattato della CED.

Un esame approfondito di questi tre punti dovrebbe permettere, secondo il Ministro degli Esteri ellenico, una piprecisa messa a fuoco della posizione del Consiglio nel quadro delle altre organizzazioni internazionali che svolgono la loro attività sul piano europeo.

In sostanza, l’oratore ha cercato di farsi portavoce degli Stati da lui stesso definiti della «periferia europea», nel chiedere affidamenti sul ruolo che verrà assegnato al Consiglio, dopo la creazione della nuova organizzazione a sette, in vista del proseguimento dello sforzo per il raggiungimento degli obbiettivi indicati nello Statuto.

Il discorso del Ministro Stephanopoulos è stato accolto con notevole interesse.

Nel dibattito che ne è scaturito, il rappresentante della Norvegia, Signor Lange, ha rilevato specialmente i passi del discorso riferentisi alla delimitazione dei compiti tra il Consiglio d’Europa e l’Unione Europea Occidentale, esprimendo anch’egli il timore che possa determinarsi, con la creazione del nuovo organismo, un «doppio impiego» a tutto danno del Consiglio d’Europa.

Il Ministro Beyen, replicando nella sua qualità di rappresentante di un paese membro della UEO, ha fatto osservare come sia difficile, fino al momento in cui gli Accordi di Parigi non saranno entrati in vigore e il nuovo organismo non avrà iniziato a funzionare, affrontare il problema della delimitazione dei compiti tra il Consiglio d’Europa e l’UEO. Quanto alla questione del rafforzamento politico del Consiglio, egli si è dichiarato d’accordo con Stephanopoulos sulla necessità di adottare opportune misure affinché l’istituzione di Strasburgo non perda gradualmente credito ed importanza pratica.

Su questo stesso argomento si è diffuso il Ministro Spaak, associandosi alle considerazioni generali svolte dal Ministro degli esteri ellenico, e, in particolare, ai rilievi concernenti lo scarso rendimento dell’azione del Consiglio. A tal proposito, egli ha messo in evidenza l’opportunità di una piefficace collaborazione tra Comitato dei Ministri e Assemblea Consultiva, al fine di permettere a quest’ultima di partecipare concretamente, attraverso la formulazione di pareri su questioni ben definite, all’Azione del Consiglio. Spaak ha osservato che il «programma d’azione», elaborato dal Comitato dei Ministri precisamente in vista del bisogno di rafforzare politicamente il Consiglio, ha mirato troppo in alto, e, per i problemi generali che esso solleva, non ha tenuto abbastanza conto della necessità di associare l’Assemblea alla ricerca di soluzioni pratiche.

Il Ministro belga ha riconosciuto che è venuto il momento di «fare il punto» tra le numerose organizzazioni internazionali di carattere europeo. La creazione dell’UEO, secondo Spaak, avrebbe «preoccupato» l’Assemblea Consultiva che di sua iniziativa si è interessata al problema della struttura e del funzionamento dell’Assemblea della nuova organizzazione.

Egli ha concluso suggerendo che il Comitato dei Ministri inviti l’Assemblea Consultiva a formulare un parere sull’insieme dei rapporti tra Consiglio d’Europa e UEO, in vista della delimitazione delle loro rispettive sfere di competenza e della creazione di collegamenti tra le due assemblee.

Contrario a chiedere all’Assemblea un parere su un problema di carattere così generale, si è dichiarato il Presidente Mendès-France. Egli ha, d’altra parte, precisato che il Consiglio d’Europa deve continuare a costituire il «quadro generale della politica europea», ed ha posto la questione del suo rafforzamento nei seguenti termini: innanzi tutto il medesimo non dovrebbe essere spogliato di alcuna delle sue attribuzioni a beneficio di altre organizzazioni internazionali.

In secondo luogo, dovrebbe essere adottato un piano secondo il quale, prima della sessione di maggio dell’Assemblea Consultiva, verrebbe elaborata una lista di questioni tecniche, suscettibili di formare oggetto di una azione comune dei quindici paesi membri, che i Ministri sottoporrebbero all’Assemblea, impegnandosi in anticipo a seguire, nella misura del possibile, i suggerimenti di quest’ultima in merito a ciascuna questione.

Invece di occuparsi accademicamente di problemi generali, l’Assemblea si troverebbe così posta per la prima volta dinanzi alle sue responsabilità, ed invitata ad adottare delle decisioni concrete, anche se in questioni di limitata importanza, sulla base dei «dossiers» che le sarebbero stati sottoposti.

Il Ministro Eden, intervenuto nel dibattito subito dopo il Presidente del Consiglio francese, ha mostrato qualche perplessità circa la realizzabilità della proposta di investire l’Assemblea dell’esame di questioni tecniche specifiche.

La formazione della lista presenterebbe all’atto pratico maggiori difficoltà di quanto non possa apparire a distanza. D’altronde, ha precisato ancora il Ministro degli Esteri britannico, è stato già sottoposto all’Assemblea, con il Messaggio Speciale del Consiglio dei Ministri del maggio scorso, un «programma d’azione» del Consiglio, nel quale precisamente sono elencate varie questioni per le quali il Comitato dei Ministri propose la ricerca di una soluzione comune. L’Assemblea ha già iscritto l’esame di tale documento all’ordine del giorno della sua prossima sessione.

Quanto ai rapporti tra il Consiglio d’Europa e l’Unione dell’Europa Occidentale, il Signor Eden ha fatto osservare che quest’ultima ha delle finalità proprie che non interferiscono con l’azione del Consiglio. Per quelle materie, invece, in cui esiste una competenza concorrente delle due organizzazioni, la questione del coordinamento dovrebbe essere impostata tenendo soprattutto conto del fatto che, sia al livello ministri che al livello parlamentare, le persone componenti gli organi delle due organizzazioni sono le medesime. In conseguenza, il Ministro degli Esteri britannico riterrebbe di escludere il «doppio impiego», in quanto il passaggio da una organizzazione all’altra nell’esame di una determinata questione, sarebbe di volta in volta determinato da motivi pratici, a seconda delle possibilità che esistono di raggiungere un accordo in sede di quindici o in sede di sette.

Da parte italiana, S.E. il Ministro è intervenuto nel dibattito con un discorso in cui ha messo in risalto l’interesse dell’opera realizzata a Strasburgo, e ha riaffermato la piena validità della formula a quindici, nonostante che in settori specifici si siano prese iniziative fra un limitato gruppo di paesi tendenti ad un approfondimento dei loro reciproci rapporti. L’On. Martino ha concluso che lo sforzo per l’unificazione europea deve essere proseguito nel quadro del Consiglio d’Europa, attraverso l’armonica collaborazione del Comitato dei Ministri con l’Assemblea Consultiva.

A conclusione del dibattito, il Comitato dei Ministri si è trovato innanzi tutto d’accordo sulla proposta avanzata dal presidente Mendès-France e da altri, di fissare in linea di massima la sua prossima sessione per il mese di aprile(4). Tale sessione dovrebbe essere prevalentemente dedicata alla elaborazione della lista di questioni tecniche da sottoporre all’Assemblea.

Il Comitato dei Ministri ha quindi approvato all’unanimità una risoluzione (che trasmetto in allegato)5 con cui decide: 1) di rinviare ai Delegati le osservazioni emerse nel corso del dibattito di cui sopra, ed in particolare quelle del Ministro Stephanopoulos, allo scopo di trarne delle conclusioni intorno alle possibilità di perfezionamento dei metodi di lavoro del Consiglio; 2) di invitare i governi membri a presentare delle proposte per l’elaborazione della lista di questioni tecniche da sottoporre all’Assemblea; 3) di invitare i Delegati a tener conto, nello studio delle suddette osservazioni, dei principi contenuti nel Messaggio Speciale dei Ministri dell’Assemblea Consultiva a proposito del ruolo del Consiglio d’Europa rispetto alle altre organizzazioni europee.

I Delegati dovranno portare a termine il loro compito in tempo utile per la prossima sessione del Comitato dei Ministri, prevista, come ho detto, in linea di massima, per il mese di aprile.

Riassumendo essi sono stati chiamati: ad esaminare le attività e le funzioni del Comitato dei Ministri in vista di un loro possibile potenziamento; a trovare il modo di rendere piarmonici i rapporti tra il Comitato dei Ministri e l’Assemblea; ad elaborare la lista delle questioni tecniche da sottoporre a quest’ultima; a studiare la questione del coordinamento tra il Consiglio d’Europa e le altre organizzazioni europee.

Quest’ultimo punto è suscettibile di comprendere anche la questione specifica dei rapporti tra il Consiglio d’Europa e la Unione della Europa Occidentale.

Sargrato per le istruzioni che codesto Ministero vorrà certamente impartirmi, così come per gli eventuali elementi che vorrà fornirmi, in vista della discussione che avrà luogo al Comitato dei Delegati sui punti suddetti.

Altro notevole dibattito si è instaurato al Comitato dei Ministri sulle tre risoluzioni politiche adottate dall’Assemblea Consultiva nella scorsa sessione di dicembre6: la prima, n. 66, contenente il parere dell’Assemblea sugli Accordi di Parigi; la seconda,

n. 67, sulla organizzazione dell’Assemblea dell’Unione dell’Europa Occidentale e sui collegamenti da stabilire tra quest’ultima e il Consiglio d’Europa; la terza, n. 68, sul regolamento della questione sarrese.

Circa la risoluzione n. 67, il rappresentante della Svezia, ambasciatore Westman, ha obiettato che la questione della organizzazione dell’Assemblea ristretta della UEO e dei suoi rapporti con l’Assemblea Consultiva del Consiglio d’Europa, non avrebbe dovuto essere presa in considerazione fino al momento in cui non fossero stati ratificati gli Accordi di Parigi. Oltre l’argomento procedurale, i motivi della opposizione svedese vanno ricercati evidentemente nel timore di vedere il Consiglio d’Europa occuparsi anche in via indiretta, di questioni inerenti alla difesa, attraverso la specifica competenza attribuita in tal settore all’Assemblea dell’UEO.

L’ambasciatore Westman ha aggiunto, chiedendo che questa sua ultima dichiarazione fosse messa a verbale, che il suo Governo si sarebbe comunque opposto alla creazione di una «greffe» unica delle due Assemblee.

Contrari ad entrare nel merito della risoluzione n. 67, si sono dichiarati da parte loro il ministro Beyen, il presidente Mendès-France, il vice cancelliere Blcher, ed il ministro Spaak, anche se non per gli stessi motivi di fondo della delegazione svedese.

Circa la risoluzione n. 66 sugli Accordi di Parigi, è stata avanzata da parte del ministro Martino la proposta di marcare l’accordo del Comitato dei Ministri sul titolo

A) di detta risoluzione, relativo all’apertura di negoziati con l’Unione Sovietica. Tale proposta, appoggiata dal presidente Mendès-France e dal vice-cancelliere Blcher, non ha perincontrato accoglienza unanime da parte del Comitato, e figurerà quindi soltanto nel resoconto della riunione.

La risoluzione n. 68 sul regolamento della questione sarrese non ha dato luogo ad alcuna osservazione. In conclusione, il Comitato dei Ministri ha deciso di prendere atto delle tre risoluzioni suddette, mantenendole al proprio ordine del giorno.

1 DGAP, Uff. I, Serie Affari Politici, 1951-1957, b. 410, fasc. Consiglio d’Europa.

2 Indirizzato per conoscenza all’Ambasciata a Parigi.

3 I lavori della XV sessione del Comitato dei Ministri si tennero a Strasburgo il 19 dicembre: vedi anche D. 234.

4 La XVI sessione si terrà il 4 e il 5 luglio 1954: vedi DPII, Serie A, Il «rilancio dell’Europa»: dalla Conferenza di Messina ai Trattati di Roma (2 aprile 1955-25 marzo 1957), a cura di A. Varsori e F. Lefebvre D’Ovidio, Roma, Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato, Libreria dello Stato, 2017, 2 voll., D. 53.

5 Non si pubblica l’allegato. Il testo della risoluzione è consultabile on-line sul sito del Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa.

6 Vedi D. 222.

251

IL MINISTRO DEGLI AFFARI ESTERI, MARTINO, AD AMBASCIATE E LEGAZIONI(1)

T. 22/c.2. Roma, 3 gennaio 1955, ore 22,30.

Faccio riferimento telegramma Parigi 1111, L’Aja 95-96, Londra 396, Bonn 216, Lussemburgo 6193.

Per tutti: Oggi parte lettera indirizzata Ministri degli Affari Esteri degli altri sei Paesi membri dell’UEO per sottoporre la candidatura dell’On. Ivan Matteo Lombardo alla carica di Direttore dell’Agenzia Controllo Armamenti, sulla base dell’accordo di principio raggiunto a Parigi.

Per tutti meno L’Aja: Prego volersi interessare per favorevole risposta nella maniera sarà ritenuta piopportuna.

Solo per L’Aja: V.E. vorrà adoperarsi nella migliore maniera affinché atteggiamento olandese possibilmente evolva in modo da consentire un generale e rapido consenso su detta candidatura.

Solo per Londra: V.S. vorrà anche comunicare in sede Comitato Internazionale UEO candidatura in questione(4).

1 Telegrammi segreti originali 1955, partenza, vol. I.

2 Indirizzato alle Ambasciate a Bonn, L’Aja, Londra e Parigi e alla Legazioni a Lussemburgo.

3 Vedi DD. 239, 243, 244, 245 e 246.

4 Con riferimento a questo telegramma, Benzoni scrisse a Rossi Longhi il 4 gennaio (L. 14) che Beyen negava il raggiungimento di un accordo a Parigi sulla questione della nomina ed esprimeva il gradimento per una candidatura britannica; Beyen confermquesta posizione nella lettera di risposta a Martino del 10 gennaio (DGAP, Uff. V, UEO, b. 15, fasc. UEO. Agenzia di controllo degli armamenti, da gennaio ad agosto). A proposito dell’iniziativa del Benelux, Quaroni riferì quanto segue: «Dinanzi alla presentazione, da parte del Benelux, di un nominativo inglese per la direzione della futura Agenzia degli Armamenti, i Francesi reagiscono vivamente. Persona vicina a Mendès France ha tenuto ad esprimerci l’intenzione francese di evitare ad ogni costo un predominio britannico al riguardo, sopratutto perché l’adesione inglese, nella nota forma, agli Accordi relativi, [ha] qui fatto sorgere, verso il Governo, il rimprovero che in tal modo “l’Inghilterra controlla senza essere controllata”. Quindi, anche per ragioni parlamentari francesi, ritengo che Mendès France (sarà bene parlargliene a Roma) manterrà il suo appoggio alla candidatura italiana. L’On. Lombardo è persona, del resto, qui ben conosciuta ed è considerato efficiente organizzatore oltre che figura di statura internazionale. Debbo tuttavia aggiungere che, da parte francese, non si condivide quella che è (mi pare) la nostra impressione: si ritiene qui che, nelle recenti giornate atlantiche di Parigi, la Francia esplicitamente propose, ma che non vi fu un’adesione precisa da parte degli altri Ministri, in fatto di Presidenza italiana dell’Agenzia» (Telespr. urgente 01 del 4 gennaio: ibidem). Il 10 gennaio Grazzi riferì che, avendo data per scontata la nomina di un italiano, si era limitato a «svolgere argomenti a favore del nome dell’On. Lombardo, argomenti i quali trovarono qui terreno favorevole». Essendosi peri belgi, come aveva appreso soltanto pitardi, impegnati con gli olandesi, i passi a favore di Lombardo avevano perso gran parte del loro valore, ma non avrebbe mancato di insistere (Telespr. 124/54: ibidem). Il 14 febbraio Spaak rispose a Martino che, nel caso in cui per il posto di direttore fosse stata scelta una personalità italiana, senz’altro il suo Governo avrebbe preso in considerazione tanto il nominativo di Lombardo quanto quello di Ferrante Capponi (L. U/AG/64: ibidem).

Per la risposta da Londra e i colloqui di Roma con Mendès France vedi DD. 258 e 260.

252

MEMORANDUM FRANCESE SULLA PRODUZIONE E STANDARIZZAZIONE DEGLI ARMAMENTI(1)

Nota segretissima. Parigi, 3 gennaio 1955.

Dans la résolution adoptée le 21 Octobre 1954, les Gouvernements membres de l’Union de l’Europe Occidentale se sont déclarés désireux d’assurer, grâce à une organisation rationnelle de la production, la meilleure utilisation possible des ressources dont ils disposent pour l’armement de leurs forces. Ils ont décidé qu’un groupe de travail se réunirait à partir du 17 Janvier 1955 pour soumettre des propositions au conseil de l’Union de l’Europe occidentale, en étudiant les documents qui lui seraient soumis, dont le projet de directives présenté le 1er Octobre 1954 par le gouvernement français.

En vue de faciliter la préparation de cette réunion, le Gouvernement français a l’honneur de communiquer aux autres Gouvernements membres de l’UEO le mémorandum ci-joint qui pourrait servir de base de discussion.

Ainsi que la Délégation française l’a indiqué dans le mémorandum qu’elle a soumis à la Conférence de Londres, la création d’une Agence d’armements permettrait d’atteindre principalement trois objectifs:

- - -

plus grande unité de l’Europe occidentale. L’Agence d’armements devrait assumer les responsabilités suivantes:

-standardisation des armements;

- - -

L’Agence serait seule habilitée à arrêter les programmes. Il serait donc interdit aux pays membres de fabriquer des armements autres que ceux prévus dans les programmes de l’Agence, sous réserve des fabrications destinées à l’exportation et de celles afférentes aux besoins des forces qui ne sont pas mises à la disposition de l’OTAN. Ces dernières fabrications seraient faites sous le contre de l’Agence.

Aucune extension des capacités de production n’aurait lieu sans autorisation de l’Agence.

Les pays membres s’efforceraient de conclure avec les gouvernements des États-Unis et du Canada les arrangements nécessaires pour que les programmes d’aide militaire et de commandes off-shore soient établis en accord entre ces gouvernements et l’Union de l’Europe occidentale. Les commandes off-shore seraient prises en compte dans l’établissement des programmes de fabrication.

L’Agence devrait disposer d’une autorité suffisante pour prendre les décisions nécessaires et en assurer la mise en œuvre. Il serait prévu, d’une part, que le Conseil des Ministres de l’UEO et le Comité permanent de l’Agence chargé de préparer les délibérations des Ministres se prononceraient l’un et l’autre à la majorité des deux tiers, d’autre part que le Directeur de l’Agence aurait des pouvoirs d’exécution étendus. En ce qui concerne les procédures de vote du Conseil des Ministres et du Comité permanent, le régime de la majorité des deux tiers éviterait à la fois les inconvénients de la règle de l’unanimité, qui risquerait, dans certains cas, d’engendrer l’inefficacité, et ceux de la règle de la majorité simple qui n’offrirait pas suffisamment de garanties aux divers Gouvernements.

La question est en outre posée de savoir si, aux lieu et place du Comité permanent et du Directeur, ne pourrait pas être instituée une autorité collégiale composée de Commissaires, nommés par le Conseil des Ministres et ne relevant pas de leurs Gouvernements. Le Gouvernement français souhaite que, des deux formules, soit retenue celle qui, à l’examen, se révèlera comme devant être la plus efficace.

En raison de l’étendue des responsabilités que l’Agence devrait assumer, et compte tenu du fait que, jusqu’à maintenant, la production d’armements des pays de l’UEO n’a fait l’objet que de quelques mesures de standardisation, il a semblé que la mise en œuvre immédiate, sans aucune transition, d’un système comportant des abandons de souveraineté tels que ceux qui sont envisagés, se heurterait à de sérieuses difficultés. C’est pourquoi le mémorandum ci-joint propose l’institution, pendant une première phase, d’un régime provisoire plus souple qui permettrait aux pays intéressés de se préparer progressivement à placer leur production d’armements sous l’autorité des institutions prévues pour le régime définitif.

En soumettant ces propositions à l’attention des Gouvernements qui seront représentés à la réunion du 17 janvier, le Gouvernement français a conscience de répondre aux vœux de tous ceux qui attendent des travaux de cette réunion le développement progressif, harmonieux et concret de la nouvelle Union de l’Europe occidentale.

Allegato

MÉMORANDUM DU GOUVERNEMENT FRANÇAIS SUR LA STANDARDISATION ET LA PRODUCTION DES ARMEMENTS Paris, le 3 janvier 1955.

I. PRINCIPES

- -

a) assurer la standardisation progressive des armements de l’Union;

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II. STANDARDISATION DES ARMEMENTS

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Le choix objectif d’un type standard ne doit pas être influencé par des considérations relatives à la répartition de la production du matériel retenu. Cette répartition doit être étudiée après le choix du type standard et résolue compte tenu des points de vue des pays intéressés.

III. PRODUCTION EN COMMUN DES ARMEMENTS

1. La production en commun des armements permet d’améliorer les conditions de fabrication du matériel tant par une utilisation rationnelle des potentiels industriels, que par le groupement des commandes, conditions essentielles d’une réduction du prix de revient par l’augmentation des séries.

2. À la lumière de l’expérience de l’OTAN, on doit constater que:

- - - - - - -

IV. ORGANISATION ET PROCÉDURE L’Agence d’armements aurait pour mission d’assurer les tâches définies au Chapitre I ci-dessus, par. 2, alinéa a, b, c, et d. Le gouvernement français estime indispensable qu’un système de production en commun des armements entre en vigueur dès la mise en application du régime de l’Union de l’Europe occidentale. Il est conscient en même temps qu’il serait difficile d’organiser immédiatement l’Agence sur les bases prévues dans des conditions satisfaisantes d’efficacité, et ceci essentiellement parce que le système proposé implique un changement profond des méthodes en usage et un transfert de pouvoirs extrêmement large à une autorité internationale, et que d’autre part, la standardisation des armements n’a jusqu’à présent été réalisée que dans des domaines fort limités. Dans ces conditions il paraît nécessaire de prévoir une première période pendant laquelle l’Agence commencerait par chercher à promouvoir et à faciliter les efforts des gouvernements membres en vue de standardiser les armements et d’organiser la production en commun. Cette

période prendrait fin le 31 décembre 1956 ou à toute date plus rapprochée qui serait décidée par les gouvernements. Le régime définitif entrerait ensuite en vigueur.

V. RÉGIME PROVISOIRE

Pendant la première période, les décisions de standardisation et de production en commun seraient prises par les représentants des gouvernements siégeant au sein de deux Comités:

- -

A. Agence d’armements. L’Agence aurait en particulier pour tâche:

- - - - -

B. Comité militaire de standardisation.

1. Le Comité militaire de standardisation serait composé des autorités militaires responsables désignés par les pays membres et assistées de techniciens qualifiés. Il aurait une composition appropriée, variable suivant les questions traitées et en particulier selon qu’elles concernent l’une ou l’autre des trois armes, Terre, Air, Marine.

2. Le re du Comité serait de déterminer en dernier ressort:

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C. Comité de production d’armements.

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VI. RÉGIME DÉFINITIF Ce régime est décrit ci-dessous sous une forme très schématique.

- - - - - - -

3. Une formule de conception sensiblement différente consisterait à substituer à la fois au Comité permanent et au Directeur prévus ci-dessus une autorité collégiale, composée de Commissaires nommés par le Conseil des Ministres et ne relevant pas de leurs Gouvernements. Cette autorité se prononcerait, en règle générale, à la majorité simple, les procédures de vote du Conseil des Ministres étant les mêmes que dans la formule précédente.

DGAP, Uff. V, UEO, b. 13, fasc. UEO. Pool Armamenti, fasc. 1, gennaio 1955. Testo conservato in varie copie. Su una di esse è apposta la seguente annotazione: «Testo consegnato da Amb. di Francia il 10/1/55». Il memorandum fu consegnato in via confidenziale a Parigi dal Governo francese il 5 gennaio sera (Appunto Falchi, pari data); il 6 gennaio Alessandrini inviun lungo telegramma con la descrizione del documento (T. segretissimo urgente 149/4-8) e, in pari data, Quaroni espresse le sue considerazioni al riguardo in via telegrafica e tramite un rapporto (vedi DD. 255 e 256); il 7 gennaio Bombassei trasmise due copie del memorandum al Ministero per corriere (L. 21 del 7 gennaio), copie che pervennero il giorno seguente e furono ritrasmesse ai vari organi dello Stato interessati (ibidem).

Il documento è consultabile on-line nelle due versioni francese e inglese provenienti dal fondo Western European Union Archives conservate negli Archives Nationales de Luxembourg, sul sito CVCE.eu dell’Università del Lussemburgo. Ed. in DDF, 1955, vol. I, D. 2 bis.

253

L’AMBASCIATORE A BRUXELLES, GRAZZI, AL MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI(1)

Telespr. 33/10. Bruxelles, 3 gennaio 1955.

Oggetto: Integrazione europea.

Ringrazio V.E. del suo dispaccio n. 3022 in data 23 dicembre2, con il quale ella ha voluto farmi conoscere le sue istruzioni in merito alle questioni sollevate dal Ministro Spaak circa l’avvenire dell’europeismo.

Tale dispaccio mi è stato utilissimo. Anzitutto ne ho tratto la convinzione che nella linea d’azione personale svolta presso gli ambienti belgi in questi ultimi tempi(3) ho intravveduto quali sono le direttive in materia del Governo italiano nonché quelle personali di V.E., di maniera che non mi sono discostato dalla linea di condotta che ella mi ha adesso prescritta.

In secondo luogo, ho potuto convenientemente far apprezzare presso questi ambienti politici la prontezza con la quale il Governo italiano, esaminate le idee di principio esposte da Spaak (e sostenute, come ebbi a riferire, anche da esponenti del partito cattolico), ha tenuto a far conoscere qui il proprio punto di vista su questioni le quali, già gravi in sé stesse, costituiscono il fondamento dell’avvenire delle nostre nazioni.

Che da parte italiana si cerchi di insistere, fino a quando gli avvenimenti non dimostreranno un’opportunità contraria, sull’Unione dell’Europa Occidentale, è qui compreso, anche se non completamente seguito con speranza di risultati pratici. È da credere perche al momento in cui i rappresentanti italiani sosterranno la necessità di appoggiarsi, almeno in un primo momento sull’UEO, i rappresentanti belgi non potranno prendere una posizione troppo nettamente negativa, anche se in un secondo momento potranno ripiegare sull’idea di anteporre l’attività della CECA. Da tali punti di vista, che possono anche non essere contrastanti ma complementari, sarà possibile trarre una linea comune sulla quale anche altre nazioni finiranno per appoggiarsi.

Quanto al contenuto economico dell’integrazione europea, il Governo belga ha apprezzato l’interesse italiano a tentare di raggiungere qualche cosa di consistente in tale campo. Ed è proprio su questo punto che uno scambio di idee pidiretto da effettuarsi allo scopo di stabilire una linea preliminare, fra un esponente del Governo italiano ed i rappresentanti belgi, sembra particolarmente utile.

Ho accennato in linea di principio all’idea di inviare qui qualche personalità adatta per tali contatti, e mi è stato risposto che si sarà lietissimi di riceverla e di trattare le questioni in parola nella maniera piapprofondita possibile.

Mi permetto raccomandare che, se V.E. intendesse dar corpo all’idea, non sarebbe male che la persona o le persone prescelte venissero qui rapidamente, poiché è opportuno che ad un tale scambio di idee si addivenga prima che i progetti belgi si cristallizzino e prendano, magari d’accordo con gli altri paesi del Benelux, una consistenza tale che risulterebbe poi assai pidifficile infrangere.

1 DGAP, Uff. I, Serie Affari Politici, 1951-1957, b. 409, fasc. Unione Europea Occidentale, 1955. 2 Non rinvenuto nel fascicolo. 3 Vedi DD. 202, 204, 219 e 229.

254

L’AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI, AL MINISTRO DEGLI AFFARI ESTERI, MARTINO(1)

R. 0010. Parigi, 4 gennaio 1955.

Signor Ministro,

mi dispiace di dover fare sempre il guastafeste: ritengo permio dovere avvertire V.E., ed il Governo italiano, ai fini della valutazione della situazione e anche delle imminenti conversazioni romane che, con il voto del 10 dicembre, la cosa non è finita.

Gli accordi di Parigi debbono attualmente passare al Consiglio della Repubblica, dove la situazione è ancora pidifficile che all’Assemblea, dato il forte numero di gaullisti poco ragionevoli. Ora basta che al Senato si decida un qualsiasi, anche minimo emendamento, perché gli accordi debbano ritornare al Parlamento per un secondo voto. Nessuno puprevedere, adesso, come andrebbe a finire un secondo dibattito all’Assemblea Nazionale.

Se tutto va bene, la discussione al Senato dovrebbe aver luogo verso la metà di febbraio: e, se si deve tornare all’Assemblea, ciavrà luogo verso la metà di marzo. Ora è certo possibile, ma poco probabile, che a quell’epoca Mendès-France sia ancora Presidente del Consiglio. Allora si dovrebbe affrontare questo dibattito con un Presidente del Consiglio che sarà magari molto pieuropeo di Mendès-France, ma non certo meglio in grado di maneggiare il Parlamento.

Cipremesso, mi permetto di attirare l’attenzione di V.E. anche sul fatto che il voto di ratifica del 30 è un voto falso. Il voto vero era il voto del 24 dicembre con cui gli accordi di Parigi erano stati respinti.

C’è un punto fondamentale che non bisogna dimenticare quando si ragiona di Parlamento francese: i 419 deputati che hanno votato per l’investitura di Mendès-France, sono 419 deputati fondamentalmente neutralisti: ossia che sono per un accordo con la Russia contro la Germania e non per un accordo colla Germania e contro la Russia. E questi deputati restano, e restano della stessa idea: anzi probabilmente, dal giugno ad oggi il loro numero ha piuttosto aumentato.

Mi dispiace di dover sempre tornare a parlare di Parlamento francese, ma è che, per il bene o per il male, in Francia chi decide della politica è il Parlamento e non il Governo: ed è quindi degli umori del Parlamento che bisogna tener conto, se non si vogliono avere delle delusioni come le abbiamo avute per la CED e come le possiamo avere per l’UEO. Si potrà dirmi – e sarei d’accordo – che il Parlamento, e la Francia, vogliono perseguire una politica irreale. Il Parlamento francese resta un fatto di cui bisogna tener conto.

Ora gli uomini di Governo francese potranno dirci quanto vogliono che essi sono atlantici ed occidentali: probabilmente lo dicono anche in buona fede, almeno dal momento in cui si sono seduti sulla poltrona dell’Hel Matignon: ma non bisogna dimenticare che il Parlamento francese, nella sua maggioranza, non è veramente atlantico e non è affatto europeo.

Mendès-France avrebbe avuta una facile maggioranza se avesse consentito di accettare la sospensiva di tre o quattro mesi prima dell’entrata in vigore degli accordi, come un periodo da sfruttare per vedere se c’era la possibilità di arrivare ad un accordo con la Russia. Mendès-France non lo ha fatto – e questo va ad onore della sua coscienza – ma con questo si è messo in gravi difficoltà politiche: ha perduta la sua antica maggioranza e la vecchia opposizione non sembra, per ora, disposta a dargli credito: non è del resto detto anche egli sia disposto a cambiare fronte.

Ma, se vuole avere la ratifica dell’Assemblea Nazionale, bisogna che convinca i suoi parlamentari che realmente sta facendo tutto il possibile per arrivare ad un accordo con l’Est che renda non necessaria almeno la parte militare degli accordi di Parigi.

E siccome Mendès-France – almeno lo credo – si è adesso reso conto che non potrebbe negoziare solo con la Russia (il Parlamento francese non se ne è ancora convinto) tutto il suo sforzo in politica estera sarà quello di convincere i suoi partners atlantici a dare almeno l’impressione che si marcia verso il negoziato.

Che questo rientrasse fin dal principio nelle intenzioni di Mendès-France – la cosiddetta formula del negoziato parallelo – non me la sento di escluderlo. Persenza tornare a fare il processo alle intenzioni di Mendès-France – o di qualsiasi altro uomo politico al suo posto – resta il fatto che non ci sarà maggioranza al Parlamento francese per una politica atlantica ed europea fino a che non si saranno convinti (un centinaio di deputati recuperabili) che non c’è veramente niente da sperare da quella parte. E quando ragioniamo di sviluppo della politica europea, è sempre di questo fatto che bisogna pur tener conto.

Ora questa necessità sarà certamente uno dei punti importanti di quello che dirà a Roma Mendès-France.

V.E. conosce già sull’argomento il mio pensiero. Se si resta fermi sul punto che ogni accordo con la Russia è illusorio se non c’entrano sul serio le elezioni libere in Germania e il controllo effettivo del disarmo, si puandare avanti fino a che si vuole a proporre incontri e conferenze, perché i russi, per molto tempo almeno, per ragioni loro di politica interna, non possono concedere né l’una né l’altra cosa. Direi, anzi, che non vedo perché si debba dare ai russi il vantaggio propagandistico che noi diamo loro con un atteggiamento che sembra ispirato al timore che essi possano essere ragionevoli.

Ma, premesso questo, bisogna tener conto che si tratta di un problema per noi assai delicato. Sarebbe certo una gran bella cosa (per tutti, e per la solidità della politica atlantica) che gli americani si convincessero della necessità di un atteggiamento piintelligentemente propagandistico. Ma conviene a noi di metterci in prima linea per convincere gli americani a questo? La mia risposta a questo quesito è recisamente negativa.

Prendere posizione è tanto pidifficile in quanto non sappiamo cosa ne pensano realmente gli americani o cosa ne pensano realmente gli inglesi. Forse non lo sanno bene ancora, né l’uno né l’altro.

A me sembra che, in tutto questo affare, noi dobbiamo restarcene saggiamente da parte, non ambire né cercare di avere delle posizioni di prima fila: restare tranquilli a vedere come si mettono le cose.

Tanto, se si dovrà arrivare ad una conferenza, la conferenza sarà a Quattro: e, anche se noi, prima, ci saremo dati da fare in tutte le forme possibili, la conferenza rimarrà a Quattro.

Per la parte che riguarda la Germania, comunque vadano a finire le cose, noi non siamo fra le potenze vincitrici: e non vedo perché dovremmo rinunciare di fronte ai tedeschi al vantaggio di non avere parte nella loro disgrazia: specie se si dovesse arrivare ad un Trattato di pace negoziato anche con i russi.

Per la parte che eventualmente concernesse il disarmo, allo stato effettivo in cui si trovano i nostri armamenti, non vedo cosa ci resti ancora da disarmare. Del resto anche in questo campo, le cose importanti saranno decise a quattro. Il massimo a cui possiamo aspirare è di essere un giorno chiamati a far parte di quelle trattative che si svolgono all’ombra dell’ONU anche senza essere parte dell’ONU.

Noi abbiamo un eccellente pretesto per stare a vedere. E questo è il piano Vanoni.

Effettivamente oggi, l’unico obiettivo serio e importante della politica estera italiana dovrebbe essere quello di trovare all’estero tutto l’appoggio possibile per poterlo realizzare pifacilmente e pipresto. Quindi quando ci si voglia, da qualsiasi parte civenga, indurre a prendere posizioni di punta, noi potremmo e dovremmo rispondere: «Abbiamo troppo da fare in questo momento a casa nostra per la lotta contro il comunismo e la disoccupazione all’interno per poterci permettere di prendere delle iniziative ambiziose in politica estera: questa è la nostra contribuzione alla politica generale». E, fra l’altro, tutti le troverebbero parole sagge e serie.

Se dunque Mendès-France, come è probabile, ci parlerà di questo argomento, bisognerebbe starlo a sentire, rispondergli gentilmente che comprendiamo benissimo le necessità francesi, comprendiamo anche la saggezza intrinseca della politica francese, che noi non ci opporremo, che non faremo ostacoli, che seguiremo l’opinione dei nostri amici, ma non ci lasciamo impegnare. Soprattutto non ci lasciamo portare a cavare le castagne dal fuoco per lui. Perché non escluderei affatto che, in fondo al pensiero di Mendès-France, riferendosi magari ad alcuni accenni di V.E. nel corso della recente riunione atlantica, ci fosse la speranza di poter far andare avanti noi, in prima linea.

V.E. deve andare a Londra e poi a Washington: avrà quindi la possibilità di sondare quali sono le vere intenzioni di Londra e di Washington, ammesso che per quell’epoca anche loro abbiano chiarite le loro idee. Ma non mi sembra sia affatto il caso di prendere posizione decisa adesso.

Vorrei precisare: non prendere posizioni clamorose né in un senso né in un altro. Perché con tutti i possibili cambiamenti che ci possono essere, sarebbe altrettanto imprudente prendere un atteggiamento di punta contro le conversazioni con l’Est, come prendere posizione di punta in favore. Un’accorta e manovrata politica da spettatori intelligenti, è piconsona, mi pare, al nostro peso effettivo nella politica internazionale e puevitarci sorprese all’interno e all’estero.

La prego di gradire, Signor Ministro, gli atti del mio devoto ossequio.

P. Quaroni

DGAP, Uff. V, UEO, b. 11, fasc. UEO. Unione Europea Occidentale - parte generale, fasc. 1, 1° genn.-28 febb. 1955.

255

L’AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI, AL MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI(1)

T. s.n.d. 163/27-28-29. Parigi, 6 gennaio 1955, ore 23 (perv. ore 24).

Memorandum francese(2) concernente Agenzia armamenti imposta imminenti trattative su basi assai larghe, specialmente per quanto concerne periodo definitivo, mentre prevede – probabilmente per tener conto desideri gruppi europeisti – non trascurabili elementi di sopranazionalità.

D’altro canto stessa vastità documento puoffrire ampie possibilità compromesso. Essendo la standardizzazione degli armamenti posta alla base della concezione francese ed essendo in tale campo necessaria regola unanimità vi è da domandarsi se effettivamente non sia quello un passaggio obbligato che limiti portata progetto e lasci notevole libertà d’azione vari Paesi partecipanti.

È particolarmente interessante prevista possibilità di accordi parziali tra alcuni Paesi, ad esclusione di altri; mentre è da sottolineare che sono anche previsti accordi tra industriali, cui dovrebbero dare semplicemente loro approvazione.

La discriminazione a favore della Francia (che resterebbe libera produrre, sia pure sotto controllo Agenzia, armamenti per sue forze non poste a disposizione NATO) non pare vada al di là di quella già accettata in sede CED e in costituzione UEO.

Mantenimento rapporti bilaterali con Stati Uniti per attribuzione commesse sembra sia fatto salvo, prevedendosi soltanto accordi che permettano ad Agenzia essere consultata ed essere informata programmi commesse stesse onde tenerne conto nei piani di produzione.

Circa salvaguardia interessi nazionali, progetto francese contiene importanti dichiarazioni di massima (punto terzo del Memorandum): tale argomento dovrà peraltro essere approfondito ulteriormente. Da parte nostra si potrebbe anche cercare di far riconoscere che assegnazione ordinativi non dovrà essere fatta soltanto in base criterio prezzi sia pure temperato da necessità non turbare equilibrio interno ma anche tenendo presente interesse comune in mantenimento numerose fonti di produzione, utilizzazione impianti esistenti, in sfruttamento riserve mano d’opera specializzata ed in decentramento industrie belliche. In un simile quadro potrebbero essere meglio inserite talune nostre importanti esigenze. Questo per quanto concerne primo esame documento sottopostoci dai francesi.

In linea di massima va secondo me rilevato che: se noi continuiamo volere politica integrazione europea bisogna ammettere che unico elemento suscettibile effettivi sviluppi integrativi è proprio Agenzia armamenti: se quindi noi ci dichiarassimo contrari ciequivarrebbe in altri termini dichiarare che abbiamo abbandonata politica europea.

Questo per quanto riguarda principi. In particolare va, secondo me, osservato che accordo così come è delineato non (ripeto non) puessere accettato da Inghilterra e solleverà almeno fortissime resistenze da parte Benelux.

Tutto questo, a mia impressione, è qui previsto e, in buona parte almeno, voluto.

Pensiero Mèndes-France si va orientando verso accordo franco-italo-tedesco imperniato su Agenzia armamenti e a sfondo sostanzialmente indipendentistico. Si ritorna così a quella che era coscientemente o no idea fondamentale CED.

Trattasi evidentemente terreno su cui occorre procedere con massima prudenza, fra l’altro perché non mi sembra ancora chiaro quale sia reale pensiero americano in materia.

Mi pare comunque che ci converrebbe non (ripeto non) rispondere negativamente: dire che idea ci interessa e che siamo favorevoli in linea di massima ma che ci sono due esigenze fondamentali nostre di cui bisogna tener conto:

1) Necessità che nostro attuale livello impiego mano d’opera per armamenti non venga neanche minimamente compromesso;

2) Noi abbiamo territori strategicamente abbastanza sicuri e che sono allo stesso tempo aree depresse. Lotta per miglioramento aree depresse è attualmente obiettivo numero uno nostra politica.

Nella misura in cui ci si mostrasse che sviluppi industriali previsti da Agenzia armamenti possono contribuire risolvere problema industrializzazione nostre aree depresse noi potremmo essere pio meno favorevoli proposte che ci vengono fatte.

Condizionare misura e forma nostra partecipazione a soddisfazione nostri interessi precipui e non a considerazioni carattere ideologico mi sembra migliore sistema suscettibile permetterci procedere con prudenza e difendere nostri interessi(3).

1 DGAP, Uff. V, UEO, b. 13, fasc. UEO. Pool Armamenti, fasc. 1, gennaio 1955. 2 Vedi D. 252. 3 Per il seguito vedi D. 256.

256 L’AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI, AL MINISTRO DEGLI AFFARI ESTERI, MARTINO(1)

R. riservato 00232. Parigi, 6 gennaio 1955.

Oggetto: Agenzia degli armamenti.

Signor Ministro,

faccio seguito al mio telegramma n. 27-28-293. Il progetto francese è il frutto di una affrettata sintesi (fatta dallo stesso Presidente del Consiglio) di sette progetti redatti da svariati gruppi e Ministeri.

Ho visto, nel loro insieme, le obiezioni sollevate all’idea del Pool in generale dal nostro Ministero dell’Industria e da quello della Difesa; esse possono essere ragionevolissime: ma non ne ho vista finora nessuna che non sarebbe stata applicabile anche alla CED. L’asserzione che un agente sopranazionale sia pifavorevole agli interessi dei paesi pideboli mi sembra rispondere piad un atto di fede che alla realtà ragionata: del resto, il progetto francese prevede anche l’eventualità di un direttore.

Si puobiettare, è vero, che la CED aveva in sé possibilità di sviluppo, sia nel campo economico che in quello politico, suscettibili di compensare per noi certi svantaggi della CED stessa. Anche questo perera solo una vaga speranza. Anche i pifervidi europeisti francesi ci avevano avvertiti in tutta franchezza che per l’integrazione politica c’era ben poco da fare e, per quella economica, proprio niente. A tal punto che, se noi avessimo voluto essere realmente e logicamente coerenti con la nostra impostazione iniziale, dopo il fallimento delle ultime riunioni avremmo dovuto dichiarare, no: che non volevamo pisaperne della CED.

Evidentemente la nostra industria degli armamenti soffre di un grave handicap: i prezzi. È un problema che si porrà sempre, in qualsiasi occasione, sia che si tratti di armamenti europei e nazionali, fino al giorno (certo non domani) in cui ci occuperemo di adeguare i nostri prezzi. Per intanto, è evidente che si puobbligare il Governo italiano ad acquistare materiale così così [sic] a caro prezzo: ma non si può certo sperare di trovare una qualsiasi formula internazionale che possa obbligare altri governi a passare per le stesse forche caudine.

Noi abbiamo affermato, a piriprese, che il Patto di Parigi non deve essere un punto di arrivo, ma un punto di partenza, e sostenuto anche che esso è suscettibile di importanti evoluzioni in campo integrativo europeo. Ora, queste possibilità di sviluppo integrativo sono, proprio e soltanto, l’Agenzia degli Armamenti.

V.E. vorrà scusarmi se, dicendo questo, confesso di non credere molto alle possibilità europee dell’Assemblea dell’UEO: è che purtroppo l’esperienza ci ha mostrato che le assemblee contano solo se ed in quanto hanno il diritto di rovesciare un governo. Quando esse non lo hanno – e certo non lo ha l’Assemblea dell’UEO – nessuno ne tiene conto tranne che a parole. Dalle varie assemblee in giro sulla piazza, l’unica che ha o potrebbe avere qualche importanza è quella della CECA, perché ha il diritto di rovesciare l’Alta Autorità: e la sua importanza aumenterà il giorno in cui di questo suo diritto ne farà uso: forse quando si sarà liberata dell’ipnosi di quel Budda dell’«Europeismo» che è Jean Monnet.

Quindi, se noi intendiamo realmente continuare ad essere europei, bisogna che accettiamo il principio dell’Agenzia degli Armamenti: se non l’accettiamo, bisogna che riconosciamo di aver cessato di pensare in termini di Europa.

Così come esso è concepito dai francesi, il Pool degli armamenti ha troppo del sopranazionale per essere accettabile dagli inglesi; per altre ragioni, lo sarà molto difficilmente anche dal Benelux. Secondo me, questo è voluto. A quanto mi consta, il pensiero di Mendès-France va evolvendo piuttosto verso un’integrazione a Tre, centrata sull’Agenzia degli Armamenti, Francia-Germania-Italia. E questa associazione a Tre egli la vede sotto il regime di una certa indipendenza, sia nei riguardi dei russi che degli anglosassoni; una specie di embrione di Terza Forza.

Anche qui niente di nuovo. Che cosa era in fondo la CED, se non un accordo franco-italo-tedesco? Il Benelux non era che un contorno, e pid’una volta, nel corso dei negoziati, si è ripresa in considerazione l’opportunità di passarvi oltre. La CED, che se ne fosse coscienti o no, aveva anch’essa uno sfondo indipendentistico, o terza forzistico che dir si voglia. Tanto è vero che molti «atlantici» – nostri e stranieri – hanno avute tutte le riserve possibili nei riguardi della CED proprio per questo suo substrato sostanzialmente terza forzistico.

Francia, Germania, Italia – si dice qui in molti ambienti politici ed industriali – per quanti sforzi facciano, non potranno darsi mai, ognuna per conto suo, quelle che sono le armi essenziali di oggi: atomiche e termo-nucleari, la parte elettronica ad esse strettamente connessa: aereonautica o missili per portare sul bersaglio le bombe A o H: lo possono invece fare riunendo le loro possibilità.

Anche questo è un concetto logico. Fino a che il monopolio di queste armi continuerà ad essere americano, con qualche piccolo annesso inglese, senza di loro non ci potremmo difendere. Non abbiamo da meravigliarci allora dei documenti che sono usciti fuori e di quelli ancora pigravi che usciranno fuori dal NATO col tempo. Quindi, se noi non vogliamo abdicare completamente nelle mani del Presidente degli Stati Uniti il diritto di dichiarare la guerra, bisogna che ci diamo noi stessi tutte queste armi.

Ragionamento logico, ripeto, per quanto terribilmente illusorio: come del resto i ragionamenti analoghi che si facevano sulla base del CED. Perché queste forme di integrazione creano solo la possibilità: ma prima che Francia, Italia e Germania possano avere tutte queste armi sul serio ci vorrà una buona ventina d’anni, durante i quali la situazione resterà come prima.

È anche da rilevare che il Pool degli armamenti ha la sua importanza per il completamento della ratifica francese degli Accordi di Parigi. Qui, come ho già scritto, abbiamo bisogno ancora della ratifica del Senato e, probabilmente, di una nuova ratifica dell’Assemblea. Questo «iter» che ancora resta da percorrere puessere influenzato negativamente da tre elementi:

1) la propaganda russa;

2) un possibile acuirsi dei dissensi franco-tedeschi, su qualsiasi argomento;

3) il pool degli armamenti.

I due primi punti sono al di fuori delle nostre possibilità, il terzo no. Ma se l’Agenzia degli Armamenti dovesse essere respinta, o se si dovesse, dalle conversazioni di Roma o dalle prime mosse della Conferenza del 17 corrente, derivare l’impressione che essa non ha chances di successo, prego V.E. di credermi, gli Accordi di Parigi non arriveranno alla loro ratifica conclusiva.

Mi si dirà che è il solito ricatto francese col Parlamento. Esattissimo, ma dal momento, e fino a che inglesi ed americani si presteranno a questo «ricatto» francese, non siamo noi che possiamo sottrarvici.

D’altra parte, è per me evidente che non possiamo gettarci, a fondo, in una politica di questo genere senza averne misurate tutte le conseguenze, nazionali e soprattutto internazionali. Fra l’altro, noi non sappiamo quale sia il vero atteggiamento americano di fronte a questa Agenzia degli Armamenti: probabilmente sono favorevoli, in principio, per una certa forza d’inerzia acquisita dall’idea dell’integrazione europea: ma dubito molto che essi siano realmente favorevoli alla creazione di una industria europea degli armamenti. Il che, fra l’altro, implica – e abbastanza logicamente, del resto – che per creare questa industria noi dovremmo contare su capitali europei continentali e non su capitali americani. Cosa che del resto, vediamo, accade anche per la CECA. Ma questo non toglie che, ad un certo momento, gli americani non possano essere presi dalla frenesia dell’Agenzia degli Armamenti, come dopo lunghe esitazioni furono presi dalla frenesia CED.

Non so fino a che punto noi sappiamo quello che ne pensano i tedeschi. Dalle informazioni che pervengono qui, da fonte industriale tedesca, si dovrebbe dedurre che una impostazione «indipendentistica» trova molta rispondenza negli ambienti tedeschi. Se e nella misura in cui questo è esatto, bisognerà che teniamo conto del fatto che una nostra attitudine negativa potrebbe poi esporci ad un ripetersi di quella situazione che ha provocata tanta emozione in tutti gli ambienti italiani, sia politici che commerciali, di una collaborazione franco-tedesca da cui noi saremmo esclusi, o rischieremmo di esserlo.

Di fronte a tutte queste esigenze o difficoltà contrastanti, la mia opinione sarebbe quella di raccomandare anche in questo campo un’estrema prudenza.

Sarebbe, secondo me, azzardato dire ai francesi di no. Dovremmo anzi dirgli (sopratutto tenendo conto del fatto che è difficile che Mendès-France ci venga di primo acchito a parlare del suo programma indipendentistico e si limiterà ad accenni) che, in principio, siamo d’accordo che la politica francese è anche pio meno la nostra. Ed insistere invece sui seguenti punti molto concreti, punti che, del resto, sono stati da noi fatti presenti pidi una volta:

1) noi non possiamo ammettere, sotto nessun pretesto, che la quantità di nostra mano d’opera, attualmente occupata nelle industrie belliche, subisca la minima diminuzione. In questo dovremmo comprendere anche le commesse off shore: qui potremmo dire ai francesi, che noi comprendiamo il loro desiderio di avere in mano la possibilità di impedire, in una certa misura, che gli americani concentrino tutte le loro ordinazioni sulla Germania; che possiamo anche non opporci, ma a condizione che le nostre possibilità di negoziare coll’America bilateralmente non vengano fatte dipendere dal beneplacito di nessuno;

2) noi non potremmo accettare che l’idea, in quanto essa esiste ancora, della «zona strategicamente sicura» giuochi a tutto vantaggio dell’Africa del Nord francese: anche noi abbiamo delle zone strategicamente sicure, o quasi: e cioè – in ordine decrescente di sicurezza – la Sardegna, la Sicilia e l’Italia meridionale. Ora queste zone sono anche le nostre zone economiche depresse, la cui riabilitazione è oggi il compito numero uno del Governo italiano, ai fini anche della nostra solidità interna per la comune difesa. Che, dal momento che l’Agenzia degli Armamenti prevede la necessità di nuovi impianti, ed una migliore distribuzione strategica dei medesimi, ecc., questa è un’ottima occasione per i nostri amici per conciliare l’interesse generale coll’aiuto alla nostra opera di riabilitazione delle aree depresse. E che sarà quindi nella misura in cui tutto questo si mostrerà un interesse vivo e reale per le questioni nostre, che noi saremo pio meno favorevoli all’Agenzia degli Armamenti.

In altre parole, nei negoziati per la CED, siamo stati pattuglia di punta, ci siamo lasciati prendere la mano da una nobile ideologia e siamo stati portati quindi spesso a cedere noi. Qui mi sembra sia il caso di occuparci in primo luogo degli affari nostri.

Mendès-France, nella sua maniera di trattare è spesso brutale, sempre realista. Credo che sia molto meglio per noi metterci sullo stesso terreno, piuttosto che cercare di spaziare nelle idee generali. Lui difende gli interessi della Francia, noi i nostri. L’importante, a tutti i fini, è di lasciargli una buona speranza, di potere, in un certo tempo e misura, indurci ai suoi fini; solo così potrà rimanergli desto un certo interesse, in tante cose di ogni giorno, a tenerci di buon umore. Allo stesso tempo, potremmo meglio vedere come si svolgono le cose, come maturano le differenti situazioni, vederci un po’ pichiaro in una parola. Si intende naturalmente che non dovremmo domandare la luna: e, in ogni caso, domandare cose di reale interesse per noi e non questioni un po’ vaghe di prestigio.

Mi sono permesso di fare presenti tutte queste considerazioni all’E.V., perché mi sembra che una decisione di massima su quello che intendiamo fare, e sugli obiettivi che vorremmo raggiungere, dovrebbe precedere qualsiasi disamina del testo. Soltanto quando avremo deciso quali saranno le nostre direttive, potremo vedere quali delle disposizioni specifiche del progetto francese siano per noi accettabili e quali no, e quali modificazioni eventualmente occorra suggerire. Per questo stesso non mi sembrerebbe il caso di presentare noi un nostro progetto: basterebbe mettere in chiaro delle idee generali, su quello che interessa noi, e preferibilmente in conversazioni bilaterali e non in seduta pubblica. Tanto, la conferenza che si inizia il 17 sarà lunga e difficile: non ci mancheranno quindi occasioni di prendere delle iniziative quando si saprà un po’ meglio come la situazione si evolve.

La prego di credere, Signor Ministro, ai sensi del mio devoto ossequio.

P. Quaroni

1 DGAP, Uff. V, UEO, b. 13, fasc. UEO. Pool Armamenti, fasc. 1, gennaio 1955. 2 Il documento reca l’annotazione di Rossi Longhi: «Visto dal Ministro. 8.1.55». 3 Vedi D. 255.

257

L’AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI, AL MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI(1)

Telespr. riservato 0025/112. Parigi, 6 gennaio 19553.

Oggetto: Episodi del dibattito sugli Accordi di Parigi e posizione Mendès-France.

Dopo i dibattiti per la ratifica degli Accordi di Parigi, il torbido fondo parlamentare si sta chiarificando e le notizie che vengono a galla, sempre piconfermano la violenza di quella che stava per essere una battaglia perduta di Mendès-France e della politica occidentale. Ci si rende sempre piconto che, razionalmente o irrazionalmente, tutti i deputati erano presi da una crisi di coscienza che, vista dall’estero, pusembrare aberrante, ma che qui si comprende meglio nel clima inquieto, sospettoso, memore di secolari minaccie, che è quello del francese medio. La stessa illogicità del deputato il quale, nel corso di tutti quei giorni e tutte quelle votazioni, ha pivolte cambiato idea e diversamente votato, dimostra quanto l’incoerenza fosse dovuta alle passioni. Un brillante polemista diceva, in quei giorni, «le Palais Bourbon est devenu le carrefour des enfants perdus» ... Si racconta che la moglie del Generale e Deputato Monsabert abbia detto in una tribuna della Camera: «Io sono contro questi Accordi di Parigi. Mio marito è favorevole. Quindi, si asterrà». Persone vive e decise, come Paul Reynaud, dopo aver spiegato che il rigetto degli Accordi di Parigi avrebbe significato una vittoria comunista, decidevano in alcune votazioni, di astenersi. Pinay stesso fu oscillante e, disperato per le ancora maggiori esitazioni del suo Gruppo di Indipendenti, minacciava di dimettersi da tale Gruppo «dove non si faceva che della bassa politica elettorale». Da notare, che Pinay si è sottratto, nel corso di questa crisi, a quella parte di Capo dell’opposizione che molti gli attribuivano. Nel corso dei confusi dibattiti, mentre le delegazioni comuniste inondavano tutti i pianerottoli parlamentari (so da precise fonti che due ciechi di guerra ed un orrendo mutilato, sfregiato nel volto si presentarono alla Signora Mendès-France per impaurirla, e per invitarla a convincere il marito contro il «riarmo tedesco») e le minaccie volavano assai fitte, il deputato Fonlupt-Espéraber dichiarava di voler rompere con la vita parlamentare.

Si era vicini al punto di rottura. Nel pomeriggio dell’ultima votazione, il mio pidiretto collaboratore si trovava al Gabinetto di Mendès-France e poté vivere un’ora di quella drammatica atmosfera quando i fedeli di Mendès-France calcolavano che egli non avrebbe potuto avere pidi qualche voto di maggioranza che, molto facilmente, se le sue forze fisiche lo avessero abbandonato al momento degli ultimi interventi, avrebbero potuto trasformarsi in voti negativi. Anche visibilmente, dalla tribuna diplomatica donde seguivo i dibattiti dell’ultima giornata, era facile scorgere, in quel formicolio quasi esaltato, una particolare nota di asprezza e di rabbie contrastanti. Gli avversari erano ricorsi a tutti i mezzi ed il Governo fu costretto ad interpellare ed ottenere il visto, nel breve giro di un’ora, dal Consiglio di Stato sull’ultima redazione del progetto di legge di ratifica e questo per parare ad un’ultima manovra dell’opposizione. Non si trattava neanche di un’opposizione in senso classico, ma di un coacervo di sentimenti elementari e di malcontento confuso e disorientato. Secondo gli uomini di Mendès-France, vi era un complotto che faceva sopratutto capo a Bidault e Pleven e che doveva (ratificate ‒con le votazioni precedenti ‒le convenzioni più dure come quella sul riarmo tedesco) far cadere Mendès sull’ultimo testo. Essi avrebbero raccolto i frutti della nuova vacanza governativa e avrebbero fatto credere ai parlamentari meno qualificati di avere, nel frattempo, ottenute nuove garanzie sul tutto. Nelle ultime ore, da parte di Mendès France, si chiesero ed ottennero pareri di vari giuristi e questi pareri furono comunicati indirettamente agli avversari: se Mendès-France fosse caduto, i suoi successori non avrebbero potuto valersi di quanto era già stato ratificato, perché il complesso era inscindibile, ma avrebbero dovuto ricominciare tutto da capo. Non credo che questo abbia fatto molta impressione, ma tanto segnalo per dare qualche esempio del rovente clima.

Oggi i Mendisti dicono che la CED avrebbe, specialmente se approvata, diviso molto maggiormente il Paese che non gli Accordi di Parigi. Ma io mi domando come sia possibile una maggiore divisione e dispersione di volontà. Tutti i partiti si sono, di fatto, spaccati in queste votazioni. Niente di definitivo in ci perche le usanze parlamentari sono ormai, qui, quelle che sono e per gli attriti interni vi sono sempre delle colle contingenti, ma sufficienti. Quello che puimpressionare ed inquietare è il grado cui giunge, nei dibattiti sugli Accordi di Parigi, la passione di parte. È inutile parlare, come sempre si fa, delle divergenze tra il Paese reale ed il Paese legale: c’era, sì, una maggiore ostilità agli Accordi nel Parlamento che non nel Paese, ma il Parlamento esiste, siede e vota ed è lui che conta. Ora, l’accanimento contro Mendès-France, innestato sull’odio verso la Germania, sull’incantamento progressista, sul neutralismo ad ogni costo e sulla campagna comunista fuori e dentro il Parlamento, sono dei sentimenti senza dubbio preoccupanti.

Tutti sanno che questi sentimenti e le fasi stesse del dibattito hanno lasciato Mendès-France ed il suo «regime» profondamente feriti. Essi hanno, forse, una palla nel petto, ma non si punon ammirare il coraggio e lo spirito di quasi messianica continuità, con la quale Mendès-France riprende a vivere ed a preparare progetti (anche radicali, come quello sul nuovo sistema di scrutinio elettorale) e tutto questo sub specie et [sic] aeternitatis. Non so se egli starà o, nei prossini mesi, cadrà, ma certo condivido la robusta frase di un «pamphlétaire» parigino: «Mendès puessere moribondo. Ma, se muore, muore portandosi nell’oltre tomba tutte le chiavi di casa. Dove è passato il suo cavallo, l’erba pinon rispunterà». Puanche darsi che noi assistiamo invece ad una singolare riviviscenza politica di quest’uomo che esce, indubbiamente, ingigantito da una settimana drammatica di dibattiti parlamentari sugli Accordi per l’Occidente, in cui gli episodi surriferiti, e tanti altri, hanno dimostrato quale sia la confusione, ma anche l’imponenza dello schieramento a lui avverso. Intanto, Mendès-France ha compiuto e concluso il suo grande miracolo personale: venuto al potere tra la spessa e totale diffidenza degli Americani e di gran parte degli «occidentali» d’Occidente, Mendès-France, quando cadrà, cadrà tra il rimpianto degli Americani e di tanti Europei.

1 DGAP, Uff. V, UEO, b. 11, fasc. UEO. Unione Europea Occidentale - parte generale, fasc. 1, 1° genn.-28 febb. 1955

2 Sottoscrizione autografa.

3 Il documento reca, per palese errore materiale di trascrizione, la data del 1954.

258

L’INCARICATO D’AFFARI A LONDRA, THEODOLI, AL MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI(1)

T. segreto 264/3. Londra, 8 gennaio 1955, ore 20,20 (perv. ore 8,15 del 9).

Telegramma di V.E. 22/c.2.

Ho consegnato stamane la lettera di V.E. per Eden. Caccia mi ha anzitutto ripetuto quanto già mi aveva detto Hood circa l’andamento delle discussioni a Parigi fra i Ministri degli Esteri dell’UEO (mio telegramma 396)3. Secondo l’opinione britannica l’andamento della discussione aveva fatto prevalere il criterio di scelta in base alle qualifiche tecniche dei candidati e non della loro nazionalità. Giusta tale criterio era stata inviata ieri dal Foreign Office una lettera al Segretario Generale Commissione ad interim segnalando il nominativo dell’Ammiraglio Dick. Caccia mi ha detto che riteneva dovermi precisare quanto sopra giacché la formulazione della nostra lettera lo aveva un po’ sorpreso e non voleva d’altro canto che noi rimanessimo sotto l’impressione che il Governo inglese eludesse gli impegni di massima presi a Parigi.

Eden pernon aveva alcun speciale interesse a che il posto fosse attribuito ad un cittadino britannico e sarebbe lieto se prevalesse la candidatura italiana. Caccia non poteva tuttavia nascondermi che la personalità da noi proposta non gli sembrava la piadatta tanto piche proprio nella riunione di Parigi si era manifestato l’orientamento verso la scelta di un Ammiraglio o di un Generale non piin attività di servizio. Caccia aggiungeva che la posizione dell’Onorevole Lombardo gli sembrava sproporzionata al ruolo di Direttore di Agenzia tanto piche almeno finché il riarmo Germania non sarà in atto la sua attività sarà molto limitata. Comunque Caccia ha suggerito che la questione venga discussa nelle prossime sedute della Commissione ad interim che avrà luogo probabilmente la terza decade di Gennaio(4).

Telegrammi segreti originali 1955, arrivo e partenza, vol. Germania-Jugoslavia.

2 Vedi D. 251.

3 Vedi D. 246.

4 Per il seguito vedi D. 290.

259

IL VICE DIRETTORE GENERALE DELL’EMIGRAZIONE, BOUNOUS, ALLA DIREZIONE GENERALE DELLA COOPERAZIONE INTERNAZIONALE(1)

Appunto 65/12432. Roma, 10 gennaio 1955.

Oggetto: Unione Europea Occidentale – Attività economica sociale e culturale.

1. Questa Direzione Generale ha esaminato il Promemoria del Segretariato Generale dell’Organizzazione del Trattato di Bruxelles allegato all’appunto n. 20/02778 di codesta Direzione Generale(3).

Dal documento risulta che la Cooperazione Sociale tra gli Stati aderenti al Trattato di Bruxelles, prevista dall’art. 2 dello stesso, è affidata ad un apposito organo, il Comitato Sociale, al quale fanno capo numerosi Sottocomitati (Sottocomitato della Manodopera, della Sicurezza ed Igiene Industriale, della Sicurezza Sociale – Gruppi di Lavoro degli Statistici).

Durante il periodo di attività del Comitato Sociale nell’ambito del Trattato di Bruxelles sono state concluse numerose convenzioni in materia di lavoro (Cooperazione tra i servizi dell’impiego per gli scambi di manodopera, convenzione relativa ai lavoratori di frontiere, ecc.) nonché vari studi comuni su principi generali da applicarsi ai problemi sociali (formazione professionale, cooperazione fra i Governi – datori di lavoro e lavoratori, possibilità di impiego di lavoratori stranieri e delle loro famiglie, scambi di giovani lavoratori ecc.).

2. Sembra essere indispensabile che il settore del Comitato Sociale e relativi sottocomitati della costituenda UEO venga affidato, in analogia a quanto è stato a suo tempo stabilito per gli organismi internazionali rientranti sotto la giurisdizione di altre Direzioni Generali, alla competenza diretta della Direzione Generale Emigrazione.

Ciconsentirà alla Direzione Generale scrivente di svolgere un’azione diretta a favorire i movimenti migratori e sviluppare sempre pila libertà di circolazione della manodopera anche in seno all’Unione Europea Occidentale.

3. Appare opportuno impostare sin da ora l’azione che dovrà essere condotta da parte italiana al momento in cui si stabiliranno, in sede di dettaglio, le attribuzioni ed i fini del Comitato Sociale nell’ambito dell’UEO.

In primo luogo: dovranno essere tenute presenti le esperienze già realizzate o quelle in corso di realizzazione nel quadro di altre organizzazioni collettive europee. Appare, infatti, indispensabile evitare non solo inutili ripetizioni, ma anche ogni genere di doppio impiego.

Tale primo punto si presenta sotto aspetti particolarmente delicati che si possono riassumere in due specifici ordini di idee soprattutto se si considera il fatto che il Comitato Sociale in questione esiste ed opera già da alcuni anni nel quadro del Trattato di Bruxelles.

Tale circostanza da una parte pone l’esigenza di non veder scomparire orientamenti e misure utili ai nostri intendimenti d’integrazione europea anche nel settore sociale; dall’altra consiglia di non assorbire nel nuovo quadro dell’UEO formule che risultino sorpassate o meglio assolte in altre sedi.

Sotto questo aspetto occorrerà pertanto svolgere un accurato esame dei disposti che regolavano finora l’attività del predetto Comitato Sociale di Bruxelles onde evitare che venga compromessa la politica sociale e della manodopera che il Governo italiano intende certamente svolgere in seno all’UEO, dando l’opportunità, a chi ne avesse l’interesse, di proporre al Comitato Sociale a scopo dilatorio, lo studio di questioni già esaminate ed impostate in altre sedi. Ciavrebbe come solo risultato di paralizzare per lunghi periodi di tempo l’attività del Comitato stesso.

In secondo luogo, sembrerebbe utile avviare in seno al Comitato Sociale dell’UEO, un’azione tendente a realizzare e stimolare in materia sociale una linea di condotta comune ai Paesi dell’Unione che dovrebbero agire solidamente e con intendimenti d’avanguardia in seno alle altre organizzazioni internazionali europee ed extraeuropee. Si dovrebbe, in particolare, cercare di fare del Comitato Sociale un organismo che inquadri le varie questioni tecniche dal punto di vista politico dell’Unione, vuoi allorché esse sorgono e vengono discusse presso altri organismi internazionali, vuoi per dare alle stesse applicazione piunitaria e piavanzata per quanto concerne il circuito dell’Unione stessa. In altre parole il Comitato Sociale dell’UEO dovrebbe agire direttamente in sede propria e, indirettamente, nei confronti di altre iniziative come elemento catalizzatore dell’idea d’integrazione europea, dato che il fine ultimo dell’Unione stessa sia di realizzare gradualmente tale integrazione in tutti i settori, valendosi del numero piristretto e della maggiore omogeneità degli Stati membri.

In terzo luogo, sembrerebbe opportuno riprendere in seno al nuovo Comitato Sociale quei lavori e quei primi orientamenti, favorevoli ai nostri interessi, che in passato avevano formato l’oggetto dei lavori della speciale Commissione cui era stato affidato il compito di mettere a fuoco il contenuto economico, e quindi anche sociale, di quella che avrebbe dovuto essere la Comunità Politica Europea.

4. Altra osservazione che puessere formulata concerne il Segretariato. Dalle informazioni fino a questo momento pervenute sembra che il Segretariato dell’Organizzazione del Trattato di Bruxelles sia stato fin qui composto in prevalenza da funzionari di nazionalità britannica. Appare estremamente utile impostare fin da ora il problema dei funzionari italiani in seno al Comitato sociale. Oltre all’evidente nostro interesse ad avere il maggior numero possibile di funzionari nel Comitato, sembra opportuno che questi vengano scelti con particolari criteri. La scelta dovrebbe fondarsi sulla esperienza di tali funzionari in materia di politica sociale ed in particolare della manodopera. Un suggerimento che potrebbe essere formulato al riguardo sarebbe quello di designare come funzionari italiani nel Segretariato del Comitato sociale alcuni tra quei funzionari internazionali che abbiano già una approfondita esperienza in materia di politica sociale e della manodopera per aver prestato per lungo tempo la loro opera in tale settore in seno ad organismi internazionali.

Potrebbero ad esempio essere utilizzati alcuni tra i funzionari internazionali di nazionalità italiana che hanno per lunghi anni prestato servizio presso l’OECE e la NATO. Tali funzionari dei due menzionati organismi potrebbero essere sostituiti senza eccessive difficoltà, in quanto sia nell’OECE che nella NATO, le attività nel campo sociale sono già chiaramente delineate anche sotto il profilo dei loro riflessi politici.

5. Per quanto si riferisce alla riunione ad alto livello tecnico dell’UEO, della quale non si conosce sino a questo momento l’ordine del giorno e che avrà luogo in Parigi il 17 gennaio p.v., si sarà grati a codesta Direzione Generale se vorrà cortesemente considerare l’utilità che la Direzione Generale dell’Emigrazione venga rappresentata da un funzionario, qualora nell’agenda siano inclusi argomenti che abbiano attinenza con l’attività del Comitato Sociale.

1 DGAP, Uff. I, Serie Affari Politici, 1951-1957, b. 409, fasc. Unione Europea Occidentale, dal 23 ottobre 1954.

2 Indirizzato per conoscenza alla Segreteria Generale, alle Direzioni Generali degli Affari Politici, degli Affari Economici e delle Relazioni Culturali e al Servizio Stampa. Sottoscrizione autografa.

3 Vedi D. 197, nota 3.

260

COLLOQUI DEL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, SCELBA, E DEL MINISTRO DEGLI AFFARI ESTERI, MARTINO, CON IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO FRANCESE, MENDÈS FRANCE (Roma, Villa Madama, 11-12 gennaio 1955)1

Appunto riservato(2).

Visita a Roma del Presidente del Consiglio francese Mendès-France. Traccia riassuntiva delle conversazioni sui problemi politici.

RIUNIONE A VILLA MADAMA A LIVELLO MINISTRI DELL’11 GENNAIO 1955

Esaurita una rassegna delle principali questioni tecniche trattate a livello funzionari la conversazione verte sulle questioni politiche all’ordine del giorno.

MENDÈS-FRANCE: Premette alcune considerazioni di politica interna francese (alle quali aveva già fatto cenno nel breve colloquio del mattino con S. E. Scelba) per affermare che sarebbe in errore chi volesse giudicare l’atteggiamento della Francia di fronte all’UEO sulla base dell’ultimo voto dell’Assemblea sugli Accordi di Parigi. Vi erano state – egli ha detto – su tali accordi 5 o 6 votazioni ed in alcune di esse erano stati raggiunti oltre 100 voti di maggioranza e molte delle astensioni miravano a marcare il rimpianto per la CED non a registrare una opposizione alla politica estera del Governo. Ha proseguito Mendès-France: non si è lontani dalla realtà affermando che tale politica ha l’appoggio, anche se non l’espresso assenso, di due terzi dell’Assemblea.

Per quanto riguarda poi l’approvazione degli Accordi di Parigi da parte del Consiglio della Repubblica, puprevedersi che questa avrà luogo senza eccessive difficoltà entro il mese di febbraio. Il mese di febbraio sarà un mese importante perché vedrà la ratifica degli Accordi di Parigi anche da parte del Senato italiano, del Bundestag e del Parlamento Belga. Il mese prossimo avremo una situazione diplomatica chiarita anche se saremo confrontati dal problema dell’esecuzione degli Accordi di Parigi.

Noi attribuiamo molta importanza agli sviluppi dell’UEO. Per noi l’UEO non è solo uno strumento per realizzare il riarmo tedesco e garantirci da una minaccia sovietica, ma anche e soprattutto uno strumento di solidarietà e di cooperazione europea al quale attribuiamo una importanza fondamentale.

C’è una tendenza a voler diminuire l’UEO a profitto della NATO. Noi non vogliamo doppioni e pertanto l’UEO non dovrà trattare problemi già trattati dalla NATO. Ma una organica cellula europea va costituita e sviluppata sul piano militare e politico, come su quello economico e culturale. Facciamo parte della NATO ma è necessario che fra gli Stati Europei abbiano luogo certe discussioni e certe decisioni siano prese in comune.

Sappiamo che incontreremo delle difficoltà. La Gran Bretagna ha delle reticenze e delle esitazioni a seguirci. Esitazioni che la Francia comprende perché ha anche essa dei territori oltre mare. Nonostante cisperiamo di poter attirare gli inglesi verso forme piavanzate di collaborazione europea. Ha regnato al riguardo sempre il maggior scetticismo, eppure il 1954 ha visto da parte dell’Inghilterra un gesto di rinuncia alla sovranità di portata storica quale quello dell’impegno a non ritirare le proprie truppe dall’Europa senza l’approvazione a maggioranza dell’UEO. Dobbiamo perseverare e spingerla piavanti e c’è, credo, da sperare per l’avvenire.

Per quanto riguarda l’Agenzia per gli armamenti esiste un memorandum francese(3) che pucostituire un’utile base di discussione. Le nostre proposte possono essere migliorate con il contributo di tutti e siamo disposti a degli «assouplissements». Per esempio non avremmo nulla in contrario a spostare la data del 1° gennaio 1957 se questa data è considerata troppo vicina. Quello che è importante è che il principio di una stretta collaborazione nel campo della fabbricazione degli armamenti sia accolto e ciper ragioni politiche oltre che economiche.

Ora noi vogliamo che la produzione degli armamenti sia organizzata in maniera ragionevole e non comporti vantaggi per gli uni o svantaggi per gli altri. L’Agenzia deve essere uno strumento di ripartizione delle commesse nell’interesse di tutti e riteniamo che se lo spirito sarà quello della cooperazione le difficoltà non dovrebbero essere insormontabili.

Noi siamo favorevoli a che la direzione dell’Agenzia sia affidata ad un italiano. Bisogna che troviate un uomo di esperienza sul piano tecnico ed amministrativo. Se posso permettermi di dare dei consigli dovreste sottoporre agli altri Paesi dell’UEO tre nomi con qualifiche diverse (un militare, un ingegnere, un amministratore). Noi appoggeremo comunque una candidatura italiana.

Circa il problema se debba esistere una sola Agenzia incaricata sia della produzione che del controllo o due Agenzie distinte, io sono personalmente per un solo organismo. Non abbiamo interesse a moltiplicare gli organismi ed il controllo sarà ancora piefficace se esercitato da un organismo che ha anche compiti produttivi. Le idee sono divise anche in Francia, ma personalmente io sono per una sola Agenzia.

Per quanto concerne la Sarre siamo giunti ad un accordo che è lungi dall’essere perfetto ma che è forse ragionevole come indurrebbe a pensare la circostanza che esso è giudicato in Francia come troppo favorevole alla Germania ed in Germania come troppo favorevole alla Francia.

Lo Statuto della Sarre è indispensabile per mettere fine ad una controversia che è di ostacolo alla collaborazione tra i due Paesi. Prima della messa in vigore dello Statuto la popolazione della Sarre dovrà essere interpellata attraverso un referendum sotto controllo internazionale. I Paesi che dovrebbero esercitare tale controllo sono i Paesi dell’Europa occidentale ad esclusione della Francia e della Germania. Vi domanderemo pertanto di partecipare alla supervisione del referendum per certificarne la probità.

Per quanto riguarda il Commissario non sarà né francese né tedesco, né sarrese. Dovrà essere una personalità dell’Europa occidentale. Ma la Sarre ha un Governo e la popolazione non è minorenne, e soli i problemi della politica estera e della difesa dovranno essere di competenza del Commissario sotto il controllo dell’UEO.

MARTINO: Noi abbiamo in Italia, come voi, i nostri problemi. Da noi gli europeisti convinti sono la maggioranza. Ebbene i nostri europeisti hanno la sensazione che l’UEO non realizzerà l’integrazione dell’Europa e anzi temono che essa possa svuotare e far morire la CECA. Per tranquillizzare gli europeisti occorre poter dimostrare che la UEO non ha soltanto scopi militari, ma anche economici e sociali. Occorre dare maggiori poteri alla Assemblea, perché non basta la sola discussione del rapporto ed occorre dare la sensazione che si vuole far vivere la CECA, che si vuole, anzi, valorizzarla. A tal fine si potrebbe pensare ad un agganciamento pool-CECA, parallelo all’agganciamento del meccanismo di controllo con la NATO, per quanto io sia d’accordo con voi sull’opportunità di una sola Agenzia e per la produzione e per il controllo degli armamenti.

Vi ringrazio per le assicurazioni date per la candidatura italiana al posto del direttore dell’Agenzia. Noi abbiamo fatto il nome di Lombardo che pensiamo possa coprire la carica con competenza e decoro. Ma gli inglesi ci hanno risposto che non si ricordano di averci dato degli affidamenti e hanno avanzato la candidatura di un loro militare per la carica di controllore. Ora non bisogna dimenticare che l’Inghilterra è il solo paese che non è controllato. D’altra parte non abbiamo nulla in contrario a sottoporre degli altri nominativi oltre quello di Lombardo.

Per quanto riguarda il progetto francese di «pool» noi siamo in linea di principio favorevoli, ma ci riserviamo di esaminarlo nei suoi aspetti tecnici purché si tenga conto delle nostre esigenze economiche soprattutto per quanto concerne l’impiego della nostra mano d’opera e lo sviluppo di zone depresse quali la Sicilia e la Sardegna che non sono strategicamente esposte.

Per quanto riguarda un accordo economico bilaterale franco-tedesco desidereremmo avere l’assicurazione che questo non escluderebbe l’Italia.

MENDÈS-FRANCE: Sono stato felice di ascoltarvi e non rispondo certo per contraddirvi.

Uno stato d’animo di europeismo deluso esiste anche in Francia. Bisogna dare a questi idealisti europeisti la sensazione che essi non hanno motivo di scoraggiarsi ed occorre dissipare i timori nutriti per la CECA. Le dimissioni di Monnet sono state spiacevoli: esse sono dipese dal fallimento della CED, ma anche da difficoltà interne in seno alla CECA. Il caso Monnet ha creato una situazione delicata ed è stato piche opportuno ai fini di una soluzione il giro che Pella ha iniziato. Lo vedrdomenica [il 16] a Parigi dopo aver visto Adenauer.

La Francia farà conoscere l’interesse che porta a che la CECA lavori e svolga al massimo i propri compiti senza per il momento assumerne dei nuovi. Il problema di un collegamento pool-CECA si porrà pitardi. In un primo tempo almeno non sono sicuro che sarebbe una buona idea.

Il nostro progetto di pool comprende due periodi. Un primo periodo di orientamento e un secondo periodo, a partire dal gennaio 1957, che dovrebbe segnare l’inizio della supernazionalità. Ora nel primo periodo almeno non credo possano esserci contrasti con la CECA.

Bisogna tener conto quando si parla di supernazionalità che in Francia ci sono gli europeisti, ma ci sono anche gli antieuropeisti. Fra gli uni e gli altri c’è un settore tiepido che cerchiamo di attirare con l’integrazione nel campo degli armamenti. Con l’argomento della «sicurezza» siamo riusciti ad attrarre verso le nostre concezioni dei gollisti come Soustelle.

SCELBA: Ma i gollisti che aderiscono al pool lo fanno con animo antitedesco.

MENDÈS-FRANCE: Dobbiamo utilizzare tutti i moventi e soprattutto dobbiamo tenere conto di tutte le suscettibilità. Se a questo settore dell’opinione pubblica dicessimo che la CECA è investita delle funzioni dell’Agenzia perderemmo delle adesioni. Ci vuole prudenza, per il momento limitiamoci a dar modo alla CECA di svolgere le sue funzioni e risolviamo la questione della presidenza.

Per quanto riguarda l’Assemblea sono d’accordo con voi sull’opportunità di aumentare i poteri e lascio a voi di avanzare delle proposte al riguardo.

Circa la collaborazione economica franco-tedesca non abbiamo dettagli da fornirvi perché siamo ancora all’inizio: non abbiamo noi stessi idee concrete al riguardo. Certo non faremo nessun club chiuso, né abbiamo in mente progetti esclusivisti. Le stesse forme di collaborazione saranno aperte a voi. Di questo parlercon Adenauer e vi terrinformati.

RIUNIONE A VILLA MADAMA A LIVELLO MINISTRI DEL 12 GENNAIO 1955

La conversazione ha inizio con delle precisazioni e delle dichiarazioni puntuali del Presidente del Consiglio Italiano.

SCELBA: L’Agenzia per la produzione non è prevista dagli Accordi di Londra ed è necessario evitare che serva a discriminare contro la Germania. Non siamo, in linea di principio, in disaccordo con l’idea di creare tale Agenzia ma occorre che essa non provochi una riduzione della produzione italiana e tenga conto del problema della mano d’opera italiana e delle zone meridionali italiane non strategicamente esposte. L’Agenzia non deve interferire con l’aiuto americano e con le commesse americane, dirette a potenziare la resistenza non solo militare ma anche economica dell’Europa Occidentale.

Occorre che l’Agenzia non sovverta la CECA. Non abbiamo nulla in contrario al trasferimento della CECA a Saarbrken purché cinon significhi una diminuzione dell’importanza della CECA.

Siamo pronti a dare il nostro contributo ad un miglioramento dei rapporti est-ovest ma riteniamo necessaria una politica unitaria da parte dell’Occidente. Occorre evitare pertanto le iniziative individuali. Siamo d’accordo che non bisogna rimanere immobili ma pensiamo anche sia dannoso agire per agire. L’annuncio di una conferenza per maggio ci sembra prematuro. Sarebbe meglio dire: a tre mesi dal deposito delle ratifiche. L’Italia non essendo chiamata ad una conferenza a quattro non ha responsabilità dirette. Riteniamo, peraltro, quanto mai opportuno che sia previamente fissata l’Agenda della Conferenza. È sul terreno concreto che si saggia la effettiva volontà di trattare dell’URSS e le impostazioni generiche sono da evitare perché finiscono per giovare alla propaganda sovietica. Ma quello che occorre soprattutto evitare sono gli alti e bassi tra distensione e riarmo. Questa altalena turba profondamente la pubblica opinione: lo abbiamo detto anche agli inglesi.

È sul terreno psicologico che l’URSS cerca di battere l’occidente e pertanto il problema della propaganda e della guerra psicologica deve essere oggetto di un esame approfondito.

Esiste in Italia un forte Partito Comunista che si appoggia sul Partito Socialista. Entrambi cercano di sfruttare ogni sintomo di disaccordo tra l’Europa e l’America. Europa ed America non possono fare a meno l’una dell’altra e quindi il Patto Atlantico non è transitorio. L’accordo con gli Stati Uniti è necessario per lunghi anni, almeno fino a quando l’Europa non avrà organizzato la propria difesa. Fino allora è necessario evitare ogni divisione che possa incoraggiare l’avversario.

Desideriamo sapere quale è la posizione francese di fronte alla questione dell’ammissione della Cina all’ONU. Ove questa dovesse aver luogo riteniamo che non possa essere dissociata dalla contemporanea ammissione dell’Italia la cui esclusione dall’ONU costituisce una grande ingiustizia che è vivamente sentita dalla opinione pubblica.

Desidereremmo, infine, conoscere quale è la posizione della Francia nel problema dello sviluppo dei rapporti commerciali con l’Est.

MENDÈS FRANCE: Ho ascoltato con molto interesse le affermazioni di S.E. Scelba. Per quanto concerne l’Agenzia non è nelle nostre intenzioni quella di impiegarla per diminuire il potenziale difensivo della Germania. Si tratta di prendere delle misure coordinate sul piano della cooperazione economica della divisione del lavoro e della standardizzazione non di divisare un metodo indiretto per diminuire il potenziale militare tedesco. L’ho detto e lo ripeteral Cancelliere Adenauer. Non si cerchino «arrière-pensées» dietro le nostre proposte. Non è bene nelle relazioni internazionali attribuire agli altri delle «arrière-pensées» malevole. Per quanto riguarda le preoccupazioni italiane credo di averle capite. Si tratta di non turbare l’economia italiana. Sappiamo che voi avete dei problemi di sviluppo e occupazionali e siamo pronti a studiare la modalità per evitare inconvenienti di natura economica.

Noi riteniamo che l’Agenzia sarà vantaggiosa per tutti. Consentirà innanzitutto di fabbricare le armi in serie e con la stessa spesa avremo picose o avremo le stesse cose con minor spesa. Ma avremo anche un armamento omogeneo il che è molto importante per paesi che potrebbero trovarsi a dover combattere uniti. Non penso che l’Agenzia possa creare disoccupazione e non vedo nulla che si opponga alla creazione di industrie belliche nell’Italia del Sud alla stessa stregua che nell’Africa del Nord. Nel caso si pensi all’impianto di nuove fabbriche d’armi, l’idea puessere ragionevolmente difesa.

Per quanto riguarda la ripartizione dell’aiuto americano ci sono diversi tipi di aiuto americano: una forma è quella dell’aiuto in materiali («end items»). A nostro avviso tale aiuto dovrebbe essere distribuito per il tramite dell’Agenzia così come si era pensato per la CED. Quanto meno, il programma di distribuzione dovrebbe essere previamente sottoposto all’Agenzia e messo in discussione perché non sarebbe ragionevole che l’Agenzia facesse dei programmi di armamento ignorando l’aiuto americano. Il coordinamento è in questo campo essenziale. Confidiamo che accetterete di sostenere la nostra tesi che ci sembra logica.

Per quanto riguarda l’«off-shore» questo si suddivide in due categorie: quello per l’impiego nel Paese presso cui viene collocata la commessa e quello per l’impiego altrove.

Questo secondo tipo di «off-shore» non si differenzia da una normale esportazione. Comunque anche le commesse del primo tipo hanno una funzione oltre che militare economica.

L’Agenzia non punon tenere conto di questo. Non perderemo di vista per la sicurezza esterna la sicurezza interna. Potete essere sicuri che sarà previsto e scritto che l’Agenzia dovrà curare l’armonizzazione delle produzioni industriali per l’armamento anche al fine di risparmiare ai paesi aderenti contraccolpi economici. Certo l’ideale sarebbe che anche nel campo dell’«off-shore» l’Agenzia avesse la totalità dei compiti. Ma è un ideale che solleva delle critiche e dopo tutto sono gli americani che pagano.

Pisi andrà lontano nella via dell’unità dei programmi e meglio sarà. Noi siamo di questa idea ma sappiamo che non tutti sono di quest’avviso ed è difficile raggiungere l’ideale.

Voi avete riaffermato l’attaccamento dell’Italia alla CECA. Ma anche nel pool c’è un importante elemento di supernazionalità. Ci sono dei paesi che sono meno favorevoli di noi al supernazionale e bisogna procedere per tappe per superare le difficoltà che si frappongono sul nostro cammino.

Non vedo il pericolo da voi paventato che il «pool» possa svuotare la CECA. I compiti della CECA sono ben definiti: riguardano il carbone e l’acciaio. Ora il settore carbone-acciaio ha dei punti di contatto con l’armamento ma il problema degli armamenti non si esaurisce in tale settore. Basti pensare all’aviazione e al materiale elettronico che con il carbone e l’acciaio hanno ben poco a che fare. Si tratta di settori distinti che non si disturbano.

Senza dubbio la CECA ha subito lo «choc» psicologico del fallimento della CED. Il miglior modo per la CECA di consolidarsi è quello di affrontare i problemi che ha finora evitato di affrontare nel campo delle proprie specifiche competenze quali la canalizzazione della Mosella e la ripartizione dei carichi sociali.

Il trasferimento a Saarbrken ci sta a cuore perché vogliamo fare della Sarre un territorio europeo. Ci rendiamo conto che tale trasferimento dispiaccia ai lussemburghesi, ma è possibile un compromesso: lasciare a Lussemburgo qualche organo della CECA (l’Assemblea o la Corte), o fare, in compenso, del Lussemburgo la sede di qualche altra istituzione europea.

Certo è che il trasferimento della CECA a Saarbrken è una buona cosa per la Sarre ed è una buona cosa per la CECA.

Sui rapporti est-ovest ho già parlato ieri sera ma vorrei riassumere alcune idee fondamentali.

Noi siamo d’accordo con l’idea enunciata da S.E. Scelba che i paesi dell’Occidente debbono agire di concerto affinché i russi non rinnovino con noi il giuoco classico degli Orazi e dei Curiazi.

D’altra parte per fare una conferenza a quattro bisogna essere in quattro né avremmo alcuna voglia di trovarci soli faccia a faccia con i russi. Per questo sono d’accordo con voi che i paesi occidentali debbano agire d’accordo e quando parlo di paesi occidentali intendo non solo gli Stati Uniti, la Gran Bretagna e la Francia ma anche gli altri che debbono potersi concertare.

Detto questo debbo subito aggiungere che sono stato sempre colpito dall’inettitudine dei paesi dell’Occidente sul piano della propaganda. La Russia non ha mai cessato di prendere iniziative: siamo stati ad esempio bombardati di note sovietiche. Ora chi sa leggere i testi ha capito il lavoro propagandistico di queste note, ma l’opinione pubblica, per lo meno in Francia, è rimasta colpita dalla molteplicità delle iniziative sovietiche per la distensione e la pace. I non comunisti e gli stessi anticomunisti sono stati impressionati da queste iniziative. Anche chi non crede alle profferte sovietiche giudica che la pace sia una cosa troppo importante per non sondare l’effettiva volontà sovietica.

Un numero considerevole di deputati di tutti i partiti, anche di destra, è di questo parere: è questo un fenomeno estremamente grave di cui va tenuto conto.

Anche in Germania esiste un fenomeno del genere e avremmo torto a lasciare all’URSS l’iniziativa in questo campo. Occorre che anche noi facciamo qualcosa. Questa è la ragione delle mie proposte all’ONU.

Che cosa ho detto all’ONU? Ho detto: nessuna conferenza prima della ratifica ma ho detto anche che dopo la ratifica avremmo potuto considerare la possibilità di una conferenza. Calcolavo che il processo delle ratifiche avrebbe dovuto essere ultimato per febbraio-marzo, alla peggio per aprile e per questo ho parlato di maggio.

Credo che abbiamo interesse a dire fin d’ora che considerando acquisite le ratifiche siamo disposti ad una conversazione. L’argomento sovietico che la ratifica renda ogni conversazione inutile è un argomento che non regge di fronte all’opinione pubblica. Se i sovietici continuassero a valersi di questo argomento l’effetto sarebbe negativo. Ma se essi accettano delle conversazioni? Ho detto a New York che esse dovrebbero essere previamente preparate per via diplomatica se debbono avere una qualche «chance» di successo e con tutta la necessaria discrezione.

Se i russi si prestano ad una preparazione per via diplomatica il periodo preparatorio sarà indicativo della loro buona volontà.

Quali i soggetti di queste conversazioni? Tutti tranne uno: gli accordi di Parigi. Questi sono stati stretti fra di noi e non possono essere messi in causa.

All’infuori degli accordi di Parigi tutte le questioni in sospeso possono essere messe sul tappeto: dall’Austria al disarmo ed alla sicurezza europea.

Il problema piimportante ma anche il pidifficile rimane il problema tedesco: per questo non credo che siamo ancora pronti ad una soluzione. Non penso che la questione tedesca sia ancora matura. Occorre prima creare un nuovo clima di distensione e poi si vedrà.

Per quanto concerne l’ingresso della Cina nelle Nazioni Unite esiste una posizione francese distinta dall’americana. L’elemento piimportante dell’Alleanza occidentale sono gli Stati Uniti e per quanto concerne l’Asia riconosciamo agli Stati Uniti l’iniziativa.

Così se gli Stati Uniti daranno il consenso all’ingresso della Cina all’ONU starà bene, ove non lo diano non saremo noi a far premure.

Certo sarebbe scandaloso che la Cina entrasse e l’Italia no. Voi sapete quale è stata ed è la nostra politica: siamo stati molto dolenti della ingiustizia fatta all’Italia e difenderemo la vostra causa.

Per quanto riguarda il commercio est-ovest se avremo una distensione tale commercio potrà essere sviluppato ma non credo all’ampiezza di tali traffici. Se il volume sarà grande tanto meglio ma ne dubito.

Ora le idee che ho espresso a voi io le ho espresse agli inglesi ed agli americani e le esporrai tedeschi. Tali idee sono in discussione permanente tra noi e gli inglesi e gli americani; sono disposto a tenere al corrente anche voi.

1 DGAP, Segreteria, 1951-1958, b. 22, fasc. Rapporti importanti, 1955. Ed., nella traduzione francese, in DDF, 1955, vol. I, DD. 23 e 27.

2 Si conserva anche il processo verbale che, tuttavia, per quel che concerne le questioni politiche, si limita ad un mero elenco, mentre riporta per esteso la discussione sulle altre questioni in agenda: «Les Ministres ont procédé à l’examen des questions figurant à l’ordre du jour de leurs entretiens. Ont été examinées: I. Questions de politique générale: 1) Relations avec l’URSS; 2) Question allemande; 3) Question autrichienne; 4) Commerce Est-Ouest; II. Politique atlantique (Ajustement des vues françaises et italiennes sur l’alliance); III. Union Européenne Occidentale: Portée et développement éventuels de l’Union, Pool des armements, Coopération franco-italienne au sein de l’Union, Institutions européennes (répartition des charges; transfert éventuel du siège de la CECA à Sarrebruck; choix du Président de la CECA). Cesquestions ont fait l’objet d’un large échange de vues entre le Ministres et ont abouti à d’importantes conclusion» (Gabinetto, 1943-1958, b. 67, fasc. Incontro italo-francese). Un sunto di queste conversazioni fu inviato anche alle Ambasciate e Rappresentanze: vedi D. 263.

3 Vedi D. 252.

261

L’AMBASCIATORE A L’AJA, BENZONI, AL MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI(1)

Telespr. 59/362. L’Aja, 11 gennaio 1955.

Oggetto: Pool degli armamenti.

Il memorandum francese(3) circa il proposto pool degli armamenti qui presentato il 7 corrente non sembra aver rimosso, a quanto mi è stato detto a questo Ministero Esteri, le note obbiezioni di questo Governo, già manifestate nelle conferenze di Londra e Parigi.

Si persiste, in sostanza, nell’attribuire al progetto Mendès-France l’intento di perseguire due obiettivi essenziali: quello di assicurare all’industria degli armamenti francese una preminenza di fatto e quello di estendere e rinforzare il controllo sul riarmo della Germania occidentale; l’Olanda, importatrice di materiale bellico da paesi estranei al pool, non intende legarsi al progettato mercato chiuso e non ritiene saggia politica nei riguardi della Germania andare oltre i controlli sanzionati dagli accordi di Parigi.

Il «periodo transitorio» previsto nel memorandum francese sembra inoltre qui troppo breve in considerazione del tempo assai lungo che esigerà la messa in opera e la ratifica del progettato accordo sul pool.

Nell’opinione degli ortodossi in materia di integrazione europea, e tra questi, in prima linea, è il Ministro Beyen, il progetto francese verrebbe a creare un organo sopranazionale zoppo, in quanto sottrarrebbe ai parlamentari dei rispettivi Paesi l’esercizio del controllo pure lasciando ai rispettivi governi, in mancanza di una assemblea ad hoc, la piena responsabilità delle decisioni prese dall’organo stesso. È una critica, se si vuole, accademica, ma sotto l’accademia e l’ortodossia occorre scorgere in non indifferente misura l’avversione ad accogliere dalla iniziativa di Mendès-France, il quale si sobbarca fare il carnefice della CED, il sorgere di una CED in diciottesimo, intesa per giunta, come sempre accennato, a proteggere e promuovere essenzialmente interessi nazionali francesi.

1 DGAP, Uff. V, UEO, b. 13, fasc. UEO. Pool Armamenti, fasc. 1, gennaio 1955.

2 Sottoscrizione autografa.

3 Vedi D. 252.

262

IL MINISTRO A LUSSEMBURGO, CAVALLETTI, AL MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI(1)

T. segreto 446/20. Lussemburgo, 12 gennaio 1955, ore 11,20 (perv. ore 11,28).

Mio telegramma n. 172.

Il Presidente Pella ha esposto a Monnet l’idea già segnalata a V.E. che le dimissioni da Presidente dell’Alta Autorità vengano, su richiesta del Consiglio dei Ministri, rinviate fino a dopo la sessione ordinaria dell’Assemblea.

Pella mi ha detto che Monnet gli ha ripetuto la sua determinazione di lasciare il 10 febbraio p.v., e, con tale vigore, da escludere per ora l’eventualità che egli possa alla fine arrendersi alle pressanti richieste nel senso sopracitato.

Circa la candidatura Hirsch, Monnet, a dire di Pella, non la riterrebbe soddisfacente e tale da potersi imporre a legittima richiesta rotazione.

D’altra parte nei colloqui confidenziali con i singoli altri membri, questi hanno tutti – naturalmente mi astengo dal giudicare la sincerità – affermato non ambire la Presidenza.

Allo stato delle informazioni in mio possesso, il problema della Presidenza dell’Alta Autorità permane poiché tuttora completamente aperto(3).

1 Telegrammi segreti originali 1955, arrivo e partenza, vol. Libano-Russia.

2 T. segreto 388/17 dell’11 gennaio (ibidem) col quale Cavalletti riferiva la preoccupazione del Governo lussemburghese che si potesse individuare un nominativo adeguato per la successione a Monnet. Cavalletti aggiungeva che era stato pertanto accolto con sollievo il viaggio di Pella nelle sei capitali europee nella speranza che potesse contribuire al chiarimento della situazione.

3 Per il seguito vedi D. 273.

263

IL MINISTRO DEGLI AFFARI ESTERI, MARTINO, ALLA RAPPRESENTANZA PRESSO IL CONSIGLIO ATLANTICO(1)

T. segreto 334/9. Roma, 13 gennaio 1955, ore 21,30.

A seguito del mio numero 2022, la informo che nelle conversazioni svoltesi in occasione dell’incontro italo-francese si è anche proceduto ad uno scambio di idee sul progetto dell’Agenzia degli armamenti3, in vista del prossimo inizio dei lavori per la standardizzazione e produzione degli armamenti.

Abbiamo assicurato i francesi, che ci richiedevano del nostro pensiero in proposito, che ci apprestiamo a partecipare ai lavori di Parigi con buone disposizioni e con sincero intendimento perché il progetto venga preso in favorevole considerazione e possa costituire la base di una intesa generale. Abbiamo altresì detto che concordiamo, in linea di principio, circa gli obiettivi assegnati all’Agenzia ed abbiamo sottolineato il nostro speciale interesse su quei punti del progetto che, per il fatto di apparire suscettibili gli [recte: di] sviluppi europeistici in senso supranazionale, ci trovano pienamente favorevoli.

Tuttavia non abbiamo nascosto che il documento provoca in noi alcuni dubbi su punti che esso, nella sua forma ancora generica, non puillustrare specificamente. Comunque abbiamo messo in chiaro fin d’ora che non potremmo in alcun caso rinunziare a qualsiasi forma di aiuto americano, anche in considerazione dell’esigenze del piano decennale annunciato dal Governo e che in questi giorni verrà presentato al Consiglio OECE dal Ministro Vanoni.

Infine abbiamo attirato l’attenzione dei delegati francesi su alcune questioni che rivestono per noi particolare importanza e delle quali non sembra sia stato tenuto conto dal progetto, quali:

a) completa utilizzazione delle capacità produttive già esistenti con particolare riferimento alle conseguenze relative all’occupazione della manodopera; b) ubicazione delle zone industriali, specie per quanto riguarda l’Italia meridionale ed insulare, che oltre a presentare particolari condizioni di sicurezza, è nostro vivo interesse industrializzare.

Per sua opportuna conoscenza aggiungo che il Presidente del Consiglio francese ci ha ampiamente assicurato della comprensione del suo Governo nei riguardi delle nostre necessità. Ha inoltre indicato che il memorandum francese, sebbene sia ‒a suo modo di vedere ‒vasto e dettagliato vuole sopratutto essere un documento di lavoro e che la delegazione francese si propone di svolgere un’azione del tutto elastica. Ci ha domandato, alla fine, che la nostra delegazione si tenga a contatto con quella francese, per quanto possibile, per la illustrazione dei rispettivi punti di vista anche se essi, in talune parti, possano divergere.

Si fa riserva di farle pervenire, prima della partenza dei membri della delegazione, ulteriori orientamenti ed istruzioni(4).

1 Telegrammi segreti originali 1955, partenza, vol. I.

2 T. riservato 202 del 9 gennaio col quale Alessandrini veniva incaricato di presiedere la Delegazione italiana che avrebbe partecipato all’incontro del 17 gennaio del gruppo di lavoro sulla standardizzazione e produzione degli armamenti (DGAP, Uff. V, UEO, b. 13, fasc. UEO. Pool Armamenti, fasc. 1, gennaio 1955).

3 Vedi D. 252.

4 Una sintesi generale dei colloqui con Mendès France e del contenuto di questo telegramma fu inviata anche alle Ambasciate a Washington, Londra, Bonn, Bruxelles, L’Aja, Ottawa e alla Legazione a Lussemburgo con T. segreto 337-338/c.del 13 gennaio 1955 (Telegrammi segreti originali 1955, partenza, vol. I). Per le istruzioni vedi D. 267.

264

RIUNIONE INTERMINISTERIALE PRESSO LA PRESIDENZA DEL CONSIGLIO (Roma, 14 gennaio 1955)1

Appunto.

Si è oggi tenuta a Palazzo Chigi una riunione per un ulteriore scambio di idee tra i Ministeri interessati in merito alla questione del pool degli armamenti per fornire istruzioni ai delegati italiani in partenza per Parigi per la conferenza del 17 gennaio.

L’Ambasciatore Magistrati ha riassunto brevemente le notizie che si hanno circa le reazioni degli altri Stati membri dell’UEO in merito al noto memorandum francese(2) ed ha quindi esposto il punto di vista politico italiano che potrebbe così riassumersi:

1) siamo in linea di massima favorevoli all’idea della costituzione di un pool degli armamenti;

2) abbiamo peraltro da formulare le seguenti riserve:

- - -

L’Ammiraglio Giuriati, parlando in nome del Ministero della Difesa, ha fatto presente che recentemente ha avuto luogo una riunione cui hanno partecipato il Ministro e tutti i Capi di Stato Maggiore allo scopo di esaminare il problema. Il Ministro Taviani ritiene che non si debba assumere nei rispetti della proposta francese un atteggiamento negativo bensì positivo ma in senso europeistico, cioè puntando direttamente sul regime definitivo che è l’unico che ci possa offrire delle garanzie, mentre il regime provvisorio è irto di pericoli. Il Ministro della Difesa vede con timore il pragmatismo insito nel regime provvisorio che si pumanifestare in decisioni prese soltanto da un numero limitato di paesi; ed in particolare respinge l’idea che le ordinazioni off-shore debbano passare dopo ottenuto un previo accordo della costituenda Agenzia, come si precisa al titolo V del Memorandum, relativo al regime provvisorio.

Il Dr. Ranzi, in rappresentanza del Ministero dell’Industria e Commercio, ricorda le decisioni prese a Colonia in occasione della riunione degli industriali dei sei Paesi facenti parte dell’Unione delle Industrie: a) riconoscimento dell’utilità della proposta francese; b) avversione ad ogni concetto di supernazionalità; c) inserimento delle categorie industriali quando si entra nella fase produttiva. Cipremesso, il Dr. Ranzi afferma che il Ministero dell’Industria non punon avere qualche perplessità a causa della fragilità del nostro apparato industriale: ad esempio esso teme che, per giungere alla standardizzazione di nuovi materiali, una volta presentati dei prototipi, venga fatta la scelta tenendo conto anche del costo di produzione il quale costituisce, come è noto, il nostro punto debole.

Il Dr. Landriscina, in rappresentanza del CIR, non ha nulla in particolare da osservare dato che il Ministro Vanoni e l’On. Ferrari Aggradi parleranno direttamente della questione a Parigi con l’Ambasciatore Alessandrini.

Il Dr. Mattei della Confindustria ha riferito sulle conversazioni intercorse in questi giorni fra gli industriali italiani e francesi ed ha fatto presente che nel Patronat esistono due gruppi: uno fortemente contrario ad ogni concetto di supernazionalità ed un altro che pure vi sarebbe contrario ma che finisce con l’accettarlo per ragioni politiche. A Roma gli industriali francesi hanno cercato di minimizzare i caratteri di supernazionalità insiti nel progetto di Mendès-France, e si sono mostrati favorevoli al regime provvisorio in esso previsto. Comunque le categorie francesi torneranno a riunirsi il 19 e hanno promesso di farci conoscere il loro atteggiamento. Gli industriali degli altri Stati membri dell’UEO sono nettamente contrari alla supernazionalità. Quanto agli italiani, essi non hanno assunto un atteggiamento così negativo ma è evidente che non vedrebbero con disfavore un periodo transitorio che si prolungasse all’infinito.

L’Ambasciatore Magistrati riassume la discussione: il Ministero della Difesa punta direttamente sul regime definitivo; gli industriali preferiscono quello provvisorio ed il Ministero dell’Industria e del Commercio mantiene in proposito una posizione intermedia. Ciconstatato, l’Ambasciatore ribadisce il pensiero del Governo italiano come pisu esposto ed in tal senso precisa le istruzioni ai delegati in partenza per Parigi.

Essendo stata da ultimo posta la domanda circa l’atteggiamento che l’Italia dovrebbe assumere nel caso che il pool non si facesse a sette o a sei bensì semplicemente a tre o a due, l’Ambasciatore Magistrati ha ricordato che il Ministro Martino aveva testé risposto alla stessa domanda, nel corso di una conferenza stampa, nel senso che noi non ci neghiamo a priori a partecipare ad un pool limitato a pochi Paesi.

1 DGAP, Uff. V, UEO, b. 13, fasc. UEO. Pool Armamenti, fasc. 1, gennaio 1955. 2 Vedi D. 252.

265

LA DIREZIONE GENERALE DELLA COOPERAZIONE INTERNAZIONALE, UFFICIO I(1)

Appunto. Roma, 14 gennaio 1955.

Progetto francese di un pool degli armamenti. Punto di vista tedesco, inglese, olandese, belga e lussemburghese.

Germania: L’atteggiamento nei confronti del progetto francese(2) non è ancora cristallizzato. Sembra che Adenauer sia tuttora favorevole a seguire i francesi per con

siderazioni di carattere politico e cioè per non frapporre ostacoli a Mendès-France al momento del dibattito davanti al Consiglio della Repubblica per la ratifica degli Accordi di Parigi.

Gli ambienti economici e militari tedeschi sono invece preoccupati di un pool che possa risolversi in nuovi vincoli per la Germania, specialmente per ciche concerne l’installazione di nuovi impianti giacché i tedeschi partono da zero in questo campo. Essi temono inoltre che i francesi tentino incrementare il loro potenziale industriale (e magari, in minor misura, quello italiano) con fondi tedeschi mentre è loro ferma intenzione che gli stanziamenti in bilancio vengano spesi integralmente in Germania. Comunque la presenza di Erhard – le cui idee liberiste sono note – a capo della Delegazione tedesca per la riunione del 17 gennaio viene considerata come un successo in questi ambienti.

Va infine tenuto presente che i tedeschi stanno studiando in quale maniera il controllo degli armamenti e le idee sulla standardizzazione e sulla produzione delle armi possano trovar sede nel quadro della CECA e non è escluso che si presentino alla riunione del 17 con delle proposte concrete in tal senso.

Gran Bretagna: Non si hanno pel momento notizie sull’opinione del Governo britannico in merito al Memorandum francese. Il Rappresentante britannico presso il Consiglio Atlantico (le cui opinioni peraltro non hanno sempre coinciso con quelle del suo Governo) si è espresso in senso contrario ai criteri sopranazionali contenuti nel progetto, nonché alla discriminazione ed ai controlli, giudicati eccessivi, stabiliti nei confronti dei tedeschi.

Paesi Bassi: La delegazione olandese presso il NATO permane marcatamente contraria alle proposte francesi e precisamente all’integrazione per settori, all’applicazione dei criteri sopranazionali senza che si crei una vera Comunità europea e a tutto ciche possa provocare ulteriori differenziazioni tra gli Stati Uniti, la Gran Bretagna ed i sei del continente europeo.

Gli olandesi potrebbero forse accettare di stabilire, tutt’al pi un’agenzia limitata ai compiti indicati dai francesi per il periodo provvisorio di cui al Memorandum, cioè un quadro istituzionale molto flessibile nel quale inserire eventuali accordi di standardizzazione fra alcuni Paesi.

Belgio: In merito all’ultimo documento francese Spaak si mostra favorevole alla causa degli elementi sopranazionali, mentre vi sono contrari i Ministri che considerano il problema pidal punto di vista tecnico-economico.

Il Governo belga invierà quindi un altro Piano allo scopo di guadagnare tempo in attesa che il Consiglio della Repubblica in Francia abbia votato gli Accordi di Parigi e che si chiariscano i punti di vista degli altri partners.

Lussemburgo: In linea di massima pare che vi sia un accordo tra i tre Paesi del Benelux in senso negativo nei rispetti dell’iniziativa francese. Il Lussemburgo ed il Belgio si trovano comunque su una linea di opposizione meno intransigente di quella dei Paesi Bassi.

In conclusione, sembra che i suddetti Paesi si preparino per la conferenza del 17 gennaio, con l’intenzione di esaminare a fondo il problema senza peraltro concludere né in senso positivo né in senso negativo.

Punto di vista degli industriali. Le Delegazioni delle organizzazioni centrali dell’industria dei sei Paesi facenti parte dell’Unione delle Industrie si sono riuniti a Colonia, unitamente ad un osservatore della Federation of British Industry, per esaminare la proposta francese relativa alla costituzione di un pool degli armamenti. La riunione ha avuto luogo il 4 corrente ed è quindi precedente alle pidettagliate proposte francesi contenute nel noto Memorandum testé distribuito.

I delegati si sono trovati d’accordo:

1) nel considerare, in linea di massima, opportuno il raggiungimento dei fini cui tende il progetto francese;

2) nel considerare necessario sforzarsi per raggiungerli attraverso la via che esiga il minor numero possibile di misure dirigiste e senza fare appello alla creazione di un’autorità sopranazionale.

Essi hanno inoltre convenuto:

- - - - - - - - -

1 DGAP, Uff. V, UEO, b. 13, fasc. UEO. Pool Armamenti, fasc. 1, gennaio 1955. 2 Vedi D. 252.

266

L’AMBASCIATORE A BONN, BABUSCIO RIZZO, AL MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI(1)

Telespr. 374/74. Bonn, 14 gennaio 1955.

Oggetto: Proposta francese di un pool degli armamenti: impressioni tedesche alla vigilia dell’incontro di Baden-Baden.

Sebbene al giungere del presente rapporto l’incontro Adenauer – Mendès-France avrà già avuto luogo, pututtavia essere d’interesse, almeno da un punto di vista retrospettivo, riepilogare le impressioni dominanti in questi ambienti politici e nell’opinione pubblica tedesca alla vigilia dei colloqui di Baden-Baden.

Con l’approssimarsi di tali colloqui, l’attenzione di questi ambienti va concentrandosi sempre pisulla proposta francese relativa al pool degli armamenti2, nel timore evidente che Mendès-France sia assai piintenzionato a strappare nel corso della sua visita consensi vantaggiosi per il punto di vista francese su tale questione, che disposto ad assumere sostanziali impegni su altri problemi, come quelli relativi alla Saar ed alla riunificazione tedesca.

Al tempo stesso crescono anche i sospetti con i quali il progetto francese è considerato dall’opinione pubblica tedesca che tende a giudicare insincera l’improvvisa conversione a forme sopranazionali di controllo e di organizzazione, sia pure in un settore limitato, da parte proprio di quel Paese che si era assunto la responsabilità del naufragio della CED. A vero dire, ci si rende conto che da parte francese si è sempre manifestato una maggior simpatia verso espressioni economiche di collaborazione e forse di unione internazionale – e valga l’esempio della CECA – piuttosto che verso forme di integrazione politica e soprattutto militare; ma nel progetto di un pool degli armamenti si vuole da molti ravvisare non tanto il desiderio di giungere effettivamente ad una organizzazione di settore obiettivamente subordinata a finalità comuni ai vari Paesi dell’UEO, quanto un tentativo di riuscire ad introdurre un controllo mascherato degli armamenti tedeschi, oltre i limiti fissati negli accordi di Parigi, e quindi a stabilire in pratica una speciale discriminazione nei confronti della Repubblica federale.

Anche chi non identifichi nel progetto francese esclusivamente una mossa anti-tedesca non nasconde le proprie diffidenze; pur partendo da considerazioni strettamente economiche, si osserva infatti che in un regime di economia di mercato l’industria francese avrebbe ben scarse possibilità di efficacemente concorrere con quella di altri Paesi per l’esecuzione delle commesse militari derivanti dall’organizzazione dell’Europa occidentale, dato l’alto livello dei suoi prezzi, e che quindi il pool degli armamenti servirebbe in pratica ad assicurarle – con l’adozione di misure di dirigismo internazionale – quei vantaggi che non riuscirebbe ad ottenere su un piano di libera concorrenza.

Questi sospetti e queste prevenzioni si sono aggravati col diffondersi della sensazione che da parte della Francia si possa subordinare la definitiva ratifica degli accordi di Parigi al consenso tedesco al pool degli armamenti; tale sensazione persiste malgrado smentite di fonte francese ed è avvalorata dalla considerazione della difficile situazione parlamentare davanti alla quale Mendès-France si trova tuttora e che lo costringe a cercare di ottenere nuovi successi e nuove garanzie, per riuscire a far approvare definitivamente gli accordi di Parigi anche dal Consiglio della Repubblica.

Negli ambienti vicini al Governo ci si rifiuta tuttavia di credere che Mendès-France intenda porre una condizione del genere, qui ritenuta jugulatoria, e si osserva che d’altra parte anche il testo approvato a Palazzo Borbone, in occasione del voto sugli accordi di Parigi, parlava della creazione non di un pool di armamenti, ma unicamente della agenzia di controllo prevista dal Patto di Bruxelles allargato.

Per ciche concerne il punto di vista tedesco, si precisa qui che in materia di armamenti la Repubblica federale – come ha autorevolmente affermato in questi giorni lo stesso Ministro dell’Economia Erhard – non accetterebbe controlli pistretti di quelli previsti dagli accordi di Parigi e si esclude d’altra parte che la soluzione da darsi al problema della fabbricazione del materiale bellico possa finire per provocare l’adozione di un sistema internazionale di economia di guerra. Nella designazione del Prof. Erhard a capo della Delegazione tedesca che parteciperà alle riunioni parigine del gruppo di lavoro, si vede quindi un segno manifesto dell’intenzione del Governo federale di discutere i problemi, che saranno posti sul tappeto, esclusivamente sotto il loro aspetto tecnico-economico e di impedire che vengano trasferiti su un piano prevalentemente politico.

Le critiche mosse alla proposta di un pool degli armamenti ed i timori che su di essa finiscano per polarizzarsi le conversazioni di Baden-Baden senza portare ad un accordo, spiegano anche l’apparente contraddizione per cui questo progetto di parziale integrazione trova gelida accoglienza proprio nella Repubblica federale che pure aveva impostato la propria politica sulla soluzione europeistica offerta dalla CED.

Da un lato si nega infatti che il piano francese costituisca un passo avanti sulla via della unificazione europea, dall’altro si fa qui notare che l’incontro di Baden-Baden dovrebbe avere finalità piampie di quelle attribuite alle intenzioni di Mendès-France e coinvolgere l’insieme dei rapporti franco-tedeschi o per meglio dire lo spirito dal quale essi debbono essere animati. In tal quadro potrebbero essere gettate le basi della soluzione di tutti i problemi che interessano i due Paesi; ed un effettivo e leale accordo di principio in merito alle piimportanti questioni, ivi comprese quelle riguardanti i rapporti tra oriente ed occidente e la riunificazione tedesca, renderebbe superflua ogni preoccupazione anche riguardo l’eventuale controllo degli armamenti.

1 DGAP, Uff. V, UEO, b. 13, fasc. UEO. Pool Armamenti, fasc. 1, gennaio 1955. 2 Vedi D. 252.

267

IL MINISTRO DEGLI AFFARI ESTERI, MARTINO, ALLA RAPPRESENTANZA PRESSO IL CONSIGLIO ATLANTICO(1)

T. segreto 404/10. Roma, 15 gennaio 1955, ore 16,30.

Per linea di condotta della Delegazione italiana durante il prossimo primo periodo dei lavori per organizzazione produzione armamenti ritengo opportuno, oltre le informazioni generali già inviate a V.E. a conclusione dell’incontro italo-francese2, riassumere alcune linee essenziali.

1) Come abbiamo anche detto a Mendès-France noi siamo favorevoli a che si ricerchi una comune base di intesa atta a portare ad una disciplina in senso integrativo della produzione degli armamenti e cioè:

- - - - - -

Accettiamo naturalmente il progetto francese(4) come base dei lavori senza escludere quegli altri documenti che, come anche V.E. ci ha segnalato, potessero essere presentati da altri Paesi e riservandoci di sottoporre eventualmente particolari controprogetti da parte nostra.

Tenga inoltre presente per sua riservata informazione le due seguenti direttive di massima:

- -

Ci riserviamo di far pervenire altre istruzioni a V.E. secondo l’andamento che prenderanno i lavori.

Telegrammi segreti originali 1955, partenza, vol. I.

2 Vedi D. 263.

3 Vedi D. 269.

4 Vedi D. 252.

268

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI AFFARI ESTERI, ROSSI LONGHI, ALLA RAPPRESENTANZA PRESSO IL CONSIGLIO ATLANTICO E ALL’AMBASCIATA A LONDRA(1)

T. 438/12-6. Roma, 15 gennaio 1955, ore 23.

Ci è stato oggi rimesso da questa Ambasciata d’Inghilterra Memorandum, di cui trasmetto testo per corriere2, nel quale Governo di Londra, riferendosi ad imminente inizio lavori Conferenza Parigi per pool armamenti, mostra di ritenere che noto documento francese(3) appare non riferirsi a Gran Bretagna dato che questa sarebbe fuori pool predetto.

Nel Memorandum si aggiunge tuttavia che alcune precisazioni indicate dai francesi ed attinenti ad opportunità di accrescere efficienza militare mediante migliore impiego somme destinate da paesi interessati ad armamenti, vengono ritenute utili e produttive.

In sostanza Memorandum britannico sembra indicare che, almeno in un primo tempo, delegazione inglese a Conferenza uniformerà proprio atteggiamento ad estrema prudenza in attesa che da parte francese vengano fornite maggiori delucidazioni.

1 DGAP, Uff. V, UEO, b. 13, fasc. UEO. Pool Armamenti, fasc. 1, gennaio 1955. 2 Testo trasmesso con Telespr. 21/0094 del 17 gennaio (ibidem), il cui contenuto è qui riassunto. 3 Vedi D. 252.

269

IL CAPO DELLA DELEGAZIONE PRESSO L’OECE, CATTANI, AL MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI(1)

T. 653/64-65-662. Parigi, 15 gennaio 1955, ore 17.

Oggetto: Piano sviluppo italiano.

Il piano di sviluppo italiano è stato sottoposto al Consiglio OECE(3) che, considerando gli obiettivi del piano conformi allo spirito della concezione di cooperazione economica europea e riconoscendo l’importanza per l’insieme dei Paesi membri che una soluzione soddisfacente sia data ai problemi oggetto del piano, ha deciso la creazione di un gruppo di lavoro del Consiglio composto dai rappresentanti del Regno Unito, Francia, Germania, Belgio, Svizzera, Grecia, Turchia, e dal Presidente del Comitato Economico (Pini di questa Rappresentanza) incaricato di esaminare il piano e di fare rapporto al Consiglio al pipresto possibile a proposito del piano stesso e delle misure che potrebbero essere prese dagli altri Paesi membri dell’Organizzazione per facilitarne l’esecuzione.

Decisione Consiglio è stata preceduta da discussione aperta da Presidente, Cancelliere dello Scacchiere Butler, che ricordando messaggio inviato 4 ottobre Ministro Vanoni per assicurarlo interesse dell’Organizzazione per il piano, ha tenuto a confermare appoggio morale e politico dei Paesi membri all’opera intrapresa dal Governo italiano, sottolineando simpatia ed ammirazione per progresso economico italiano negli ultimi anni e per politica Governo italiano in piena conformità con gli obiettivi dell’Organizzazione, basata mantenimento stabilità finanziaria e politica liberale nel commercio con l’estero. Riconosciuta importanza problemi italiani ancor insoluti quali quello disoccupazione e situazione Mezzogiorno, Cancelliere Scacchiere ha espresso apprezzamento per fatto che Governo italiano ha presentato piano all’OECE, esprimendo speranza che Organizzazione esamini tutti quei campi di azione in cui i Paesi membri possono contribuire al successo del piano italiano ed indicando fra questi le politiche commerciali e lo sviluppo degli investimenti. Finalmente Cancelliere ha indicato intenzione proporre approvazione Consiglio decisione sopra menzionata.

Vice Cancelliere Repubblica Federale, Blcher, riconosciuta gravità problemi italiani, ha manifestato apprezzamento per politica liberale in materia commerciale perseguita da Governo italiano malgrado difficoltà e per coraggio e tenacia da esso dimostrata indicandolo come esempio per avvenire. Presentazione piano italiano all’OECE è stata da lui interpretata come nuova manifestazione progressi della cooperazione europea, sottolineando coscienza del fatto che lo sviluppo economico di uno dei Paesi membri favorisce lo sviluppo degli altri. Intervento terminato indicando dovere e interesse dei Paesi membri di aiutare Italia nei suoi sforzi e di esaminare a fondo in qual modo organizzazione potrà contribuire alla realizzazione del piano.

Il Ministro del Commercio Estero belga Larock ha espresso ammirazione per piano presentato, riconoscendo pienamente giustificato il fondare programma di espansione sul principio della cooperazione dei Paesi membri; considerando raramente solidarietà europea sia stata invocata con maggiore giustizia e con maggiori ragioni.

Il Ministro Laroch ha chiuso l’intervento accennando alla lunga tradizione di rapporti esistenti fra Belgio e Italia, assicurando che il piano fornirà l’occasione per stringere vieppiquesti rapporti.

Il Ministro delle Finanze francese Faure, manifestando il suo apprezzamento per il piano, ha sottolineato il valore della forma di presentazione e si è congratulato con il Ministro Vanoni per tale iniziativa, associandosi al sentimento già espresso dagli altri oratori.

Il Ministro degli Affari Esteri austriaco Figl, indicando la soddisfazione del suo Paese nel seguire i progressi dell’Italia e ricordando gli sforzi intrapresi e perseguiti e la politica europea ispirata da Presidente De Gasperi e suoi successori, ha espresso la speranza nel successo dell’opera intrapresa, assicurando che l’Austria apporterà il suo contributo secondo le sue possibilità. Il Governatore Stassen ha espresso il favore con cui il Governo degli Stati Uniti accoglie l’iniziativa presa dal Governo italiano, indicando il forte appoggio per gli obiettivi fondamentali del piano e ricordando che l’organizzazione nel rapporto degli esperti economici di aprile aveva riconosciuto l’importanza dei problemi dello sviluppo economico dell’Italia meridionale per l’intero mondo occidentale. Egli ha anche indicato che il piano viene presentato in un momento opportuno di grande prosperità per l’Europa, per cui è giusto che l’Italia si diriga all’OECE per averne la cooperazione. Il Governatore Stassen si è quindi dichiarato d’accordo che il piano e tutte le altre pidettagliate proposte che verranno ad integrarlo ricevano la piattenta considerazione ed analisi da parte dell’Organizzazione assicurando la cooperazione del suo Governo all’opera dell’OECE in questo campo.

Il Ministro greco Papaligouras del coordinamento economico, dopo aver riconosciuto l’importanza dello sviluppo dell’Italia meridionale per il raggiungimento di sane condizioni economiche per l’Europa intera, ha ricordato i problemi particolarmente gravi della Grecia, sottolineando i progressi compiuti ed indicando che la permanenza di disoccupazione puessere solo rimediata con un piano a lungo termine di sviluppo. Tale piano nelle sue linee generali è stato presentato al Gruppo ad Hoc a Ginevra ed è ora elaborato nei suoi dettagli dal Governo greco che lo sottoporrà all’Organizzazione.

Il Rappresentante della Turchia, dopo aver riconosciuto il contributo che lo sforzo italiano potrà apportare al benessere e allo sviluppo dell’economia europea ed essersi associato alle opinioni espresse dagli altri oratori, ha ricordato l’esistenza di problemi analoghi in altre regioni del Sud dell’Europa e pispecificamente in Grecia ed in Turchia e gli studi che si perseguono in questo campo a Ginevra.

1 Telegrammi ordinari 1955, Francia (OECE Parigi), arrivo e partenza.

2 Trasmesso tramite l’Ambasciata a Parigi con i numeri di protocollo 15-17.

3 La riunione ebbe luogo il 13 e il 14 gennaio. Il Consiglio dei Ministri discusse i problemi valutari e commerciali europei e decise la costituzione di nuovi enti in materia agricola; da parte italiana fu presentato lo «Schema di sviluppo dell’occupazione e del reddito nel decennio 1955-64», il c.d. Piano Vanoni (ISPI, Annuario di Politica Internazionale, 1955, pp. 685, 688 e 689).

270

IL CONSOLE GENERALE A STRASBURGO, CITTADINI CESI, AL MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI(1)

T. 683/702. Strasburgo, 15 gennaio 1955, ore 23,02 (perv. 0,55 del 10).

Oggetto: Comitato Ministri Consiglio d’Europa.

La riunione del Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa per lo scambio di vedute con l’Alta Autorità CECA ha avuto luogo stamane sotto la presidenza del Ministro greco di coordinamento Papaligouras.

L’Alta Autorità era rappresentata dal Presidente Monnet e da Spierenburg.

Monnet, nel corso di un intervento di carattere generico, ha sottolineato l’interesse della riunione congiunta che permette all’Alta Autorità di discutere, sulla base della reciprocità, con i rappresentanti del Consiglio d’Europa i problemi comuni.

Spierenburg ha fornito spiegazioni in merito ai punti sollevati nella risposta del Comitato dei Ministri al secondo rapporto annuale dell’Alta Autorità, relativi alle pratiche discriminatorie, armonizzazione delle tariffe doganali: cartello europeo acciaio, ed acciai speciali.

Sulle questioni del cartello si è avuto un vivace intervento del Ministro degli Affari Economici danese, che ha ribadito il noto atteggiamento del proprio Governo contro il realizzo dei prezzi di esportazione. Sulla questione acciai speciali è intervenuto il rappresentante svedese Ambasciatore Westman auspicando che l’intera materia delle relazioni della Comunità con i Paesi terzi venga trattata esaurientemente nel prossimo rapporto annuale dell’Alta Autorità.

Il Segretario di Stato britannico alla Tesoreria Maudling ha confermato l’interesse del suo Governo per la procedura delle riunioni congiunte fra l’Alta Autorità ed il Comitato dei Ministri che dovrebbero acquistare il carattere di regolarità. A tale intervento si è associato il rappresentante norvegese.

L’Alta Autorità ha replicato sopratutto le critiche danesi mantenendo il proprio punto di vista.

I Ministri dei Paesi membri della CECA si sono astenuti dall’intervenire al dibattito, lasciando all’Alta Autorità il compito di parlare anche a loro nome. Lo schema del discorso di Spierenburg era stato, d’altra parte, concordato fra i rappresentanti permanenti dei sei Paesi ed i funzionari dell’Alta Autorità, nel corso della riunione preparatoria che avevo convocata ieri, secondo le istruzioni di V.E.

1 DGAP, Uff. I, Serie Affari Politici, 1951-1957, b. 410, fasc. Consiglio d’Europa. 2 Trasmesso tramite l’Ambasciata a Parigi.

271

L’AMBASCIATORE A LONDRA, ZOPPI, AL MINISTRO DEGLI AFFARI ESTERI, MARTINO(1)

R. riservato 286/1582. Londra, 15 gennaio 1955.

Signor Ministro,

Ho fatto ieri la mia prima visita al Foreign Office recandomi dal Sottosegretario Permanente, Sir Ivone Kirkpatrick, e passando quindi a salutare Sir Harold Caccia, Vice Sottosegretario, e il signor Ward, già Consigliere presso l’Ambasciata britannica a Roma e attualmente Assistente Sottosegretario per gli affari del Sud Europa.

Ho riferito per telegramma(3) le impressioni tratte da tali colloqui in merito ai principali problemi in esame nel momento attuale e poco ho da aggiungere in proposito. Ho notato nelle dichiarazioni fattemi da Kirkpatrick una persistente diffidenza da parte sua verso il Premier francese (che peraltro mi dicono non essere condivisa da Eden) e una particolare fermezza nell’esprimere la contrarietà del Governo britannico (condivisa, egli ha aggiunto, dal Governo americano) ad ogni idea di proporre sin da ora conversazioni con Mosca sia pure destinate ad aver luogo soltanto dopo il completamento della ratifica degli accordi di Parigi. Nell’opinione angloamericana una decisione in tal senso, specie se resa pubblica, potrebbe, secondo il parere oggi qui prevalente, condurre a risultati diversi da quelli sperati e provocare una qualche dichiarazione sovietica nel senso che, dopo le ratifiche, non vi sarebbe pipossibilità o utilità di conversazioni, il che creerebbe in Francia una situazione estremamente pericolosa per lo stesso Mendès-France e in Germania una situazione non meno difficile per Adenauer. Avendo io osservato che per ragioni di politica generale, anche interna, in Italia e in Francia, potrà ad un certo momento essere utile prendere qualche iniziativa, anche per non lasciare sempre e solo a Mosca il vantaggio propagandistico di iniziative a carattere distensivo, il mio interlocutore non ha negato il fondamento di questa osservazione, ma ha insistito nel sostenere che proposte di tal genere andranno esaminate dopo il completamento delle ratifiche e non prima, come suggerirebbe Mendès-France.

2) [sic] In merito al progetto di «pool», Kirkpatrick confida che i francesi a Parigi si mostrino ragionevoli. Le proposte ora avanzate sono, dal punto di vista britannico, troppo macchinose e la stessa standardizzazione, come contemplata dal progetto, inattuabile. Il Governo inglese non è riuscito ad ottenere la standardizzazione nell’interno del proprio sistema industriale e non ritiene possibile possa essere attuata – se non per sommi capi – fra sei o sette Paesi. Tanto piche il progresso della tecnica è oggi così rapido che nel tempo necessario ad adattare gli impianti sorgerebbero nuovi prototipi. Il Governo britannico è quindi dell’avviso che il progetto francese debba essere reso pielastico. Nello stesso senso si esprimevano due editoriali di ieri del «Times» e dell’«Economist». Se è vero, si dice qui, che la Gran Bretagna non farà parte del «pool», è anche vero, si aggiunge, che essa è molto interessata alla questione se non altro per i riflessi nel campo della produzione di qualsiasi progetto del genere. Come ho telegrafato, tuttavia, e come risulta anche dalla nota presentata a codesto Ministero da Clarke4, Londra si asterrà in un primo tempo dal muovere troppe critiche al progetto per non complicare la situazione di Mendès-France, e si limiterà a richiedere dettagliati chiarimenti anche per vedere se sarà possibile ottenere una interpretazione del documento tale da modificare le prime non favorevoli impressioni.

3) Con Caccia si è parlato in particolare dell’UEO e dei suoi rapporti con le altre organizzazioni preesistenti (sopratutto NATO, OECE e CECA). Caccia ha ribadito il punto di vista britannico secondo cui conviene ricercare possibilità di coordinamento, ma evitare al tempo stesso di sovrapporsi a quegli organismi che, così come sono, stanno lavorando bene. In sostanza qui si ritiene, come del resto sappiamo, che il meglio sia nemico del bene e che occorre procedere con cautela sulla via dell’integrazione, lasciando al tempo e all’esperienza di suggerire le vie e i mezzi migliori per proseguire nel cammino intrapreso.

È questo un punto sul quale evidentemente da parte inglese si è particolarmente attenti e sensibili. Lo stesso «Times» nell’analizzare il progetto francese per il «pool» degli armamenti ricorda e sottolinea che è stata la caduta del principio sopranazionale convenuto nella CED che ha consentito alla Gran Bretagna di promuovere l’UEO e di parteciparvi. Del resto si ritiene che le professioni di fede europeista di Mendès-France rispondano piad esigenze di politica interna, sopratutto parlamentare, che ad una sua profonda convinzione.

Vi è dunque a questo riguardo una potenziale divergenza fra noi e gli inglesi; non essendo tuttavia la questione di particolare attualità, sopratutto nei suoi immediati e concreti sviluppi, mi sembrerebbe conveniente evitare per ora di evidenziare tale divergenza che il tempo potrebbe anche sanare. Quello che si puper ora chiedere al Governo inglese è di non fare nulla che possa apparire o risultare in contrasto con il «trend» della nostra politica europea, per es. non cercare di allargare l’area geografica dell’UEO (e su questo punto Caccia mi ha ripetuto che a Londra non si ha tale intenzione) e di accettare che da parte nostra non si rinunci a considerare l’unione europea come lo sbocco finale dell’UEO.

Per parte mia ho quindi osservato che naturalmente tanto il Governo di Roma quanto vasti circoli politici, economici e culturali italiani vedono nella integrazione europea la vera meta da raggiungere. Ma siamo altresì convinti della necessità di procedere con cautela indispensabile per non compromettere un così alto ideale(5).

Voglia gradire, Signor Ministro, gli atti del mio devoto ossequio.

V. Zoppi

1 DGAP, Uff. I, Serie Affari Politici, 1951-1957, b. 409, fasc. Unione Europea Occidentale, dal 23 ottobre 1954.

2 Il documento reca i seguenti timbri: «Inviato in copia al Presidente della Repubblica», «Visto dal Ministro», «Visto dal Segretario Generale» con la sigla di Rossi Longhi.

3 Con T. segreto 624/8 del 14 gennaio, il cui contenuto è qui riproposto in maniera piampia (Telegrammi segreti originali 1955, arrivo e partenza, vol. Germania-Jugoslavia).

4 Vedi D. 268.

5 Il 17 gennaio Zoppi fu ricevuto da Eden e riferì sinteticamente il contenuto del colloquio con T. segreto 769/9 (Telegrammi segreti originali 1955, arrivo e partenza, vol. Germania-Jugoslavia). A proposito del pool degli armamenti Eden aveva ripetuto le riserve già espresse da Kirkpatrick «sottolineando lo scarso entusiasmo britannico per le proposte relative alla sopranazionalità».

272

IL CAPO DELLA RAPPRESENTANZA PRESSO IL CONSIGLIO ATLANTICO, ALESSANDRINI, AL MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI(1)

T. segreto 767/29. Parigi, 17 gennaio 1955, ore 22,30 (perv. ore 23,10).

Il Gruppo Lavoro per la standardizzazione e la produzione degli armamenti ha iniziato oggi i suoi lavori.

Parodi ha presentato il memorandum francese con un esposto che non aggiunge, né modifica, sostanzialmente, alcunché al memorandum stesso(2).

La parte pirilevante dell’esposizione di Parodi è stata rappresentata dagli accenni particolarmente caldi e pressanti in favore dell’amicizia franco-tedesca di cui il progetto dell’Agenzia degli armamenti dovrebbe rappresentare il suggello. I lavori sono stati quindi rinviati a domani pomeriggio.

La delegazione tedesca ha fatto circolare il suo progetto, che V.E. già conosce, e sul quale riferisco con telegramma a parte(3). Conformemente al desiderio espressomi dai tedeschi e d’accordo con i francesi mi propongo di presentare domani, in termini di carattere generale, il nostro punto di vista. A tal fine ho redatto, sulla base delle istruzioni di V.E., una dichiarazione che provvedo a trasmettere per corriere(4).

Confermo le precedenti segnalazioni relative all’atteggiamento degli altri Paesi: la Gran Bretagna tende a sostenere di non essere sostanzialmente compresa fra i Paesi che sono oggetto delle proposte del memorandum francese.

Il Benelux continua a mantenere la sua opposizione.

1 DGAP, Uff. V, UEO, b. 13, fasc. UEO. Pool Armamenti, fasc. 1, gennaio 1955.

2 Vedi D. 252.

3 Vedi D. 274. Il memorandum tedesco fu trasmesso dall’Ambasciata a Bonn al Ministero degli Affari Esteri con Telespr. 395/83 del 16 gennaio (DGAP, Uff. V, UEO, b. 13, fasc. UEO. Pool Armamenti, fasc. 1, gennaio 1955). Il memorandum, nella traduzione italiana, era intitolato nella maniera seguente: Suggerimenti del Ministro federale dell’economia per una cooperazione nel campo degli armamenti nel quadro dell’Unione Europea occidentale. Articolato in dieci punti, il memorandum esponeva i principi del riarmo («libera economia di mercato» e «carattere sostanzialmente nazionale del riarmo»), le «finalità di una cooperazione», le caratteristiche della «libera collaborazione», la posizione speciale della Germania sul riarmo e la necessità che Uffici nazionali assicurassero l’approvvigionamento, il contenuto e la forma della cooperazione («consultazioni» e «proposte») e l’organo preposto (Comitato di Ministri e gruppo ristretto di lavoro); infine proponeva l’istituzione di un «Comitato normativo per gli armamenti». Babuscio Rizzo sintetizzla sostanza delle comunicazioni del Governo federale con T. segreto 684/6 del 15 gennaio: «Il Ministero degli Affari Esteri mi ha consegnato oggi un esteso memorandum ispirato ai noti principi liberalistici contenente il punto di vista del Governo federale in materia di cooperazione nel settore degli armamenti nel quadro UEO. Mi è stato specificato che non si tratta di un contro-progetto tedesco a quello francese sul pool armamenti, ma di suggerimenti e proposte che sono già state prospettate a Baden-Baden dal Ministro dell’Economia Erhard e che verranno sottoposte dalla delegazione tedesca a Parigi alla riunione del 17 corrente. Provvedo a trasmettere per espresso a codesto Ministero e direttamente all’Ambasciata di Parigi il testo del memorandum con allegata traduzione che per poca disponibilità di tempo ed ampiezza memorandum puanche contenere qualche imprecisione nella terminologia tecnica. Telegrafato a Roma e Parigi» (Telegrammi segreti originali 1955, arrivo e partenza, vol. Germania-Jugoslavia).

4 Vedi D. 277.

273

IL MINISTRO DEGLI AFFARI ESTERI, MARTINO, ALL’AMBASCIATA A PARIGI(1)

T. segreto 510/30. Roma, 18 gennaio 1955, ore 15,45.

Dopo conversazioni Baden-Baden, desidererei conoscere quanto risulti circa intenzioni codesto Governo per elezione successore Monnet.

Dato evidente riflesso politico elezione Presidente CECA, sarei d’avviso che di tale nomina dovrebbe essere investito Consiglio Ministri Affari Esteri.

Per mia norma nonché per eventuali iniziative da intraprendere quale Presidente Consiglio di turno, gradirei peraltro essere tempestivamente informato pensiero Governo francese al riguardo(2).

1 DGAP, Uff. I, Serie Affari Politici, 1951-1957, b. 410, fasc. CECA.

2 Per il seguito vedi DD. 278, 280 e 283.

274

IL CAPO DELLA RAPPRESENTANZA PRESSO IL CONSIGLIO ATLANTICO, ALESSANDRINI, AL MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI(1)

T. segreto 806/30. Parigi, 18 gennaio 1955, ore 16,14 (perv. ore 18,15).

Mio 292.

Riassumo di seguito le principali osservazioni di fondo che qui si fanno circa progetto tedesco:

1) sia per l’esplicita affermazione contenuta nelle prime righe del progetto, sia per il fatto che i suggerimenti vengono presentati come emananti dal Ministero Federale dell’Economia, risulta chiaro come tedeschi prevedano solo accordi sul piano prevalentemente economico. L’intero progetto resta quindi basato sul concetto di produzione e di scambi di materiale bellico nel quadro di un’economia di mercato e liberalizzata;

2) la Germania dichiara di voler limitare, almeno in un primo momento, la produzione tedesca solo ad una parte dell’intero fabbisogno difesa, prevedendo quindi di rifornirsi all’estero. Tali importazioni potrebbero servire come elemento di compensazione fra i Paesi europei nel quadro generale dei rapporti di scambio e valutati fra i Paesi partecipanti;

3) il documento tedesco non tratta esplicitamente degli aiuti americani, che prende come dato di fatto nella fissazione dei programmi di produzione e di importazione;

4) partendo dal concetto che, secondo gli accordi di Parigi, la responsabilità dell’equipaggiamento delle forze è responsabilità nazionale, i tedeschi non vedono come si possa delegare ad organi sopranazionali tale responsabilità. Ne consegue in particolare che non si possa delegare ad organi sopranazionali la politica e la programmazione degli investimenti e dell’estensione delle capacità produttive;

5) per quanto riguarda la standardizzazione, il concetto tedesco si basa evidentemente sulla stretta collaborazione fra i Paesi dell’UEO e del NATO;

6) i tedeschi prevedono solo scambi di programmi e consultazioni invece della fissazione dei programmi in comune come previsto nel progetto francese.

1 DGAP, Uff. V, UEO, b. 13, fasc. UEO. Pool Armamenti, fasc. 1, gennaio 1955. 2 Vedi D. 272.

275

IL CAPO DELLA RAPPRESENTANZA PRESSO IL CONSIGLIO ATLANTICO, ALESSANDRINI, AL MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI(1)

T. segreto 831/32. Parigi, 18 gennaio 1955, ore 22,30 (perv. ore 22,50).

La seduta odierna del gruppo lavoro armamenti si è iniziata con le mie dichiarazioni preliminari secondo le linee prescrittemi da V.E.2 e il cui testo invio per corriere(3). Ho ritenuto opportuno parlare per primo onde dare la nostra adesione di massima al progetto francese, pur non tacendo le nostre note riserve, senza essere costretto a prendere in questa fase una posizione sulle critiche che sapevo sarebbero state sollevate da altre Delegazioni.

Il Ministro Ehrard ha sviluppato i concetti contenuti nel documento tedesco.

Starkenborgh, pur dicendo di non poter non apprezzare gli obiettivi indicati dai francesi e pur dichiarandosi pronto a procedere allo studio del problema, ha affermato che nessuna soluzione che escludesse la Gran Bretagna sarebbe stata accettabile per l’Olanda. Circa la standardizzazione, ha sostenuto la convenienza di continuare gli sforzi in sede della NATO, ove non sono esclusi gli accordi fra limitati gruppi di Paesi. Citanto piin quanto la partecipazione degli Stati Uniti e del Canadà, fornitori end-items, appare elemento essenziale per standardizzare in Europa. Il rappresentante olandese si è dichiarato contrario ad un sistema dirigistico centralizzato e ad un circuito economico chiuso. Non esistendo nell’UEO Autorità unica responsabile della preparazione e dell’equipaggiamento delle Truppe, l’Olanda non potrebbe rinunciare alla responsabilità nazionale nel campo della produzione e dell’approvvigionamento degli armamenti. Del resto, anche la CED prevedeva la possibilità di acquisti sul libero mercato al di fuori dell’area dei Sei. Il principio fondamentale auspicato da Starkenborgh è quello della concorrenza, tanto nell’ambito dei Sette quanto fuori di esso, perché ritiene cirappresenti il migliore sistema per realizzare gli stessi obiettivi auspicati dai francesi. Il che peraltro non escluderebbe le intese, le consultazioni e gli accordi sostanzialmente nel senso indicato nel memorandum tedesco.

De Staercke ha espresso il suo apprezzamento per i principi ispiratori delle proposte francesi sottolineando perche queste non rappresentano un tutto unico e che quindi se ne sarebbe potuto ritenere solo quella parte su cui fosse possibile raggiungere un accordo generale. Rilevando che i regimi provvisorio e definitivo suggeriti dai francesi non hanno che pochissimo in comune e che il secondo non appare conseguenziale al primo, ha proposto che ci si limiti agli studi relativi al periodo provvisorio facendo per ora astrazione da quello definitivo. Ha aggiunto che solo così putrovarsi una soluzione realista a un problema reale. Al che egli ha sostenuto la necessità della partecipazione britannica ed il principio della libera concorrenza. Quanto alla sopranazionalità ha detto di ritenere che il progetto francese sembra comportarne o troppa o troppo poca.

Come previsto, Steel ha detto che gli inglesi non hanno compreso se il documento francese si riferisca anche a loro o meno. In caso positivo, la Gran Bretagna deve dir subito di non ritenere possibile di dare l’adesione al progetto francese così come esso è stato presentato e sopratutto ai suoi aspetti sopranazionali, pur essendo il Governo britannico favorevole in linea di massima ai suoi obiettivi e pronto a studiare i mezzi tecnici migliori per partecipare alla loro realizzazione.

Avendo Parodi chiesto del tempo per riflettere sulle osservazioni fatte e per preparare le risposte, la prossima seduta è stata rinviata a venerdì pomeriggio [il 21]4.

DGAP, Uff. V, UEO, b. 13, fasc. UEO. Pool Armamenti, fasc. 1, gennaio 1955.

2 Vedi D. 267.

3 Vedi D. 277.

4 Vedi D. 279.

276

IL CAPO DELL’UFFICIO I DELLA DIREZIONE GENERALE DELLA COOPERAZIONE INTERNAZIONALE PLAJA(1)

Appunto(2). Roma, 18 gennaio 1955.

Gruppo di Lavoro per il pool degli armamenti - Atteggiamento americano.

Il competente Segretario di questa Ambasciata degli Stati Uniti mi ha indicato le linee dell’atteggiamento americano, al momento dell’inizio a Parigi dei lavori per il pool degli armamenti.

In primo luogo il Governo americano non tiene a partecipare, sia pure solo a mezzo di osservatori, ai lavori in questione. Esso teme infatti di poter esser sottoposto a pressioni a favore di questa o quella tesi, situazione che preferisce evitare. Sembra che da parte tedesca si fosse avanzata l’offerta di prendere una iniziativa per richiedere appunto la partecipazione americana: ma tale offerta sarebbe stata declinata.

In linea generale l’atteggiamento americano, dopo piattento esame delle proposte francesi e pur riconoscendo che tali proposte sono alquanto complesse e meritano comunque chiarimento su parecchi punti, sembra inspirato ad un certo interesse e non privo di qualche speranza. Evidentemente i concetti di ispirazione europeistica e le idee di integrazione hanno avuto la loro influenza su questa prima evoluzione del pensiero americano.

Ad ogni modo quel che il Governo americano considera attualmente interesse fondamentale è che la riunione di Parigi non termini in un insuccesso. E gli pare che cipossa avvenire per due strade. O riportare la soluzione del problema dell’organizzazione produzione armamenti in seno al NATO, sia pur mediante un organismo ristretto a quei Paesi dell’UEO che intendano legarsi piparticolarmente al riguardo; o concentrare l’attenzione e trovare qualche soluzione solo per il periodo provvisorio, lasciando naturalmente aperta la porta per ogni ulteriore studio in vista di una possibile futura soluzione definitiva.

1 DGAP, Uff. V, UEO, b. 13, fasc. UEO. Pool Armamenti, fasc. 1, gennaio 1955. 2 Sottoscrizione autografa.

277

IL CAPO DELLA RAPPRESENTANZA PRESSO IL CONSIGLIO ATLANTICO, ALESSANDRINI, AL MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI(1)

Telespr. urgente 192/742. Parigi, 18 gennaio 1955.

Oggetto: UEO - Gruppo di lavoro standardizzazione e produzione armamenti.

Riferimento: Mio telegramma n. 293.

A seguito del suindicato telegramma, trasmetto in allegato il testo della dichiarazione con la quale, nella riunione odierna del suddetto Gruppo di Lavoro, ho presentato il nostro punto di vista, in termini di carattere generale, sulla base delle istruzioni di V.E.4.

Allegato

La Delegazione Italiana è, in linea di massima, favorevole alla ricerca, nel quadro dell’Unione Europea Occidentale, di una base comune di intesa destinata a portare ad una disciplina della produzione degli armamenti in senso integrativo.

Questa nostra posizione di partenza è ispirata da un duplice ordine di motivi.

Dal punto di vista politico, noi consideriamo col maggiore interesse ogni iniziativa che possa costituire un avviamento verso una piprofonda e vasta cooperazione europea e riteniamo che questo concetto stia appunto alla base delle proposte avanzate da parte francese per la costituzione di una Agenzia per la standardizzazione e la produzione degli armamenti. Noi pensiamo che una concreta realizzazione, a carattere sopranazionale, in questo settore, sia suscettibile di imprimere un nuovo impulso a quella integrazione dell’Europa che è stata e rimane la direttiva costante della politica estera italiana.

Dal punto di vista economico, industriale e militare, stimiamo molto importanti gli obiettivi indicati dal Sig. Mendès-France fin dalla Conferenza di Londra e condividiamo pienamente l’idea che ogni sforzo debba essere concordemente fatto per il raggiungimento di essi. Ciinfatti pucostituire un nuovo passo avanti nel quadro delle iniziative tendenti allo sviluppo economico del nostro continente ed al miglioramento delle condizioni di vita nei singoli Paesi.

In questo ordine di idee, la Delegazione italiana si accinge ai lavori che si svolgeranno, intorno a questo tavolo e nei Comitati Tecnici che verranno costituiti, con lo spirito aperto e con il pisincero desiderio di collaborazione.

Siamo grati al Governo francese di aver esposto il suo punto di vista e le sue proposte in un interessante documento(5) ed all’Ambasciatore Parodi delle ulteriori precisazioni e delucidazioni forniteci. Accettiamo volontieri il memorandum francese come base di discussione, pure essendo pronti a prendere in considerazione le proposte che verranno avanzate da altre Delegazioni e riservandoci noi stessi, se del caso, di sottoporre alla attenzione del Gruppo di Lavoro nostri eventuali progetti.

Quanto ho avuto l’onore di dire riflette il nostro atteggiamento di principio di fronte al problema che siamo chiamati a studiare.

Tuttavia, nell’esame piapprofondito di esso, non potremo prescindere da taluni suoi aspetti che interessano particolarmente il nostro Paese, in relazione alla sua situazione strutturale e contingente, e che debbono essere valutati nel quadro generale di un armonico e pistabile equilibrio dell’economia europea.

In linea di massima riteniamo che debbano essere tenute ben presenti le peculiari caratteristiche della produzione degli armamenti e la conseguente necessità che i fattori di carattere strettamente economico ‒pur essendo della maggiore importanza ‒siano contemperati con quelli di carattere sociale e strategico, intendendo quest’ultima parola nel suo senso pilato.

Per quel che concerne, in specie, la situazione italiana debbo fin da ora indicare che il sistema che verrà concordato dovrà tenere conto della necessità che venga assicurata la picompleta utilizzazione delle capacità produttive già esistenti e quindi della mano d’opera disponibile nel settore dell’industria degli armamenti.

D’altro canto ‒in materia di creazione di nuove capacità produttive e di nuovi impianti nonché di imprese in comune ‒desidero ricordare che esistono nell’Italia insulare e meridionale delle zone che presentano dal punto di vista strategico in misura preminente tutti i necessari requisiti di sicurezza, e che, al tempo stesso, noi abbiamo grande interesse ad industrializzare, anche nel quadro del piano decennale che è stato presentato in questi giorni in sede OECE(6). Tanto pidunque ci interesserà ogni eventuale soluzione quanto piessa sarà in grado di venirci incontro su questo terreno.

In tema di aiuti americani ‒nelle loro diverse forme ‒la Delegazione Italiana è particolarmente sensibile e vede con seria preoccupazione ogni iniziativa intesa a dare alla materia un regime diverso dall’attuale. In considerazione delle nostre condizioni economico-sociali e delle specifiche esigenze imposte dal Piano decennale cui ho accennato poco fa, noi riteniamo che, sotto questo profilo, il caso dell’Italia sia del tutto speciale e che pertanto non possa essere riportato a situazioni apparentemente analoghe di altri Paesi della Unione Europea Occidentale.

Non ci nascondiamo che il compito che ci accingiamo a svolgere è assai arduo: si tratta di una materia delicata e difficile e di una iniziativa largamente innovatrice. Sarà necessario uno studio approfondito e prudente di tutti i molteplici aspetti generali del problema e di molte questioni tecniche particolari. Dovremo quindi, tutti, dar prova di tenacia, di buona volontà e, sopratutto, di pazienza.

Noi confidiamo che il nostro lavoro, affrontato in uno spirito di reciproca fiducia e comprensione, possa condurci a risultati positivi che siano tali da corrispondere agli interessi ed alle speranze dei nostri Paesi(7).

1 DGAP, Uff. V, UEO, b. 13, fasc. UEO. Pool Armamenti, fasc. 1, gennaio 1955. 2 Sottoscrizione autografa. 3 Vedi D. 272. 4 Vedi D. 267. 5 Vedi D. 252. 6 Vedi D. 269. 7 Per il seguito vedi D. 279.

278

IL MINISTRO DEGLI AFFARI ESTERI, MARTINO, ALL’AMBASCIATA A PARIGI(1)

T. 610/36. Roma, 21 gennaio 1955, ore 21,45.

Al termine del viaggio compiuto attraverso le capitali europee della CECA l’Onorevole Pella è convinto che Schuman è il solo francese che possa essere nominato successore di Monnet a pieni voti dato che qualsiasi altro candidato incontrerebbe l’opposizione tedesca.

L’Onorevole Pella ha parlato anche con Schuman il quale accetterebbe se Mendès-France glielo chiedesse personalmente.

V.E. voglia informare codesto Presidente Consiglio e riferire telegraficamente tenendo presente che nomina Schuman è naturalmente ben gradita anche da parte nostra(2).

1 DGAP, Uff. I, Serie Affari Politici, 1951-1957, b. 410, fasc. CECA. 2 Per il seguito vedi DD. 280 e 281.

279

IL CAPO DELLA RAPPRESENTANZA PRESSO IL CONSIGLIO ATLANTICO, ALESSANDRINI, AL MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI(1)

T. segreto 1018/41-42. Parigi, 21 gennaio 1955, ore 23,50 (perv. ore 24).

Mio 322.

In seduta odierna hanno parlato Parodi, per rispondere ad osservazioni di principio fatte da diverse Delegazioni, ed osservatore NATO.

Parodi ha anzitutto insistito nuovamente sui due principali moventi che, dal punto di vista politico, hanno ispirato le proposte francesi.

1) Se CED è caduta (Francia ha forse avuto torto di respingerla, ha detto testualmente Parodi evidentemente in seguito ad istruzioni di dare soddisfazione a settori parlamentari europeisti) perché troppo vasta cinon significa che non debba tentarsi di applicare quelle parti ancora suscettibili di estendere organizzazione europea. Sembra ai francesi che i principi integrativi trovino proprio in materia armamenti terreno favorevole, analogamente a quanto già in atto per carbo-siderurgia, in misura minore per trasporti. Parodi ha ritenuto sorprendente trovarsi davanti opposizione su questo terreno proprio da parte Paesi che per anni hanno accusato Francia non essere abbastanza europeista.

2) La CED aveva anche scopo attenuare timori circa riarmo tedesco, che sussistono tuttora e che è interesse comune eliminare: sembra doveroso ai francesi cercare di ottenere medesimi risultati sia pure lavorando in campo pilimitato.

Dal punto di vista secondo, Parodi – pure compiacendosi della generale approvazione degli obiettivi indicati nota francese (con particolare riguardo standardizzazione e riduzione costi attraverso produzione in grandi serie nonché condanna autarchia) – ha cortesemente polemizzato con tedeschi ed olandesi sostenendo che in materia di standardizzazione l’agenzia potrebbe andare pilontano del NATO, con cui peraltro dovrebbe tener contatto.

Richiamandosi alle particolari caratteristiche produzione ed approvvigionamento armamenti – i cui Governi debbono intervenire per forza di cose a quasi tutti gli stadi successivi – ha affermato trattarsi di campo speciale in cui libertà mercato è molto sui generis. Comunque ha chiarito che progetto francese non intende stabilire dirigismo contrario sistemi interni singoli Paesi né esclude elemento concorrenza; soltanto parte da principio che sola concorrenza non sia sufficiente per raggiungere scopi che dobbiamo prefiggerci.

Ha escluso voler aggiungere altri controlli a quelli esercitati da apposita agenzia. Ha concluso che se l’Europa vuole avere, come vorrà, un’industria armamenti ed evitare autarchie nazionali tale duplice scopo potrà essere attuato soltanto da una agenzia con compiti e poteri del tipo indicato dai francesi.

Circa partecipazione inglese ha precisato che progetto francese la prevedeva, pur non escludendo che agenzia potesse essere organizzata istituzionalmente «in modo da convenire anche alla Gran Bretagna».

Riferendosi a piriprese ai miei precedenti interventi, Parodi ha ringraziato calorosamente per nostro atteggiamento ed ha sostenuto che nostre preoccupazioni – con speciale riguardo a mano d’opera – debbono essere tenute in considerazione, aggiungendo peraltro che cisarà possibile solamente nel quadro agenzia.

Weicker, assistente Segretario Generale aggiunto NATO per la produzione, ha esposto molto dettagliatamente metodi seguiti dal NATO nei suoi vari organi, in materia standardizzazione e produzione correlata, rilevando gravi difficoltà incontrate ma affermando essere stato raggiunto massimo risultato possibile.

Intonazione è stata di pessimismo verso possibilità che agenzia a sette ottenga risultati migliori e tendente a scoraggiare, sia pure velatamente, proposte francesi.

In omaggio a tendenza generale tirare in lungo, è stato proposto rinvio prossima seduta a lunedì 31 gennaio per dar tempo Delegazioni studiare dichiarazioni fatte e ricevere istruzioni(3).

1 DGAP, Uff. V, UEO, b. 13, fasc. UEO. Pool Armamenti, fasc. 1, gennaio 1955. 2 Vedi D. 275. 3 Per il seguito vedi DD. 284 e 285.

280

IL MINISTRO DEGLI AFFARI ESTERI, MARTINO, AD AMBASCIATE E LEGAZIONI(1)

T. segreto 655-656/c.2. Roma, 22 gennaio 1955, ore 24.

In previsione imminente nomina successore Monnet, nomina che deve essere effettuata entro 10 febbraio p.v., era stato assunto atteggiamento favorevole ad una candidatura francese purché personalità proposta apportasse contributo sostanziale idea europeistica.

Dopo recente presa di posizione francese che pone candidatura Ramadier sono stati effettuati sondaggi presso Ministri Economia, in occasione ultima riunione Consiglio dei Ministri Lussemburgo (20 gennaio)3 e da tali sondaggi sono risultati seguenti atteggiamenti:

Ministro Economia tedesco Westrick si è dichiarato fermamente ostile Ramadier, asserendo che suo Governo aderirebbe candidatura francese solo nel caso si trattasse Schuman. In linea massima favorevole applicazione principio rotazione ed in circostanze attuali vedrebbe con favore candidatura Benelux ed in particolare vice Presidente Coppé. Qualora fosse impossibile ottenere candidatura Benelux, Germania avanzerebbe energicamente candidatura per Etzel.

Lussemburgo e Olanda in principio favorevoli alla rotazione pur preoccupate evitare reazioni politiche negative in Francia.

Belgio *mentre sarebbe stato*4 in principio favorevole per la riconferma di Monnet, non si è pronunciato circa candidatura Ramadier, non volendo assumere atteggiamenti prima di avere consultato Spaak. Ha inoltre dichiarato che non vi è nulla in contrario da parte del Governo belga ad appoggiare candidatura Coppé qualora fosse avanzata da altri membri.

Comunque tutti unanimi per accettazione candidatura Schuman.

In relazione quanto precede è stato telegrafato nostra Rappresentanza Parigi(5) di portare conoscenza quel Presidente Consiglio che candidatura francese potrebbe ottenere unanimità unicamente se fosse proposto Schuman il quale – secondo quanto risulta On. Pella – sarebbe disposto accettare se officiato personalmente da Mendès-France. È stato aggiunto di far presente che candidatura Schuman ci troverebbe pienamente consenzienti.

Si prega pertanto V.E. (V.S.) voler appurare se atteggiamenti manifestati da Ministri Economia a Lussemburgo siano confermati da codesto Governo e di volere comunque far conoscere suo punto di vista(6).

1 Telegrammi segreti originali 1955, partenza, vol. I.

2 Inviato alle Ambasciate a Bonn, Bruxelles, L’Aja e alla Legazione a Lussemburgo. Il testo di questo telegramma riporta quasi puntualmente il contenuto di un Appunto di Corrias a Martino del 20 gennaio (Gabinetto, 1943-1958, b. 132, pos. A/68 CECA).

3 XXII Sessione del Consiglio speciale dei Ministri della CECA, tenutasi a Lussemburgo il 20 gennaio 1955, sulle questioni delle tariffe ferroviarie internazionali, della cassa perequazione dei prezzi dei rottami, dei noli fluviali, dello scambio di informazioni fra Alta Autorità e i sei Paesi membri in relazione all’Accordo di associazione con la Gran Bretagna e sull’approvazione delle nomine dei membri del Comitato Consultivo della Comunità (Corrias a Martino, Appunto s.d. in Gabinetto, 1943-1958, b. 132, pos. A/68 CECA). Decisioni e risoluzioni del Consiglio dei Ministri in Journal officiel de la Communauté européenne du charbon et de l’acier, A 3, 31 janvier 1955.

4 Le parole segnalate tra asterischi sono aggiunte posteriori manoscritte.

5 Vedi D. 278.

6 Le risposte da Bonn e Bruxelles (rispettivamente T. segreto 1133/13 e T. segreto 1135/21 del 24 gennaio) informavano che si era in attesa di una presa di posizione ufficiale. Per il seguito vedi D. 281.

281

L’AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI, AL MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI(1)

T. segreto 1059/852. Parigi, 22 gennaio 1955, ore 16,30 (perv. ore 18,55).

Ho fatto comunicare direttamente a Mendès-France il contenuto del telegramma di V.E. n. 36.3.

La risposta conferma quello che, a quanto assicura, Mendès avrebbe personalmente detto all’Onorevole Pella nella conversazione di Parigi. Il Governo francese non intende presentare la candidatura di Schuman: la ragione ufficialmente addotta nel corso della conversazione con Pella, è che una simile candidatura potrebbe essere interpretata come un tentativo di allontanare Schuman dalla scena francese. La realtà è che Mendès, cui Schuman ha già rifiutato l’Ambasciata di Washington e la prima offerta del posto Monnet, non intende prendere altre iniziative in questa direzione. Oltre a ci in vista della difficile situazione parlamentare, Mendès si orienta su strade diverse. La candidatura ufficiale sarà quella di Ramadier, salvo quest’ultimo ripiombasse in esitazioni. Ma anche in questo caso, ci sarebbe possibilità favorevole per lui ‒[non] per Schuman. Il Governo francese sa benissimo che la candidatura Schuman otterrebbe unanimità. Non esclude (pernon sembra sicuro come sembra credere l’Onorevole Pella) che Schuman potrebbe forse accettare: cinonostante, oggi, non è disposto insistere(4).

1 DGAP, Uff. I, Serie Affari Politici, 1951-1957, b. 410, fasc. CECA.

2 Trasmesso «per opportuna conoscenza ed orientamento» con T. segreto 739/c. alle Ambasciate a Bonn, Bruxelles, L’Aja e alla Legazione e Lussemburgo (Telegrammi segreti originali 1955, partenza, vol. I).

3 Vedi D. 278.

4 Per il seguito vedi D. 283.

282

L’AMBASCIATORE A LONDRA, ZOPPI, AL MINISTRO DEGLI AFFARI ESTERI, MARTINO(1)

L. 3682. Londra, 24 gennaio 1955.

Cara Eccellenza,

avevo appena spedito il mio rapporto n. 311/182 del 20 gennaio quando ho letto i rapporti di Washington (ritrasmessi con telespresso n. 21/0073 del 13 corr.) e di Mosca (ritrasmessi col telespresso n. 12/27/C del 13 corr.). Vorrei dirle che concordo nella valutazione della situazione quale riferita dai miei colleghi in quelle due Capitali ed aggiungere alcune considerazioni che pidirettamente interessano la nostra posizione internazionale in questo momento.

Dopo l’intesa per Trieste, i provvedimenti anti-comunisti, la rapida approvazione da parte della Camera degli accordi di Parigi, la presentazione del piano Vanoni, le azioni dell’Italia alla Borsa internazionale sono salite ad una quota non mai raggiunta dalla guerra in poi. Gran merito va a lei e al Presidente del Consiglio che hanno impostato la politica estera del Paese su basi realistiche, dandole quel piampio respiro che da tempo si attendeva.

Siamo ora alla vigilia del viaggio a Londra cui seguirà, quasi subito, quello aWashington. È di gran vantaggio per noi che, nel momento in cui tali viaggi hanno luogo, la politica americana e quella britannica si stiano allineando verso una visione concorde e una azione parallela nei confronti dei maggiori problemi sul tappeto: Est-Ovest, Estremo Oriente, Medio Oriente; visione e azione alle quali possiamo dare, mi sembra, la nostra adesione ed il nostro appoggio. E mi permetto sottolineare il nostro interesse ad assumere questo atteggiamento in un momento in cui la situazione generale europea, vista da Washington e da Londra, appare agli anglo-americani tutt’altro che tranquillizzante. La posizione di Adenauer, che inglesi e americani cercano in ogni modo di sorreggere, si è ulteriormente indebolita all’interno e l’ultima mossa sovietica non è fatta per rinforzarla. Ciche accadrà in Francia quando gli accordi di Parigi verranno presentati al Consiglio della Repubblica è ancora causa di apprensioni.

Se domani gli accordi di Parigi cadessero come è caduta la CED, si determinerebbe una situazione estremamente seria con rischio di sbandamenti nelle opinioni pubbliche dei Paesi continentali, mentre gli anglo-americani avviserebbero alla politica «di ricambio» da adottarsi.

Qualora da parte nostra, prima del suo viaggio in Gran Bretagna e negli Stati Uniti, venissero completate le ratifiche degli accordi di Parigi, noi rafforzeremo la favorevole posizione di cui già godiamo e che non ci conviene in alcun modo indebolire. Se anche la Francia ratificherà, avremo questa volta tutto da guadagnare nell’averla preceduta; ma, se la situazione volgesse in modo diverso, noi avremo una posizione tale per cui non potremo essere né ignorati né trascurati quando, nella ipotesi che pur speriamo non si verifichi, dovessero essere studiate eventuali soluzioni di ricambio. Il che per un Paese come l’Italia, geograficamente esposto, economicamente e militarmente debole, è un interesse vitale.

Le chiedo scusa di questa lettera. In fondo le ho scritto cose già note: è per concludere con l’augurio che, venendo a Londra, ella possa recare con sé anche la ratifica del Senato. So bene che in questa materia vi sono procedure e regolamenti da rispettare ed esigenze parlamentari o di politica interna di cui tenere conto; ma l’Ambasciatore a Londra pu credo, permettersi di far presente l’enorme vantaggio, per ora e per poi, che ce ne deriverebbe in tutto l’Occidente.

Il Ministro Eden, nel ripetermi la sua simpatia e la sua ammirazione per lei, mi ha sottolineato (e sono le prime parole da lui dettemi ricevendomi) che intende spingere sempre piinnanzi la collaborazione fra i due Paesi; credo che se riuscissimo a metterci, primi fra i continentali, nella stessa posizione degli inglesi (che hanno già approvato gli accordi sia ai Comuni che ai Lords) tale collaborazione potrebbe poggiare su di una base assai solida(3).

Mi creda, con devoto ossequio,

suo

V. Zoppi

1 Gabinetto, 1953-1961, b. 1, fasc. 5.

2 Annotazione di Martino sul primo foglio: «Purtroppo la procedura parlamentare non consente che la discussione al Senato abbia luogo prima del 21 febbraio, cioè dopo del [sic] nostro ritorno da Londra; ma certamente avremo in tasca la ratifica nell’occasione del nostro viaggio a Washington». Il documento reca anche il timbro: «Visto dal Segretario Generale» con la sigla di Rossi Longhi.

3 Sulle conversazioni di Londra vedi DD. 298-300.

283

IL MINISTRO DEGLI AFFARI ESTERI, MARTINO, ALL’AMBASCIATA A PARIGI(1)

T. segreto 751/43. Roma, 25 gennaio 1955, ore 22,30.

In sondaggi ufficiosi effettuati recente Consiglio Ministri Lussemburgo(2) sembra da escludersi possibilità nomina Ramadier a Presidente, per cui Francia verrebbe a trovarsi in posizione imbarazzante nominando uomo politico che sarebbe destinato rimanere semplice membro Alta Autorità.

In tale situazione, ed apparendo ormai difficilmente attuabile riconferma Monnet, sembra non resti che ripiegare su principio rotazione rimanendo al Governo francese soltanto nomina nono membro Alta Autorità in sostituzione dimissionario Monnet.

Prego V.E. voler portare a conoscenza Governo francese – nel modo che riterrà piopportuno – tali nostre considerazioni facendo conoscere se in simile situazione Governo francese ritenga mantenere ferma candidatura Ramadier(3).

1 Telegrammi segreti originali 1955, partenza, vol. I.

2 Vedi D. 280.

3 Quaroni rispose con T. segreto 1357/96 del 28 gennaio: «Mendès-France mi ha detto che, nel corso della conversazione avuta con lui, l’On. Pella gli ha detto che candidati francesi che avrebbero avuto maggiori chances di ottenere la Presidenza CECA, sono in ordine di precedenza: 1) Schuman su cui si sarebbe fatta unanimità; 2) René Mayer; 3) Ramadier. Schuman era fuori di discussione per le ragioni di cui al mio telegramma 85 ed anche (ha aggiunto) dopo quanto ha detto di Mendès al Convegno dei Federalisti. Le sue relazioni politiche personali con René Mayer rendevano anche questa candidatura impossibile; non restava quindi che la candidatura Ramadier. È anche quindi per suggerimento di Pella che la sua scelta è caduta su Ramadier. Naturalmente vi sono anche altre ragioni e particolarmente quella di avere i voti socialisti al prossimo dibattito. Il Presidente ha aggiunto che, in sé stesso, poco importa al Governo francese che il Presidente della CECA sia o no un francese (gli industriali francesi sono anzi nettamente contrari), comunque, questo non ha importanza per il Governo e per la politica interna. Ne ha poco ‒sempre secondo Presidente ‒ai fini di qualche connessione Agenzia armamenti e CECAche noi e tedeschi desideriamo. È cosa che incontrerà certe resistenze da parte del Parlamento francese. Resistenza sarebbe assoluta qualora Presidente fosse Jean Monnet. Ma per fortuna ‒ha detto ‒questi è ormai definitivamente messo fuori dalla vita politica francese. Se invece il Presidente fosse Ramadier, la sua persona potrebbe essere elemento di favorevole accettazione connessione [sic] da parte Governo francese. È una presentazione del caso che non necessita commenti» (DGAP, Uff. I, Serie Affari Politici, 1951-1957, b. 410, fasc. CECA).

Per il seguito vedi D. 288.

284

[LA DIREZIONE GENERALE DELLA COOPERAZIONE INTERNAZIONALE, UFFICIO I]1

Appunto. Roma, 25 gennaio 1955.

APPUNTO SULLA CONFERENZA PER IL «POOL» DEGLI ARMAMENTI

Si riassume qui di seguito schematicamente, con le prime impressioni, l’andamento della Conferenza di Parigi, per esaminare il noto progetto francese di un «pool» degli armamenti, nella sua fase iniziale.

Il fatto pinotevole di tale inizio è stato che, solo qualche ora prima dell’apertura della Conferenza, sia stato presentato da parte tedesca un documento contrassegnato con questa dizione: «Suggestions du Ministre Fédéral de l’Economie», cioè del Ministro Erhard. La quale formula pufare supporre che il Governo tedesco come tale, o meglio il Cancelliere Adenauer, vogliano riservarsi un margine di elasticità per avvicinarsi poi alle posizioni francesi.

Il documento tedesco, premesso su di un piano giuridico e politico che l’impegno di allestire le forze armate costituisce una obbligazione nazionale dei singoli Governi e che la Germania non pue non vuole andare oltre gli impegni (leggi accettazione di controlli) già assunti con il Trattato della UEO, è sostanzialmente imperniato sui seguenti punti:

- - -

Il Ministro tedesco ha fatto notare come nei primi anni la Germania dovrà dedicarsi prevalentemente a creare le infrastrutture e a provvedere all’equipaggiamento ed armamento individuale degli effettivi. Essa, pertanto, non potrà dedicarsi alla produzione e si presenterà quindi sul mercato prevalentemente come acquirente (vale la pena osservare come la Germania sia creditrice nei confronti di tutti i Paesi UEO).

Il Ministro Erhard ha chiesto, e la Conferenza ha accettato, che tale suo memorandum venga acquisito come documento di lavoro. La Conferenza pertanto è ormai destinata a muoversi tra i due contrapposti poli del progetto francese (sopranazionalità e dirigismo) e del controprogetto tedesco (internazionalismo e liberismo), tra i quali si inseriscono varie posizioni intermedie.

Il rappresentante italiano, in base alle note istruzioni, ha dato l’adesione di massima dell’Italia all’iniziativa e al progetto francese, pur temperandola con le note riserve, e cioè che in ogni caso siano preservate le seguenti specifiche esigenze italiane:

1) utilizzo di tutte le capacità produttive esistenti;

2) utilizzo, per nuove unità produttive da realizzarsi in comune, dell’Italia meridionale e particolarmente di quella insulare;

3) mantenimento dell’attuale sistema bilaterale per quanto concerne gli aiuti americani.

L’Olanda è il Paese che ha assunto la posizione maggiormente negativa nei confronti del progetto francese: la CED, in quanto un tutto organico, aveva una sua logica; non è invece possibile alimentare nuove comunità parziali di settore; la standardizzazione e il coordinamento degli sforzi si possono realizzare in sede NATO; non parteciperà ad alcuna iniziativa alla quale rimanga estranea l’Inghilterra; è contraria ad ogni dirigismo.

Il Belgio ha assunto invece un atteggiamento intermedio che denuncia una chiara tendenza a voler realizzare a suo tempo un compromesso. Ha infatti sostenuto le ragioni della collaborazione e della unione delle forze e quello della libertà delle iniziative economiche e ha concluso proponendo che i lavori della Conferenza prendano come base l’esame del «periodo transitorio» previsto dal progetto francese, nel quale piattenuato è il dirigismo e nel quale ci si mantiene ancora su di un piano di intese internazionali.

L’Inghilterra ha fatto una dichiarazione di notevole peso, quella cioè di considerare che il progetto riguarda e impegna il solo continente.

Nella replica a queste prese di posizione e soprattutto a quella tedesca, la Francia ha ribadito la validità del proprio progetto che considera suscettibile di sviluppi sul piano politico in senso sopranazionale (se non si è potuta realizzare la CED nella sua interezza, nulla impedisce che se ne realizzi una parte, che potrebbe allinearsi a fianco di una Comunità già esistente, la CECA). Ha messo in evidenza le particolari caratteristiche ed esigenze della produzione e dello scambio dei materiali bellici per i quali in effetti non esiste un «mercato» nel vero senso della parola e ha tentato di dissipare i timori tedeschi circa ulteriori controlli.

Il rappresentante francese – sempre polemizzando con Erhard – ha detto essere una ipotesi fuori della realtà quella di una Germania che, non ostante le sue tradizioni e la sua formidabile forza tecnica ed economica, voglia rinunziare anche per l’avvenire ad avere una propria produzione bellica.

L’Ambasciatore Parodi ha altresì precisato che il Governo francese intende che del progettato Pool debba far parte anche l’Inghilterra, pur con particolari accorgimenti che facciano salve le particolari esigenze di tale Paese.

La Conferenza ha aggiornato i propri lavori fino a lunedì prossimo 31 gennaio, onde i vari Governi abbiano modo di riflettere sulle diverse prese di posizione come sopra riassunte.

A tale ripresa dei lavori verrà anzitutto esaminata la proposta francese – proposta che peraltro puconsiderarsi virtualmente accettata – di costituire due Gruppi di lavoro incaricati di studiare in modo analitico, l’uno la «standardizzazione» e l’altro il «mercato degli armamenti».

Per l’immediato futuro, pertanto, la Conferenza sarà imperniata sui lavori di tali due Comitati tecnici i quali, probabilmente dopo qualche settimana, dovranno riferire in seduta plenaria.

DGAP, Uff. V, UEO, b. 13, fasc. UEO. Pool Armamenti, fasc. 1, gennaio 1955.

285

IL CAPO DELLA RAPPRESENTANZA PRESSO IL CONSIGLIO ATLANTICO, ALESSANDRINI, AL MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI(1)

Telespr. segreto 330/1162. Parigi, 25 gennaio 1955.

Oggetto: UEO - Gruppo di Lavoro per la standardizzazione e la produzione degli armamenti.

Riferimento: Mie comunicazioni in data 18 e 21 corr.3.

Dopo le dichiarazioni di carattere generale fatte dalle varie Delegazioni nella prima fase di attività del Gruppo di Lavoro e la risposta di Parodi alle gravi obiezioni di fondo sollevate, sopratutto da parte tedesca ed olandese, i lavori hanno segnato ‒come era prevedibile ‒ una battuta di arresto.

Non si è avuta infatti la sensazione che i divergenti punti di vista si siano affatto avvicinati: ognuno è rimasto fermo nel proprio atteggiamento circa i metodi da seguire per realizzare gli obiettivi che, formalmente, stanno alla base delle proposte francesi.

Per grandi linee le posizioni delle diverse Delegazioni possono essere riassunte come segue.

Tedeschi. Partendo dal presupposto che la Germania non potrebbe accettare che, attraverso la costituzione dell’Agenzia, le venissero imposti altri controlli o limitazioni al di là di quelli concordati nelle conferenze di Londra e di Parigi, il Governo tedesco è tendenzialmente orientato verso una organizzazione a carattere funzionale del tipo OECE (anziché a carattere istituzionale del tipo CECA) che serva principalmente ad armonizzare le politiche economiche dei diversi Governi nel settore degli armamenti ed a ricercare in comune i mezzi migliori per limitare il peso delle spese di armamento sulle singole economie, anche nel quadro generale dei rapporti di scambio e valutari fra i Paesi UEO. Bonn tende, in sostanza, alla formazione di una specie di «tavola rotonda», intorno alla quale i Paesi partecipanti siano permanentemente riuniti per esaminare i problemi di comune interesse inerenti al riarmo e per cercare i mezzi migliori per coordinare la loro azione, per via di accordo.

Il Ministro Erhard ha giustificato questa sua presa di posizione ‒esposta in un documento di lavoro che rappresenta in realtà un vero contro-progetto alle proposte francesi (documento presentato sotto il titolo di «suggerimenti del Ministero federale dell’economia») ‒con la necessità di non turbare il giuoco della libera concorrenza che, secondo lui, è il solo suscettibile di assicurare la razionalizzazione della produzione e la diminuzione dei costi auspicata dai francesi, di inquadrare il settore degli armamenti nella cornice generale della produzione e degli scambi intereuropei e di evitare che si stabilisca una forma di dirigismo economico che sarebbe non solo contrario alle impostazioni liberistiche della politica economica tedesca, ma comunque dannoso ai fini della realizzazione degli obiettivi di comune interesse.

Sembra che la posizione tedesca sia sopratutto tattica e che Erhard si sia sforzato di trovare delle giustificazioni alla sua opposizione al progetto francese, di cui teme sopratutto la parte che prevede la possibilità di limitare, attraverso decisioni adottate a maggioranza, la libertà dei tedeschi di espandere la produzione bellica, sia pure nei limiti loro consentiti dagli accordi di Parigi, se e quando la Germania lo ritenesse conveniente. Il regime delle autorizzazioni appare infatti ai tedeschi particolarmente discriminativo nei loro confronti, dato che essi non possiedono al momento attuale nessuna linea di produzione di materiali di armamento. In realtà, e certo volutamente, Erhard non ha tenuto conto del fatto che l’economia di mercato nel settore degli armamenti è, in sostanza, solo apparente, essendo i Governi i soli acquirenti e dovendo essi necessariamente intervenire in tutti gli stadi successivi del processo produttivo.

Di maggior peso invece appare l’argomentazione giuridica e tecnica secondo la quale un’Agenzia del tipo proposto col memorandum francese non sarebbe in armonia né con lo spirito né con la funzionalità degli Accordi di Parigi. Tali Accordi infatti stabiliscono ‒a differenza della CED ‒che la responsabilità della preparazione e dell’equipaggiamento delle Forze rimane nazionale: ne consegue dunque, dato che la produzione e l’approvvigionamento degli armamenti sono un aspetto di tale preparazione e da questa inscindibili, che non è possibile attribuire la responsabilità ad una autorità differente.

Insomma i tedeschi usano, in un certo senso, lo stesso metodo dei francesi: entrambi infatti, non potendo dichiarare apertamente i rispettivi veri scopi, cercano di raggiungerli attraverso strutture che, secondo il carattere che assumeranno, potranno o meno postularne la realizzazione. La discussione viene quindi spostata dal suo autentico centro e portata sul terreno dei sistemi da applicare per venire incontro ad alcune necessità di efficienza e di migliore utilizzazione delle risorse esistenti, sulle quali tutti non possono non essere d’accordo.

Olandesi. L’Olanda è fondamentalmente contraria al progetto francese perché si ritiene avvantaggiata da una situazione di libertà e perché teme di essere vincolata e compressa dalle decisioni di un ente a carattere, sia pure limitatamente, sopranazionale, che dovrebbe tener conto di altri fattori oltre a quelli puramente economici e concorrenziali e che potrebbe imporre regolamentazioni e determinazioni nei confronti delle quali essa potrebbe trovarsi in posizione di minoranza.

Ben altra sarebbe stata, dicono gli olandesi, la situazione se si fosse creata la CED, che prevedeva un campo di azione molto pivasto ed offriva determinate garanzie e salvaguardie. Essi, pertanto, si oppongono all’applicazione di criteri sopranazionali in un campo così ristretto, e, per quel che concerne la standardizzazione, ritengono che si possa tendervi per via di intese internazionali e cioè praticamente, nel quadro della NATO. In tale quadro, dove si lavora attivamente in questa materia, è ammesso ‒ricordano gli olandesi ‒che si ricerchino accordi anche fra un limitato numero di Paesi: non si vede quindi perché debba essere messa in movimento una complessa e pesante organizzazione parallela, la quale non rappresenterebbe, in fondo, che un doppione di ciche già esiste. Se in sede NATO sono stati ottenuti finora risultati modesti, ci si dovrebbe piuttosto sforzare di migliorare gli attuali metodi di lavoro e di estendere ed approfondire la collaborazione fra quei Paesi che hanno tra di loro particolari legami.

Con questa impostazione la Delegazione dei Paesi Bassi tende evidentemente a scardinare alla base le proposte francesi, che appunto dalla standardizzazione prendono le mosse.

Le obiezioni olandesi non mancano di una certa logicità per quel che concerne la standardizzazione degli armamenti convenzionali (e a questo proposito essi dicono, non senza ragione, che la presenza degli americani è un elemento essenziale perché effettivamente i progressi finora compiuti sono stati principalmente fondati sulle forniture di end-items standardizzati e sulle commesse di materiali standardizzati). Tali obiezioni non tengono, per conto del settore importantissimo delle armi pimoderne, né di quello della ricerca e sperimentazione in comune, in cui non sono prevedibili favorevoli risultati nell’ambito NATO; tali settori appaiono invece di estremo interesse tanto che forse basterebbero da soli a giustificare un serio e deciso sforzo europeo in senso integrativo.

Dal punto di vista politico gli olandesi sono fermi nel concetto che ogni organismo cui mancasse la piena partecipazione inglese, rappresenterebbe una frattura con la Gran Bretagna e, per conseguenza, aprirebbe una falla nell’Unione dell’Europa Occidentale, in cui appunto l’attiva presenza britannica rappresenta il compenso alla mancata costituzione della Comunità Europea di Difesa.

Belgi. Essi mantengono un atteggiamento sostanzialmente analogo a quello olandese ma pisfumato e conciliante. Si sono infatti dichiarati pronti ad esaminare un sistema ispirato a quello indicato da parte francese per il periodo provvisorio, accantonando peraltro «sine die» lo studio di un eventuale periodo definitivo.

Lussemburghesi. Non hanno fatto alcuna dichiarazione ma si troveranno probabilmente allineati sulle direttive negative di marca Benelux.

Inglesi. Essi hanno chiaramente fatto intendere che non parteciperebbero ad alcuna organizzazione che avesse carattere di sopranazionalità, pur dichiarandosi pronti a partecipare alla ricerca comune dei mezzi piidonei per raggiungere gli obiettivi indicati dai francesi.

In conversazioni private, Steel mi ha dato peraltro l’impressione che il suo Governo sia in realtà propenso a mantenersi il pipossibile al di fuori di ogni organizzazione che abbia, in qualsiasi modo, un carattere integrativo.

Francesi. Anche di fronte agli attacchi e alle critiche di cui sono state oggetto le loro proposte, i francesi sono rimasti fermi sulle loro posizioni di fondo, che Parodi, nella sua risposta, ha sostenuto con argomenti tanto di carattere politico quanto di carattere tecnico. Né poteva essere altrimenti per ovvie considerazioni di politica interna; se si dovrà arrivare a concessioni da parte francese, certamente quel momento è ancora relativamente lontano.

Dal punto di vista politico, Parodi ha insistito sopratutto su due punti: 1) che se, in seguito ad una decisione del Parlamento francese, la CED «forse a torto» non ha potuto aver vita, si pue si deve tentare di realizzarne quelle parti ancora suscettibili di estendere l’organizzazione europea, attraverso l’applicazione dei principi di integrazione e di sopranazionalità, che sembra possano trovare proprio in materia di armamenti ‒analogamente al campo del carbone e dell’acciaio e, in misura minore, dei trasporti ‒un terreno favorevole; 2) che uno degli scopi principali della CED era quello di attenuare i timori circa il riarmo tedesco, timori che tuttora sussistono tanto in Francia quanto nella stessa Germania, e che è interesse comune di eliminare anche ai fini del consolidamento della riconciliazione franco-tedesca, elemento fondamentale della costruzione di una Europa unita: tale scopo è ancora di attualità ed ha ancora la sua grande importanza. Appare quindi doverosa la ricerca diretta di ottenere i medesimi auspicabili risultati, sia pur lavorando in un campo pilimitato.

Pifragile appare la prima argomentazione, cui verrà certamente risposto che la CED rappresentava un tutto unico ed una delle pietre angolari di un edificio europeo a carattere sopranazionale ed integrativo per il quale valeva la pena di fare certi sacrifici di sovranità che oggi, nel regime UEO ‒ispirato ad una diversa concezione di base ‒non troverebbero più la stessa giustificazione né di fronte ai Governi né di fronte all’opinione pubblica. Pisolido invece appare il secondo concetto che è fondato su uno stato di fatto (la situazione interna francese, con particolare riguardo alle reazioni parlamentari) da cui, in definitiva, dipende ancora la messa in moto del sistema concordato a Londra e a Parigi.

Dal punto di vista tecnico, Parodi ha difeso le tesi francesi basandosi sopratutto sulle seguenti considerazioni fondamentali: 1) l’Agenzia potrebbe andare assai pilontano del NATO in tema di standardizzazione; 2) le particolari caratteristiche della produzione e dell’approvvigionamento degli armamenti fanno sì che la sola concorrenza non sia sufficiente per raggiungere gli scopi da tutti riconosciuti essenziali ed urgenti; 3) se l’Europa vuole avere una propria industria di armamento ed evitare, al tempo stesso, le autarchie nazionali da tutti riconosciute dannose, è necessario costituire un organo dotato di vasta competenza e di estesi poteri di decisione.

Ad alcune perplessità espresse nel corso delle prime sedute, il Rappresentante francese ha cercato di venire incontro precisando che, comunque, il progetto francese non intende stabilire un «dirigismo» contrario ai sistemi interni dei singoli paesi, non esclude l’elemento della concorrenza e non vuole aggiungere altri controlli oltre a quelli che saranno esercitati dall’apposita Agenzia.

Americani. Per quanto è dato di comprendere qui, l’atteggiamento degli Stati Uniti è tuttora un atteggiamento di attesa. Sembra potersi dire che esso è determinato da due opposte considerazioni: da un lato, quella di non ostacolare ogni passo che possa condurre ad una maggiore stabilizzazione in Europa, favorire la riconciliazione franco-tedesca ed affrettare la piena applicazione degli Accordi di Parigi; dall’altro, quella che ogni mossa tendente a sottrarre alla NATO competenze e responsabilità possa risolversi, in definitiva in una diminuzione della loro influenza diretta e, alla lunga, in una minore coesione della compagine atlantica. Le dichiarazioni dell’Osservatore della NATO, l’Assistente Segretario Generale per la produzione, Weicker, improntate ad un certo scetticismo circa la possibilità che una Agenzia specializzata e limitata nel numero dei partecipanti sia in grado di ottenere risultati migliori di quelli raggiunti in sede NATO, rappresentano sì il punto di vista dell’Organizzazione ma possono anche riflettere il pensiero degli americani, per i quali la NATO costituisce il cardine fondamentale della loro politica e della loro strategia europea.

La nostra linea di condotta, secondo le istruzioni di V.E., è stata di appoggio di principio all’impostazione politica data dai francesi alle loro proposte, in quanto, coerenti con la nostra politica europeista, noi non intendiamo tralasciare qualsiasi occasione per tentare di riportare l’Europa sulla via di una integrazione a carattere sopranazionale. Abbiamo peraltro realisticamente fatto presente alcune nostre particolari esigenze dalle quali non potremmo prescindere e ci siamo dichiarati pronti ad esaminare con spirito aperto ogni eventuale soluzione che tenesse conto dei nostri peculiari interessi.

Anche alla luce del come si sono svolte le prime battute dell’attività del Gruppo di Lavoro, sembra che questo atteggiamento sia stato il piopportuno perché, da una parte, ha evitato l’isolamento dei francesi, che avrebbe potuto avere spiacevoli conseguenze sopratutto sul piano interno di questo Paese ponendo Mendès-France in una situazione difficile assai, e, dall’altra, ci lascia mano libera per manovrare a seconda delle circostanze e dell’ulteriore sviluppo dei lavori.

Quale possa essere questo ulteriore sviluppo e quali siano le prospettive di giungere ad intese concrete, cui tutti possano sottoscrivere, è oggi molto difficile dire. Per raggiugere un punto d’incontro tra le tesi in contrasto, certamente molte concessioni dovranno essere fatte da una parte e dall’altra.

Quello che è certo è che non si arriverà alla fase finale dei lavori prima del voto del Consiglio della Repubblica sugli Accordi di Parigi, voto che proietta la sua ombra sulle attuali riunioni e che rende d’interesse comune di non arrivare a fratture troppo appariscenti né, tanto meno, di creare l’impressione che esiste fra le diverse Delegazioni un inconciliabile disaccordo.

È altresì prematuro fare previsioni su quelle che potrebbero essere, sul terreno pratico, le soluzioni di ripiego e di compromesso sulle quali si potrebbe finalmente trovare una intesa: esse dipenderanno dal grado di intransigenza che gli uni e gli altri dimostreranno in seguito a quella che sarà per essere la sorte definitiva degli Accordi di Parigi davanti al Parlamento francese, nonché dalla possibilità o meno di assicurare una partecipazione della Gran Bretagna all’Agenzia, pur stabilendo fra i sei una piintima cooperazione.

A noi sembra convenga, comunque, ripeto, di mantenere ancora per qualche tempo un atteggiamento a carattere pragmatistico e possibilistico, cercando di trarre il massimo possibile profitto ‒ sia nel campo della efficace difesa dei nostri interessi sia in quello delle impostazioni politiche ‒da ogni soluzione che si dimostri realizzabile. Ad un certo momento, potrà anche darsi che ci si offra l’occasione di esercitare una utile azione di mediazione se vedessimo che attraverso di essa si potesse arrivare a dei risultati corrispondenti ai nostri desiderata.

In questa situazione, i francesi ‒nell’evidente intento di disincagliare le discussioni ‒hanno comunicato che intendono proporre, nel corso della prossima riunione del Gruppo di Lavoro, la costituzione di due comitati tecnici incaricati di studiare a fondo gli aspetti essenziali dei problemi in esame accantonando quindi per il momento l’ulteriore dibattito sulle questioni di fondo.

I due Comitati, che potrebbero a loro volta suddividersi in Sottogruppi, dovrebbero essere incaricati rispettivamente, di studiare la standardizzazione e il mercato degli armamenti.

Il primo dovrebbe avere il seguente mandato:

Analisi delle condizioni nelle quali la standardizzazione dei materiali potrebbe essere realizzata nel quadro dei sette in cooperazione con il NATO. A questo scopo, il Comitato dovrebbe esaminare in particolare i seguenti punti: a) sviluppo delle operazioni successive che conducono alla standardizzazione di un materiale; b) esame della procedura attualmente in vigore nel quadro del NATO, sia da parte dello stesso NATO, sia da parte di organismi particolari (per esempio FINBEL); c) campo d’applicazione della standardizzazione: categorie di materiali da standardizzare ‒ordine di priorità ‒risultati già ottenuti ‒esigenze particolari del teatro d’operazione europeo.

Il secondo Comitato dovrebbe:

Studiare le condizioni particolari del mercato degli armamenti prendendo in considerazione: a) le necessità militari e tecniche; b) le condizioni economiche e il gioco della concorrenza; c) le condizioni finanziarie e il problema della bilancia dei pagamenti.

È da ritenere che tutti saranno d’accordo sul metodo di lavoro che i francesi hanno in mente e che corrisponde ad un criterio di convenienza politica. Del resto non sarà certo inutile che molti aspetti della complessa materia in discussione vengano preliminarmente chiariti e precisati in sede tecnica.

Mi propongo pertanto di aderire alla proposta francese. Il Comitato per la standardizzazione è, in questo momento, indubbiamente il piimportante in quanto è proprio la soluzione dei problemi connessi alla Standardizzazione che condiziona la possibilità di affrontare successivamente quelli inerenti alla razionalizzazione della produzione, alla produzione in comune o coordinata e ad una eventuale programmazione degli investimenti. In merito al mandato che dovrà essere conferito a detto Comitato, tanto i Rappresentanti del Ministero della Difesa quanto quelli del Ministero dell’Industria sono stati concordi nel ritenere che converrebbe alla Delegazione italiana di presentare un progetto di direttive alquanto diverso da quello francese, tendente a porre l’accento, in modo speciale sulla separazione del problema generale in due distinti settori ‒quello dei materiali già in uso e quello dei materiali nuovi e delle armi più moderne nonché sulla integrazione delle ricerche, della sperimentazione e della realizzazione dei prototipi.

Ho pregato l’Ammiraglio Giuriati, il Dr. Ranzi e il Dr. Panunzio di illustrare questa iniziativa nei suoi particolari, nelle sue implicazioni e nella sua portata, in occasione della riunione interministeriale che avrà luogo dopo il loro rientro a Roma e rimango in attesa delle istruzioni che V.E. vorrà cortesemente impartirmi ai fini di un mio eventuale intervento(4).

1 DGAP, Uff. V, UEO, b. 13, fasc. UEO. Pool Armamenti, fasc. 1, gennaio 1955.

2 Sottoscrizione autografa.

3 Vedi DD. 277 e 279.

4 Per la risposta vedi D. 287.

286

IL MINISTRO PER IL COMMERCIO CON L’ESTERO, MARTINELLI, ALLA DELEGAZIONE PRESSO L’OECE(1)

T. 814/33. Roma, 27 gennaio 1955, ore 3.

In linea di principio atteggiamento italiano est favorevole continuazione Unione Europea dei pagamenti(2) et sua graduale trasformazione in istituzione di collaborazione economica intereuropea che adempia medesime funzioni che secondo progetto italiano presentato conferenza Londra avrebbe dovuto essere trasferito costituendo fondo europeo. Circa progressiva eliminazione crediti automatici et loro sostituzione con crediti ad hoc atteggiamento italiano est in linea di massima favorevole. Ovviamente atteggiamento italiano sarà influenzato da soluzioni che saranno accolte circa provvidenze intese rendere disponibile ammontare adeguato di possibilità di credito da essere usufruito sulla base di specifiche concessioni a determinati richiedenti. Circa continuazione Unione Europea dei Pagamenti esercizio finanziario 1955/56 atteggiamento italiano est favorevole continuazione non subordinata mutamenti proporzione esistenze oro-crediti. Tale atteggiamento est determinato constatazione possibilità inversione talune posizioni, che provocherebbe la conseguenza di riattivare alcune quote.

1 Telegrammi segreti originali 1955, partenza, vol. I.

2 Il Consiglio dei Ministri dell’OECE del 13-14 gennaio 1955 decise di mantenere in vigore per un altro anno l’EPU e conferì al Comitato direttivo dell’EPU il mandato di elaborare proposte sull’organizzazione valutaria europea nel periodo di transizione dal regime vigente a quello della convertibilità: vedi ISPI, Annuario di Politica Internazionale, 1955, pp. 685. Su questa riunione vedi anche D. 269.

287

IL MINISTRO DEGLI AFFARI ESTERI, MARTINO, ALLA RAPPRESENTANZA PRESSO IL CONSIGLIO ATLANTICO(1)

T. 914/27. Roma, 29 gennaio 1955, ore 22.

Riferimento suo 330/116 del 25 gennaio u.s.2.

Riunione interministeriale per scambio idee sulla linea da seguire alla ripresa delle sedute del Gruppo di lavoro di Parigi per standardizzazione e produzione armamenti ha avuto luogo ieri sera.

Si possono stabilire in proposito alcune direttive che qui appresso riassumo:

1) Come era previsto, nel corso della prima fase dei lavori di detto Gruppo sono emerse due tesi, la francese e la tedesca, che sembrano allo stadio attuale divergenti. Noi non abbiamo ragione di allontanarci pel momento dalla nostra primitiva posizione favorevole, con debite riserve, a progetto francese di cui condividiamo criteri di avviamento europeistico.

2) Concordiamo altresì con la proposta francese di costituire due sottogruppi di lavoro, uno per standardizzazione e l’altro per lo studio del mercato degli armamenti ma, per quanto si riferisce ai termini di mandato del primo, saremmo propensi aggiungere, tra i punti da esaminare, la messa in comune di studi ed esperienze concernenti prototipi di nuove armi.

3) Questione fondamentale rimane naturalmente fare tutto possibile perché conferenza non entri in crisi ma continui comunque suo lavoro. Si lascia pertanto a V.E. di giudicare momento e modo di presentare in tale senso nostra proposta, la quale andrebbe evitata se potesse eventualmente provocare perplessità tali da turbare l’andamento dei lavori.

4) Ove francesi per qualsiasi ragione, non insistessero su loro proposta costituzione sottogruppi di lavoro e altre Delegazioni vi si mostrassero contrarie, non (dico non) dovremmo assumere un atteggiamento di punta in difesa della stessa.

Concludendo si concorda con l’E.V. sull’opportunità di mantenere un atteggiamento che ci permetta di esercitare, se del caso, un’azione mediatrice(3).

1 Telegrammi segreti originali 1955, partenza, vol. I. 2 Vedi D. 285. 3 Per il seguito vedi D. 294.

288

IL MINISTRO DEGLI AFFARI ESTERI, MARTINO, ALLA LEGAZIONE A LUSSEMBURGO(1)

T. segreto 925/29. Roma, 30 gennaio 1955, ore 16,35.

Suo 502.

Tenuto conto difficoltà inerenti designazione successore Monnet, difficoltà che hanno già indotto Alta Autorità at prevedere possibilità di continuare suoi lavori sotto presidenza provvisoria del decano degli otto Membri, e tenuto conto responsabilità Governo italiano che ha attualmente Presidenza, pregasi S.V. comunicare Segretario Consiglio Ministri CECA quanto segue:

- - -

Pregasi inoltre S.V. prospettare Segretariato Consiglio necessità effettuare opportuni passi presso altri Governi Paesi Membri scopo addivenire, al pipresto, fissazione data riunione Ministri Affari Esteri(4).

1 Telegrammi segreti originali 1955, partenza, vol. I. 2 T. 1290/50 del 27 gennaio col quale Cavalletti riferiva di una riunione riservata tra Monnet e i membri dell’Alta Autorità. Nel corso di essa, era stato raggiunto l’accordo ‒in caso di mancata nomina del successore entro il 10 febbraio ‒di applicare i normali criteri di funzionamento degli organi collegiali, assegnando la presidenza provvisoria e de facto al decano (DGAP, Uff. I, Serie Affari Politici, 1951-1957, b. 410, fasc. CECA). 3 Tra asterischi, correzione manoscritta sovrascritta su «comunque». 4 Con telegramma del 1° febbraio, Calmes invila comunicazione richiesta da Martino a Spaak, Faure, Bech, Beyen e Adenauer (ASUE, CM1, 4547). Per il seguito vedi D. 291.

289

L’AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI, AL MINISTRO DEGLI AFFARI ESTERI, MARTINO(1)

R. riservatissimo 0163. Parigi, 31 gennaio 1955.

Oggetto: CECA.

Signor Ministro,

come avevo già spiegato a voce al Presidente Pella, il caso di Monnet è disperato: a sostenerlo non ci siamo che noi. Non è esatto per come mi sembra che molti in Italia credano, che Monnet è attaccato soprattutto perché è un grande europeista.

Che ci sia della gente che non ama Monnet per il suo Europeismo, questo è fuori dubbio: ma la quasi unanimità contro Monnet si è fatta anche per la dimostrazione che, ad impressione generale, egli ha dato di non essere capace di dirigere la Comunità.

È stato detto di Monnet, fin dall’epoca in cui egli era qui alla testa del Piano, che era un grande creatore ed animatore: che era capace, come nessun altro, di concepire un piano di insieme, ma che era altrettanto incapace di metterlo in esecuzione. E che il successo, indiscusso, del suo Piano in Francia, è stato dovuto al fatto che ha trovato intorno a sé un gruppo di ottimi esecutori.

Come che sia, è certo che si tratta, in Francia e, a quanto mi consta indirettamente, anche in altri paesi, di un giudizio quasi unanime. Non sono soltanto i grandi industriali ad avercela contro di lui, il che potrebbe essere fino ad un certo punto spiegabile, ma anche i nemici degli industriali.

Non è soltanto l’inimicizia personale ‒che è un fatto ‒di Mendès-France che ha giuocato. Chiunque succeda a Mendès-France non potrà che tenere lo stesso atteggiamento.

Non dubito un momento che il nostro attaccamento alla CECA sia dovuto principalmente al fatto che noi vediamo in essa una specie di simbolo di una possibile futura Europa.

Ma è certo anche che noi siamo il Paese a cui la CECA ha dato pivantaggi e meno fastidi. Siamo riusciti a mantenere i nostri dazi protettivi, sia pure a titolo per ora temporaneo, col mercato comune, abbiamo invece goduto della diminuzione dei prezzi dei rottami, e di molte altre cose. Senza contare l’aiuto materiale che ci è stato dato per sopportare l’onere nazionale delle miniere di Sulcis. Non so se il nostro entusiasmo per la CECA sarebbe uguale se ci avesse invece dato fastidio e se sarà lo stesso il giorno, inevitabile, e forse non tanto lontano, in cui essa comincerà a darci fastidio.

Comunque, bisogna che noi non dimentichiamo che tutto questo i nostri colleghi della CECA lo sanno e lo esagerano. E questo controbilancia in certa misura la nostra azione in favore della CECA di Monnet, etc.

Quanto al successore di Monnet, non posso che confermare a V.E. che, negli ambienti industriali francesi, non solo non si tiene a che il Presidente sia francese, ma vi si è addirittura contrari: si dice che il fatto che il Presidente sia francese paralizza in parte l’azione che l’industria ed il Governo francese potrebbero condurre in difesa dei loro interessi. Analogo sembra del resto l’atteggiamento degli industriali tedeschi. Nonostante quanto mi ha detto Mendès-France, non credo sia ugualmente agnostico l’atteggiamento del Governo. È probabile che ci si renda conto che, ai fini pratici, il Presidente francese non conta gran che. Ma ai fini parlamentari e di opinione pubblica, la cosa non purestare indifferente. Gli ex-cedisti diranno che si è perduta la Presidenza, perché la politica di Mendès-France ha obbligato Monnet a dimettersi; i patriotti diranno che le sorti dell’industria francese non possono essere affidate ad uno straniero.

Come che sia, da Parigi si possono intravedere due linee di azione, condotte pio meno in sordina, per quello che concerne la CECA.

Una certa preferenza per un presidente di poco rilievo nella speranza che, in questo modo, gradualmente, il centro di gravità della Comunità passi dall’Alta Autorità al Consiglio dei Ministri: e che, attraverso questo Consiglio dei Ministri, la Comunità si trasformi in un’intesa siderurgica come tante altre. Tendenza che non è molto facile contrastare: Monnet, per fini suoi personali, ha fatto tutto il possibile per avere l’Alta Autorità composta di persone di ben scarso rilievo; e ci è riuscito. Ed il Presidente deve essere sceltofra di loro. È una tendenza pidegli industriali che, apertamente almeno, del Governo.

Vi è poi una tendenza, che non esclude del resto la prima, a portare l’attenzione della Comunità sulla questione dell’equiparazione degli oneri sociali. Qui in tutti gli ambienti si è convinti che la straordinaria ripresa della Germania sia dovuta alla politica seguita da Adenauer e dai suoi, politica definita di destra, senza troppe fisime sociali. Gli industriali guardano al regime economico tedesco con invidia, i sociali, di tutti i partiti, con orrore, ma il risultato è lo stesso. Si trova che l’industria francese è fortemente sfavorita di fronte all’industria tedesca per il fatto che questa non ha da tener conto, nei suoi costi di produzione, degli oneri sociali: ed è quindi un caso di concorrenza sleale.

Noto, incidentalmente, che questa è una preoccupazione molto sentita anche da parte inglese; e che, fra i tanti moventi della complessa politica inglese nei riguardi della Germania, delle varie comunità e del riarmo, c’è anche là il fatto di considerare come un’ingiustizia inammissibile che alla sola Germania debba essere risparmiata l’esperienza laburista.

C’è quindi una tendenza, facilmente individuabile, secondo me, a facilitare una maggiore influenza socialista in seno all’Alta Autorità, contando che questa tendenza socialista spinga appunto per sottoporre in qualche modo anche la Germania alle assicurazioni sociali. Tendenza questa pigovernativa, ma in fondo non ostacolata dagli industriali. A questa tendenza si riattaccava la nomina di Ramadier, vi si riattaccano anche le complesse manovre belghe per indurre o imporre al delegato attuale le dimissioni e sostituirlo con un socialista.

In sé, la cosa dovrebbe interessare anche noi, perché fra i vari elementi che rendono difficile l’equiparazione dei nostri costi siderurgici, le varie forme di previdenze sociali hanno il loro peso. D’altra parte, bisogna pure ammettere che, il principio essendo in sé giusto, a meno di una profonda trasformazione interna in Germania, è una di quelle questioni su cui pusaltare la CECA.

Per quello che [ci] concerne, ci sono alcune considerazioni che vorrei fare a V.E.

È giusto che noi non abbandoniamo i nostri vecchi amici: il gesto per Monnet e per Schuman lo abbiamo fatto; adesso non insistiamo oltre: tanto non saremo noi che riusciremo a rimettere nella CECA né Monnet né Schuman.

Comprendo come ci siano importanti ragioni di politica interna che ci portano a sostenere a fondo la CECA e piuttosto l’estensione delle sue attribuzioni. Ma a che cosa serve coltivare nei nostri europeisti l’illusione che è attraverso delle iniziative di questo genere che si possono risollevare le sorti dell’europeismo in Francia? Movimento federalista, movimento europeista in Francia si potranno certo risollevare, ma solo il giorno in cui i federalisti ed europeisti francesi si metteranno, sul serio e bene, a fare della propaganda a casa loro. I fatti hanno dimostrato che non è possibile far passare di straforo davanti al Parlamento francese delle riforme di struttura: e che la pressione estera ha l’effetto contrario.

Bisogna che facciamo anche attenzione a non metterci troppo in antagonismo con quelli che potranno essere domani i Presidenti o i membri dell’Alta Autorità. L’essere stati sempre favorevoli a Monnet ci ha servito; vediamo anche di non farci un nemico del suo successore. La CECA ci pudomani dare dei grossi fastidi, almeno fino al giorno, certo lontano, in cui i nostri prezzi in materia di siderurgia si siano equiparati pio meno ai prezzi internazionali.

I nostri industriali, molto intelligentemente, provvedono in questo stadio delicato a mantenere i migliori contatti con i loro colleghi tedeschi e francesi. Mi sembra che sarebbe utile anche da parte governativa, di adottare una politica parallela.

La prego di gradire, signor Ministro, i sensi del mio devoto ossequio.

[Pietro Quaroni]

DGAP, Uff. I, Serie Affari Politici, 1951-1957, b. 410, fasc. CECA.

290

IL MINISTRO DEGLI AFFARI ESTERI, MARTINO, ALL’AMBASCIATA LONDRA(1)

T. segreto 964/192. Roma, 1° febbraio 1955, ore 16.

Sempre fermo restando impegno assunto da membri UEO in merito alla designazione di personalità italiana per posto direttore Agenzia Controllo Armamenti, V.E. è autorizzata avanzare presso Comitato Interinale UEO e subordinatamente nominativo Onorevole Lombardo, quella dell’Ammiraglio Ferrante Capponi, già rappresentante Forze Armate italiane in seno SHAPE.

Informo di quanto sopra V.E. perché voglia svolgere opportuna azione in loco.

Segue lettera e curriculum vitae(3).

1 Telegrammi segreti originali 1955, partenza, vol. I.

2 Un telegramma con lo stesso contenuto fu indirizzato alle Ambasciate a Parigi, Bruxelles, L’Aja, Bonn e alla Legazione a Lussemburgo (T. segreto 963/c., pari data).

3 L’8 marzo Rossi Longhi incaricl’Ambasciata a Londra di aggiungere anche la candidatura dell’Ammiraglio di Squadra Emilio Ferreri (Telespr. 21/0448 dell’8 marzo, indirizzato alle Ambasciate a Londra, Parigi, Bonn, Bruxelles, L’Aja, alla Legazione a Lussemburgo e, per conoscenza, all’Ambasciata a Washington e alla Rappresentanza presso il Consiglio Atlantico a Parigi: DGAP, Uff. V, UEO, b. 15, fasc. UEO. Agenzia di controllo degli armamenti, da gennaio ad agosto). Per il seguito vedi D. 317.

291

IL MINISTRO DEGLI AFFARI ESTERI, MARTINO, AD AMBASCIATE E LEGAZIONI(1)

T. segreto 989/c.2. Roma, 1° febbraio 1955, ore 24.

Per tutti: E.V. è pregata voler comunicare codesto Governo che da parte italiana riterrebbesi politicamente opportuno che applicazione art. 11 Trattato prevedente designazione Presidente Alta Autorità da parte Governi Stati membri avvenga in sede Consiglio Speciale Ministri riunito a livello Ministri Affari Esteri.

Benché mandato Monnet scada 10 febbraio, date difficoltà connesse con designazione successore (ed in base alle quali risulta l’Alta Autorità sia indotta prevedere continuare attività sotto Presidenza decano Daum) appare opportuno concedere lasso tempo sufficiente per necessari contatti preparatori in via diplomatica. D’altra parte riunendosi Assemblea Comune 28 febbraio risulta indispensabile Consiglio sia tenuto anteriormente tale data.

In considerazione quanto precede et tenuto conto impegni derivanti viaggio Londra et discussione UEO in Parlamento che non mi consentirà lasciare Roma, proporrei ‒in qualità Presidente di turno ‒riunire Consiglio in Roma 26 febbraio prossimo. At detta riunione sarebbero invitati assistere anche Ministri Economia.

V.E. vorrà far notare come diffusione notizia prossimo incontro sei Ministri Affari Esteri potrebbe convenientemente spiegare ritardo nomina successore Monnet attribuendola difficoltà organizzative et attenuando così impressione negativa ritardo stesso.

Eventuali altri punti ordine del giorno potranno essere concordati durante fase preparatoria diplomatica.

Per Lussemburgo: S.V. est pregata comunicare quanto precede Segretario Generale Consiglio invitandolo informare Alta Autorità, riferendosi a mio precedente telegramma n. 293.

Per Parigi, Bonn, L’Aja, Bruxelles: Quanto precede è stato comunicato Segretariato Consiglio.

Per tutti: Pregasi telegrafare pensiero codesto Governo(4).

1 Telegrammi segreti originali 1955, partenza, vol. I.

2 Indirizzato alle Ambasciate a Parigi, Bad Godesberg, Bruxelles, L’Aja e alla Legazione a Lussemburgo.

3 Vedi D. 288.

4 La proposta di Martino fu accettata da tutti i Governi, ma era stato ritenuto opportuno un rinvio a marzo (Cavalletti con T. segreto 1611/71-72 del 3 febbraio 1955: DGAP, Uff. I, Serie Affari Politici, 1951-1957, b. 410, fasc. CECA); il 1° marzo Martino scriveva alla Legazione a Lussemburgo che riteneva problematica l’eventualità di riunirsi entro la prima settimana di marzo, considerata la situazione francese ‒«che ancor oggi fa prevedere necessità attendere qualche giorno prima poter affrontare costruttivamente problema sostituzione Monnet» ‒, nonché gli impegni di Adenauer e quelli del Governo italiano (T. 1846/58 del 1° marzo: Telegrammi ordinari 1955, Lussemburgo, arrivo e partenza). Per il seguito della questione vedi D. 309.

292

L’AMBASCIATORE A L’AJA, BENZONI, AL MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI(1)

Telespr. 161/1012. L’Aja, 1° febbraio 1955.

Oggetto: CECA - Candidatura Ramadier.

Il Segretario Generale di questo Ministero degli Esteri col quale, in assenza di Beyen partito per un congedo di tre settimane in Svizzera, mi sono intrattenuto circa le reazioni di questo Governo alla candidatura Ramadier, mi ha detto che:

- - -

Dal mio colloquio con Segretario Generale ho tratto l’impressione che regni qui qualche incertezza sulla circostanza che Mendès-France abbia o meno invitato Schuman a porre la propria candidatura.

1 DGAP, Uff. I, Serie Affari Politici, 1951-1957, b. 410, fasc. CECA. 2 Sottoscrizione autografa.

293

IL CAPO DEL GRUPPO PARLAMENTARE DEMOCRATICO-CRISTIANO TEDESCO, VON BRENTANO, AL SOTTOSEGRETARIO AGLI AFFARI ESTERI, BENVENUTI(1)

L. personale. Bonn, 4 febbraio 1955.

Illustre e caro Amico,

sono piuttosto preoccupato per le decisioni in esame a Lussemburgo e vorrei comunicarle le mie personali opinioni in proposito.

Le dimissioni del Sig. Monnet sono purtroppo definitive. Per la sua successione la prima candidatura da considerare sarebbe quella del 1º Vice Presidente Etzel. Per ragioni politiche generali, che debbo rispettare, Etzel non vorrebbe presentare la sua candidatura.

Poco fa ho parlato col Presidente Pella. Gli ho detto che secondo me non dovrebbe valere nessuna legge non scritta secondo cui il successore di Monnet dovrebbe essere nominato dalla Francia. Ci siamo tuttavia trovati d’accordo con lui che una candidatura francese potrebbe essere accettabile qualora venisse proposta una personalità chiaramente qualificata; pensavamo al Presidente Schuman.

Come lei sa la Francia ha proposto il Sig. Ramadier. Non ritengo opportuna tale candidatura. Ramadier è stato un avversario del piano Schuman, come lo è stato della CED. Dubito pertanto che si tratti di una persona qualificata. Per queste ragioni riterrei preferibile che il Presidente venisse scelto tra uno degli attuali membri dell’Alta Autorità. Mi sembrerebbe politicamente abile di puntare sui Paesi del Benelux. Sono convinto che la persona piadatta sarebbe il secondo Vice Presidente dell’Alta Autorità Sig. Coppé.

Posso informarla confidenzialmente che questo mio punto di vista è condiviso dal Governo Federale e personalmente dal Cancelliere. Anche i membri dell’Alta Autorità, secondo le mie informazioni, vedrebbero con favore tale soluzione. Ho ritenuto doveroso informarla personalmente in modo che ella possa far conoscere il nostro punto di vista al Ministro Martino, perché mi sembra opportuno che i Governi interessati si consultino e si accordino tempestivamente. Sono persuaso che il Governo francese in tal caso non insisterebbe per la proposta Ramadier.

Nel frattempo ella avrà anche saputo che i sei Governi hanno autorizzato il bilancio per il nostro Gruppo di Lavoro fino al 31 marzo. Dopo questa data le sedute del Gruppo di Lavoro o della Commissione Costituzionale potrebbero essere convocate soltanto con l’accordo dei Governi. Vorrei parlare della questione al pipresto possibile in sede di Gruppo di Lavoro. Personalmente proporrdi prendere conoscenza di questa decisione e di chiudere definitivamente col 31 marzo i lavori della Commissione Costituzionale e del Gruppo di Lavoro. Non intenderei avvalermi della possibilità di convocare nuove riunioni in futuro con il permesso dei Governi. Spero durante la riunione dell’Assemblea Comune a Strasburgo a fine febbraio o ai primi di marzo di poter riunire ancora una volta il Gruppo di Lavoro per prendere le decisioni di principio(2).

Con i picordiali saluti

[Heinrich von Brentano]

1 Gabinetto, 1943-1958, b. 132, pos. A/68 CECA. 2 Per il seguito vedi D. 296.

294

IL CAPO DELLA RAPPRESENTANZA PRESSO IL CONSIGLIO ATLANTICO, ALESSANDRINI, AL MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI(1)

Telespr. segreto 496/1852. Parigi, 4 febbraio 1955.

Oggetto: UEO - Gruppo di Lavoro per la standardizzazione e la produzione degli Armamenti.

Riferimento: seguito mio telespresso n. 330/116 in data 25 gennaio u.s.3 e successive comunicazioni telegrafiche(4).

I due fatti nuovi verificatisi nel corso delle ultime sedute plenarie del Gruppo di Lavoro per la standardizzazione e la produzione degli Armamenti sono stati, come ho avuto l’onore di riferire con le comunicazioni telegrafiche seguenti al mio telespresso

n. 330/116 in data 25 gennaio, la costituzione del Comitato di Esperti incaricato di esaminare i problemi relativi alla standardizzazione ed al mercato degli armamenti e, sopratutto, la presentazione del progetto britannico.

Circa le discussioni che hanno preceduto la definizione dei termini di mandato del Comitato di Esperti, riferisco a parte(5).

Per quello che concerne il memorandum inglese(6) puosservarsi che, in sostanza, esso è, nella impostazione istituzionale e nel metodo indicato per cercare di realizzare(7) i noti obiettivi formulati da parte francese, diametralmente opposto alle primitive proposte di Mendès-France, mentre corrisponde nelle linee generali alle considerazioni e ai suggerimenti avanzati da Erhard.

Come era da prevedere, non si trova nel documento fatto circolare da Steel alcuna traccia di sopranazionalità e vi è ridotta al minimo quella specificazione europea del coordinamento degli sforzi nel campo che era una delle caratteristiche fondamentali del progetto francese.

È evidente che gli inglesi ‒abbandonando la loro originaria posizione di riserva, che consisteva nel considerarsi fuori dal giuoco se fosse stato accolto il piano francese ‒hanno cercato di trovare una formula che, secondo loro, potrebbe permettere di affermare che nel quadro UEO verrà svolta un’azione intesa ad armonizzare l’attività dei diversi Paesi per quel che concerne la standardizzazione, la produzione e l’approvvigionamento degli armamenti ma che, al tempo stesso, non porterebbe sostanziali innovazioni ai sistemi NATO già in vigore e manterrebbe all’organizzazione Atlantica la funzione di sede principale e di cornice chiusa nella quale si dovrebbero inquadrare e svolgere tutte le iniziative concernenti il settore di cui si tratta.

Infatti, se anche la prima parte del documento britannico pudare l’impressione che si pensi a creare qualcosa di nuovo e di separato dalla NATO, le ultime clausole ne rendono il senso estremamente elastico e tenue, specialmente in relazione alla volontarietà della partecipazione dei singoli paesi a qualsiasi attività o programma dei Comitati, cui si aggiunge la necessità di arrivare ad accordi concreti soltanto attraverso l’unanimità dei partecipanti.

Un punto che, nel difendere le loro proposte, gli inglesi non mancheranno di sottolineare è quello in virtdel quale il loro sistema permetterebbe quelle piapprofondite intese di coordinamento della produzione e di divisione di lavoro, limitate ad un ristretto numero di Paesi, che gli stessi francesi auspicavano, rendendosi conto della grave difficoltà di prevedere che tutti i membri dell’UEO potessero partecipare a tutti i programmi.

Una interessante innovazione, che viene in certo modo a sostituirsi all’idea francese di fare intervenire l’Agenzia nella distribuzione degli aiuti americani, è costituita dalla prevista eventualità che a singole attività e a programmi particolari possano prender parte anche altri Paesi NATO non compresi nell’area UEO.

Un’altra clausola che merita speciale attenzione è quella che si riferisce al compito di uno dei sottocomitati di promuovere la cooperazione nel campo delle ricerchee degli studi. È questo un principio molto importante, che gli inglesi hanno incluso nel loro piano per venire incontro alle tendenze espresse al riguardo tanto dai francesi quanto, e pispecialmente, da noi. Esso pucostituire una utile base per affrontare un problema che presenta per l’Europa continentale un notevolissimo interesse. Non c’è perda farsi l’illusione che, nel quadro del progetto britannico, si possa riuscire a realizzare in materia dei progressi di portata decisiva e suscettibili di condurre ad una vera e propria messa in comune delle ricerche e delle sperimentazioni, se non intaluni settori molto limitati nel numero e nell’importanza. È comunque da scontare che sarebbe questo uno di quei programmi particolari cui gli inglesi non parteciperebbero certamente in profondità, anche se formalmente potessero dimostrare di essere disposti a seguirci. Le ragioni ‒fondate sulla profonda disparità di livello esistente in questo campo fra l’Inghilterra e gli altri Paesi dell’UEO ‒non ne sono che troppo trasparenti.

Appare pure superfluo soffermarsi sui motivi di fondo che hanno ispirato il Governo britannico nella formulazione del suo progetto: al di là di quello derivante dalla ormai tradizionale e decisa ostilità a procedere alla benché minima cessione di sovranità, tali motivi appaiono chiari se si pone mente al fatto che l’industria inglese degli armamenti, la quale si trova attualmente in una posizione di forza, non avrebbe nulla da guadagnare dall’accettazione del piano francese e non è disposta a correre l’alea di vedere diminuita la sua situazione di privilegio, da cui anzi, essa pensa di poter trarre largo profitto, in un prossimo futuro, nelle forniture alla Germania.

Gli inglesi contano, evidentemente, di far valere ancora una volta la loro partecipazione diretta alla struttura che suggeriscono come contropartita dell’abbandono di piambiziosi e pilarghi progetti.

Come ho già riferito, le idee britanniche troveranno sicuramente largo appoggio nel Gruppo Benelux. Fin dall’inizio dei lavori ed anche prima, questo si è dichiarato infatti pronto a studiare i mezzi piidonei a meglio coordinare ed armonizzare, per via di accordi internazionali, l’azione dei Paesi europei nel settore armamento e a ricercare il modo di migliorare i sistemi fin qui seguiti in sede NATO attraverso una piintima collaborazione tra i partecipanti all’UEO; ma non ha mai nascosto la sua avversione alla creazione di un ente staccato dalla NATO e nel quale le decisioni venissero adottate col criterio maggioritario e, principalmente, a partecipare a qualsiasi organizzazione nella quale l’Inghilterra non fosse presente su piede di assoluta uguaglianza con gli altri.

Questo atteggiamento è dettato non soltanto dai legami di carattere politico e industriale che uniscono quei Paesi, e specialmente l’Olanda, al Regno Unito ma anche dalla convinzione che quanto maggiore sarà la libertà di mercato tanto pila loro economia ne sarà avvantaggiata.

È, d’altronde, nota la posizione assunta, tanto dai Paesi Bassi quanto dal Belgio, in materia di sopranazionalità e di integrazione europea, dopo la caduta della CED.

I tedeschi saranno pure ‒è da presumere ‒a fianco degli inglesi nelle prossime battute dei lavori del Gruppo. Anzitutto perché le tesi britanniche corrispondono pienamente all’orientamento liberistico dell’economia tedesca, così vivamente sostenuto da Erhard; poi perché esse tolgono di mezzo ogni preoccupazione che una eventuale Agenzia di marca francese possa significare ulteriori controlli e discriminazioni nei loro confronti, infine perché sembra che i tedeschi, da quando i capricci del Parlamento francese hanno dato loro la speranza di riacquistare la piena sovranità anche senza la CED ed hanno loro «imposto» un esercito nazionale, hanno messo molta acqua nel vino del loro europeismo.

Non sembra che gli americani potrebbero, sul terreno tecnico e dei loro particolari interessi, vedere di mal occhio il sistema ideato dagli inglesi che lascerebbe loro la piampia libertà di azione e di manovra; così come vi saranno sicuramente favorevolissimi gli ambienti NATO che vedrebbero sfumare il pericolo della costituzione di un gruppo nettamente separato e individuato in un settore nel quale desiderano mantenere una competenza esclusiva.

Naturalmente questo prevedibile coro di consensi troverà i suoi limiti nell’apprezzamento che ciascuno farà della situazione parlamentare francese e delle ripercussioni che un ripiegamento così radicale potrebbe avere sul piano interno di questo Paese in relazione alla ratifica degli accordi di Parigi. Particolarmente sensibili a considerazioni di quest’ordine sembrano debbano essere gli americani e, per forza di cose, i tedeschi, i quali non possono non rendersi conto che la partita è per loro, questa volta, veramente decisiva e quindi, di fronte allo spettro di una nuova impennata dei parlamentari francesi, potrebbero essere indotti a lasciar da parte alcuni dei loro timori e ad abbandonare talune delle loro posizioni teoriche.

Negli ambienti delle Delegazioni Benelux si mostra di credere che un reale grave rischio non esiste in quanto, al Consiglio della Repubblica, gli avversari convinti sarebbero, a loro modo di vedere, in minoranza, mentre coloro che potrebbero negare i loro suffragi in odio a Mendès-France non oserebbero di farlo di fronte alla responsabilità che verrebbero ad assumersi. Cose già dette, e smentite dai fatti, in occasione del

dibattito sull’Esercito Europeo. Da altre fonti invece ‒e non solo francesi ‒vengono

espressi giudizi del tutto contrari e molto pipessimisti, che, personalmente, sono incline a ritenere non infondati.

La Delegazione francese si è venuta a trovare in una situazione assai difficile e delicata. Le dichiarazioni fatte da Parodi nel corso dell’ultima riunione (v. mia comunicazione in data 2 febbraio) ne sono un riflesso ed una prova.

I negoziatori francesi debbono infatti sostenere un progetto cui tutti ‒meno noialtri, pur con le note riserve sul piano concreto ‒si sono dimostrati nettamente ostili (e in realtà lo sono ancor pidi quanto non abbiano dichiarato, il che è tutto dire) e non sarebbe loro certo agevole compiere una ritirata generale senza venir meno agli scopi politici che li hanno sospinti su questa strada irta di insidie e che sicuramente Mendès-France non ha imboccato a cuor leggero: ora, non sembra davvero che la situazione abbia subito mutamenti tali da render superfluo oggi quello che era ritenuto indispensabile appena ieri.

La azione della Delegazione francese è poi resa adesso piardua dal deposito sul tavolo della conferenza del progetto inglese, che raccoglie la maggioranza delle simpatie e che in sostanza, ripeto, altro non rappresenterebbe che il seppellimento di quello da lei presentato.

Non a torto dunque Parodi ha detto ieri che, nonostante lo spirito conciliante con cui i francesi stanno discutendo il loro memorandum, che non voleva essere affatto un’offerta à prendre ou à laisser, un punto di incontro non potrà essere raggiunto che se uno sforzo verrà fatto da entrambe le parti; che insomma, in altre e pichiare parole, si dovrà per lo meno arrivare ad una soluzione che permetta a Mendès-France di sostenere che, se non ha avuto un pieno successo, non ha subito neppure un insuccesso clamoroso.

Inoltre i francesi non hanno osato mettersi (e dal punto di vista del negoziato non potevano fare altrimenti) in una posizione di intransigenza nel senso di considerare l’esito positivo delle conversazioni in corso come una condizione pregiudiziale del dibattito parlamentare sugli accordi di Parigi; ma seguirà la stessa linea – c’è chi si chiede ‒il Consiglio della Repubblica, che in fondo, facendo eco ad un profondo e istintivo sentimento popolare, sembra cercare proprio un appiglio per non consacrare definitivamente, o almeno per ritardare il pipossibile, il riarmo della Germania?

Altro equivoco: da un lato i francesi sostengono che con la costituzione di un’Agenzia non intendono allargare i controlli sulla Germania né ripristinare una qualsiasi discriminazione nei suoi confronti (e sarebbe difficile di parlare altrimenti nella attuale congiuntura), ma in realtà sono invece proprio questi i risultati che si aspetta l’opinione pubblica, anche se essi debbono venire presentati in senso positivo e cioè come una forma di collaborazione franco-tedesca nel quadro UEO che rappresenti in sé stessa una garanzia ed un pegno. Parodi si è dichiarato pronto a discutere in dettaglio tutti i punti che possono suscitare i dubbi o le preoccupazioni dei tedeschi al riguardo; ma, allora, dove andrebbero a finire i concetti di votazione a maggioranza e di necessità di previa autorizzazione per ogni espansione o nuovo impianto nel campo della industria di armamenti, concetti nei quali ‒checché si possa dire loro ‒i tedeschi scorgono, o temono, una insidia ed un vincolo?

Infine Parodi è ora costretto a farsi portabandiera dell’europeismo e della integrazione continentale, proprio mentre la fine della CED, imposta dalla Francia, ha inferto il colpo che tutti sanno a questi orientamenti ed ha reso necessaria la ricerca di altre vie e l’applicazione di altri presupposti politici. E cideve fare, basandosi su una proposta che è tale da lasciare molti dubbi e perplessità in merito al quesito se essa rappresenti veramente o meno un passo, sia pure breve, verso l’integrazione economica e politica dell’Europa. Alcuni dei Governi, che in passato furono gli assertori dell’idea europea mostrano chiaramente di non crederlo e fondano le loro argomentazioni su un ragionamento logico abbastanza rigoroso. In parecchi degli stessi ambienti europeisti francesi, anche autorevoli, si dice che anzi il lasciar credere alle opinioni pubbliche che il piano di Mendès-France rappresenta sul serio un ritorno alle vie dell’unificazione significa permettere il sorgere di un grosso equivoco, che pufar perdere di vista quelle che sono le autentiche soluzioni verso cui si dovrà tendere se si vorrà, un giorno, fare l’Europa. Non sembra infatti ‒si afferma ‒che un Consiglio di Ministri e un Comitato di Rappresentanti nazionali, per il solo fatto di decidere a maggioranza di due terzi in un settore limitato, possano seriamente costituire l’embrione di un’autorità sopranazionale. Anzi un simile sistema ‒si osserva ‒che attribuirebbe ad una coalizione di governi il diritto di imporre le sue decisioni ad una minoranza potrebbe esasperare i sentimenti nazionali e rischiare di diventare una pericolosa forza centrifuga. Progressi verso l’Europa unita ed il mercato unico ‒si conclude ‒non possono essere compiuti se non attraverso la creazione di istituzioni esecutive indipendenti dai governi e controllate democraticamente. Su questo terreno quindi il portavoce ufficiale del Governo francese non sembra abbia dietro di sé neppure l’unanimità di quelli che il Governo stesso mirava ad accontentare per mezzo della sua iniziativa.

Questa complessa situazione di fatto spiega il riserbo e la prudenza di Parodi e la sua tendenza a prolungare i lavori senza giungere a troppo precise cristallizzazioni di tesi opposte. Sarebbe sembrato logico che tutti fossero stati propensi ad aiutare i francesi in questa direzione e, fino a un certo punto, un siffatto orientamento ha prevalso; certo è perche la presentazione del progetto britannico ha ora precipitato alquanto le cose ed ha posto il Gruppo di Lavoro davanti ad un ben pipreciso dilemma di quello che si presentava prima.

L’azione della nostra Delegazione si è svolta, secondo le istruzioni di V.E. in tre direzioni principali: 1) di appoggio ai francesi sul piano generale ed istituzionale, perché ci rendiamo conto della loro difficile situazione parlamentare e del fatto che da questa dipende, volere o no, la sorte degli accordi di Parigi e perché, anche se non è certo che la progettata Agenzia sia suscettibile di costituire un progresso verso un’integrazione europea a carattere sopranazionale, pur tuttavia noi intendiamo non tralasciare alcuna occasione di riaffermare, e di tentare di tradurre in termini concreti, quello che è stato ed è l’orientamento costante della nostra linea politica; 2) di riaffermazione che al criterio del minor costo, messo in particolare rilievo dai francesi, ed a quello della efficienza ai fini bellici, invocato specialmente dagli inglesi, se ne deve affiancare, sullo stesso piano, un terzo, altrettanto importante: quello della solidarietà e dell’aiuto reciproco (in questo concetto generale trova infatti posto la salvaguardia delle nostre peculiari esigenze); 3) di conciliazione e di mediazione ogni qualvolta, anche in settori secondari e in argomenti particolari, se ne sia presentata l’occasione.

Sul terreno tecnico abbiamo rivolto particolare attenzione ai problemi relativi alla messa in comune delle ricerche e delle esperimentazioni, sopratutto nel campo dei materiali pimoderni, ed alla creazione di prototipi (questioni queste che rivestono per noi una speciale importanza) ed a quelli connessi con il coordinamento della produzione, da cui potremmo sperare dei vantaggi concreti specialmente in relazione alla aumentata domanda che si verificherà sul mercato degli armamenti nel primo periodo del riarmo tedesco.

Tale atteggiamento di fondo e tale linea tattica sono state senza dubbio quelle fin qui piconvenienti. Ci troviamo peraltro adesso, anche noi, di fronte alla necessità di prender posizione in merito al progetto inglese. Sostanzialmente esso non ci porta particolari vantaggi né pufarci temere alcun danno emergente, lasciando pi o meno, la situazione come è attualmente. Si tratta di una formula che non interferisce con la libertà da parte nostra di perseguire quegli scopi e di prendere quelle iniziative che ci sembrassero opportuni (così come avremmo fatto se l’idea di formare un’Agenzia degli armamenti non fosse mai venuta alla luce) e che anzi predispone una sede ed una atmosfera nella quale certe nostre istanze potrebbero trovare un pifavorevole accoglimento: d’altra parte tale formula non ci permette di nutrire quelle stesse speranze di vantaggi pratici che sarebbero state forse lecite nel quadro del piano francese.

Non sembra comunque possibile né conveniente ‒anche in relazione ai nostri rapporti con gli altri Paesi UEO e, in particolare, con la Gran Bretagna da un lato e con la Germania dall’altro ‒che noi assumiamo un atteggiamento di punta contro le proposte britanniche, mentre, d’altra parte, non possiamo né dobbiamo smentire quelle che abbiamo mostrato finora essere le nostre preferenze. Dalla conciliazione di tali due esigenze scaturisce una indicazione in merito alla nostra futura linea di condotta: mi pare che dovremo continuare ad appoggiare e a fiancheggiare i francesi (anche per evitare un loro completo isolamento che apparrebbe molto inopportuno) con prudenza e moderazione, dando nel contempo la sensazione che affrontiamo le ulteriori discussioni con spirito aperto ad ogni soluzione che, non compromettendo i nostri interessi diretti, sia tale da poter essere accolta da tutti. Nell’ambito di una tale soluzione, qualunque sia il terreno su cui essa potesse essere trovata, si dovrà poi, evidentemente, cercare di far inserire e di far valere al massimo i nostri desiderata.

Rimango comunque in attesa delle istruzioni che V.E. ritenesse opportuno di impartirmi per norma di condotta della Delegazione italiana(8).

1 DGAP, Uff. V, UEO, b. 13, fasc. UEO. Pool Armamenti, fasc. 2, UEO - Pool armamenti, fasc. 2, febbraio - aprile 1955.

2 Sottoscrizione autografa. Il documento reca i seguenti timbri: «Visto dal Ministro», «Visto dal Segretario Generale» con la sigla di Rossi Longhi.

3 Vedi D. 285.

4 Si fa riferimento alle sedute tenutesi dal 31 gennaio al 3 febbraio, sulle quali Alessandrini riferì con TT. segreti 1479-1484/56-57, 1535/60, 1538/61, 1585/62-63 e 1598/64, non pubblicati (DGAP, Uff. V, UEO, b. 13, fasc. UEO. Pool Armamenti, fasc. 2, UEO - Pool armamenti, fasc. 2, febbraio - aprile 1955).

5 Con Telespr. 498/187, pari data, UEO - Gruppo di Lavoro standardizzazione e produzione armamenti. Costituzione Comitato Esperti, non pubblicato (ibidem).

6 Il memorandum inglese fu presentato nel corso della seduta del 2 febbraio (T. segreto 1585/6263). Alessandrini ne riassumeva così i punti essenziali: «Progetto inglese propone costituzione Comitato armamenti UEO ‒con compito migliorare standardizzazione e promuovere produzione in comune ‒articolato in due Sottocomitati che dovrebbero lavorare in stretta cooperazione con organi NATO. Il primo, per la standardizzazione, sarebbe incaricato realizzarla nei campi in cui non sia stato possibile raggiungere risultati in sede NATO; il secondo, per la produzione, sarebbe incaricato promuovere accordi per massima utilizzazione capacità esistenti ed eventuale espansione produzione. Stesso Sottocomitato potrebbe anche regolare cooperazione nel campo studi e ricerche. Comitato dovrebbe dipendere da Consiglio UEO cui riferirebbe trimestralmente. Sede dovrebbe essere Parigi e rappresentanti NATO dovrebbero partecipare lavori quali osservatori o membri. Punto piimportante della proposta inglese è rappresentato da clausola secondo la quale partecipazione Paesi a qualunque attività o programma particolare sarà volontaria. Tale partecipazione quindi potrebbe essere anche limitata, in tutti i casi, a ristretto numero Paesi UEO. Altri membri NATO potrebbero partecipare a singole attività o programmi particolari su invito o a domanda. In sintesi progetto inglese tende scardinare struttura auspicata da francesi, riducendone al minimo aspetti europeistici ed eliminando ogni traccia sopranazionalità. Sul piano tecnico documento britannico non porta in realtà sostanziali innovazioni rispetto organi NATO già esistenti».

7 Il testo reca, per errore, realizzazione.

8 In un Appunto del 7 febbraio, Falchi osservava che l’invio di istruzioni non era urgentissimo perché, per il momento, era al lavoro il Comitato degli Esperti, e, inoltre, in vista delle imminenti conversazioni di Londra, era da presumersi una richiesta di impressioni sul progetto inglese (DGAP, Uff. V, UEO, b. 13, fasc. UEO. Pool Armamenti, fasc. 2, UEO - Pool armamenti, fasc. 2, febbraio - aprile 1955). Per ilseguito vedi DD. 297 e 301.

295

IL PRESIDENTE DELL’ALTA AUTORITÀ DELLA CECA, MONNET, AL MINISTRO DEGLI AFFARI ESTERI, MARTINO(1)

L. [1077/1/55]2. Lussemburgo, 8 febbraio 1955.

Monsieur le Ministre,

Par lettre du 10 novembre dernier3, j’ai porté à la connaissance de votre Gouvernement que je ne solliciterai pas, le 10 février, le renouvellement de mon mandat de Président de la Haute Autorité qui expire à cette date, et qu’en même temps, je me démettrai de mes fonctions de membre de la Haute Autorité.

Faisant suite à cette décision, j’ai l’honneur de vous remettre, à compter du 10 février 1955, ma démission de membre de la Haute Autorité de la Communauté Européenne du Charbon et de l’Acier.

Toutefois, la désignation de mon successeur n’est pas intervenue avant que l’un des Gouvernements intéressés se trouve empêché de participer aux délibérations nécessaires à cette nomination. Je suis tenu, en ces circonstances, en application des dispositions du Traité destinées à assurer la continuité des Institutions, et notamment de son article 10, dernier alinéa, de rester en fonctions jusqu’à ce qu’il soit pourvu à mon remplacement.

Je prie les six gouvernements de procéder sans retard à la nomination de mon successeur dès qu’ils se retrouveront en mesure d’exercer le pouvoir qu’ils tiennent du Traité.

Je vous prie, Monsieur le Ministre, d’agréer, l’expression de ma haute considération(4).

Jean Monnet

1 Gabinetto, 1943-1958, b. 132, pos. A/68 CECA.

2 Trasmessa dal Consiglio della CECA ai sei Governi dei Paesi membri con L. 158 f/55 dell’11 febbraio 1955: ASUE, CM1, 4547.

3 Vedi D. 192, nota 3.

4 Per il seguito vedi D. 296.

296

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI AFFARI ESTERI, BENVENUTI, AL MINISTRO DEGLI AFFARI ESTERI, MARTINO(1)

L. personale 98672. Roma, 11 febbraio 1955.

Caro Ministro,

ti trasmetto qui unita traduzione di una lettera pervenutami da Heinrich von Brentano in merito alla successione di Monnet alla Presidenza dell’Alta Autorità3.

La lettera è in parte superata dalla sopraggiunta crisi francese e dall’eventualità, segnalata da Cavalletti4, che davanti a una nuova situazione politica francese Monnet receda dalle dimissioni.

È interessante comunque notare come i tedeschi non riconoscano alla Francia nessun automatico diritto di successione (il che è piche logico), e come essi si orientino, in mancanza di una grossa personalità europeista tipo Schuman, sul Benelux ed in particolare sull’attuale Vice Presidente Coppé. Credo tuttavia che un eventuale reincarico a Monnet sarebbe la soluzione migliore per tutti e in questo senso mi sono espresso, naturalmente a titolo personale con von Brentano.

Gradisci, caro Ministro, i miei picordiali saluti,

tuo aff.mo

Benvenuti

1 Gabinetto, 1943-1958, b. 132, pos. A/68 CECA.

2 Il documento reca il timbro: «Visto dal Ministro».

3 Vedi D. 293.

4 Con T. 1912/90 del 9 febbraio Cavalletti informava che, sulla base di un parere del servizio giuridico, l’Alta Autorità aveva accolto il principio che il Presidente e il vice Presidente restassero in carica fino alla nomina di un successore. «Intendimento Monnet con questa decisione ‒proseguiva Cavalletti ‒è consolidare stabilità istituzioni europee anche in caso crisi istituzioni nazionali. Hanno confortato Monnet in nuova decisione anche rappresentanti gruppi politici Assemblea Comune che hanno incaricato Presidente Pella fargli conoscere loro desiderio egli restasse in carica. Alcuni interpretano tale cambiamento di atteggiamento come indizio speranza Monnet, che esito crisi francese possa essere favorevole continuazione suo incarico, tuttavia ambienti vicino Monnet confermano nulla sarebbe mutato sua intenzione definitiva». A proposito del colloquio Pella-Monnet Cavalletti riferiva quanto segue (T. segreto 1925/93, pari data): «Monnet ha informato stamane Pella che prenderà contatti Pinay appena questi sarà insediato ‒o comunque con altro Presidente francese, che ottenesse fiducia ‒facendo capire che, se sollecitato da nuovo Governo, sarebbe disposto rimanere. Ha chiesto a Pella a tale scopo ulteriore rinvio data Assemblea che è stata fissata a periodo fra 10 e 20 marzo» (DGAP, Uff. I, Serie Affari Politici, 1951-1957, b. 410, fasc. CECA).

297

[LA DIREZIONE GENERALE DEGLI AFFARI POLITICI]1

Appunto. Roma, 13 febbraio 1955.

Pool degli armamenti - Non è improbabile che gli inglesi domanderanno che cosa pensa l’Italia del loro progetto per il pool degli armamenti, il quale si limita a proporre la costituzione di un Comitato Armamenti alle cui attività, caso per caso, dovrebbero prendere parte, volontariamente, i Paesi dell’UEO, cui si potrebbero aggregare altri Paesi della NATO. Si tratta quindi di un progetto nettamente diverso da quello francese, al quale abbiamo aderito in linea di massima, sia pure con le note riserve.

La proposta inglese deve ancora essere discussa ma si presume che sarà favorevolmente accolta dalla Germania e dai tre paesi del Benelux: la Francia e l’Italia resterebbero probabilmente isolate.

In vista di quanto sopra, converrà mantenerci in una posizione di prudente riserva, senza cambiare di rotta ma senza assumere nemmeno alcun atteggiamento spinto in favore della tesi francese.

E ciper le seguenti considerazioni:

1) innanzi tutto non si pusapere quale sarà in proposito l’atteggiamento della stessa Francia, ossia del futuro successore di Mendès-France;

2) ove non si costituisse alcun tipo di «pool», non ne risentiremo particolari danni secondo il parere concorde del Ministro dell’Industria e Commercio e degli industriali, nonché quello meno esplicito del Ministero della Difesa, il quale si mostra interessato solo ad un progetto veramente integrativo che non sembra perormai attuabile;

3) se ci mettessimo apertamente contro gli altri Paesi che sono in maggioranza e dovesse infine prevalere la loro tesi, indeboliremo le nostre capacità di trattazione.

DGAP, Uff. V, UEO, b. 13, fasc. UEO. Pool Armamenti, fasc. 2, UEO - Pool armamenti, fasc. 2, febbraio - aprile 1955.

298

COLLOQUIO DEL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, SCELBA, E DEL MINISTRO DEGLI AFFARI ESTERI, MARTINO, CON IL PRIMO MINISTRO DEL REGNO UNITO, CHURCHILL, E CON IL SEGRETARIO DI STATO AGLI ESTERI, EDEN (Londra, 10 Downing Street, 15 febbraio 1955, ore 16)1

Appunto segreto.

APPUNTO RIASSUNTIVO DEI PRINCIPALI ARGOMENTI TRATTATI

Organizzazione dell’Occidente. Churchill si dimostra rattristato per le vicissitudini politiche della Francia, e ascolta con interesse le impressioni ricavate dagli On.li Scelba e Martino dai recenti contatti avuti a Parigi.

Il Primo Ministro britannico passa ad esaminare le possibili soluzioni di ricambio in caso che la Francia respinga o rinvii la ratifica degli accordi per l’UEO; e le possibili alternative di sviluppo ulteriore della situazione mondiale.

In caso di mancata ratifica, egli sembra propendere per la soluzione transitoria della «sedia vuota»: cioè, le altre potenze procederebbero nella organizzazione della comunità europea senza la Francia, in attesa e nella speranza che questa decida di prendere anch’essa il suo posto nel consesso delle nazioni. Se a tal passo essa non si decidesse, dopo cinque o sei mesi ci troveremmo di nuovo a dover risolvere il problema e ad affrontarne i pericolosi sviluppi.

I Ministri inglesi convengono con gli interlocutori italiani che, non potendosi pensare all’ingresso della Germania nella NATO senza la ratifica francese, il riarmo tedesco dovrebbe avvenire nel quadro dell’UEO.

Quanto agli sviluppi ulteriori, Churchill prevede che, permanendo le incertezze e la precarietà della situazione in Europa, la politica americana finirà per orientarsi o verso la difesa periferica o addirittura, ipotesi ancor pigrave, verso il ritiro completo dall’Europa. In tal caso gli Stati Uniti riarmerebbero la Germania: riarmo che non sarebbe certo limitato alle sole dodici divisioni.

Il Presidente Scelba tiene a ribadire, come premessa fondamentale, l’esigenza categorica di una politica unitaria e di un’azione coordinata tra le principali potenze dell’Occidente. Churchill conviene che per essere forti, occorre mantenere l’unione e la calma.

Estremo Oriente. Churchill non ritiene che Mao-Tse tenti per il momento l’avventura di Formosa. Quanto alle prospettive generali, Churchill ricorda che la Cina manca delle materie prime necessarie per armare gli eserciti e tanto meno per alimentare una guerra moderna. La massa numerica dei cinesi è problema che riguarda l’avvenire.

Armi Termo-Nucleari. Da parte italiana e inglese si è d’accordo che un’eventuale limitazione di armamenti dovrebbe riguardare tutte le armi, ivi comprese quelle convenzionali.

Churchill sottolinea il pericolo insito in una simulata adesione russa a controlli o all’abolizione delle armi atomiche; poiché un quantitativo, anche minimo, sottratto agli organi di controllo e conservato clandestinamente dalla Russia rappresenterebbe un pericoloso margine di superiorità. Pifacile si presenterebbe l’accordo in avvenire quando, giunte le potenze al punto di «saturazione» nella produzione di armi termo-nucleari, il potenziale distruttivo da entrambe le parti sarebbe tale da neutralizzare qualsiasi vantaggio conseguito nella produzione o nelle scorte.

Europa Sud-Orientale. Il Presidente Scelba espone il punto di vista italiano circa il patto balcanico e lo stato dei rapporti tra le potenze interessate.

Nel corso del colloquio, Churchill si dice lieto del sempre crescente prestigio dell’Italia; ed esprime ammirazione per il fatto che noi siamo riusciti, nonostante il frapporsi di tante e così disparate difficoltà, ad attuare i principi informatori della nostra politica e a mantenere salda la difesa della libertà.

1 DGAP, Uff. I, 1947-1962 (II versamento), b. 180/1, fasc. Politica estera italiana dal 1954 al 1958. Appunti, verbali, corrispondenza di natura riservata.

2 La visita si svolse dal 15 al 19 febbraio 1955. L’appunto fu redatto da Canali. Per le successive conversazioni vedi DD. 299 e 300.

299

COLLOQUIO DEL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, SCELBA, E DEL MINISTRO DEGLI AFFARI ESTERI, MARTINO, CON IL SEGRETARIO DI STATO AGLI ESTERI DEL REGNO UNITO, EDEN

(Londra, Foreign Office, 16 febbraio 1955, ore 10,16)1

Verbale segreto.

Sono presenti:

da parte italiana: Presidente del Consiglio, on. Scelba, Ministro degli Esteri, on. Martino, Ambasciatore Zoppi, Ambasciatore Magistrati, Ministro Migone, Ministro Giustiniani, Ministro Canali, Ministro Grillo, Ministro Theodoli;

da parte inglese: Foreign Secretary Eden, Ministro di Stato Nutting, Sottosegretario Permanente Kirkpatrick, Ambasciatore Clarke, Deputy Undersecretary Caccia, Deputy Undersecretary Ward, Assistant Undersecretary Harrison, Assistant Undersecretary Shuckburgh.

I -UEO

SCELBA: Domanda a Eden se, riprendendo le conversazioni preliminari del giorno precedente(2) con Churchill, egli non abbia qualche cosa da aggiungere.

EDEN: Prega invece il Presidente del Consiglio di esporre le sue idee e porre le domande che crede.

SCELBA: Accenna all’UEO, e domanda che cosa accadrà se non verrà realizzata.

EDEN: Dice di non avere dei piani alternativi, ma di sperare che la Francia, anche dopo un rifiuto iniziale di ratificare l’UEO finisca ugualmente per farlo. Si potrà quindi lasciarle «the empty chair». Egli ritiene infatti che la Francia non voglia abbandonare la politica del Patto Atlantico e le sue posizioni nel NATO. Se questa supposizione è fondata, occorre studiare il modo di lasciare la porta aperta all’adesione francese. Non si è ancora esaminato come cipotrà essere fatto, ma quello che è certo è che in nessun caso si dovrà lasciar cadere l’UEO. «Se il Senato francese non ratificherà, ci consulteremo immediatamente con i nostri amici. Ma quello che io temo non è tanto un voto negativo da parte francese ‒che se non altro avrebbe il vantaggio di chiarire la situazione ‒quanto una successione di rinvii che potrebbero prolungarsi per tutta l’estate, creando serie difficoltà al Cancelliere Adenauer e favorendo la propaganda sovietica. Contro questa eventualità è assai difficile trovare un rimedio; ma comunque dovremo rimanere in consultazione».

SCELBA: Si dichiara d’accordo. L’Italia desidera vedere al pipresto la Germania nel NATO con parità di diritti. Ogni ritardo non puche giovare alla propaganda comunista che in Italia si è riaccesa in occasione della discussione degli accordi di Parigi al Senato.

EDEN: Dice di avere sulla politica di Mosca una teoria propria, forse non condivisa dal Foreign Office. Egli non crede che l’opposizione sovietica all’UEO sia ispirata veramente dal timore del riarmo della Germania. In questa era atomica l’URSS non puaver paura di 12 divisioni tedesche, con tutte le limitazioni e i controlli stabiliti dall’UEO e senza armi atomiche: e la Germania non potrà avere armi atomiche, non solo perché si è impegnata a non fabbricarle ma sopratutto perché le manca lo spazio disponibile per i necessari esperimenti. L’opposizione sovietica all’UEO è da ricondursi piuttosto al timore che l’Europa si unisca e si rafforzi, smentendo così la teoria marxista dell’inevitabile collasso del mondo capitalista per crisi interne. Bisogna quindi che le Potenze occidentali ratifichino al pipresto l’UEO, la cui attuazione costituirà la prova dell’insuccesso e della falsità della propaganda comunista.

SCELBA: Osserva che se questa ipotesi è esatta l’URSS non abbandonerà mai i suoi tentativi di dividere l’Occidente neppur dopo la ratifica dell’UEO. Quindi sarebbe inutile parlare di conversazioni con Mosca entro l’estate prossima; né si potrebbero mai risolvere i problemi concreti relativi alla coesistenza tra est e ovest. Si dovrebbe invece concentrare l’azione con tipo di propaganda completamente diversa, rivolta a diffondere fra i paesi di oltre-cortina i principi di libertà, per mostrare ad essi la diversità fra il loro modo di vita e quello dell’Occidente e per fare cadere le barriere frapposte da Mosca agli scambi con il mondo occidentale.

EDEN: È d’accordo in linea di principio perché non crede che Mosca vorrà entrare in conversazioni con l’Occidente subito dopo la ratifica dell’UEO. Ma d’altra parte il Governo inglese si è impegnato di fronte al Parlamento a proporre queste conversazioni; e quindi dovrà fare il tentativo.

MARTINO: Osserva che anche il Governo italiano si trova nell’identica situazione.

EDEN: Aggiunge che è molto importante nei confronti dell’Austria e della Germania mostrare che si fa di tutto per giungere alla conclusione del trattato di pace con questi due paesi. Percibisognerà comunque mantenere la porta aperta per trattative con Mosca, anche se queste non avranno alcuna probabilità di successo.

«E del resto non pensano i nostri amici italiani che, se si ratifica l’UEO e la Repubblica Federale tedesca si integra sempre picon l’Occidente, essa possa costituire una forza di attrazione per la Germania orientale?».

SCELBA: Risponde positivamente ma ripete che una vera distensione sarà impossibile finché dura il conflitto ideologico. Ritornando quindi al concetto già esposto, sostiene la necessità di una propaganda basata su piampi scambi di informazione circa le condizioni di vita nei vari paesi. Si potrebbe lanciare l’idea di una conferenza internazionale per l’abbattimento delle barriere ideologiche innalzate dai comunisti. Ciavrebbe un grande effetto propagandistico sull’opinione pubblica italiana.

NUTTING: Appoggia l’idea del Presidente Scelba, ricordando quanto avvenuto alle Nazioni Unite allorché la Cecoslovacchia sollevl’argomento della propaganda antisovietica esercitata dagli Stati Uniti. Quando i delegati occidentali risposero proponendo appunto un dibattito sulle condizioni di vita nei rispettivi paesi, apparve evidente lo smarrimento nel fronte comunista.

EDEN: Chiede quale sia in concreto l’azione suggerita dal Presidente Scelba e se essa debba essere concertata al NATO.

KIRKPATRICK: Riterrebbe meglio parlarne anzitutto in seno all’UEO.

SCELBA: Sottolinea la necessità di prendere l’iniziativa della guerra psicologica. Finora l’Occidente è rimasto sempre sulla difensiva in questo campo come in quello della propaganda circa la bomba atomica.

EDEN: Propone che il tema venga discusso in seno al Comitato interinale dell’UEO.

MARTINO: Osserva che in tale Comitato non sono presenti gli Stati Uniti.

EDEN: Dice che gli Stati Uniti potranno essere invitati a mandare un osservatore. Conclude dichiarandosi vivamente colpito dalle considerazioni del Presidente Scelba.

SCELBA: Ripete che occorre trovare un’idea-forza per rovesciare la macchina propagandistica di Mosca e prendere l’offensiva in tale campo.

EDEN: Dichiara che per cominciare il Foreign Office metterà al corrente l’Ambasciata italiana di quanto viene fatto nel Regno Unito in tema di propaganda.

II - BALCANI E MEDIO ORIENTE

SCELBA: Parla delle conversazioni avute con i Ministri turchi a Roma. Non ha avuto l’impressione che il Patto Balcanico sia una realtà operante: vi sono divergenze fra i membri anche circa la politica seguita dalla Turchia nel Medio Oriente. Chiede di conoscere il pensiero britannico al riguardo.

EDEN: Risponde che anche a Londra i greci hanno espresso opinione che l’azione turca nel concludere il Patto con l’Irak sia stata troppo brusca e quindi dannosa nei riguardi della Lega araba. Effettivamente il comunicato emanato a Bagdad dopo la visita dei Ministri turchi costituì una sorpresa anche per il Governo inglese: «Forse l’azione turca fu un po’ affrettata; ma d’altra parte se si dovesse aspettare che tutti gli arabi fossero d’accordo si aspetterebbe in eterno. Ora bisogna andare avanti. Questa è la prima volta che un paese arabo guardi al pericolo sovietico anziché verso Israele; e quindi dobbiamo sostenerlo». Aggiunge che nel suo viaggio a Bangkok vedrà Nasser all’andata e Nuri Said al ritorno («penso che sia piopportuno farlo in questo modo») e farà del suo meglio per riavvicinarli.

SCELBA: Chiede quale sia il giudizio inglese sulla situazione della Jugoslavia.

EDEN: Dice che il solo effettivo cambiamento della politica sovietica dopo la morte di Stalin è stato il nuovo atteggiamento nei confronti di Belgrado; ma aggiunge che questo cambiamento non basterà comunque a soddisfare la necessità economiche della Jugoslavia. E a proposito degli scambi commerciali fra URSS e Jugoslavia osserva che la politica di Mosca è quella di comprare solo ciche la Jugoslavia potrebbe vendere all’occidente.

A sua volta chiede informazioni sull’andamento dei rapporti italo-jugoslavi.

SCELBA: Risponde che in linea di massima si svolgono favorevolmente. Vi è peruna difficile situazione in Zona B dalla quale centinaia e centinaia di rifugiati continuano ad affluire in Italia, non avendo fiducia nel modo con cui Belgrado eseguirà i termini dell’accordo. È da ritenere che in definitiva 25/30 mila persone lasceranno la zona B creando così un grave problema per le autorità italiane.

MAGISTRATI: «Stiamo pensando di chiedere a Belgrado di prolungare a due o tre anni il termine fissato dall’accordo per questi movimenti di persone».

SCELBA: Chiede quale sia il giudizio di Eden sulla situazione interna jugoslava e se convenga all’Italia intensificare i suoi contatti con Belgrado.

EDEN: Risponde che nulla al mondo e sopratutto nel mondo politico è certo. Occorre tuttavia lavorare partendo del presupposto che questo Stato socialista continuerà evolvere lentamente verso l’Occidente.

SCELBA: Chiede informazioni sul viaggio di Tito in India.

EDEN: Risponde che ne ha parlato con Nehru durante la recente conferenza del Commonwealth. Nehru è in una posizione particolare: ha dei difficili problemi politici interni data la sua vicinanza con regimi comunisti; e non ha quindi potuto aderire all’accordo di Manila, ma egli non è affatto comunista, anzi combatte fortemente i comunisti all’interno. La sua influenza su Tito è certamente utile. In genere si ha l’impressione che il risultato del viaggio di Tito in Estremo Oriente sia stato buono.

MARTINO: Accenna alla questione dell’Albania, esponendo il punto di vista italiano.

EDEN: si dichiara interamente d’accordo: «Non vogliamo disturbare nulla in quella zona anche se vi è un regime comunista».

III -LIBIA

SCELBA: Spiega le preoccupazioni e il punto di vista dell’Italia sui seguenti argomenti:

- -

che egli considera uno dei migliori esperti del mondo arabo e che è rientrato da pochi mesi. Kirkbride ritiene che l’unità della Libia sarà mantenuta finché il Senusso rimarrà in vita, ma che è impossibile fare previsioni per l’avvenire.

SCELBA: Osserva che poiché la morte del Senusso potrebbe verificarsi anche da un momento all’altro, sarebbe opportuno avere uno scambio di idee al riguardo fin da ora. Vi sono 40 mila italiani in Tripolitania i cui interessi economici sono legati alla situazione politica del paese. Ecco la ragione per cui il Governo italiano desidera rimanere in contatto con il Governo inglese su questo argomento.

EDEN: Concorda, ma ripete che a suo avviso non vi è ragione per una preoccupazione immediata. IV -SOMALIA

SCELBA: Accenna alla questione delle Somalia e alla preoccupazione del Governo italiano di conoscere le intenzioni britanniche prima del 1960, epoca in cui cesserà il mandato affidato dall’ONU all’Italia.

EDEN: Promette di considerare attentamente la questione. Essa non gli pare di urgenza immediata ma riconosce che occorrerà consultarsi in proposito tra un anno o due.

La riunione termina alle ore 11.15. Viene deciso che il Presidente Scelba e il Ministro Eden interverranno all’ultima parte delle conversazioni stabilite per il giorno successivo(3).

1 Ambasciata a Londra, 1955, b. 10, fasc. 4. 2 Vedi D. 298. 3 Vedi D. 300.

300

COLLOQUIO DEL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, SCELBA, E DEL MINISTRO DEGLI AFFARI ESTERI, MARTINO, CON IL SEGRETARIO DI STATO AGLI ESTERI DEL REGNO UNITO, EDEN, E CON IL VICE SEGRETARIO DI STATO AGLI ESTERI, READING

(Londra, Foreign Office, 17 febbraio 1955, ore 10,30 e 11,45)1

Verbale segreto.

Sono presenti: da parte italiana: S.E. il Ministro Martino, Ambasciatore Zoppi, Ambasciatore Magistrati, Ministro Giustiniani, Ministro Grillo, Ministro-Consigliere Theodoli;

da parte inglese: Lord Reading, Ministro di Stato Nutting, Assistenti Sottosegretari Ward, Coulson, Speaight, Shuckburgh, Consigliere Bromley, Primo Segretario Selby.

READING: Saluta il Ministro Martino e chiede se la delegazione italiana desidera parlare dei rapporti economici tra i due paesi. Tali rapporti hanno traversato fino all’anno scorso una fase difficile dovuta fra l’altro alle restrizioni che la Gran Bretagna ha dovuto imporre alle proprie importazioni dall’estero per equilibrare la bilancia dei pagamenti. Tuttavia il Governo inglese ritiene di avere fatto ora il massimo sforzo per agevolare gli scambi con l’Italia; e un ulteriore passo avanti è stato compiuto ultimamente coll’impegno preso in seno all’OECE di elevare quanto prima al 90% la percentuale di liberazione.

MARTINO: Ringrazia e dà la parola all’Ambasciatore Magistrati.

MAGISTRATI: La situazione degli scambi italo-inglesi è effettivamente migliorata e non offre quindi materia per discuterne in questa sede. Anche sulle questioni emigratorie la Delegazione italiana non intende soffermarsi. L’Italia ha molto bisogno di incrementare la propria emigrazione, ma si rende conto che la Gran Bretagna e le colonie inglesi in Africa non offrono possibilità per una emigrazione di massa.

Vi è invece una questione particolare che interessa l’Italia ed è la sua partecipazione al «Defence Shipping Executive Board», circa la quale espone il punto di vista italiano.

READING: Risponde che da parte inglese non vi è alcun ostacolo di principio ad accogliere la domanda italiana, ma unicamente una difficoltà di procedura. Se si riaprisse ora la questione della composizione dell’Executive Board, ciprovocherebbe certamente una richiesta di partecipazione anche da parte di altri Stati; mentre è interesse comune che tale Board abbia una composizione piristretta possibile per assicurarne l’efficienza.

D’altra parte il Governo inglese si rende conto che la richiesta del Governo italiano è giustificata dall’aumento del tonnellaggio di naviglio mercantile. Se da parte britannica venisse data un’assicurazione «semi-ufficiale» che in caso di guerra la richiesta italiana troverebbe favorevole accoglienza potrebbe il Governo italiano contentarsi di cie non insistere al riguardo nella prossima riunione del Planning Board a Washington? Lord Reading dà lettura di una bozza di lettera che potrebbe essere inviata, in proposito, dal Foreign Office.

MARTINO: Chiede se l’espressione «to consider» potesse essere sostituita da «to support».

READING: Crede che non vi dovrebbe essere difficoltà. Domanda poi se la Delegazione italiana ha altre questioni da sollevare in questo campo.

ZOPPI: Sulle questioni emigratorie, osserva che si desirerebbe avere l’appoggio britannico alle varie iniziative italiane in campo multilaterale.

READING: Assicura che verrà fatto tutto il possibile per appoggiare tali iniziative.

NUTTING: Ricorda che nella riunione del giorno precedente è stato accennato da parte italiana ad alcune difficoltà che gli italiani incontrerebbero in Libia in questioni economiche: chiede se vogliamo dare precisazioni su questo punto.

MAGISTRATI: Fa presente che la missione economica italiana, ritornata recentemente da un viaggio nel Medio Oriente, ha trovato in genere comprensione dei nostri interessi presso gli organi britannici: cita particolarmente il caso dell’Iraq. Viceversa in Libia si ha l’impressione che i consiglieri inglesi, rimasti presso il Governo, non favoriscono la tutela degli interessi economici italiani che ci è stata promessa dal Governo inglese.

NUTTING: Premette che in linea generale la posizione dei consiglieri inglesi in Libia è abbastanza difficile. Si tratta di uno Stato nuovo, i cui dirigenti sono particolarmente suscettibili in fatto di prestigio. Il Governo di Bengasi considera gli «advisers» britannici unicamente come esperti al suo servizio, che non rappresentano in alcun modo il Governo inglese; ed è quindi assai difficile per essi prendere iniziative che potrebbero urtare l’amor proprio libico. Comunque il Governo inglese sarà lieto di ascoltare qualsiasi richiesta che da parte italiana venga fatta in materia, attraverso le rappresentanze diplomatiche a Tripoli o a Londra e cercherà di appoggiarci per la soluzione dei nostri problemi.

MAGISTRATI: Accenna al problema della Somalia italiana di cui si è già discusso nella riunione del giorno precedente. Effettivamente, come ha osservato il Ministro Eden, la questione non è urgentissima, giacché il mandato italiano prenderà fine soltanto nel 1960. Tuttavia nei prossimi anni occorrerà sapere, almeno nelle linee generali, quello che succederà a quell’epoca e quindi sarebbe utile mantenersi in consultazione col Governo britannico. La restituzione da parte inglese all’Etiopia della «Reserved Area» nell’Ogaden ha suscitato risentimento fra i somali. Vi è un movimento per l’unione delle varie Somalie in un’unica Grande Somalia, movimento che, dopo la guerra, era appoggiato anche dalla Gran Bretagna. Su tutta questa materia vorremmo appena possibile conoscere le intenzioni del Foreign Office.

ZOPPI: Sottolinea la delicatezza del problema. Se dopo la cessazione dell’amministrazione italiana e la creazione di uno Stato somalo indipendente, questo poi venisse assorbito in una Grande Somalia sotto il protettorato britannico, l’opinione pubblica italiana reagirebbe sfavorevolmente.

NUTTING: Assicura che il Governo inglese si rende conto dell’importanza del problema e come già promesso dal Ministro Eden, si manterrà al riguardo in consultazione col Governo italiano.

Nutting parla poi della questione dei danni subiti da cittadini inglesi per incidenti avvenuti in Italia nel novembre 1953. L’unico compenso pagato è stato per i danni al Consolato britannico a Roma. Ma vi sono ancora altri «claims» di privati per un totale di 850 sterline. Il Foreign Office continua a ricevere lettere dagli interessati che protestano per il mancato indennizzo. Esso si rende conto che è difficile per il Governo di Roma ammettere una responsabilità giuridica per tali danni; ma si domanda se da parte italiana non si potesse fare un gesto e offrire il pagamento di una somma «ex-gratia» per tacitare gli interessati.

GRILLO: Domanda precisazioni su tali claims che gli sembrava fossero stati già risolti d’accordo con Mr. Hannaford.

MARTINO: Dice che, se da parte britannica verrà rimessa una lista riassuntiva del claims, essa verrà esaminata nello spirito picomprensivo.

NUTTING: Suggerisce di esaminare la bozza di comunicato preparata dal Foreign Office.

MARTINO: Propone che nel comunicato si faccia menzione del «pool» degli armamenti. Cipotrebbe favorire la posizione del Governo francese. A tal riguardo esprime le preoccupazioni dell’Ambasciatore Quaroni circa l’intenzione di alcuni parlamentari francesi di condizionare l’entrata in vigore dell’UEO colla creazione del «pool» degli armamenti. Accenna anche all’opportunità che da parte inglese venga fatta un’azione di persuasione presso il Ministro degli Esteri olandese al fine di attenuare l’atteggiamento ostile da lui assunto verso il progetto del «pool».

NUTTING: Osserva che in assenza del Ministro Eden, egli non puimpegnarsi per quanto riguarda il comunicato. Comunque quello che è certo, e che è stato ben precisato nelle discussioni del gruppo di lavoro di Parigi, è che il Governo inglese non puaccettare alcuna forma di soprannazionalità. Con l’UEO la Gran Bretagna ha finalmente trovato una forma di associazione che le permette di collaborare pienamente con le altre nazioni europee. Sarebbe triste quindi se l’UEO desse vita immediatamente a un nuovo organismo al quale l’Inghilterra dovesse aderire invece soltanto parzialmente oppure con riserve che togliessero gran parte di valore alla sua partecipazione.

***

Alle ore 11,45 intervengono alla riunione anche il Presidente Scelba e il Ministro Eden, accompagnato da Sir Ivone Kirkpatrick.

(SEGUITO DEL VERBALE DELLE CONVERSAZIONI DEL 17 FEBBRAIO)

EDEN: Riprendendo la discussione circa l’UEO, dichiara che se la Francia non ratificasse bisognerebbe preoccuparsi immediatamente della posizione del Cancelliere tedesco che sta diventando ogni giorno più difficile. «La nostra idea ‒che non abbiamo ancora esposto a nessuno, nemmeno ai nostri amici americani ‒sarebbe di convocare al pipresto una riunione per studiare il da farsi ed aiutare Adenauer a mantenere la sua posizione anche perché non possiamo dire oggi quale sarà, in quella eventualità, la reazione della Germania».

SCELBA: Si dichiara d’accordo ed insiste sulla gravità delle conseguenze di una mancata ratifica da parte francese. Sarebbe utile esporre queste preoccupazioni al Governo francese, ma per il momento non è possibile non essendovi un governo a Parigi.

EDEN: «Se i nostri amici italiani pensano di poter dire qualche cosa a Parigi tanto meglio. Noi lo facemmo dopo il primo voto negativo della Camera alla vigilia di Natale: l’effetto desiderato fu ottenuto, ma data la reazione di molti ambienti francesi, preferiremmo non ripetere l’intervento».

SCELBA: «L’adesione inglese rafforza la nostra posizione e pertanto avremo diritto di fare pressione sulla Francia. Quando la Francia rigett la CED il Governo italiano si astenne da qualsiasi atteggiamento ostile. Oggi la situazione è molto pigrave giacché si dovrà probabilmente riarmare la Germania passando sopra la Francia».

MAGISTRATI: Espone la sua preoccupazione che la Francia possa non rigettare apertamente l’UEO ma rinviare per molto tempo la decisione. Chiede quindi al Ministro Eden in quale momento preciso egli pensa che la riunione da lui suggerita possa aver luogo.

EDEN: «Dovremmo prima consultarci, per via diplomatica, sul momento opportuno».

SCELBA: «Per la Francia la questione dell’UEO è un problema non di politica estera ma di politica interna e gli altri Paesi non possono stare ad aspettare.

Secondo le notizie ora giunte da Roma non vi sarà ostruzionismo dell’estrema sinistra nella prossima discussione al Senato e quindi la ratifica italiana sarà completata per i primi di marzo».

EDEN: Si compiace e dopo essersi consultato con i suoi esperti dichiara che per la metà di marzo anche la Germania e il Benelux dovrebbero aver completato la ratifica degli Accordi di Parigi. Quindi dopo il 15 marzo ci si potrebbe consultare circa la data della riunione prevista.

MARTINO: Dopo avere informato Eden delle interviste che Scelba ed egli stesso daranno alla stampa britannica, chiede il pensiero di Eden sull’opportunità di esprimere alla stampa le preoccupazioni circa l’UEO.

EDEN: Dichiara che il comunicato farà menzione dell’UEO; e che in ogni modo sarà molto opportuno che i Ministri italiani manifestino alla stampa inglese il loro punto di vista come da loro espresso nelle conversazioni(2).

1 Ambasciata a Londra, 1955, b. 10, fasc. 4.

2 Una sintesi di questi colloqui fu inviata anche ad alcune Ambasciate, Rappresentanze e Legazioni: vedi D. 302.

301

IL CAPO DELLA RAPPRESENTANZA PRESSO IL CONSIGLIO ATLANTICO, ALESSANDRINI, AL MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI(1)

Telespr. riservato 758/2862. Parigi, 18 febbraio 1955.

Oggetto: Gruppo di Lavoro per la Standardizzazione e la produzione degli armamenti.

Riferimento: Mio telespresso n. 496/185 in data 4 febbraio corr.3.

La riunione plenaria del Gruppo di Lavoro, che avrebbe dovuto aver luogo in questi giorni, subirà un certo ritardo in seguito ad intese ufficiose intercorse in tal senso fra le varie Delegazioni. L’iniziativa di questo rinvio è stata presa dai francesi, i quali hanno lasciato comprendere che, fino a quando il nuovo Governo non sarà stato costituito e non avrà avuto modo di occuparsi della materia, essi non saranno in grado di continuare il dibattito sul piano generale né di affrontare la discussione sul progetto britannico. Il motivo addotto esplicitamente è stato quello della opportunità di lasciare al Comitato degli Esperti il tempo di approfondire i suoi lavori e di predisporre un primo rapporto che non abbia carattere esclusivamente interlocutorio.

In realtà, da parte francese si va procedendo ‒almeno a livello funzionari ‒ad un profondo ripensamento di tutta la situazione, tenendo conto di quanto è emerso nella prima fase di attività del Gruppo di Lavoro e degli atteggiamenti assunti dalle varie Delegazioni. Evidentemente i negoziatori francesi si sono resi conto della seria difficoltà ‒per non dire della impossibilità ‒di riuscire a fare accogliere dalla maggioranza dei Paesi UEO le loro primitive proposte, sia pure attenuate e convenientemente annacquate. Infatti le posizioni rigidamente negative assunte dagli inglesi, dai tedeschi e dal gruppo Benelux, di cui l’Olanda è stata la piaggressiva pattuglia di punta, sono tali da lasciare ben poco adito alla speranza di un compromesso in tale direzione. Al riguardo ho già ampiamente riferito ‒da ultimo col telespresso sopracitato ‒circa i motivi non apertamente confessati, ma appena velati, che hanno ispirato la linea di condotta dei vari Delegati nazionali e circa le tesi svolte da ciascuno a sostegno del proprio punto di vista.

La presentazione del Memorandum britannico ha infine rappresentato il punto di cristallizzazione di tutte le opposizioni e ha posto i francesi davanti ad una controproposta basata su concezioni e presupposti del tutto divergenti da quelli sui quali essi avevano invece fondato il loro progetto.

La Delegazione francese, a quanto ci è stato confidato, sta ora mettendo a punto i suggerimenti da dare al nuovo Governo, suggerimenti che sarebbero orientati in senso molto realistico. Verrebbe cioè constatato che la impostazione politica data da Mendès-France alla sua iniziativa non era delle pifelici in quanto non teneva, fra l’altro, sufficientemente conto delle suscettibilità tedesche e delle allergie britanniche. Il Memorandum francese sarebbe sottoposto ad una severa «autocritica» e ne verrebbe sopratutto sottolineata la mancanza di unitarietà (dovuta al fatto che, come è noto, esso è il frutto della fusione, eseguita personalmente da Mendès-France o dal suo stretto entourage, di una serie di piani differenti) nonché l’eccessiva e troppo ambiziosa portata, che lo renderebbe praticamente irrealizzabile (evidentemente si osa dire, oggi che Mendès-France non è piPresidente del Consiglio, quello che ieri era considerato piprudente tacere anche sul piano strettamente interno). Si consiglierebbe quindi, tenendo conto delle reazioni finora provocate, di mutare tattica. Questa dovrebbe consistere sostanzialmente nel proporre al Gruppo di Lavoro di prendere le mosse dall’esame dei problemi concreti cui i Paesi UEO dovranno far fronte in tema di armamento nei prossimi anni, per giungere ad individuare quelli che non possono essere risolti né attraverso le forniture dirette americane, né attraverso il sistema delle commesse off-shore, né attraverso la sola azione singola di ciascun Paese e che richiedono pertanto una riunione di sforzi e la stipulazione di accordi particolari in una cornice strettamente europea. Una volta individuati ‒in concreto ‒questi problemi particolari, si dovrebbero studiare i mezzi piidonei per trovarvi delle soluzioni in comune e, soltanto in un’ultima fase, ricercare una intesa in merito al quadro istituzionale entro il quale tali soluzioni dovrebbero realizzarsi.

I nostri interlocutori hanno mostrato di credere che, attraverso questa strada, essi

potrebbero riuscire più facilmente ‒o meno difficilmente ‒persuadere il Gruppo di

Lavoro della opportunità di certe misure da loro proposte, che dovrebbero trovare la loro giustificazione e la loro ragione d’essere non piin considerazioni politiche di ordine generale ma nella constatazione di reali ed improrogabili necessità. I tedeschi, ci è stato detto, si sarebbero già dimostrati, in conversazioni ufficiose, non alieni dal

seguire un siffatto metodo di lavoro, che escluderebbe ‒e questa volta non soltanto a parole‒ogni disegno aprioristico di allargare i controlli o accentuare le discriminazioni nei loro confronti.

Evidentemente la Delegazione francese si rende conto che, così procedendo, verrebbe a cadere quell’effetto favorevole alla ratifica degli Accordi di Parigi davanti al Consiglio della Repubblica che Mendès-France si proponeva di ottenere in primo luogo. Essa pensa pertanto che, una volta dato per scontato che un tale risultato immediato non potrebbe comunque essere ottenuto, la sua azione dovrebbe tendere a rinviare ogni decisione definitiva a dopo il voto finale circa l’UEO ed a tenere intanto vivo ed attivo il lavoro del Comitato degli Esperti per creare la sensazione che la questione viene attentamente studiata e che una formula soddisfacente potrà essere trovata purché si dia tempo al tempo.

Come si vede, si tratta di idee improntate ad un realismo possibilista e conciliante e non prive di buon senso. Quello che è difficile prevedere è se esse siano o no suscettibili di venire accolte dal nuovo titolare del Quai d’Orsay e, in genere, dal nuovo Gabinetto. Su un piano pivasto, l’atteggiamento stesso del Governo appare condizionato da quella che sarà per essere la sua politica estera in generale e da quelli che saranno, in particolare, i suoi propositi in tema di UEO. Sarà, cioè, esso pronto a dare battaglia a fondo per una sollecita ratifica o sarà condotto a seguire una tattica dilatoria? Quale sarà il suo atteggiamento in tema di europeismo? Quali le sue idee su eventuali iniziative sopranazionali tipo CECA o CED? Si sentirà abbastanza forte per difendere gli Accordi di Parigi per quello che sono o avrà bisogno di farli sembrare quello che non sono? Avrà interesse a tentare di riversare sugli altri partners europei una parte della responsabilità di un eventuale scacco? Dalla risposta a questi interrogativi e dalla valutazione della situazione che si creerà nel Paese e in Parlamento dopo la risoluzione della crisi, dipenderanno in gran parte le istruzioni che, alla fine, verranno impartite a Parodi ed ai suoi collaboratori.

Le impressioni dei francesi sul progetto britannico sono, come era da aspettarsi, negative. Essi rilevano sopratutto come tale progetto non innovi nulla e non risolva nulla; né da un punto di vista politico, né da quello di un effettivo progresso verso la realizzazione degli obiettivi indicati nel loro memorandum e riconosciuti da tutti come importanti ed urgenti. Mi consta perche, ad ogni buon fine, essi stanno studiando anche quali potrebbero essere le eventuali modifiche per rimpolparlo e per dargli un qualche maggiore contenuto. Il che è una ulteriore riprova della incertezza in cui naviga in questo momento la Delegazione francese circa la linea di condotta da adottare nelle prossime riunioni del Gruppo di Lavoro.

Naturalmente, continueremo a seguire da vicino l’evoluzione del pensiero francese; tanto per prevedere il piaccuratamente possibile la piega che potranno prendere le discussioni onde potervi inserire la salvaguardia dei nostri interessi e delle nostre particolari esigenze, quanto per regolare e dosare opportunamente i nostri interventi, in modo da continuare la nostra azione di fiancheggiamento ai francesi senza percorrere il rischio di essere poi lasciati soli a difendere posizioni difficilmente sostenibili e di fare apparire come insuccessi anche nostri quelli che sarebbero invece, in realtà, soltanto francesi(4).

1 DGAP, Uff. V, UEO, b. 13, fasc. UEO. Pool Armamenti, fasc. 2, UEO - Pool armamenti, fasc. 2, febbraio - aprile 1955.

2 Sottoscrizione autografa. Il documento reca i seguenti timbri: «Visto dal Ministro», «Visto dal Segretario Generale» con la sigla di Rossi Longhi.

3 Vedi D. 294.

4 Per il seguito vedi D. 308.

302

IL MINISTRO DEGLI AFFARI ESTERI, MARTINO, AD AMBASCIATE, RAPPRESENTANZE E LEGAZIONI(1)

T. segreto 1604-1605/c.2. Roma, 21 febbraio 1955, ore 16,30.

Risultati incontro italo-britannico di Londra – che è stato improntato a viva cordialità ‒sono stati riassunti in comunicato già trasmesso a V.E. da Agenzie telegrafiche(3).

Si stima opportuno aggiungere, qui appresso, ulteriori informazioni e impressioni:

1) Circa UEO da parte britannica si pensa – e noi effettivamente concordiamo – che un rinvio sine die, da parte francese, della ratifica degli Accordi di Parigi provocherebbe gravi difficoltà per tutti e, praticamente, impedirebbe contributo militare tedesco a difesa occidentale. In queste condizioni Churchill ed Eden appaiono propensi a «procedere innanzi» nella organizzazione occidentale lasciando, nel caso, una «sedia vuota» per quando Francia si deciderà ad entrarvi. Allo scopo Eden riterrebbe opportuna convocazione, ad un dato momento, di una conferenza degli altri sei Paesi occidentali insieme con Stati Uniti e Canada. Nulla di preciso, per ci è stato accennato circa epoca tale conferenza, evidentemente perché appare necessario conoscere orientamenti e tattica parlamentare del futuro Governo francese.

2) Circa andamento lavori gruppo di Parigi per «pool» degli armamenti, si è stabilito, di comune accordo, di procedere con opportuna cautela resa, del resto, necessaria da situazione francese. Da parte nostra non abbiamo mancato, per di informare gli inglesi che, secondo nostre impressioni, una rottura di tale trattativa finirebbe per fare il gioco di quegli elementi parlamentari francesi sostanzialmente sfavorevoli ad accordi di Parigi, i quali ne approfitterebbero per proclamare fallimento tale tentativo per integrazione europea.

3) Circa situazione est-ovest, inglesi appaiono sempre propensi, a causa anche attuale orientamento loro opinione pubblica, a compiere opportuni sforzi per impedire eccessivo irrigidimento americano in merito a difesa altre isole del Mare di Cina che non siano Formosa e Pescadores.

4) Circa guerra psicologica abbiamo insistito tanto con Churchill quanto con Eden circa necessità che iniziative in merito distensione siano tolte dalle mani di Mosca. Occorrerebbe, cioè, iniziare, da parte nostra, azione concordata intesa a porre in rilievo cattiva fede dell’altra parte sia nel campo della limitazione degli armamenti, sia circa barriera costituita da cortina di ferro.

5) Circa Jugoslavia e Balcani – fermo restando interesse comune italo-britannico a vedere mantenuta indipendenza Albania – nessun preciso accenno è stato fatto ad eventuale partecipazione dell’Italia a Patto di Bled.

6) Circa rapporti diretti tra Roma e Londra, abbiamo tratto l’impressione che effettivamente tanto attuale Governo britannico quanto opposizione laburista – e ne abbiamo avuto prova da cordiale, diretto intervento tutti maggiori uomini politici a manifestazioni organizzate in onore ospiti italiani – desiderano considerare e dichiarare definitivamente chiuso periodo dei contrasti tra i due Paesi.

Non sono anzi mancati diretti accenni – e ve ne è traccia nel comunicato ufficiale – circa opportunità che contatti tra Londra e Roma divengano, mediante seguito reciproche consultazioni, sempre picontinui e costanti. E cispecie in merito a organizzazione Europa Occidentale e ad azione da seguire in settori di comune interesse come in Mediterraneo ed in Africa Orientale.

Solo per Parigi: In base ad accordi con Governo francese abbiamo provveduto a porre al corrente Ambasciatore di Francia e Londra dei risultati delle nostre conversazioni. Si prega, comunque, fornire al Quai d’Orsay opportune informazioni in merito a quanto sopra(4).

1 Telegrammi segreti originali 1955, partenza, vol. I.

2 Indirizzato alle Ambasciate a Parigi, Washington, Bruxelles, Bonn, L’Aja, Ottawa, alla Legazione a Lussemburgo e alla Rappresentanza presso il Consiglio Atlantico a Parigi.

3 I colloqui si svolsero dal 15 al 17 febbraio: vedi DD. 298-300.

4 Per il seguito vedi DD. 303 e 304.

303

L’AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI, AL DIRETTORE GENERALE DEGLI AFFARI POLITICI, MAGISTRATI(1)

L. riservata 0325. Parigi, 25 febbraio 1955.

Caro Magistrati,

ho letto con molto interesse i tuoi appunti sulle conversazioni italo-britanniche(2) e ti ringrazio di avermeli inviati. Se possibile, mi interesserebbe di avere anche gli appunti di Zoppi e di Canali.

Sempreché non sia domandare troppo, per una migliore comprensione di alcuni argomenti degli appunti, potrei avere la documentazione a cui essi si riferiscono?

Vedo che c’è una certa discrepanza fra gli inglesi stessi sulle previsioni francesi. In data odierna vi invio un rapporto sul nuovo Governo Faure. Come vedrai, non sono piottimista di prima sulla ratifica dell’UEO.

Tu hai fatto un’osservazione molto pertinente. Non credo nemmeno io che si arriverà ad un rigetto aperto dell’UEO: la tattica seguita dai francesi sarà, analogamente a quello che hanno fatto per la CED, di rinviare la decisione per uno o due anni, sia che per questo debbano passare attraverso gli emendamenti del Consiglio della Repubblica, sia che – i personaggi adesso sono gli stessi – ci si continui ad affermare la volontà di ratificare, la speranza che questo possa essere fatto, ma l’opportunità di rimandare di qualche mese per «migliorare» l’atmosfera. Dalla lettura dell’appunto mi sembrerebbe che la decisione inglese di passare, eventualmente, oltre la Francia è molto meno precisa di quella manifestata nel vostro telegramma(3). Personalmente, che fra inglesi ed americani si decidano realmente a passare oltre la Francia, ci crederquando l’avrvisto.

Naturalmente non occorre che ti aggiunga che, nel rinviare, i francesi contano su due cose: la prima è la possibilità che finalmente i russi si decidano a fare delle proposte realmente accettabili; la seconda è che il neutralismo tedesco faccia tanti progressi da fare assumere al problema del riarmo tedesco un carattere non pirealista. E quanto pile notizie che vengono dalla Germania sono pessimiste sui sentimenti dei tedeschi e sulla posizione del Cancelliere Adenauer, tanto pisi rafforza l’opinione di quelli che ritengono sia meglio guadagnare tempo. Qui in Francia, della situazione politica di Adenauer non se ne preoccupa nessuno, nemmeno i cattolici. Si desidera la caduta sua e del suo regime; politicamente perché si spera così di far cessare il confronto Francia-Germania, poco favorevole alla prima; economicamente perché, piche si spera, si desidera vivamente l’avvento al potere dei socialisti o dei cattolici di sinistra, nella speranza che questi, con una politica di alti salari, di assistenza sociale e in genere di tutto quello che è l’armamentario economico dei sinistri di oggi, possa rovinare la Germania.

Non è facile vivere in un regime economico che tanto si differenzia da quello dei paesi vicini: credimi che qui non avranno pace – e non si potrà parlare realmente di avvicinamento con la Germania sia sul campo economico che su quello politico – fino a che la Germania non si metterà a seguire all’interno una politica sociale simile a quella francese. Mi domando fino a che punto questo ragionamento non valga anche per gli inglesi.

In ogni modo, grazie ancora e credimi,

tuo aff.mo

P. Quaroni

1 DGAP, Uff. I, 1945-1960 (I versamento), b. 94, fasc. Visita del Presidente del Consiglio e del Ministro degli Affari Esteri a Londra (15-18 febbraio 1955).

2 Sulle conversazioni vedi DD. 298-300.

3 Vedi D. 302.

304

L’AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI, AL MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI(1)

Telespr. urgente 082. Parigi, 2 marzo 1955.

Oggetto: Colloquio con Edgar Faure.

Ho trovato Edgar Faure piuttosto euforico circa la ratifica degli Accordi di Parigi da parte del Consiglio della Repubblica. Mi ha detto di essere praticamente sicuro di aver ottenuto che il dibattito al Senato abbia inizio per il 22 marzo; così ha davanti a sé una quindicina di giorni per esercitare tutta l’influenza di cui dispone sui senatori, per evitare gli emendamenti che, come è noto, costituiscono il pigrosso pericolo.

Mi ha ripetuto che sta studiando anche la possibilità di interpretare il nuovo regolamento nel senso di limitare l’eventuale secondo dibattito alla Camera ai soli emendamenti – sebbene mi sia sembrato oggi meno ottimista sulla possibilità di far accettare questa interpretazione.

Ha accennato un po’ vagamente alla possibilità che, qualora il Senato, per rinviare, cerchi di trincerarsi troppo dietro la questione delle elezioni cantonali e senatoriali, queste siano rimandate all’autunno.

Mi ha detto anche che è stato soddisfatto della collaborazione che ha trovato, per la ratifica, da parte dei suoi ministri meno europeisti: naturalmente, anche se cinon è vero, non potevo aspettarmi che non lo dicesse.

Per mio conto gli ho confermato che, per quello che ci concerneva, il dibattito, per ragioni di procedura, avrebbe potuto durare un giorno di pio un giorno di meno, ma che c’era, al Senato italiano, una maggioranza solida e sicura in favore della ratifica.

Gli ho poi aggiunto quanto da noi si fosse preoccupati per la questione della ratifica francese. Non per le ripercussioni che questo poteva avere sulla ratifica nostra (ché, questa, era un fatto compiuto), ma per le sue ripercussioni sulla politica generale. In tutta amicizia e riservatezza, credevo mio dovere di dirgli che, a nostra impressione, questa volta non solo gli americani, ma anche gli inglesi erano decisi, non soltanto a non lasciarsi arrestare da un eventuale rigetto degli accordi da parte delle Assemblee francesi, ma nemmeno ad adattarsi ad un rinvio alle calende greche. Era quindi da temere che, ad un certo momento, e non troppo lontano, gli anglosassoni avrebbero potuto adottare nei riguardi della Francia la politica dell’«empty chair». Ora noi eravamo molto preoccupati delle conseguenze che, non solo per noi, ma per tutti, avrebbe finito per avere un riarmo della Germania fatto passando oltre la Francia: era un serio colpo a tutta l’organizzazione occidentale. Sapevo le sue opinioni, e quindi sapevo che dicendogli questo sfondavo una porta aperta (il che fra parentesi non è affatto vero); cinonostante ritenevo non inutile ripetergli quanto il Governo italiano contasse sulla sua azione personale per una rapida ratifica dei Trattati di Parigi.

Edgar Faure mi ha detto che comprendeva ed apprezzava lo spirito con cui il Governo italiano gli faceva questa raccomandazione, così come sapeva con quanto spirito di amicizia noi avessimo spiegate a Londra le difficoltà francesi. Mi ha ripetuto condividere il nostro punto di vista, e mi ha di nuovo assicurato che avrebbero fatto tutto il possibile, sia lui che il suo Governo, e che sperava di riuscire.

Mi ha confidato che analogo passo era stato fatto presso di lui dai rappresentanti americano ed inglese.

Per quanto si pugiudicare, ho riportato l’impressione – e questo mi viene confermato anche da altre parti – che Faure sia veramente convinto che deve fare tutto il suo possibile per far passare, ed al pipresto, gli Accordi di Parigi. Che effettivamente ci riesca, che effettivamente possa contare sull’appoggio di tutto il suo Governo – nel qual caso il successo sarebbe molto pisicuro –, su questo non mi sento ancora di pronunciarmi.

La ratifica tedesca ha fatto qui effetto, senza dubbio. Ci sono state delle reazioni ad alcune risposte date da Adenauer, ab irato, ai suoi interpellatori, in cui appare troppo evidente la sua intenzione di liquidare Hoffmann e Grandval, cosa che ha già messo alcuni settori a rumori.

Senza voler nulla esagerare, penso che la nostra ratifica avrà anch’essa il suo effetto.

Resta sempre che queste benedette Camere francesi ci hanno sempre riservato delle sorprese spiacevoli dell’ultimo minuto: e resta anche il problema di sapere quale valore abbia, in questa condizione, la ratifica francese.

Comunque, in questo momento, possiamo mettere all’attivo che il Governo francese sembra animato dal desiderio di battersi per la ratifica. Il che è già qualche cosa(3).

1 DGAP, Uff. V, UEO, b. 11, fasc. UEO. Unione Europea Occidentale - parte generale, fasc. 2, 1° marzo-30 luglio 1955.

2 Sottoscrizione autografa.

3 Per il seguito vedi D. 306.

305

L’AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI, AL MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI(1)

Telespr. urgente 102. Parigi, 4 marzo 1955.

Oggetto: Pool degli armamenti.

Ho detto a Pinay che avrei desiderato, appena possibile, avere con lui una conversazione sul pool degli armamenti per conoscere quali sono le sue idee in concreto.

Secondo me bisognava dividere la questione in due fasi.

Quella prima della ratifica da parte del Senato francese, e mi rendevo conto che qui era necessario che da parte di tutti si mostrasse la massima buona volontà. Gli ho ripetuto come, a Londra, da parte nostra, fosse stato segnalato agli inglesi che le voci provenienti dalla Conferenza e dal NATO di fallimento dell’idea del pool degli armamenti non facilitavano certo la ratifica degli Accordi di Parigi da parte del Senato.

Pinay mi ha detto di averlo già saputo e di esserne molto grato al Governo italiano, tanto piche effettivamente la questione del pool degli armamenti era una delle difficoltà a cui si urtava in Senato.

La seconda fase era quella della realizzazione effettiva. Era indubbio – gli ho detto – che, da una parte, era attraverso il pool degli armamenti che si poteva arrivare all’integrazione europea. Detto questo bisognava perriconoscere che il progetto presentato dai francesi era fatto in fretta, era poco organico e difficilmente avrebbe potuto essere accettato. Bisognava anche riconoscere d’altra parte che qualsiasi forma di integrazione sopranazionale non sarebbe stata accettata dagli inglesi. Ora, era il Governo francese disposto a sostenere delle formule che non avrebbero avuto la partecipazione dell’Inghilterra? Dopo l’esperienza fatta, sarebbe stato estremamente pericoloso mettersi di nuovo su strade che portassero poi ad un rifiuto parlamentare.

Noialtri avevamo appoggiato – ed eravamo stati praticamente i soli – la tesi francese in seno al pool degli armamenti: eravamo in principio disposti a farlo ancora, ma bisognava anche che il Governo francese si rendesse conto di quello che era possibile; e sopratutto era per noi necessario, prima di prendere una decisione d’impegno, sapere quali erano le idee effettive del Governo francese.

Pinay mi ha detto di ritenere che la settimana prossima sarebbe in grado di far precisare il pensiero del Governo francese in argomento e che non avrebbe mancato di chiamarmi per parlarmene direttamente.

Non occorre che aggiunga che non sono affatto sicuro che il Governo francese riuscirà a precisare le sue idee in un tempo così breve.

1 DGAP, Uff. V, UEO, b. 13, fasc. UEO. Pool Armamenti, fasc. 2, UEO - Pool armamenti, fasc. 2, febbraio - aprile 1955.

2 Sottoscrizione autografa.

306

L’AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI AL MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI(1)

Telespr. urgente 112. Parigi, 4 marzo 1955.

Oggetto: Ratifica UEO.

Ho trovato Pinay molto piriservato del Presidente del Consiglio(3) circa la ratifica dell’UEO. Mi ha confermato che il Governo conta di riuscire ad ottenere che l’inizio della discussione abbia luogo il 22 marzo; ritiene perche «la lotta sarà durissima».

Mi ha detto che la dichiarazione fatta dal Cancelliere Adenauer circa l’impegno che avrebbero preso gli inglesi e gli americani di non appoggiare le tesi francesi sulla Saar in occasione del Trattato di Pace, ha prodotto qui una forte reazione. Egli si rende perfettamente conto che Adenauer doveva dirlo, anche se sarebbe stato molto meglio per la Francia non dirlo. «Bisognerà perche Adenauer non se ne abbia a male se io sarcostretto a dire esattamente il contrario» – mi ha detto Pinay.

Quello perche, secondo lui, Adenauer avrebbe potuto risparmiarsi, era l’attacco diretto e sopratutto sprezzante nei riguardi di Hoffmann e di Grandval. «Anch’io, al posto del Cancelliere, penserei di Hoffmann probabilmente la stessa cosa che pensa lui, perci sono delle cose che un uomo di Stato, cosciente delle sue responsabilità internazionali, non deve dire alla tribuna del Parlamento».

Pinay ha continuato dicendomi che la campagna che egli sta svolgendo presso i senatori, è nel senso di dire che egli ha assunto il Ministero degli Esteri solo allo scopo di costituirsi come garanzia che i Patti di Parigi non saranno un punto di arrivo, ma un punto di partenza. (È evidentemente questa la formula – del resto presentabilissima – che ha scelto Pinay per giustificare come, non avendo egli votato gli Accordi di Parigi, li debba adesso difendere in Senato. Egli spera naturalmente di raccogliere su questa formula molti degli ex-cedisti).

Aggiungo, di passaggio, che non sono del tutto sicuro che ci riuscirà perché quella disgrazia internazionale che si chiama Jean Monnet sta facendo adesso una propaganda violenta ed accanita – quella propaganda che non ha fatto per far ratificare la CED – per dire che gli Accordi di Parigi non valgono niente, che bisogna farli cadere e riprendere la CED; propaganda questa la quale non pufar rinascere la CED – tranne che dopo le elezioni, ed anche questo è problematico – e che puviceversa spostare ancora pochi voti contro gli Accordi di Parigi: e questi pochi voti possono essere definitivi.

Ho in ogni modo ripetuto a Pinay tutte le considerazioni di politica internazionale che avevo fatte a Edgar Faure, e Pinay me ne ha ringraziato: ha pregato di assicurare il Governo italiano di fare tutto il possibile, per quello che lo concerne, per fare ratificare il Trattato di Parigi.

Per mio conto gli ho poi detto che la sua formula: il Patto di Parigi punto di partenza e non punto di arrivo, era stata fin dall’inizio la formula del Governo italiano; in questa sua politica quindi egli poteva contare sulla nostra collaborazione sopra-tutto perché pensavamo, e pensavo, che nella sua mentalità realista non si sarebbe lasciato trascinare a schemi ed illusioni ma sarebbe rimasto sul terreno della realtà.

Ho trovato il suo appoggio entusiasta quando gli ho detto che i peggiori nemici dell’Europa non sono gli antieuropeisti, ma i teorici fanatici dell’idea europea.

Pinay mi ha detto che il suo pensiero circa gli sviluppi possibili dell’integrazione europea non è ancora precisato, ma che appena le sue idee sarebbero un po’ pichiare, sarà sua premura, prima di arrivare a delle proposte concrete, di consultarsi con noi, con i tedeschi ed i belgi, o per la via diplomatica o in occasione di uno dei tanti possibili incontri.

1 DGAP, Uff. V, UEO, b. 11, fasc. UEO. Unione Europea Occidentale - parte generale, fasc. 2, 1° marzo-30 luglio 1955.

2 Sottoscrizione autografa.

3 Vedi D. 304.

307

[L’AMBASCIATRICE DEGLI STATI UNITI D’AMERICA A ROMA, BOOTHE LUCE,] AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, SCELBA(1)

L.2. Roma, 10 marzo 1955.

Excellency:

On instructions I have the honor to transmit the following personal message to you from the President of the United States:

United States assurances to Western European Union.

At the time when there was under consideration the treaty to establish a European Defense Community, I made a public announcement(3) of certain principles which would guide United States policies and actions with respect to Western Europe in the event that treaty should be ratified. Now, in substitution for that community, a plan has been evolved for a Western European Union. Obviously, that union and related arrangements signed at Paris on October 23 1954, when brought into force, will serve the vital interests not only of the members of the Union, but of the peoples of the Free World, including the United States. The United States has twice been drawn into wars which originated in Europe and today it maintains forces there to help minimize the possibility of another war. It is in the interest of the United States to help reduce such dangers.

To this end the United States committed itself to the North Atlantic Treaty. This Treaty is in accordance with the basic security interests of the United States, and the obligations which the United States has assumed under the Treaty will be honored.

The member nations are seeking to make the Atlantic Alliance an enduring association of free peoples within which all members can concert their efforts toward peace, prosperity and freedom. The success of that Association will be determined in large measure by the degree of practical cooperation realised among the European nations themselves. The Western European Union and the related arrangements agreed upon in Paris are designed to ensure this cooperation and thereby to provide a durable basis for consolidating the Atlantic relationship as a whole.

It is my belief that the proposed arrangements when effective:

Will promote progress toward unity in Western Europe and draw together those whose past differences have led to recurrent war and gravely depleted Europe’s human, material and moral strength;

Will restore sovereignty to the Federal Republic of Germany, a sovereignty which has now been withheld for ten years, during which time the Government and people of that Republic have demonstrated that they are capable of worthily discharging their responsibilities as a self-governing member of the free and peaceful world community;

Will, by controlling armament levels through an appropriate agency of the Western European Union, assure against militarism;

Will provide a core of unity at the heart of the North Atlantic Treaty Organization, thus permitting adoption of practical defensive measures which offer good hope that any enemy attack could be stopped at the threshold;

Will enable the Federal Republic of Germany to make its appropriately measured contribution to international peace and security, in keeping with the spirit of the North Atlantic Treaty Organization;

Will, through action of the North Atlantic Treaty Council, assure a closer integration of the Armed Forces in Europe of the member countries, thereby giving assurance that these forces cannot be used for nationalistic aggression or otherwise than for the security purposes envisaged by the North Atlantic Treaty.

At London on September 29, 1954, the United States Secretary of State(4) in order to facilitate efforts to produce an effective collective defense of Western Europe, indicated the conditions under which the United States might be prepared to make a policy declaration similar to that which was announced when the earlier European Defense Community plan was under consideration. I am glad to affirm that when the Paris Agreements have been ratified and have come into force, it will be the policy of the United States:

1) To continue active in the various organic arrangements established under the North Atlantic Treaty Organization and to consult with other members of NATO on questions of mutual concern, including the level of forces from the respective NATO countries to be placed at the disposal of the Supreme Allied Commander Europe;

2) To consult, if so desired, with the Agency for the control of armaments of the Western European Union with a view to assisting in the achievement of its objective of controlling armament and preventing unjustified military preparation within the members of the Union;

3) To continue to maintain in Europe, including Germany, such units of its Armed Forces as may be necessary and appropriate to contribute its fair share of the forces needed for the joint defense of the North Atlantic Area while a threat to that area exists, and will continue to deploy such forces in accordance with agreed North Atlantic strategy for the defense of this area;

4) To cooperate in developing the closest possible integration among the forces assigned to NATO in Western Europe, including those contributed by the German Federal Republic, in accordance with approved plans developed by the military agencies and the Supreme Commanders of the North Atlantic Treaty Organization in accordance with the resolution adopted by the North Atlantic Council on October 22, 1954;

5) To continue to cooperate toward Atlantic security by sharing information authorized by Congress with respect to the military utilization of new weapons and techniques for the improvement of the collective defense;

6) In consonance with its policy of encouraging maximum cooperation among the free nations of Europe and in recognition of the contribution which the Brussels Treaty, as amended, will make to peace and stability in Europe, to regard any action from whatever quarter which threatens the integrity or unity of the Western European Union as a threat to the security of the parties to the North Atlantic Treaty calling for consultation in accordance with Article IV of that Treaty.

In accordance with the basic interest of the United States in the North Atlantic Treaty, as expressed at the time of ratification, the Treaty was regarded as of indefinite duration rather than for any definite numbers of years. The United States calls attention to the fact that for it to cease to be a party to the North Atlantic Treaty would appear quite contrary to our security interests when there is established on the continent of Europe the solid core of unity which the Paris Agreements will provide.

Accept, Excellency, the renewed assurances of my highest consideration.

[Clare Boothe Luce]

1 DGAP, Uff. I, Serie Affari Politici, 1951-1957, b. 409, fasc. Unione Europea Occidentale, 1955.

2 Messaggio indirizzato ai Governi degli Stati membri dell’UEO. La lettera fu trasmessa con Telespr. 21/0502 del 17 marzo 1955 da Falchi al Gabinetto e allo Stato Maggiore del Ministero della Difesa, alle Ambasciate a Bonn, Bruxelles, Londra, L’Aja, Parigi, Washington, Ankara, Atene e Ottawa, alla Rappresentanza presso il Consiglio Atlantico a Parigi e alle Legazioni a Lussemburgo, Copenaghen, Lisbona e Oslo.

3 Il 15 aprile 1954: vedi DPII, Serie A, Il fallimento della CED e della CPE cit., D. 176 e nota 3.

4 Vedi D. 130. Il testo della dichiarazione di Dulles diventparte integrante dell’Atto finale (Annesso II A).

308

IL CAPO DELLA RAPPRESENTANZA PRESSO IL CONSIGLIO ATLANTICO, ALESSANDRINI, AL MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI(1)

Telespr. segreto urgente 1105/4132. Parigi, 11 marzo 1955.

Oggetto: Gruppo lavoro standardizzazione e produzione armamenti.

Riferimento: Seguito mio telespresso n. 758/286 in data 18 febbraio u.s.3.

A quanto risulta da informazioni confidenziali avute in questi giorni dalla Delegazione francese, l’atteggiamento del nuovo Governo sarebbe andato evolvendosi nel senso che, di fronte alla opposizione della maggioranza dei Paesi UEO all’originario progetto di pool degli armamenti, verrebbero abbandonate, o quanto meno accantonate, le impostazioni previste per il periodo definitivo.

I francesi sarebbero pertanto ora pronti ad aderire ad una soluzione che prendesse lo spunto dal progetto britannico ma che lo completasse e lo rinvigorisse alquanto, lasciando aperta la strada ad eventuali e piapprofonditi sviluppi futuri sulla base dell’esperienza che verrà fatta.

Così, Pinay vorrebbe essere, almeno, in grado di dichiarare al Consiglio della Repubblica che, senza pregiudizio per il futuro, quando gli accordi UEO entrassero in vigore, esisterebbe già un organismo ‒sia pure più elastico dell’Agenzia auspicata da Mendès-France e di diversa struttura ‒che avrà il compito di occuparsi dei problemi di standardizzazione e produzione dei materiali di armamento che i Paesi dell’UEO hanno ogni interesse ad affrontare in comune in relazione alle particolari caratteristiche delle loro economie ed alla situazione speciale del teatro europeo di operazioni. Si verrebbe in tal modo a colmare la lacuna esistente negli accordi di Parigi circa il coordinamento nel campo della produzione di armamenti.

Probabilmente Pinay lascerebbe comprendere ‒lui europeista ‒che, in fondo, la mancata applicazione di quei sistemi di votazione maggioritaria, che sono stati impropriamente definiti sopranazionali, non sarebbe di per sé stessa un male in relazione ai progressi sulla via della integrazione che egli stesso desidera: ciin quanto non si sarebbe trattato di creare un organo indipendente dai Governi (e quindi veramente sopranazionale) ma semplicemente di dare la possibilità ad una coalizione di Stati di imporre la propria volontà ad altri, il che avrebbe rischiato di provocare pericolose reazioni centrifughe, contrarie proprio ai fini che si volevano raggiungere.

In queste condizioni sembra evidente che converrebbe anche a noi di adeguare la nostra linea di condotta alla nuova situazione, nella seconda fase di attività del Gruppo di Lavoro, anche per non rimanere soli a difendere posizioni che ormai appaiono chiaramente non avere probabilità di essere realizzate.

Da un punto di vista di presentazione il nostro ragionamento sarebbe logico. Il nostro primitivo atteggiamento (che ci ha dato comunque modo di reiterare la nostra fedeltà ai principi europeistici) era implicitamente subordinato alla possibilità che venisse trovata una formula suscettibile di accogliere la unanime adesione di tutte le altre Delegazioni, anche perché, trattandosi di un campo in cui la spinta psicologica e la decisa volontà di arrivare a certi obiettivi sono essenziali, occorreva che tutti vedessero sinceramente nel sistema verso il quale, pur con le note riserve, andava la nostra preferenza, un ritorno alle concezioni integrative ed un passo avanti, sia pure modesto, in tale direzione. Avevamo infatti dichiarato che ci accingevamo al lavoro del Gruppo con lo spirito piaperto e ci eravamo dichiarati, fin dall’inizio, disposti a prendere in considerazione anche altri eventuali progetti. Ora l’unanimità non c’è stata ed abbiamo avuto modo di ascoltare alcune argomentazioni cui non possiamo non riconoscere un certo valore. Siamo quindi convinti che si debba, anziché arrestarsi davanti alla cristallizzazione delle opposizioni, ricercare una soluzione che, tenendo conto dei punti di vista e degli interessi di ciascuno, possa armonizzarli e sia tale da raccogliere l’approvazione di tutti.

Da un punto di vista sostanziale ‒sia detto per incidenza ‒potrebbe anche essere considerato opportuno di realizzare qualcosa lasciandone fuori il Regno Unito, se cirappresentasse veramente un progresso verso l’unità continentale, ma sarebbe certo grave errore allentare i legami recentemente stabiliti con la Gran Bretagna senza essere sicuri di trovarci sulla buona strada verso l’Europa integrata.

Ciò premesso, nella riunione plenaria che è stata oggi fissata ‒su richiesta dei francesi‒per il 16 corrente dovremmo, mi sembra, mantenere una posizione elastica

e non legata a schemi preconcetti ed intonare le nostre dichiarazioni a seconda di quello che potrà essere detto dalle altre Delegazioni e, in modo speciale, da quella francese.

Per il caso, peraltro, in cui potesse apparire opportuno che fossimo noi stessi a prendere una qualche iniziativa intesa a portare le discussioni su un terreno concreto e costruttivo nel senso imposto dalla stessa forza delle cose, ho redatto l’accluso schema di documento di lavoro, che potrebbe riflettere la linea generale del nostro pensiero nelle attuali circostanze.

Sargrato a Vostra Eccellenza se vorrà cortesemente farmi tempestivamente conoscere se un mio eventuale intervento in tal senso ‒che, ripeto, farei soltanto se l’andamento delle discussioni lo consigliasse ‒incontrerebbe la sua approvazione di massima(4).

Allegato

DOCUMENT DE TRAVAIL PRÉSENTÉ PAR LA DÉLÉGATION ITALIENNE

Paris, le …

ESSAI DE MISE AU POINT

1. Le Gouvernement italien a attaché et continue d’attacher beaucoup d’importance à la partie institutionnelle du projet français, car elle lui semble receler le germe de développements futurs dont il entend garder l’espoir.

Toutefois, même en faisant abstraction des divergences de vue qui, à ce sujet, se sont manifestées à l’intérieur du Groupe de Travail, il est évident qu’il s’agit là de problèmes très complexes dont l’étude approfondie exige beaucoup de patience et de doigté, donc beaucoup de temps.

Cette étude pourrait soit être renvoyée à une date ultérieure, soit être confiée dès maintenant à un sous-groupe spécial.

Mais ce serait ralentir indent la marche de nos travaux que d’attendre les résultats de cette étude avant de s’atteler à la tâche la plus urgente qui consiste à mettre sur pieds sans délai une collaboration pratique visant à élargir le plus possible la standardisation du matériel d’armement et à promouvoir la production en commun de matériels déterminés. En d’autres mots, il semble important que de prévoir, pour le moment oles accords de Paris entreront en vigueur, la mise sur pieds d’un organisme chargé de rechercher des solutions aux problèmes d’armements qui se poseront en relation aux caractéristiques des économies des Pays de l’UEO et à la situation particulière du théâtre européen.

C’est là un terrain sur lequel notre groupe peut commencer immédiatement à construire, en s’inspirant à la fois des propositions britanniques et de certaines parties du projet français complétées et enrichies par les idées contenues dans le mémorandum de la Délégation allemande et exposées par les autres Délégations au cours des débats.

- -

C’est de cet organisme supérieur que les deux Comités spéciaux recevront leurs mandats et, en général, toutes instructions utiles. C’est naturellement à cet organisme que les deux Comités en question adresseront les rapports contenant leurs propositions et observations, soit séparément, soit en commun, suivant le cas.

En particulier le Comité d’Armement:

- - - - - - -

h) il examine, le cas échéant avec le concours d’un groupe d’experts, la question de la mise en commun ‒ totale ou partielle ‒ des études et des recherches techniques;

i) finalement il se penche sur tout problème particulier qui lui sera soumis par un Paysmembre et qui pourrait trouver sa solution au sein de l’UEO.

- - - - - - -

Il sera inutile de prolonger cette énumération. L’expérience se chargera de la corriger et de la compléter.

7. [sic] Principes et critères. Les critères généraux dont devrait s’inspirer le Comité d’Armement et, à l’échelon suivant, le Comité de la production semblent pouvoir être conçus comme suit:

a) en présence d’un problème concret relatif à la production, la première place devra naturellement être réservée au principe fondamental de l’économie de marché en régime de concurrence, à savoir le principe qui consiste à assurer la production ‒toutes autres conditions étant égales ‒ au plus bas prix.

Mais si ce principe devait jouer seul et dans toute sa rigueur au sein de notre organisation, il faudrait se demander s’il était bien utile de l’établir.

En réalité ce principe (qu’il faudra, bien entendu, ne jamais négliger) ne s’applique que partiellement à une production aussi spéciale que celle des armements, dont l’objectifs final n’est pas l’accroissement de la richesse d’un Pays ou de plusieurs, mais l’accroissement de la puissance militaire de leur groupement ‒ce qui suppose une politique de production pas nécessairement identique, mais autant que possible concertée.

En matière d’armement le principe du co de production à lui tout seul ne saurait être décisif;

b) le choix d’une région non exposée ou moins exposée, la nécessité de préférer une localité qui pourra vraisemblablement être en communication avec les territoires des autres Pays membres et continuer à les approvisionner même en cas de guerre; la nécessité de maintenir en vie un foyer de production même indent onéreux, mais capable d’augmenter rapidement son débit en cas de nécessité etc. etc. ‒ sont autant de raisons impérieuses dont il faudra tenir compte;

- - -

1 DGAP, Uff. V, UEO, b. 13, fasc. UEO. Pool Armamenti, fasc. 2, UEO - Pool armamenti, fasc. 2, febbraio - aprile 1955.

2 Sottoscrizione autografa. Il documento reca il timbro: «Visto dal Segretario Generale» con la sigla di Rossi Longhi.

3 Vedi D. 301.

4 Per la risposta vedi D. 310.

309

IL MINISTRO A LUSSEMBURGO, CAVALLETTI, AL MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI(1)

T. 3466/166. Lussemburgo, 12 marzo 1955, ore 14,50 (perv. ore 15,50).

Oggetto: Presidenza Alta Autorità.

Mio telegramma n. 1592. Tre Ministri Esteri Benelux in incontro di cui sopracitato si sono accordati su quanto segue:

1) Conferenza Ministri Esteri sei Paesi sarà convocata Lussemburgo solo dopo ratifica accordi UEO da parte del Senato francese;

2) per Presidenza Alta Autorità soluzione migliore per quanto non ideale (a causa diminuito prestigio Monnet) è rinnovo mandato Monnet stesso. Per permettere a Monnet di accettare sarebbe necessario che Governi mostrassero volontà proseguire integrazione europea in altri settori (trasporti, energia) con formula simile CECA. Benelux non ignora difficoltà che sia l’una cosa sia l’altra potrà incontrare presso alcuni Ministri attuale governo francese; cinonostante al momento opportuno Benelux effettuerà passi appropriati presso il predetto Governo. Nel frattempo Bech è stato autorizzato comunicare punto di vista Benelux a Monnet.

Ho risposto a Bech che avrei informato V.E. di quanto precede, potendogli fin d’ora dire che V.E. è d’accordo per rinvio riunione Ministri Esteri. Circa estensione competenze CECA o eventuali nuove autorità specializzate dovevo fargli presente che Governo italiano pur mantenendo integrazione europea come uno suoi principali obiettivi, aveva avuto fino ad ora serie perplessità per sistema integrazione per settori. Ritenevo quindi che conferenza Ministri Esteri necessitasse per questa ed altre ragioni approfondita preparazione(3).

1 Telegrammi ordinari 1955, Lussemburgo, arrivo e partenza.

2 T. 3283/159 del 9 marzo col quale Cavalletti aveva comunicato che Bech, Presidente di turno del Consiglio dei Ministri CECA, si sarebbe consultato con Spaak e Beyen in merito alla convocazione della conferenza dei Ministri degli Esteri per la nomina del Presidente dell’Alta Autorità (ibidem).

3 Per il seguito vedi D. 322.

310

IL DIRETTORE GENERALE DEGLI AFFARI POLITICI, MAGISTRATI, ALLA RAPPRESENTANZA PRESSO IL CONSIGLIO ATLANTICO(1)

T. 2353/61. Roma, 15 marzo 1955.

Suo 4132.

Progetto è stato esaminato accuratamente nel corso di una riunione interministeriale cui hanno partecipato le competenti Amministrazioni. Esso è apparso una utile ricerca di una linea mediana tra le varie proposte finora avanzate dagli altri Stati membri UEO ed indubbiamente rappresenta una forma concreta di svolgere quell’azione di mediazione cui dobbiamo tendere perché Conferenza prosegua in ogni caso suoi lavori e possibilmente pervenga a qualche positivo accordo.

Peraltro è sembrato che il progetto stesso contenga questioni un po’ troppo dettagliate e che potrebbe forse suscitare qualche perplessità presso le altre Delegazioni; e che, d’altronde, esso ci faccia prendere fin d’ora posizione apertamente in contrasto alla nostra originaria impostazione, il che è parso prematuro.

Sembra preferibile quindi che siano francesi a manifestare prima pichiaramente loro attuali intenzioni. Successivamente potrebbe essere esaminata opportunità avanzare nostro documento di lavoro. Segue telespresso(3).

1 DGAP, Uff. V, UEO, b. 13, fasc. UEO. Pool Armamenti, fasc. 2, UEO - Pool armamenti, fasc. 2, febbraio - aprile 1955.

2 Vedi D. 308.

3 Vedi D. 314. Per la risposta vedi D. 313.

311

IL DIRETTORE GENERALE AGGIUNTO DEGLI AFFARI POLITICI STRANEO(1)

Appunto. Roma, 15 marzo 1955.

In un colloquio avuto con me, l’Incaricato d’Affari di Olanda ha tenuto a chiarirmi quale era il pensiero del suo Governo in materia di integrazione europea.

Quando l’anno scorso si supponeva che fosse possibile di costituire un’Autorità politica europea, l’Olanda aveva espresso l’opinione che l’integrazione politica dovesse essere seguita da una integrazione economica, con un mercato comune.

Oggi il problema si presentava in modo diverso.

L’Olanda si orienta attualmente verso una intensificazione della sua azione in sede NATO e farà altresì ogni sforzo per estendere la cooperazione internazionale nell’OECE e nella CECA. Darà anche naturalmente la sua adesione piena ad una politica dell’UEO, sempre perconcepita come un’organizzazione alla quale partecipi pienamente anche l’Inghilterra. La partecipazione inglese rende impossibili e indesiderabili soluzioni a carattere sopra-nazionale.

In altre parole, l’Olanda, pur mantenendo fede all’ideale federalistico, preferisce, per motivi contingenti, di aggiornare per ora qualsiasi azione che tenda verso una integrazione esclusivamente europea (continentale), e non intende rinunciare oggi ad alcuna sia pur minima porzione della sua sovranità nazionale.

1 DGAP, Uff. I, Serie Affari Politici, 1951-1957, b. 409, fasc. Unione Europea Occidentale, 1955.

312

L’AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI, AL MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI(1)

Telespr. riservato 443/259. [Parigi], 15 marzo 1955.

Oggetto: successione di Monnet alla CECA.

Secondo le ultime notizie apprese al Quai d’Orsay, vi sarebbe attualmente molta esitazione negli ambienti governativi circa la successione di Monnet. Evidentemente, la caduta di Mendès-France ha scosso, nelle sue intenzioni di andarsene, Monnet che, permanendo Mendès, già si accingeva «a prendere il bastone di pellegrino ed a girare l’Europa» per le sue idee di acceso europeismo sovranazionale. D’altra parte, i Francesi sono arrivati alla conclusione che Ramadier entrerebbe facilmente nell’Alta Autorità, ma non ne otterrebbe la presidenza. Spaak ha parlato della cosa, sabato scorso [il 12], a Bruxelles con i colleghi del Benelux ed è venuto ieri a Parigi dove, nella serata, doveva incontrarsi con Pinay. Nell’insieme, il Governo francese preferirebbe che Ramadier rinunciasse da sé alla candidatura, ma il Partito Socialista, cui Ramadier appartiene, è importante e non puessere attualmente irritato. Lo stesso Faure, attuale Presidente del Consiglio, faceva parte del Governo precedente ed influì per la candidatura Ramadier. Spaak avrebbe detto che il Benelux sarebbe disposto ad accettare una presidenza francese della CECA, purché i candidati fossero Pleven, René Mayer o Robert Schuman. Ma questi tre hanno nuovamente rifiutato. Sinora, come avevo segnalato, non sembrava esserci un gran desiderio francese di mantenere la presidenza e questa è probabilmente sempre l’idea degli ambienti industriali e padronali della siderurgia francese. Ma al Quay d’Orsay, ancora ieri, si dichiarava che il Governo ci tiene a che un Francese continui a dirigere la Comunità Carbone-Acciaio. Al Quai d’Orsay, contrariamente ad impressioni raccolte in precedenza, si punotare qualche ripresa di simpatia per Monnet che viene considerato un buon francese «nonostante il suo europeismo». Tutto questo sembra incitare la stessa Amministrazione diplomatica ad aiutare le possibilità di Monnet. Aggiungo, molto confidenzialmente, che in alcuni settori di questo Ministero Esteri si pensa anche ‒qualora sia necessario uscire da questa difficile situazione con un nome nuovo – a qualche funzionario e magari ad Alphand il quale non è affatto desideroso di raggiungere la sua nuova sede di Tokio per quanto, particolare umoristico, la di lui suocera si sia già imbarcata per il Giappone, dato che Alphand – ignaro di nuove possibilità – doveva seguire in aereo.

Ambasciata a Parigi, 1951-1960, b. 58, pos. 12/12.

313

IL CAPO DELLA RAPPRESENTANZA PRESSO IL CONSIGLIO ATLANTICO, ALESSANDRINI, AL MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI(1)

T. 3689/125. Parigi, 16 marzo 1955, ore 19,55 (perv. il 17).

Oggetto: Pool Armamenti.

Suo 612.

In odierna seduta Gruppo Lavoro armamenti Parodi ha dichiarato apertamente che, tenuto conto osservazioni presentate da altre delegazioni, francesi sono pronti ricercare soluzione compromesso prendendo per base punti comuni a progetto britannico ed alla parte del loro primitivo memorandum relativa regime provvisorio. Ciperaltro senza pregiudizio per l’avvenire; eventuali futuri aggiustamenti e sviluppi dovrebbero poter essere esaminati su base esperienza. Rappresentante francese ha riaffermato utilità esistenza organo UEO specializzato in questioni armamento, distinto da NATO ma operante in stretta collaborazione con organi atlantici.

Da parte mia mi sono limitato ad auspicare che vengano approfonditi punti di accordo onde giungere a risultati costruttivi e concreti. Mio intervento ha comunque facilitato la delicata ritirata francese e Parodi me ne ha calorosamente ringraziato.

Delegazione tedesca, capeggiata oggi da Von Maltzan, si è subito mostrata disposta imboccare nuova via indicata dai francesi (che lascia cadere le proposte che suscitavano in Germania preoccupazione e diffidenza).

Inglesi e olandesi hanno insistito su loro idea procedere in modo cauto e pragmatistico.

È stata infine decisa costituzione di un comitato *degli Aggiunti*3 incaricato studiare possibili forme organizzazione. Termini mandato non sono stati ufficialmente precisati ma orientamenti discussione odierna fanno prevedere che sostanzialmente si tratterà di elaborare progetto britannico e integrarlo con alcuni punti di carattere istituzionale contenuti in capitolo quinto piano francese, accantonando periodo definitivo. Prima riunione di tale comitato avrà luogo giovedì 24.

È stato approvato rapporto comitato esperti e programma suo ulteriore lavoro(4).

1 DGAP, Uff. V, UEO, b. 13, fasc. UEO. Pool Armamenti, fasc. 2, UEO - Pool armamenti, fasc. 2, febbraio - aprile 1955.

2 Vedi D. 310.

3 Tra asterischi, aggiunte manoscritte.

4 Per il seguito vedi DD. 315 e 316.

314

IL VICE DIRETTORE GENERALE DEGLI AFFARI POLITICI, GRILLO, ALLA RAPPRESENTANZA PRESSO IL CONSIGLIO ATLANTICO(1)

Telespr. 21/0499. Roma, 17 marzo 1955.

Oggetto: UEO - Gruppo lavoro standardizzazione e produzione armamenti.

Riferimento: a telespr. n. 1105/413 dell’11 corr.2.

A complemento del telegramma 613, si rimette qui unita copia di una nota confidenziale presentata dal Ministero dell’Industria e Commercio nel corso della riunione interministeriale del 15 corrente tenutasi per esaminare il documento allegato al suindicato telespresso.

Alle osservazioni di cui a detta nota si è associato il rappresentante della Confindustria mentre il Ministero della Difesa ha sostenuto essere superflua la presentazione di un documento tendente a costituire un organismo che rappresenterebbe, a suo avviso, un doppione di quanto già esiste nell’ambito della NATO.

Comunque, a prescindere dalle predette osservazioni tecniche, che del resto sono state ribattute sempre che la materia non esulasse totalmente dalla competenza di questo Ministero, e malgrado che fosse stato perfettamente compreso ed apprezzato lo spirito col quale sarebbe stata eventualmente avanzata la conciliativa proposta italiana, è prevalso il concetto di lasciare innanzi tutto ai francesi, che avevano richiesto la riunione del Gruppo di lavoro, il compito di illustrare le ragioni di una simile convocazione.

Allegato

MINISTERO DELL’INDUSTRIA E DEL COMMERCIO

Nota.

Mentre si condivide la impostazione della nota introduttiva a firma Alessandrini, si affacciano alcune riserve sulla bozza del documento italiano, in quanto non sembra del tutto armonizzato con l’impostazione di cui sopra.

In particolare si osserva:

-L’ultimo intervento ‒nel tempo ‒del rappresentante italiano nella Conferenza, è costituito da una dichiarazione di adesione di massima al nostro [sic] progetto inglese, salvo conferma del proprio Governo. Sembrerebbe pertanto superata la necessità di ritornare ‒a titolo introduttivo di una tesi che conferma tale adesione ‒sul tema dei principi istituzionali che informano il progetto francese.

- -

-Non sembrerebbe opportuno che proprio l’Italia ‒data la sua specifica situazione ‒prenda l’iniziativa di riaffermare il principio della libertà di mercato ‒basata sul fattore prezzo ‒quando subito dopo, si è costretti a dover virtualmente svuotare tale principio con una serie di eccezioni a salvaguardia dei nostri interessi.

1 DGAP, Uff. V, UEO, b. 13, fasc. UEO. Pool Armamenti, fasc. 2, UEO - Pool armamenti, fasc. 2, febbraio - aprile 1955.

2 Vedi D. 308.

3 Vedi D. 310.

315

IL CAPO REPARTO UEO, FALCHI, AL DIRETTORE GENERALE DEGLI AFFARI POLITICI, MAGISTRATI(1)

Appunto. Roma, 17 marzo 1955.

È venuto a trovarmi il signor De la Gorce, primo Segretario dell’Ambasciata di Francia, perché il Ministro Consigliere Wapler voleva conoscere qualcosa di pidelle ragioni della sua telefonata in merito all’attuale pensiero francese circa il cosiddetto «pool» degli armamenti.

Gli ho genericamente illustrato (senza, come ovvio, far menomamente cenno del nostro progetto rientrato) le buone intenzioni italiane di cercare di fare avvicinare, per quanto possibile, il progetto francese da una parte e quelli inglese e tedesco dall’altra allo scopo di uscire dalla presente «impasse».

L’Ambasciata di Francia non ha seguito la questione del «pool», tanto che non possedeva pinemmeno un esemplare del progetto francese … In ogni modo ha telegrafato al Quai d’Orsay e presto darà risposta.

***

Ho poi avuto una conversazione telefonica con Bombassei che mi ha illustrato il telegramma che sta per giungere2, precisando che i francesi hanno fatto macchina indietro per potere almeno giungere alla costituzione, nell’ambito dell’UEO, di un organismo autonomo per la standardizzazione e la produzione degli armamenti, anche se esso non avrà pinulla a che fare con un «pool».

Il punto piimportante da decidere e sul quale attendono a Parigi di conoscere il nostro avviso è quello di sapere se si ammetta o meno che nell’ambito di detto organismo si possano stipulare degli accordi particolari, limitati cioè a pochi paesi. Infatti se in proposito si risponde negativamente, cade ogni possibilità di fare qualsiasi cosa di positivo.

Bombassei ha aggiunto che una delle obbiezioni del Ministero della Difesa (se si permettono gli accordi particolari rischiamo a volte di restarne fuori) non sembra che regga se si considera che – esista o meno il costituendo organismo – nessuno puimpedire ad altri paesi di fare degli accordi del genere.

L’altra obbiezione del predetto Dicastero (che non vale la pena creare un organismo con poteri così limitati perché non sarebbe che un doppione di quello già esistente nella NATO) sembrerebbe non reggere alle seguenti considerazioni: a) i sette paesi dell’UEO tutti fortemente industrializzati, hanno una costituzione economica simile e rappresentano un blocco piomogeneo di quello dei quindici paesi della NATO; b) le forze europee possono necessitare particolari armamenti piadatti nel nostro continente che altrove; c) in vista della diminuzione e poi probabilmente della fine degli aiuti americani (che rappresentano un mezzo per raggiungere praticamente in qualche caso la standardizzazione) non è male che l’Europa si prepari fin d’ora a possedere le sue armi standardizzate.

***

Cipremesso, mi permetto di far presente quanto segue:

- -

-che pertanto sembrerebbe forse opportuno avere al pipresto una conversazione in argomento col Ministro Taviani ed anche con il Ministro Villabruna;

- che successivamente si indica una riunione interministeriale, prima del viaggio in America, onde fornire istruzioni alla nostra Delegazione per i lavori di un cosiddetto Comitato di Aggiunti per l’appunto creato ieri allo scopo di cercare di conciliare il progetto britannico con il punto V (regime provvisorio) del progetto francese.

Si suggerisce la data di lunedì 21 p.v.3.

1 DGAP, Uff. V, UEO, b. 13, fasc. UEO. Pool Armamenti, fasc. 2, UEO - Pool armamenti, fasc. 2, febbraio - aprile 1955.

2 Telegramma del 16 marzo pervenuto il 17: vedi D. 313.

3 Non è stata rinvenuta documentazione sulla progettata riunione interministeriale. Per il seguito vedi D. 316.

316

IL CAPO DELLA RAPPRESENTANZA PRESSO IL CONSIGLIO ATLANTICO, ALESSANDRINI, AL MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI(1)

Telespr. urgente 0142. Parigi, 18 marzo 1955.

Oggetto: UEO - Gruppo Lavoro standardizzazione e produzione armamenti.

Riferimento: Mio telegramma n. 125 in data 16 marzo corrente(3).

Dopo che francesi hanno rinunciato alle loro proposte relative al periodo definitivo ‒dimostratesi irrealizzabili in attuali circostanze ‒unica possibilità rimasta perché Gruppo Lavoro raggiunga qualche risultato concreto appare quella di costituire, in stretto contatto col NATO ed evitando duplicazioni, una specie di «tavola rotonda» intorno a cui possano essere esaminate e discusse questioni di armamento che presentino speciale interesse per Paesi UEO e rispondano a specifiche esigenze del loro raggruppamento.

Studi ora condotti da Comitato Esperti sono destinati precisare, prima di tutto, sfera di attività del nuovo organismo. Si puprevedere che in tale sfera siano compresi problemi relativi ad approvvigionamento Germania (stessi tedeschi sembrano ammetterlo) e quelli che potrebbero sorgere da prevedibile diminuzione aiuti americani e non sarebbero suscettibili essere risolti isolatamente da singoli Paesi.

Venendo a sparire poteri Agenzia e votazioni maggioritarie, resterebbe soltanto cornice istituzionale molto flessibile e semplice entro la quale dovrebbero poter esser raggiunti accordi su programmi particolari di standardizzazione, di produzione in comune e di collaborazione nel campo delle ricerche per materiali determinati. Essendo evidente che settori in cui potranno essere raggiunte intese unanimi saranno limitatissimi, funzione principale nuovo organo sarebbe quella facilitare ed armonizzare accordi fra un limitato numero di Paesi.

È questo uno dei pochi punti cui tutte le altre Delegazioni sono favorevoli (anche perché tale genere di accordi non rappresenta vera innovazione dato che potrebbe già aver luogo anche allo stato attuale delle cose); da parte mia peraltro non ho preso posizione al riguardo dopo dichiarazioni preliminari, prescrittemi da V.E., di appoggio di massima al piano francese.

Potrebbe essere previsto che, dopo un primo periodo di esperienza, i Governi si concertino per eventuali aggiustamenti.

Come si vede, si tratterebbe in complesso di una organizzazione assai modesta e sostanzialmente del tipo possibilista indicato dagli inglesi. Tuttavia, essa potrebbe presentare qualche utilità come punto di convergenza per trattazione particolari problemi e costituire forse base di partenza per ulteriori sviluppi.

Dal punto di vista dei nostri interessi nazionali, essa non sembrerebbe contrastare con nostre note esigenze pur non facendo intravedere per ora speciali vantaggi al riguardo.

Sembra pertanto che trattativa debba essere, in questa fase, vista prevalentemente sotto profilo opportunità politica.

Dato che, come ho riferito con precedente telegramma sopracitato, questione organizzazione verrà discussa ‒beninteso ad referendum ‒da apposito Comitato incaricato preparare un progetto per il Gruppo di Lavoro, prego farmi pervenire tempestive istruzioni circa nostra linea condotta(4).

1 DGAP, Uff. V, UEO, b. 13, fasc. UEO. Pool Armamenti, fasc. 2, UEO - Pool armamenti, fasc. 2, febbraio - aprile 1955.

2 Sottoscrizione autografa.

3 Vedi D. 313.

4 Vedi D. 321.

317

L’AMBASCIATA A LONDRA AL MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI(1)

[Telespr.]2. Londra, 24 marzo 1955.

All’inizio della seduta, il Rappresentante belga ha chiesto di fare una dichiarazione di principio intesa a precisare che tutti i lavori della Commissione ad interim devono intendersi a solo scopo documentativo. Egli ha detto che il Ministro Spaak, pur apprezzando il lavoro preparatorio qui svolto in attesa dell’entrata in vigore degli Accordi di Parigi, non desidera che attraverso deliberazioni della Commissione stessa sia pregiudicata alcuna questione intendendo che, alla loro prima riunione, i sette Ministri degli Esteri possano adottare le decisioni ritenute piopportune, anche se in contrasto con le direttive seguite dalla Commissione ad interim e con i testi da questa predisposti. Il rappresentante belga ha aggiunto che, secondo il suo Ministro, vi sono questioni di principio e di natura essenzialmente politica che dovranno essere riesaminate prima che una definitiva formulazione potrà essere adottata.

Per parte mia ho osservato che, pur rimanendo inteso che il lavoro della Commissione ad interim debba intendersi soltanto «ad referendum», mi sembrava opportuno che il Rappresentante belga sollecitasse un chiarimento dal suo Governo in proposito onde permettere alla Commissione di continuare i suoi lavori, almeno per quanto concerne le questioni organizzative e di natura tecnica ed amministrativa. Alle mie osservazioni si è unito anche il Rappresentante britannico, il quale ha sottolineato l’urgenza di approvare la Convenzione per lo Statuto dell’UEO al fine di evitare che colla ratifica dell’UEO e conseguente cessazione delle convenzioni relative all’Organizzazione di Bruxelles, si determini un «vacuum».

A quanto mi risulterebbe, le istruzioni di Spaak deriverebbero dal suo desiderio di mantenere la piampia libertà di manovra in seno alla prima riunione del Consiglio dei Ministri dell’UEO, per poter eventualmente risollevare proposte di carattere pieuropeistico. Sarei grato farmi conoscere quanto in proposito possa risultare alla nostra Ambasciata a Bruxelles. Aggiungo per parte mia che questo atteggiamento di Spaak ha già sollevato le inevitabili critiche da parte inglese, francese e olandese.

Dai contatti confidenziali avutisi a margine della riunione odierna, si è appreso che – appena gli accordi di Parigi saranno approvati dal Consiglio della Repubblica francese – sarà annunciato l’accordo già raggiunto tra Francia e Germania per la nomina del Commissario per la Sarre nella persona di un inglese. Cidovrebbe sgombrare il terreno per la scelta di uno dei candidati italiani al posto del Direttore dell’Agenzia degli Armamenti. Per la carica di Segretario Generale dell’UEO vi è invece già – come è noto – un generale orientamento favorevole alla nomina di un belga(3).

1 DGAP, Uff. V, UEO, b. 11, fasc. UEO. Unione Europea Occidentale - parte generale, fasc. 2, 1° marzo-30 luglio 1955.

2 Originale non rinvenuto. Si pubblica il testo ritrasmesso con telespresso n. 21/0600 del 4 aprile 1955 dall’Ufficio Cooperazione Internazionale della Direzione Generale degli Affari Politici all’Ambasciata a Bruxelles e, per conoscenza, alle Ambasciate a Bonn, Parigi e L’Aja, alla Rappresentanza presso il Consiglio Atlantico a Parigi, alla Legazione a Lussemburgo e all’ Ufficio I della Direzione Generale Affari Politici.

3 Per il seguito vedi DPII, Serie A, Il «rilancio dell’Europa» cit., D. 20.

318

L’INCARICATO D’AFFARI A BONN, PINNA CABONI, AL MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI(1)

Telespr. urgente 02. Bonn, 25 marzo 1955.

Oggetto: Firma delle leggi di ratifica degli Accordi di Parigi.

Governo Federale ha registrato con evidente soddisfazione firma legge ratifica trattati di Parigi da parte Presidente Heuss. Alla Cancelleria Federale si manifesta compiaciuta sorpresa poiché si era convinti, e questa era oltre che l’impressione generale anche la tesi ufficiale di questi ultimi giorni, che il Presidente avrebbe atteso esito votazioni Consiglio Repubblica francese, nonché responso Alta Corte Costituzionale su ricevibilità noto ricorso del partito d’opposizione.

Firma, apposta iersera, viene ora interpretata anche nel senso che ratifica francese est ormai sicura, et valorizzata come gesto che pone in evidenza autonomia giudizio del Presidente et sua trasparente disapprovazione del tentativo socialdemocratico trasferire ad un organo giurisdizionale decisione carattere politico.

Circa responso Alta Corte ambienti governativi sono assolutamente ottimisti; esso, comunque, per poter influire su validità internazionale ratifica tedesca, dovrebbe non solo accogliere in pieno tesi incostituzionalità accordi ma essere emesso prima deposito ratifiche. Su quest’ultimo punto mancano qui ancora indicazioni precise; si auspica perche la data, da concordare con altri Paesi firmatari, venga fissata ad epoca prossima. Si prevede che i diversi strumenti verranno depositati in capitali differenti: a Bonn quello abrogazione statuto occupazione e stazionamento forze alleate territorio federale; a Bruxelles quello relativo adesione Repubblica Federale UEO et a Washington quello accessione alla NATO. Circa quello sulla Saar si accenna stasera da parte di un portavoce governativo alla possibilità che esso non necessiti deposito e che sia sufficiente scambio lettere. Negli ambienti questa Alta Commissione francese si teme che questa sia pur vaga indicazione ufficiosa, possa influire sfavorevolmente su dibattiti in corso Parigi.

Raggiunta la piena sovranità della Repubblica Federale e sancito il suo ingresso nel consesso delle Nazioni libere alle quali è oltretutto legata dalle nuove alleanze, Adenauer è ora debitore verso l’opinione pubblica di ogni sforzo in favore della riunificazione del Paese. Lo si riconosce esplicitamente alla Cancelleria Federale dove mi è stato detto che argomento potrebbe eventualmente venir riproposto da parte tedesca direttamente aut indirettamente al primo incontro Ministro UEO aut NATO.

Si è ammesso inoltre, sia pure con una certa reticenza, che ormai con le ratifiche sono date le condizioni per mettere eventualmente in funzione la nota commissione quadripartita di studio per la riunificazione, a suo tempo proposta dai tedeschi e sulla quale anche da parte americana ci si era riservati di tornare a ratifiche avvenute (rapporto di questa Ambasciata n. 1960/379 del 24 febbraio u.s.).

1 DGAP, Uff. V, UEO, b. 11, fasc. UEO. Unione Europea Occidentale - parte generale, fasc. 2, 1° marzo-30 luglio 1955.

319

L’INCARICATO D’AFFARI A BONN, PINNA CABONI, AL MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI(1)

T. 4297/62. Bad Godesberg, 28 marzo 1955, ore 20 (perv. ore 7,40 del 29).

Oggetto: Ratifica accordi Parigi.

Riassumo prime reazioni tedesche a ratifica Consiglio Repubblica francese.

Secondo ambienti Governativi si è superato in Europa periodo di incertezza ed ha ora inizio quello realizzazione opera comune. Cancelliere ha dichiarato che ratifica costituisce passo importante per pace europea e serve causa riavvicinamento franco-tedesco. Servizio stampa suo partito vede nella ratifica la «giustificazione della politica di Adenauer» e aggiunge «ormai riunificazione Germania è un punto comune della politica di tutti Stati riuniti in UEO e in NATO».

Questo concetto è stato sottolineato anche da Presidente gruppo parlamentare democristiano secondo il quale tutti i popoli liberi delle comunità europea e atlantica si sono impegnati a realizzare con la Germania la sua riunificazione in pace e in libertà.

Reazioni del Partito di opposizione sono state molto misurate.

Ollenhauer limitatosi affermare che politica socialdemocratica rimane immutata, ricordando in particolare sua tesi che riunificazione è resa pidifficile da nuovi accordi. Vice Capo partito e Vice presidente Bundestag Schmid ha fatto peraltro professione realismo politico e affermato che, data nuova situazione, partito non saboterà leggi militari a condizione naturalmente che queste siano costituzionalmente emanate. Questa dichiarazione conciliante, forse indicativa futuro atteggiamento opposizione, sembra non abbia incontrato disapprovazione partito che finora non ha creduto rettificare.

1 DGAP, Uff. V, UEO, b. 11, fasc. UEO. Unione Europea Occidentale - parte generale, fasc. 2, 1° marzo-30 luglio 1955.

320

LA DIREZIONE GENERALE DEGLI AFFARI POLITICI(1)

Appunto riservato. [Roma, ... 1955].

Appunto relativo alle conversazioni avvenute al Dipartimento di Stato di Washington, nelle giornate del 28 e 29 marzo 1955 tra il Presidente del Consiglio on. Scelba, ed il Ministro degli Affari Esteri on. Martino e il Segretario di Stato, Foster Dulles(2).

Dopo un saluto di benvenuto agli ospiti italiani il Segretario di Stato ha posto in rilievo l’importanza ed il significato dei colloqui con i rappresentanti del Governo di Roma, dopo la soluzione del problema triestino e dopo la ratifica degli Accordi di Parigi, ratifica italiana che indubbiamente ha avuto la sua influenza sull’atteggiamento della Francia. Attualmente appare pifacile trattare dei problemi internazionali con una Italia che senza dubbio costituirà un elemento sempre piimportante e che in avvenire potrà sempre piavvantaggiarsi della sua nuova situazione.

Il Presidente Scelba, nel ricordare l’incontro di Villa Carminati3, all’indomani della Conferenza di Ginevra, e nel dichiararsi lietissimo di essere giunto a Washington, ha posto in rilievo come gli avvenimenti vadano sviluppandosi in modo favorevole per la solidarietà atlantica. Circa la soluzione di Trieste occorre ricordare l’azione svolta, per il suo raggiungimento, dal Governo americano e particolarmente dall’Ambasciatrice Luce alla quale devono andare i pivivi ringraziamenti.

Si è poi passati all’esame dell’ordine del giorno predisposto per le conversazioni e si è iniziato un primo scambio di idee in merito sopratutto alla situazione che si va creando in Europa dopo la ratifica degli Accordi di Parigi.

Il Presidente Scelba, nel cominciare a trattare dei mezzi migliori per rafforzare le posizioni occidentali in merito alle eventuali trattative con l’Est e circa la necessità di prendere qualche utile iniziativa sul terreno psicologico, ha indicato come in Italia, e specialmente nel campo parlamentare e della stampa, ci si attenda qualche utile passo in avanti inteso ad indicare una volontà di distensione con particolare riguardo al problema del ristabilimento dell’equilibrio.

Il Ministro Martino, a sua volta, nel riferire le ultime informazioni pervenute a Roma circa la situazione tedesca e circa il desiderio e l’intenzione del Cancelliere Adenauer di vedere il problema stesso trattato non isolatamente ma in un complesso di situazioni internazionali (e ciallo scopo di vedere evitate specifiche garanzie e specifici controlli a favore della Russia e a danno della Germania), ha indicato come una via per raggiungere la destinazione sarebbe la trattativa diretta ad ottenere, attraverso un controllo, un’effettiva limitazione generale degli armamenti.

Il Segretario di Stato, a tale proposito, ha dato lettura di alcune parti della dichiarazione destinata ad essere presentata dalla Commissione degli Esteri al Congresso in merito alla ratifica degli Accordi di Parigi. Ha poi indicato l’importanza ed il significato dalla prossima riunione atlantica prevista, con la presenza della Germania, per il prossimo mese di maggio e, pur facendo presente come esistano particolari responsabilità da parte delle Potenze occupanti della Germania, con conseguente necessità di taluni diretti contatti tra loro, ha posto in rilievo l’importanza delle discussioni del Consiglio della NATO e, circa la questione degli armamenti, ha menzionato le conversazioni in seno al Comitato ONU di Londra.

Il Presidente Scelba, pur riconoscendo come esistano questioni specifiche destinate ad essere trattate dalle maggiori Potenze con conseguente opportunità di diretti contatti tra loro, ha indicato come nei problemi di carattere generale e che costituiscono un generale interesse per tutti, sia opportuno conoscere l’avviso di tutti. Nei riguardi dei rapporti con l’Est sarebbero addirittura pericolose le iniziative individuali perché l’Unione Sovietica potrebbe inserirsi tra gli alleati praticamente dividendoli con risultati dannosi per tutti.

Il Segretario di Stato ha riconosciuto l’importanza della questione e ha fatto presente come debbano essere considerati passati i tempi nei quali i pochi potevano parlare a nome dei molti. Naturalmente, specie per l’Austria e per la Germania, esiste una responsabilità specifica dei due Paesi interessati e dei tre Paesi occupanti: situazione che non impedisce perche non siano considerati, gli interessi degli altri. Nel NATO è sempre esistita la buona regola della consultazione generale.

In un diretto e personale incontro tra il Ministro Martino e il Segretario di Stato Foster Dulles avvenuto nel pomeriggio del giorno 29 marzo, il Rappresentante Italiano è ritornato sull’argomento chiedendo al suo interlocutore qualche notizia in merito alle voci circolanti nella stampa e per le quali esisterebbero già precisi contatti tra Stati Uniti, Regno Unito e Francia per la preparazione della Conferenza a Quattro con l’Unione Sovietica.

Il Segretario di Stato ha indicato come in realtà si tratti soltanto di qualche scambio di idee occasionato dalla recente presentazione di un memorandum francese nel quale si fa cenno alla necessità di un incontro con l’Est. Ma per ora nulla di pie gli Stati Uniti attendono di conoscere innanzi tutto quali siano effettivamente le idee sovietiche specialmente nei confronti dell’Austria. Forse il viaggio a Mosca del Cancelliere Raab potrà, allo scopo, fornire elementi di giudizio ma fino a quel momento il Governo di Washington manterrà il suo piassoluto riserbo e non potrà definire il suo atteggiamento e la sua posizione.

1 DGAP, Segreteria, 1951-1958, b. 22, fasc. Rapporti importanti, 1955.

2 Appunto privo di data. La visita del Presidente del Consiglio e del Ministro degli Affari Esteri in Canada e negli Stati Uniti si svolse dal 25 al 30 marzo; tra il 28 e il 29 marzo, Scelba e Martino ebbero colloqui con Eisenhower, Dulles ed altri rappresentanti del Governo statunitense (verbali e appunti: DGAP, Segreteria, 1951-1958, b. 22, fasc. Rapporti importanti, 1955. Vedi anche FRUS, 1955-1957, Western Europe and Canada, vol. XXVII, DD. 71-75). Si pubblica in questa sede soltanto l’Appunto relativo alle conversazioni con Dulles su temi di politica estera legati alla ratifica degli Accordi di Parigi.

3 Del 3 maggio 1954: vedi DPII, Serie A, Il fallimento della CED e della CPE cit., D. 187.

321

IL DIRETTORE GENERALE AGGIUNTO DEGLI AFFARI POLITICI, STRANEO, ALLA RAPPRESENTANZA PRESSO IL CONSIGLIO ATLANTICO(1)

T. 2950/70. Roma, 30 marzo 1955, ore 22.

Oggetto: Pool armamenti.

Riunione interministeriale ha esaminato questioni di cui ai suoi 0142 e 5243.

In linea di massima non avremmo nulla in contrario, tenendo presenti nostre tendenze integrative, ove si costituisse un Comitato avente una abbastanza solida attrezzatura ma saremmo propensi ad attendere che francesi precisino loro tesi.

Per il Segretariato preferiremmo soluzione intermedia pel momento onde avere possibilità di renderci prima meglio conto della natura e dei compiti del costituendo Comitato.

Vediamo infine favorevolmente specifiche questioni di un eventuale esame in comune degli approvvigionamenti delle forze tedesche e di un inserimento delle forniture di materiali d’armamento nella pivasta cornice dell’intercambio commerciale fra i vari Paesi UEO.

1 DGAP, Uff. V, UEO, b. 13, fasc. UEO. Pool Armamenti, fasc. 2, UEO - Pool armamenti, fasc. 2, febbraio - aprile 1955.

2 Vedi D. 316.

3 Telespr. 1395/524 del 25 marzo relativo alla prima seduta del Comitato di organizzazione, creato dal Gruppo di Lavoro il 16 marzo e formato dai sostituti dei Capi Delegazione. Secondo le intese raggiunte, il Comitato ‒riferiva Guastone Belcredi ‒«dovrà lavorare con la massima libertà di espressione per individuare e possibilmente allargare la zona di accordo fino ad oggi delineatasi, cercando di avvicinare i punti di vista ancora divergenti, onde indicare la traccia di una organizzazione che potrebbe essere suscettibile, nelle attuali circostanze, di raccogliere l’adesione generale. Pertanto i risultati cui sigiungerà non saranno impegnativi né per le Delegazioni, né, tanto meno, per i Governi. È sembrato che soltanto con questo metodo si sarebbe potuto apportare un contributo costruttivo all’attività del Gruppo di Lavoro. I Capi Delegazione avranno quindi la piampia facoltà di approvare o meno i suggerimenti che saranno formulati dal Comitato nel suo rapporto finale e di apportarvi qualunque modifica, soppressione o aggiunta che possa essere ritenuta possibile, prima di sottoporre il progetto ai rispettivi Governi. Questa impostazione ha effettivamente permesso al Comitato di iniziare la propria attività in una atmosfera di chiarezza, di reciproca comprensione e di buona volontà». Circa la forma di tale organizzazione è stato ritenuto che «dovrebbe avere carattere permanente e, in una prima fase, dovrebbe essere concepita in modo semplice ed elastico, pur essendo fondata su una struttura che, sulla base dell’esperienza, possa permetterne il successivo sviluppo». Sulla natura del Segretariato Internazionale si era invece «accesa una discussione vivace e si sono manifestate le piserie divergenze di opinioni, riflettenti, d’altronde, i contrastanti atteggiamenti di fondo delle varie Delegazioni. Infatti, mentre gli inglesi, gli olandesi e ‒per quanto in minore misura ‒i tedeschi hanno insistito per la costituzione di un Segretariato essenzialmente amministrativo, anche se fornito di un limitato numero di esperti, i francesi hanno sostenuto la necessità che tale Segretariato rappresenti un nucleo centrale ed un elemento di propulsione. Secondo la loro concezione pertanto esso dovrebbe, pur disponendo di un personale relativamente ristretto, essere in grado, indipendentemente dalle sue funzioni amministrative, di preparare i lavori e di elaborare, sulla base delle deliberazioni adottate in Comitato, le raccomandazioni da essere presentate al Consiglio dei Ministri dell’UEO. In altre parole, pur rimanendo l’orientamento generale sotto la diretta responsabilità dei rappresentanti nazionali, il Segretariato dovrebbe avere sufficiente autorità ed attrezzatura tecnica per rappresentare il centro motore dell’organizzazione. In quest’ordine di idee, il Capo del Segretariato medesimo dovrebbe essere una personalità di rilievo ed avere l’incarico di presiedere le riunioni dei Comitati» (DGAP, Uff. V, UEO, b. 13, fasc. UEO. Pool Armamenti, fasc. 2, UEO - Pool armamenti, fasc. 2, febbraio - aprile 1955).

322

IL MINISTRO A LUSSEMBURGO, CAVALLETTI, AL MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI(1)

T. 4460/194. Lussemburgo, 31 marzo 1955, ore 20 (perv. ore 21).

Oggetto: Presidenza Alta Autorità.

Mio telegramma n. 1662.

Monnet ha detto oggi a Pella che momento è favorevole per ripresa europeista e che, a suo avviso, sarebbe possibile ottenere da Governi comunità in prossima riunione Ministri Esteri impegno proseguire integrazione di tipo sopra-nazionale in settori trasporti e energia. In tal caso, Monnet ha aggiunto, cadrebbero riserve da lui formulate ed egli sarebbe disposto restare Presidenza Alta Autorità.

Quanto a me non ho dubbi che Monnet oramai, solo che cisia decentemente spiegabile, desideri restare al suo posto, ho invece seri dubbi su asserita possibilità ottenere impegno Governi nel senso indicato da Monnet. Mi risulta fra l’altro che integrazione del settore energia non sarebbe molto ben visto da americani.

Personalmente ritengo che massimo che si potrebbe forse ottenere in riunione Ministri Esteri è dichiarazione non impegnativa buone intenzioni 6 Governi nei confronti nota iniziativa Assemblea comune per studiare sviluppi integrazione nel campo energia e trasporti. Non credo sbagliarmi affermando che dichiarazione del genere anche se piuttosto pletorica, potrebbe essere sufficiente per dar modo a Monnet ritirare sue dimissioni.

Mi sono espresso in tal senso con Presidente Pella, il quale consulterà Spaak a Brusselle circa sua eventuale iniziativa(3).

1 Telegrammi ordinari 1955, Lussemburgo, arrivo e partenza.

2 Vedi D. 309. Il 31 marzo Cavalletti aveva inviato un altro telegramma col quale comunicava che il Segretariato Generale aveva ricevuto istruzioni da Bech di effettuare sondaggi per tenere la riunione dei Ministri degli Esteri della CECA il 25 aprile (T. 4461/193: ibidem).

3 Vedi DPII, Serie A, Il «rilancio dell’Europa» cit., D. 1


APPENDICI

APPENDICE I

Cariche istituzionali, Uffici, Rappresentanze

(1° settembre 1954-1° aprile 1955)1

Cariche istituzionali

PRESIDENTE DELLAREPUBBLICA

Einaudi Luigi.

PRESIDENTE DELCONSIGLIO

Scelba Mario.

MINISTRO SEGRETARIO DI STATO

Piccioni Attilio, fino al 19 settembre 1954. Martino Gaetano, dal 19 settembre 1954.

SOTTOSEGRETARI DI STATO

Benvenuti Lodovico. Badini Confalonieri Vittorio. Dominedò Francesco Maria.

Uffici del Ministero degli Affari Esteri

CAPO DI GABINETTO

Prato Eugenio. Migone Bartolomeo, dal 7 marzo 1955.

SEGRETARIO PARTICOLARE DELMINISTRO

Zingale Salvatore.

Dati tratti dalle seguenti pubblicazioni periodiche del Ministero degli Affari Esteri: Uffici dell’Amministrazione Centrale; Elenchi del Personale; Annuario diplomatico della Repubblica Italiana; Bollettino del Ministero degli Affari Esteri.

VICE CAPO DI GABINETTO

Milesi Ferretti Gian Luigi.

SEGRETARIO GENERALE ZoppiVittorio. Rossi Longhi Alberto, dal 6 dicembre 1954.

SEGRETERIAGENERALE COORDINAMENTO

Capo Servizio

CasardiAlberico. MazioAldo Maria, dal 6 dicembre 1954.

ALLE DIRETTE DIPENDENZE DELSEGRETERIO GENERALE UFFICIO DELCONTENZIOSO DIPLOMATICO

Capo Ufficio

Perassi Tomaso.

UFFICIO STAMPA

Capo Ufficio

Giustiniani Raimondo.

Consulente Storico

Toscano Mario(2).

DIREZIONE GENERALE DEGLIAFFARI POLITICI

Direttore Generale

Del Balzo di Presenzano Giulio Magistrati Massimo, dal 2 dicembre 1954.

Direttore Generale aggiunto

Straneo Carlo Alberto.

Vice Direttore Generale

Grillo Remigio Danilo.

Capo Ufficio Cooperazione Internazionale dal 4 marzo 19553

Grillo Remigio Danilo.

2 Toscano era anche a capo dell’Ufficio II Studi e Documentazione della Direzione Generale degli Affari Generali.

3 L’Ufficio Cooperazione Internazionale fu istituito all’interno della Direzione Generale degli Affari Politici a seguito della soppressione della Direzione Generale della Cooperazione Internazionale (vedi sub voce); aveva competenza su: Rapporti politici multilaterali tra i Paesi aderenti al Patto Atlantico, all’UEO e al Consiglio d’Europa – Questioni relative alle Nazioni Unite.

Capo Ufficio I(4)

Grillo Remigio Danilo. Staderini Ettore, dal 1° marzo 1955.

DIREZIONE GENERALE DEGLIAFFARI ECONOMICI

Direttore Generale

Corrias Angelo. CattaniAttilio, dal 16 marzo 1955.

Direttore Generale aggiunto

Paveri Fontanadi Fontana PradosaAlberto.

DIREZIONE GENERALE DELLACOOPERAZIONE INTERNAZIONALE (fino al 4 marzo 1955)5

Direttore Generale

Magistrati Massimo, fino al 1° dicembre 1954.

Direttore Generale aggiunto

MazioAldo Maria, fino al 6 dicembre 1954.

Capo Ufficio I(6)

Plaja Eugenio.

DIREZIONE GENERALE DELL’EMIGRAZIONE

Direttore Generale

Giusti del Giardino Justo. Mascia Luciano, dal 22 gennaio 1955.

Rappresentanze Diplomatiche Italiane All’estero

BELGIO

Ambasciatore a Bruxelles

Grazzi Umberto. Scammacca del Murgo Michele, dal 16 marzo 1955.

4 Stati Uniti d’America, Canada, Gran Bretagna, Irlanda, Francia, Belgio, Lussemburgo, Olanda, Portogallo, Spagna, Svizzera, Liechtenstein, Germania, Austria, Svezia, Norvegia, Danimarca, Groenlandia, Islanda, Cipro, Malta, Gibilterra, San Marino, Andorra, Principato di Monaco.

5 Con ordine di servizio n. 8 del 4 marzo 1955, la DGCI venne unificata con la DGAP. Le competenze dell’Ufficio I furono trasferite a un ufficio di nuova costituzione, l’Ufficio Cooperazione Internazionale, all’interno della DGAP. Le competenze dell’Ufficio II della DGCI furono trasferite alla DGAE.

6 NATO (Questioni politiche e militari), Comunità Europea di Difesa, Comunità Politica Europea, ecc.

FRANCIA

Ambasciatore a Parigi

Quaroni Pietro.

Consigliere

Tassoni Estense di Castelvecchio Alessandro.

Console Generale a Strasburgo

Cittadini Cesi Gian Gaspare.

GERMANIA(REPUBBLICAFEDERALE DI)

Ambasciatore a Bonn

Babuscio Rizzo Francesco. Grazzi Umberto, dal 13 febbraio 1955.

Consigliere

Pinna Caboni Mario.

GRAN BRETAGNA

Ambasciatore a Londra

Brosio Manlio. ZoppiVittorio, dal 10 gennaio 1955.

Consigliere

Theodoli Livio.

LUSSEMBURGO

Ministro a Lussemburgo

Cavallettidi Oliveto Sabino Francesco.

Primo segretario

Bobba Franco.

NATO RAPPRESENTANZAPRESSO L’ORGANIZZAZIONE DELTRATTATO NORD-ATLANTICO – PARIGI

Capo Rappresentanza

AlessandriniAdolfo.

Consigliere

Guastone Belcredi Enrico.

Consigliere

Bombassei Frascani DeVettor Giorgio.

OECE

DELEGAZIONE PERMANENTE PRESSO L’ORGANIZZAZIONE EUROPEA PER LACOOPERAZIONE ECONOMICA– PARIGI

Ministro con funzioni di Delegato aggiunto permanente

CattaniAttilio. Vitetti Leonardo, dall’11 marzo 1955.

Consigliere

Ducci Roberto.

PAESI BASSI

Ambasciatore a L’Aja

Benzoni di Balsamo Giorgio.

STATI UNITI D’AMERICA

Ambasciatore a Washington

TarchianiAlberto. Brosio Manlio, dal 31 gennaio 1955.

Ministro Consigliere

Luciolli Mario.

TURCHIA

Ambasciatore ad Ankara

Pietromarchi Luca.

UNIONE DELLE REPUBBLICHE SOCIALISTE SOVIETICHE

Ambasciatore a Mosca

Di Stefano Mario.

Rappresentanze Diplomatiche Estere in Italia

BELGIO

Ambasciatore

Van der Elst Joseph.

FRANCIA

Ambasciatore

Fouques-Duparc Jacques. GERMANIA(REPUBBLICAFEDERALE DI)

Ambasciatore

Von Brentano Clemens.

Ambasciatore

ClarkeAshley.

Console

BruckVictor.

Ambasciatore

Boon Hendrik Nicolaas.

Ambasciatore

Boothe Luce Clare.

Ambasciatore

Akdur Faik Zhini.

GRAN BRETAGNA

LUSSEMBURGO

PAESI BASSI

STATI UNITI D’AMERICA

TURCHIA

Açicalin Mehmet Cevat, dal 18 ottobre 1954. UNIONE DELLE REPUBBLICHE SOVIETICHE SOCIALISTE

Ambasciatore

Efremovič Bogomolov Aleksandr.


APPENDICE II

Conferenza dei Nove e Gruppo di Lavoro di Londra

Conferenza delle Nove Potenze, Londra 28 settembre-3 ottobre

1954 ................................................... Pag. 551

1. Seduta del 28 settembre, ore 11 ......................... “ 551

2. Seduta del 28 settembre, ore 16,30 ...................... “ 563

3. Seduta del 29 settembre, ore 11,10 ....................... “ 575

4. Seduta del 29 settembre, pomeriggio ..................... “ 578

5. Seduta del 30 settembre, ore 11,15 ....................... “ 580

6. Seduta del 30 settembre, ore 15,45 ....................... “ 585

7. Seduta del 1° ottobre, ore 16,30 ......................... “ 588

8. Seduta del 2 ottobre, mattina ............................ “ 590

9. Seduta del 2 ottobre, ore 18 ............................. “ 591

10. Seduta del 2 ottobre, sera ............................. “ 592

11. Seduta del 3 ottobre, ore 11,30 ......................... “ 593

12. Atto Finale, Londra 3 ottobre 1954 ...................... “ 595

Gruppo di lavoro di Londra, Londra 7-19 ottobre 1954 .......... Pag. 611

1. Riunione del 7 ottobre ................................. “ 611

2. Riunione del 9 ottobre ................................. “ 615

3. Riunione dell’11 ottobre ............................... “ 619

4. Riunione del 13 ottobre ................................ “ 623

5. Riunione del 14 ottobre ................................ “ 629

6. Riunione del 19 ottobre ................................ “ 632

7. Documenti finali ..................................... “ 635

1. CONFERENZA DELLE NOVE POTENZE (Londra, 28 settembre 1954, ore 11)1

Verbale segreto NPC (54) 5.

NINE POWER CONFERENCE, LANCASTER HOUSE, LONDON

VERBATIM RECORD IN ENGLISH

FIRST PLENARYMEETING

MR. EDEN (UNITED KINGDOM): Gentlemen, I am afraid there is no escape from enduring a brief spell of photography. Would it be your wish that we should get that over at the outset? Then I will tell the photographers they may come in. If they are ready ‒ if they are not they cannot come in.

(Photographs of the meeting are taken).

Would the photographers please withdraw.

Gentlemen, I should like on behalf of Her Majesty’s Government of the United Kingdom to welcome you all to this Conference in London. Each one of us is I know fully conscious of the reasons which have brought us here. We understand that on the outcome of our discussions the future unity and therefore perhaps the survival of the free world depend. I was encouraged in the journey I made, and in the meetings I had with many of my colleagues round this table, to believe that given a common effort by us all there is the possibility of reaching an agreement acceptable to all, and which in its turn would serve the cause of peace. That is what we want to do, and in an effort to fulfil that task I once more welcome you on behalf of all my colleagues in the Government here in the United Kingdom.

MR. BEYEN (NETHERLANDS): Mr. Chairman, I want to make one proposal in this Conference which I am sure will meet with no objection from anybody, and that is the proposal that you should continue to take the Chair in our meetings. I am quite sure I speak in the name of all of us when I ask you to give us the benefit of your guidance during this Conference, and I can assure you that proposal in no way intends to try to bar you speaking as the head of the United Kingdom Delegation, so I sincerely hope that you will accept this proposal and be our Chairman during this very important meeting.

MR. DULLES (UNITED STATES): I should like to support that proposal.

MR. EDEN (UNITED KINGDOM): Thank you, Gentlemen. If there is no contrary proposal, and I could imagine very many much better contrary proposals, if there are none I am at your service and I am very grateful to M. Beyen and Mr. Dulles for the words which they have used.

DGAP, Uff. IV, Versamento CED, 1950-1954, b. 26, fasc. 93. L’ora della seduta è indicata nel verbale in lingua francese.

Shall I then speak of one or two technical matters which must I think be arranged before we come to the substance of the work we have to do. There is first the time of our meeting. Would you like us to meet, I imagine we would wish to meet twice a day ‒what is your view about time? We are meeting this morning at eleven. Would you like your further meetings to be at eleven or earlier? Perhaps we could settle that first. What is the view? Elevenor earlier? I do not think we can be later. Which do you prefer, eleven? Then eleven for the time being at any rate. Eleven in the morning. For the afternoons what would you like.

SIGNOR MARTINO (ITALY): Five o’clock.

MR. EDEN (UNITED KINGDOM): Any advance on five o’clock? Half past three? Four o’clock would be a good time? What do you think about that.

M. BEYEN (NETHERLANDS): Three o’clock. MR. EDEN (UNITED KINGDOM): The majority seem to think 3.30 in the afternoon and eleven o’clock in the morning, if there is no objection.

Then I think from informal discussions which have taken place that we are agreed that it would be useful if the four Ministers who have special responsibility in respect of Germany sovereignty questions should meet at an early date and the proposal I would make is that perhaps we might meet this afternoon, say, at half past three for that. The four of us ‒at three, that is as my colleagues wish ‒four of us meet here in some other room, and then proceed to the other meeting later. We would have to leave a gap in time for this afternoon’s meeting so perhaps for this afternoon would it be well to leave an hour ‒what do my colleagues think who are on the Four meeting ‒leave an hour? Suppose we meet at three to discuss the sovereignty and put back the meeting here to four.

MR. DULLES (UNITED STATES): Mr. Chairman, I wonder whether an hour is sufficient?

MR. EDEN (UNITED KINGDOM): 4.30?

MR. DULLES: I think 4.30 would be wiser than 4 o’clock.

MR. EDEN: Yes, that would be on the safe side, anyway. Shall we say 3 o’clock for the four of us, then, and 4.30 for everybody else here this afternoon. That is agreed. Then the question of arrangements for the press, which I am afraid must inevitably be rather difficult. The best we have been able to suggest is that each delegation should deal with its own press, and that we should do our utmost to limit the information given during the days of discussion here. If anybody has any other suggestion to make, I am sure it will be thankfully received by the conference. If there is no other matter we will so proceed. I should say a word about interpretation, and the records, and explain the arrangements we have made. There will be provision for simultaneous interpretation in English, French and German; verbatim records in the same three languages will be prepared by the secretariat, of all the plenary meetings, and they will be available overnight. It is possible that the German version may be slightly delayed, since we may not have German verbatim writers, I am not sure. But in any event we will do our best to get them all ready overnight.

Then, if that is agreed, there is one other topic I should mention on procedure. I think we should make some arrangement ‒I think my colleagues will feel we should

‒to keep in touch with the other six NATO powers who are not at this meeting. There can be, as I understand it arrangements have been made, daily meetings of the six NATO ambassadors here in London, and they can meet either with a panel chosen from the nine of us or they could meet with Sir Christopher Steel, our own UK representative on NATO, if you thought that was sufficient, but either arrangement is open. Perhaps you would say which you think you would prefer. What do you think?

MR. DULLES (UNITED STATES): I think that is acceptable, Mr. Chairman, that your representative would have that primary responsibility. I think that would be the natural channel for having those communications, it will be less cumbersome I think than a committee of nine.

MR. EDEN (UNITED KINGDOM): I am obliged. Does anybody object to that course? Then we will so instruct Sir Christopher Steel to do that. Is there anything else? Has anybody any other points on procedure which they would like to raise?

If there are none, perhaps I may make a very few opening observations as to your Chairman.

I think we all understand that we have met to agree means for full German association with the West and a German defence contribution, but this is a preparatory conference in the sense that we look forward to a meeting of the North Atlantic Council next month.

Some of our conclusions will be provisional because they will require the concurrence of other Governments before they can become final but I hope that we shall be able to reach here in London firm agreement upon the measures which we believe are required to promote European unity to defend the free world; through the expansion of the Brussels Treaty to include the German Federal Republic and Italy and of NATO so as to include the German Federal Republic.

During my recent tour I explained how we thought that a solution could be sought and I think we are all agreed that this solution must cover three main heads. First, the termination of the occupation regime in Germany with accompanying arrangements for the retention of essential rights and obligations and for the status of allied forces and other subjects dealt with in the Bonn Convention. This is, of course, a problem where the primary responsibility rests with four of the Governments represented here.

Second, the accession of the German Federal Republic and Italy to the Brussels Treaty which would thus be strengthened as a focus for the European co-operation and third the entry of Germany into NATO with accompanying arrangements of a non-discriminatory character designed to increase the efficiency of Western defence and to determine the character and size of the German defence contribution. These accompanying arrangements could all be NATO or they could perhaps be organised wholly, or in part, within the framework of the Treaty of Brussels.

One of our main tasks here would be to consider, and I hope to decide, in which organisation the arrangements can best be fitted.

The principle on which I think we all agree is that we must not duplicate the NATO machinery or command structure, and that any arrangements which may be agreed between the members of the enlarged Brussels Treaty shall operate within the NATO framework and be carried out by the NATO machinery.

Well then, gentlemen, how should the Conference tackle this problem under the three headings I have mentioned. On the first the termination of the occupation statute, good progress has already been made in identifying the problems and discussing the best methods to solve them in conversations between our experts in Bonn which have been taking place in the last few days. We have agreed now that this afternoon we shall have our first meeting of the four Foreign Ministers of the countries principally concerned to consider how this should best be dealt with. That is the first question.

On the second, preparatory work has also been done by our permanent commission of the Brussels treaty organisation.

I understand that its Chairman has a report to submit dealing with procedural aspects of the admission of the new members and on the necessary amendments to the treaty text. I think that we might hear that report and further discussion could then take place perhaps between the members of the permanent commission and the representatives of Italy and the Federal Republic so that a joint agreed report might be brought before the Conference at a later meeting. This will leave us, the Ministers, free to concentrate on the arrangements which should accompany the admission of Germany and Italy to the Brussels Treaty and of Germany into NATO.

We have before us a number of proposals ‒a French memorandum ‒a UK memorandum and a German memorandum, and there may be others. We have to decide which of the proposed arrangements we believe to be desirable and acceptable and whether they should be attached to NATO or to the Brussels Treaty organisation. The question is how my colleagues would like to proceed. We could start with a general discussion ranging over the whole field, or we could start by examining each memorandum in turn. Or, in view of the fact that the same subject is often common to two or more of the memoranda we could proceed by subjects. I confess that my own preference would be for this last course, to proceed by subjects. I think it would be rather invidious to single out one of the memoranda as a basis for our discussion in preference to others but if we tackle the problem subject by subject we can consider the views expressed on each subject in all the memoranda and of course any other views which my colleagues may wish to put forward.

I believe that this procedure would be logical ‒if an Englishman ever dare mention the word logical in an international assembly ‒and I think it would also make for the speediest progress, which is important. I have ventured to draw up a list of subjects which we will, if we may, hand round. Of course that is without commitments to what any of my colleagues want to alter in them, and we should of course leave ourselves free to set up working parties on any subject if we thought we should find the need for further study or expert advice. Those are the only opening remarks I wish to inflict upon my colleagues. Have I your permission to circulate this suggested list of topics(2)

Si fa riferimento al doc. NPC (54) 4, Confidential, September 28, 1954, UK Delegation Memorandum. List of subjects for discussion at the Nine-Power Conference, il cui contenuto era il seguente:

«A. Termination of the occupation Régime in Germany and accompanying arrangements.

B.Accession of the Federal German Republic and Italy to the Brussels Treaty.

C. Arrangements to accompany German and Italian accession to the Brussels Treaty and German accession to NATO: 1. Arrangements to be applied to SACEUR’s forces on the Continent: a) deployment and movement, b) integration, c) logistics, d) inspection, e) force ceilings; 2. Size and character of the German Defence Contribution; 3. Control of Armaments Production: a) strategically exposed areas, b) arms pool; 4. Security Declarations; 5. Possible extension of the duration of the North Atlantic Treaty; 6. United Kingdom and United States Declaration.

I documenti ufficiali della Conferenza sono conservati in DGAP, Uff. I (ex OAe ex DGCI, Uff. I), 1952-1954, b. 1, fasc. 1, Documenti da 1 a 26 e b. 2, fasc. 1, Documenti da 27 a [62]; vedi anche DGAP, Uff. IV, Versamento CED, 1950-1954, b. 26, fasc. 93.

so that my colleagues can look at it? I will do that now. There is a small misprint on the last number of all; C. 6. should read «United Kingdom and United States declarations» with an «s»at the end. Which of my colleagues would like to make any observations? Would any of my colleagues like to make any opening observations?

M. MENDÈS-FRANCE (FRANCE): Mr. Chairman, I should like to make two slight suggestions as regards your first proposals concerning the way in which we should work. I approve entirely the question of establishing a list of subjects such as you have prepared which could be used as a basis for our work subsequently. It seems to me, however, that before dealing with the first item it might be useful for the Delegations to have an opportunity to study what their ideas are in a general sort of way, so as to avoid, when we examine our various items one by one their having to refer to general principles. I think it might be better if those Delegations which have ideas would state their general ideas right at the beginning. At any rate, the French Delegation would be pleased to state the philosophy or the principles on which is based the memorandum which the French Delegation submitted to the other Delegations.

I have a second comment, Mr. Chairman, which refers to the order of the items for discussion which are mentioned under section C of your working paper. In working paper 1 is stated the arrangements to be applied in regard to the forces of SACEUR on the Continent and in 2 the size and character of German defence contribution. It seems to me that this item n. 2 comes really within item 1, that the German defence contribution is within the establishment of the SACEUR on the Continent, and that is why I would suggest that item 2 should be introduced within item n. 1 and before the consideration of the others. It should be put under (a), that is as 1(a). All the other matters, the deployment and movement, integration, logistics, inspection and the four ceilings, all those apply to everyone including the German contingent, and therefore I think it would be useful that we should speak of the German contribution before we consider what is mentioned here under the letters (a), (b), (c), (d) and (e). That is simply a suggestion as regards the method of work.

CHAIRMAN: I imagine that there would be clearly no objection on the part of the Conference to hearing ‒in fact we would like to hear ‒any general observations anybody wants to make at the outset of our discussion. I certainly did not mean to curtail that by this table of work. It was only to try and find a practical procedure.

As regards the second question raised by the Prime Minister of France, I think if no-body sees objection that is probably right, and probably his placing was better than ours. I should add that in preparing this list of subjects I would imagine that my colleagues in speaking of them would all feel that while we should wish to express our views on all of them, they could not be committed until they had seen the final whole which the Conference would have to approve. That would be quite natural and I think normal.

M. SPAAK (BELGIUM): I think what M. Mendès-France has said is accurate, and I think it would be useful before dealing with that matter in detail that those Delegations which would like to do so should make general declarations so that we may better see how we are going to develop our work.

MR. EDEN (U.K.): I was just going round the table to ask whether anybody had any general observation. Mr. Pearson, would you want to make any general declaration?

MR. PEARSON (CANADA): I do not think so, Mr. Chairman, at this stage, except perhaps to endorse what M. Mendès-France has said, that this would be a desirable way to proceed with our business, in other words ...(inaudible) rather than in the other form of plans submitted by Delegations.

M. MENDÈS-FRANCE (FRANCE): Mr. Chairman, I thank you, and my colleagues for allowing the French Delegation to make some observations at the beginning of our work, comments of a general character, in order to make understood the reasons which have led us to submit to the other Delegations the paper which is before them, and which is a resuméof the French proposals(3).What we have in mind when we come into this meeting is indeed that which was defined by the Chairman. We feel that it is necessary to get a solution as soon as possible, this week, a precise agreement, be-cause we must take into account the fact that the international situation is serious, and that we all have a duty to do all we can to reach a solution, and not to have what might be considered a paralysis in the Western community when it is considering from the financial and political angle, solutions to the problems which are before the Western community, and those are the aims of the paper which we have submitted. The general principles of the proposal ‒you have noticed them, no doubt ‒are to find a solution which avoids any kind of discrimination whatsoever, a desire to follow European construction, which in one shape or another is our aim, by the setting up of a feeling of security and confidence of the people of our country, which it seems to us can be achieved by an effort to limit and control armaments, and also by the restoration in the greatest possible way of German sovereignty, which will also be a stabilising element in Western Europe. When we have stated these aims, we noticed that certain of these aims would be difficult to realise if we only used the framework of NATO. To take one example only, our efforts to follow even in a modified way European construction cannot be achieved within NATO. Our efforts to try to get a solution which has no discrimination also cannot be achieved within the NATO framework, because NATO includes within it very various countries, geographically very far distant, and to which we cannot apply the same rules systematically and everywhere.

In the same way our efforts to achieve a limit and control of armaments cannot be achieved entirely in NATO because NATO has as its main object to organise a better defence common to the West, and obviously, NATO must try to get forces established greater and more efficient as possible continuously.

For all these reasons it seems to us that without neglecting in any way the important contribution which NATO can supply, and which I am going to speak of in a moment, it seems to us that we ought to try to find another framework in which our objectives could be more easily achieved, and we think, and I think also the other delegations here present share this view, that the Brussels Treaty of 1948 could be used as a starting point, and be a very useful basis, in that it has the very useful provision for asking people to come into it who are not members of it so far.

Briefly what seem to us to be a useful method of work is this. We have tried to ascertain what are the reasons for the EDC failing, what were the criticisms which were

Si fa riferimento al doc. NPC (54) 1, Secret, September 27, 1954, French Memorandum («tabledby the French Delegation for circulation at the First Plenary Meeting, September 28»): vedi FRUS, 19521954, Western European Security, vol. V, Part 2, D. 129.

against EDC, and we have looked at the Brussels Treaty in order to use the advantages which were in EDC without having its dis-advantages. In my country the criticism against EDC, the main criticismrightly or wrongly, is that many French people regret to see in EDC a supranational element which was too powerful. We can possibly complain that these French people were not frank enough, and that we did not see enough how the future would develop. Nevertheless important reactions were shown, and in a good many places in France, as in other countries we would like to see an organisation which does have a supra national authority, but does not include such a powerful supra national authority as was given to EDC.

The second criticism in my country against EDC was that it did not include within it the United Kingdom, and that is why we have tried to find in the Brussels Treaty somewhat less supra national authority and a greater UK contribution, that is to say with the general ideas of EDC, the general European organisation and the contribution of Germany to the common defence. We thought that we ought to preserve these features and try to achieve them in this new framework.

I must say immediately we would not have liked at the moment when our idea is taking shape to have seen achieved another organisation which could hinder the efficiency of the work of NATO. We think we ought to avoid having a duplication and contradiction which of course lead to inefficiency so that it does not come to our mind at all to set up a military organisation which would be added to the NATO organisation or which would complicate the work of the executive. In our view the executive would be the existing organisations. We are not trying to set up anything additional. We feel that an organisation which, I repeat, would work co-jointly with those which are now working in the organisation of the countries of Western Europe could be used to devise a certain number of common methods and to work together by giving its orders to the only executive agent that is subordinate to SACEUR.

In the memorandum which we have circulated we have mentioned the desire of developing as much as possible the responsibilities, the means of working which had been established previously within the Brussels Treaty framework. Accordingly certain of the matters which are mentioned in the treaty will disappear because they do not correspond to the present international situation, and certain of the countries, such as Germany and Italy, which are not at present members, will have to be invited to come in.

What would be in our mind as the task of this authority which would be set up within the Brussels framework is first of all we have to entrust it with certain tasks regarding the military programmes each year. NATO has a revision year by year which has to establish the minimum contribution which each member of NATO must supply. We do not think that must be altered in any way, but we would suggest that the Brussels organisation should establish on its side maxima which member countries should not exceed on the Continent. It might be of course that the minima and the maxima would be the same figures, in which case there would be figures which are at the same time a maximum and a minimum and would in practice be that which the various countries would in fact achieve, but that is a matter which will have to be discussed later. It might be that the Brussels organisation would set up different figures, in which case the various countries would have to respect both the minima established by Brussels, and the maxima established by NATO and would have freedom within this margin. We have not any precise proposal to make on this matter. We are only just emphasising its elasticity.

In the same way the Brussels organisation could take decisions regarding the members and also materials. We think that the Brussels organisation could distribute amongst the various countries the material which comes, or is supplied from abroad and especially from the United States, in the same way as EDC was also to be entrusted with that task. The Brussels organisation could also give orders to the member countries for the common military needs. After having determinedthe need of the community for European defence on the Continent the Brussels organisation could pass orders to factories and the various industries which exist in every country, and the factories and industry would supply the necessary armament to the group. We suggest that these factories should be prohibited from producing armaments outside the orders passed by Brussels, so that these orders would be maximum, and therefore Brussels would be the only client, and the factories would reserve the whole of their production for that common good. We would, of course, have to deal with special matters, for instance exports. It is not suggested that countries should be prohibited from selling abroad. I think we would have to make the necessary arrangements to deal with that. In the same way there are certain countries which have responsibility outside Europe, and which because of that need certain armaments in addition and would be able to see applied the necessary elasticity, to cover overseas needs. Needs for exports are a special case, but in the general way the whole of the production on the Continent on the part of the Continent we have in mind should be controlled by the common agency to be set up within the Brussels organisation.

In the same way this agency should have its say as regards the setting up of new installation of new armaments works. No new armaments works should be set up without the authority of the central agency, and as regards the work of these new works the agency would have, of course, when authorising these new installations to bear in mind considerations of strategy and international politics.

The matter which I have just outlined would include a limitation of armaments. Of course it is not intended to reduce the efforts of the countries which are already members of NATO or would come into NATO. What we want after all as a whole is to increase the potential power, but this would have a ceiling which would be taken in the conditions which I have mentioned, and we would have in this way an organisation which would be efficient, but would also contain a limit of the armaments of each country. This would require controls, control both on the number of troops which should not exceed what has been decided in common, and controls which would extend also to armaments both as to the prohibition of certain factories, the manufacturing of the most dangerous kind and of the heaviest kind which it would be better not to have in exposed zones or exposed areas, and possibly as regards the less powerful weapons, sometimes called the ‘classical’armaments, these could be controlled. We could define them as light armaments, and I am asking just that they should be controlled. I do not think it would be necessary to have a complicated system.

I think it would not be necessary to have complicated control for the manufacture of machine guns or cartridges. I think this would have to be decided after consideration of the efficiency of control. Those are the duties which we would like to see entrusted to the new organisation and which can be set up within the Brussels Treaty. It includes psychologically, politically and technically guarantees which to my view would be of great value for our various countries. These guarantees, some of us have thought, it was not necessary to include within the Brussels Treaty. Others have thought that they could be included just as well within NATO. That is a matter which can be considered from the technical angle if it is then shown that certain of the matters which I have mentioned can be better achieved within NATO than within the Brussels Treaty power we would have to consider it and check it but I cannot emphasise too much the psychological and political importance apart from the technical angle, of placing the maximum of responsibility and the right to decide within the Brussels Treaty, at any rate as regards the French public opinion, and I am here to be the faithful interpreter of what my compatriots think.

The creation and possibly the strengthening of the power of the Brussels Treaty is as efficient a solution as possible and the granting to this organisation of new duties, new responsibilities, is a matter of the utmost importance; first of all that would allow us to try once more for what has been done, the EDC attempt, and also because one can be apprehensive that the psychology which is within NATO ‒and what I say is not criticism ‒but the psychology which exists within NATO looks much more to the extension of armaments than to their limitation or control, and when we are going to take such important decisions in a military field at the moment when we are going to see contributions from Germany for common defence which is our common aim, I think it necessary to give to the people of our countries the proof that we are trying to do something which is really defensive, strictly defensive, and that we are not being led into an indefinite armament race in which we would not have taken any precautions against the dangers which are there.

We were so persuaded with the importance of this point that in our first draft ‒and I say quite frankly ‒we had provided that the whole of the matters we had proposed should be within the Brussels Treaty framework, as provisionally under EDC. We had therefore considered as a first step it would be unnecessary to ask the German Federal Republic to take its place within NATO. When our Chairman came to Paris about a fortnight ago he explained to us that it was possibly overtaken by the present day events, and thatall the countries with whose representatives he had spoken were of the opinion that the representative of Germany should be invited and we thought we ought to take into account this preference and to come here again and prove that we had no intention of keeping Germany in any discriminatory position. And so we stated to our Chairman when he came through Paris, taking into account the information which he gave us, we could consider that the entry of Germany into NATO should be in addition to the other decisions which we would take in common. We have also mentioned that our suggestions, such as the ones we suggested to him, and which I have just spoken of, that in these suggestions there was nothing which interfered in any way with the inclusion of the German Federal Republic in NATO, so that we considered that we ought not to oppose ourselves to a feeling which was shared by a large number of others. We of course have not hidden the fact that this would have certainpsychological reactions in France, especially in the French Parliament, and the entry of the German Federal Republic into NATO would meet some criticism. Nevertheless, as the French Government, we would be prepared to face this criticism, and the suggestions which we have made and these matters which I have mentioned now would enable us to show to the French parliamentarians that they would be wrong to oppose the entry of Germany into NATO. I have said quite frankly that this would have political difficulties for us, but we would do our best to overcome these if we had the response, which we hope to have, to the general remarks which we have made.

I do not want to raise at length other matters which are included in our proposals. There is the question of the military integration ‒that is a technical matter of which we shall have to speak in due course. I think we ought to have integration as much as possible. There is of course the problem of the maintenance of United Kingdom and United States forces in Europe, which is a matter which is of great importance to many of us, and we can speak of it subsequently. There is also the problem of German sovereignty. I have already said and I would like to repeat here, that we feel that the restitution of German sovereignty is a political problem, and we have no a priori objections to it at all. I feel that we cannot ten years after a war such as took place between 1939 and 1945 pretend that a country should be maintained in an inferior position. So that the restoration of German sovereignty would not on our side raise any difficulty.

There is also another matter which I wish to mention here, another problem which is in the minds of a good many Frenchmen. It is the problem of the Saar. I think here the French and German Governments should have talks about this. We think that if we could present to the French Parliament after this Conference, after the work of experts, and after the meetings ‒if we are able to present to the French Parliament the whole of the proposals which I have mentioned, the new military organisation with German participation, the strengthening of the Brussels pact, the restitution of German sovereignty, a solution which would be acceptable by everyone as regards the Saar, the maintenance of United Kingdom and United States forces on the continent, altogether something which would be a settlement of the problems which are worrying us all on the continent and a help to the organisation of common defence and the beginning of the setting up of a common political organisation for Western Europe ‒such a proposal could be accepted by the French Parliament, and at any rate the French Government would do its best to obtain the acceptance of the French Parliament to this if it could come from this Conference with considerations of the kind which I have mentioned.

Now there is just one last matter. We have insisted in our proposals on the need to go quickly. It seems possibly strange that it is the French Government which should insist on the necessity to go quickly when in the last few years France has not helped to give a quick solution to the proposals which have been made and to the origin of which ideas the French Government was to be found. Let me say we have suffered also from these delays which have brought the greatest prejudice to the normal development of international relations and to the development of internal political life in France, and that is why we are resolved to go as quickly as possible as far as we are able, and I can assure you today that we have agreed internationally that the day when we reach an agreement the French Parliament will know within the following week and the French Parliament will be asked to decide very quickly so that it can contribute somewhat to make up for lost time, because we have this feeling of having lost time. I think possibly, especially because France has borne a certain share of responsibility for this loss of time, that that would be a contribution which we shall bring forward in order to try to reach the conclusions which are dear to us.

This is a brief resumé of the reasons which have led the French Government to put forward the draft which it has suggested in the hope that in a general way this will receive the agreement of my colleagues, so that we can arrive at the general agreement which is necessary not only politically but also militarily so that we can reinforce peace in Europe.

MR. EDEN (UNITED KINGDOM): Mr. Adenauer? Signor Martino?

SIGNOR MARTINO (ITALY): The Italian Government is prepared to go with the other Governments in the way in which the Paris Treaty has left open. We consider that the restoration of sovereignty to the German Republic is important. It is therefore with the greatest satisfaction that we have noticed that the interested countries are prepared to see that. The contribution of the German Republic is indispensable. It is now a question of trying to find out some way of putting something in the place of EDC, and so allowing Germany to contribute to the common effort. We have considered what is the most suitable framework. We are glad to see that the formulae which are proposed to us today are all imbued with the same principles. We have also accepted with interest the extension of the Brussels Treaty with the necessary alteration. Without any doubt such inevitably presents many positive points; first of all, to give closer contact between the various countries of Europe and the United Kingdom, we feel that this is a method which must be followed at the same time and when we see that Germany has come into both communities we are convinced that a double system of guarantees is advisable, and should assure for the future the presence on the Continent of the United Kingdom and United States forces, and a closer political link of the United Kingdom with the Continent, and the link which must be set up between the various Continental countries and the limitation of the numbers of troops. Of course, this second system of guarantees which must be realised on a level of equality and without discrimination necessitates a certain control, and we feel that its application would find its most appropriate place within NATO. We can find that the practical experience which has been obtained by the NATO organisation, we are ready to examine, it is necessary that these ... we think it is a pity that EDC has not been able to realise. We propose consequently to do all we can not only to maintain but also to develop the institutions of a European character which already exist, and to continue our efforts in a way of European collaboration. So we hope that it will be possible right from now to translate this state of mind in the readaptation of the Brussels Pact to the new needs, and we re-serve to ourselves the right to give certain ideas on this point in technical committees.

I would like to end by assuring you gentlemen that during your work you will find the greatest co-operation from the Italian Delegation, just as much as we know that we can count on you for the utmost help.

MR. EDEN (UNITED KINGDOM): None of my colleagues wish to make any further comment. Can I suggest that we now might consider (b) in our printed form, that is to say, the Brussels Treaty amendments. M. Massigli, I understand, is Chairman of the Brussels Treaty representatives, and perhaps he would be good enough to report to us on the work of the permanent commission which they have been doing in the last few days.

M. MASSIGLI: Mr. President, our permanent mission in Brussels met to try to find out unofficially and without binding any Government, how it could be possible to achieve the adhesion of Germany and Italy to the Brussels Treaty. In principle there are no difficulties. Article 9 of the Treaty provides expressly that the five contracting parties can invite new members in the conditions which would be agreed between themselves and the new members. The simplest and most logical way, at any rate, would have been that the five powers revise the Treaty, amend it as necessary in view of new circumstances, see to the framework of additional protocols, and, having done that, invite the new powers to adhere to the Treaty. But this procedure would impose certain delays. It was necessary that the five Brussels powers should ratify the new amendments, and then have it ratified by the two new members, and that is where we propose a solution somewhat different ‒a simple invitation ‒and then, in common, the drafting of additional protocols which will alter the Treaty where it is necessary to modify it, and, where it is necessary to add to it, adding to it. This work has been done quite provisionally. It does not bind any Government, and it can be used by this conference as a basis for the work. Quickly, it means a protocol to modify the preamble, to alter Article 7, and to include in a new article some additional arrangements.

MR. EDEN (UNITED KINGDOM): Would any of my colleagues like to comment on this work, which I think has been very well prepared for us? Thank you. If this work is approved as it is before us then I think the course would be, would it not, to remit it for further study by the permanent commission, jointly this time, with the German and the Italian representatives. Would that be agreed? Then we can so decide. Now, my colleagues would like to enter upon the next chapter of our work, (c), beginning with the arrangements to be applied to SACEUR’s forces on the Continent, and with the size and character of the German defense contribution. Dr. Adenauer?

DR. ADENAUER (GERMANY): Gentlemen, this is in the first place to make sure that confusion of past anxieties should be removed to the effect that the Federal Republic might make inadequate or excessive use of rearmament. I can assure you, gentlemen, that I have, in common with the whole German people, in the assurance that the Federal Republic, if it regains its sovereignty, will so far as rearmament is concerned, make use of rearmament, which will remain within the framework of Europe, and we are quite prepared to make a binding declaration to that effect, to the effect that in rearming we will not exceed the framework which was laid down in the EDC Treaty, with regard to the German contribution. We have also prepared, as M. President Mendès-France has explained generally, to submit ourselves to controls, which must not be of a discriminatory nature, and the question of extending the Brussels Pact or the control by NATO is of such importance that I think it would be best to deal with that separately.

MR. EDEN (UNITED KINGDOM): Thank you. Would any of my colleagues like to make any comments? My colleagues wish to take note of the Chancellor’s statement, and I would like to consult them about the further course of our work. Would they like to go on, or might it perhaps be wiser to adjourn now, in order to consider these other topics which are now in front of us in this order of work with which we are engaged, and, having had our adjournment, come back this afternoon to continue work upon them? I am in the hands of my colleagues. Which would they prefer? It is suggested that we adjourn. If that were so, we would meet again at 3 o’clock ‒the four countries concerned with the issue of the Occupation Statutes, we meet at 3 o’clock, and this meeting at 4.30. I think we will have the meeting at 3 o’clock here, if my colleagues do not mind, because we can have the advantage of the simultaneous interpretation, in no other room have we got that. Perhaps we could also try this afternoon to keep our parties a little smaller then it makes the room less stuffy for everyone. All agreed? Then we adjourn now until 3 o’clock for the four power meeting. Thank you.

2. CONFERENZA DELLE NOVE POTENZE (Londra, 28 settembre 1954, ore 16,30)4

Verbale segreto NPC (54) 8.

NINE POWER CONFERENCE, LANCASTER HOUSE, LONDON

VERBATIM RECORD IN ENGLISH

SECOND PLENARYMEETING

CHAIRMAN: Gentlemen, I have one or two preliminary comments to make. It has been represented to me by some of the delegations here that as our work becomes more intimate and important it would be desirable that our delegations might be reduced as far as possible in numbers and perhaps delegations may find it possible to confine those numbers to say six per delegation ‒ something of that kind.

The second point which I have been asked to mention is this, that it might be useful, today at any rate, as it is our first day, to try and put out some form of communiqué which could help us all in the guidance of the Press, and a preliminary draft has been prepared which is now being translated into the necessary languages and will be made available to delegations during our discussion now. I would suggest that perhaps we might ‒if in principle that was thought right ‒look at that communiqué at the conclusion of our work. If that is agreed we then resume the C. 1 on the paper which was submitted(5) ‒ the arrangements to be applied to SACEUR forces on the Continent, and under this heading there are a number of topics ‒some of them, the first of which ‒the size and character of German defence contribution ‒were mentioned this morning. I think that these topics as a whole, if I may make some preliminary remarks, are not really at all controversial. I think we are all equally interested in strengthening Western defence by adding a German contribution and making our defences more efficient under the central control of SACEUR. We are also all agreed, as I understand it, not to duplicate the NATO machinery, and that any arrangements must operate through NATO and be carried out by NATO. At the same time there is no objection to the Brussels Treaty powers entering into special agreements which do operate through NATO.

4 DGAP, Uff. IV, Versamento CED, 1950-1954, b. 26, fasc. 93. 5 Si fa riferimento alla lista di argomenti descritta alla nota 2.

Some of these subjects on this list are very technical and I do not think we can agree to details today but I hope we could agree principles and perhaps ask our experts to work them out for our subsequent approval.

If I may first mention the German defence contribution which Herr Adenauer referred to this morning. The first step we have to carry out I think is to agree the totals and the types of forces which the Federal Republic will contribute to NATO. Certain figures were agreed for the EDC and those figures were accepted by NATO; it would seem sensible to keep to those figures. Certainly some re-adjustment will be necessary to transform the formations which were intended for EDC into formations suitable for NATO, but the experts can we think do this easily if we give them clear instructions, so in that context I suggest that the conference might adopt the following principles: that a German defence contribution would be twelve divisions, about 1,350 aircraft and small naval forces of the same types as agreed for the EDC and the subsequent variations will be subject to current NATO procedure. Later a detailed plan to give effect to this will have to be worked out by military experts perhaps in Paris so that SHAPE can be consulted. Such a plan we would hope would be ready for approval by the North Atlantic Council next month. Then there is the question (a) in this paper ‒deployment and movement of forces. We and the United States in declarations we made last April agreed that our forces on the continent would be deployed in accordance with agreed NATO strategy. It is I think important if possible that other countries should accept this too, so that SACEUR’s defence plans can be effective. If that were so then the conference could accept perhaps the following principles: That the forces placed under SACEUR on the continent shall be deployed in accordance with NATO strategy. That the location of such forces should be determined by SACEUR in consultation with the national authorities, and that such forces should not be moved on the continent nor used on the continent without SACEUR’s consent. If these principles were adopted the NATO permanent representatives could be instructed to draft any necessary amendments to SACEUR’s terms of reference.

The next topic ‒integration of forces. My colleagues know that NATO has already not only integrated headquarters but integrated formations.There are two examples with which some of us are familiar, the Northern Army Group and the Second Allied Tactical Air Force. The latter might still be further integrated as suggested in our agreement which we made with the EDC countries. We suggest that SHAPE’s current air defence study may give us fresh fields for integration, for instance of our air warning system which must be one ‒unified ‒and that land forces integration at the army level is likely to be most efficient. If we here endorse the principle of integration then SACEUR might be invited to submit proposals to the Councilof NATO in due course.

Then there is logistics, some of which SHAPE already controls through what I believe they call the POLsystem, the petrol, oil, lubricants system, and there may be other possibilities. Here again I think we might invite SACEUR to make proposals.

Finally there is the question of inspection, inspection I mean by SACEUR of the level and effectiveness of its forces and their armaments and their equipment. There could be a useful innovation. It could help to simplify and make more efficient our existing NATO Annual Review procedure and could provide a check that NATO members were doing what they should. If this principle were accepted the details would have again to be worked out by the NATO Permanent Council because that would affect both the Annual Review procedure and SHAPE’s functions.

I ought to mention that the German memorandum, I think my colleagues will recall, says that the Federal Republic is prepared to confine its defence contributions to EDC limits and the Chancellor repeated that this morning. The French memorandum suggests that the Brussels Treaty powers should adopt as maxima the NATO forces goals and M. Mendès-France repeated that this morning. Our paper suggests a possibility of an agreement that apart from forces given to SACEUR on the Continent countries will only maintain forces for defined purposes. For ourselves we have an open mind as between these various ideas, and we will be very glad to hear the views of other countries.

To sum up what I suggest ‒I apologise for taking the time of my colleagues ‒I have commented now on each one of these (a), (b), (c), (d) and (e) under (1)6 and I suggest that as far as we know there is in the main fairly wide agreement upon them. If my colleagues will comment upon them and if there emerges as a result fairly wide agreement, then I suggest, with all these topics which cannot be finally resolved by us because they are in most cases for NATO to take action, we might at least get to the point where with the help of our experts we could charge them to bring us back declarations of principles in respect of them which could then be interpreted as was agreed by the Conference at a later date by NATO.

MR. PEARSON (CANADA): Mr. Chairman, in your very interesting outline of the matters under this item, you referred to the setting up of groups of experts to do the work which will require to be done, and which obviously could not be done in detail by us. You then suggested that those committees or groups should bring back their work for confirmation and, we would hope, approval. Do you mean bring it back to this conference, this meeting here, or to a subsequent meeting, or to the NATO councillor?

CHAIRMAN: I hoped we might ‒it is only a suggestion of course, I do not know what my colleagues think ‒I hoped we might agree principles, to express our views on these various topics, but of course we could not go so far as to draft what would have to be done, that is a matter for the NATO Council later. If we could approve the principles and agree about them, then at some later date the NATO Council would have to be seized of them and decide what to do. My idea was that the experts could work between this meeting and some later meeting and report back to us agreed principles, if this conference generally approved them.

MR. DULLES (UNITED STATES): You mean, report back to this Nine Power Conference?

CHAIRMAN: Yes, before it ended, so that we could try and agree the principles.

M. SPAAK (BELGIUM): I agree. If I understand correctly, we fixed at roughly twelve divisions the participation of Germany that we do add to the strength of control within NATO, and on the general ideas which you have stated, that our experts report to us, and if this report is favorable we should ask the advice of NATO, if everyone agrees, I agree too.

CHAIRMAN: Perhaps it would be of a little help, if you do not think it is presumptuous, if I were to circulate a little paper tonight to my colleagues, setting out these

6 Supra, nota 2.

ideas in more detail? Would that be helpful? And then we could agree them tomorrow morning, if it were thought right, and then our experts could immediately get to work. Would that be helpful? M. Mendès-France?

M. MENDÈS-FRANCE (FRANCE): Mr. President, I have listened with a great deal of interest to the suggestion which you have made, and on the whole, if I have understood it correctly, as have several of my colleagues, the French Delegation approves a certain number of suggestions which you have made. I would like to refer, not on all but on certain of the matters in the order in which you have mentioned them, in order to underline the matters which we have to submit to the conference. You have mentioned first of all the size of the German contribution to a common defence force. We think as you, that it is normal and reasonable to take as a basis for this contribution what was taken into account when we considered EDC, and more especially the number of twelve divisions, which seems perfectly reasonable.

These forces would altogether be attached to the Supreme Commander as covering forces and I think, if I have understood what you have stated, that in your mind the German Federal Republic would not have any other forces except the twelve divisions foreseen. It would be necessary, of course, to consider, if we drew up some limitations as suggested by the French Delegation for all the countries taking part, for Germany as for others, measures so as to take into account the internal security forces and police forces but that is a matter which is common to all of us.

As regards the other items which you mentioned, I would like to refer to them quickly. The suggestion which you have made concerning the deployment and the movement of the forces seems reasonable and as far as we are concerned we have no objections to make to those. We support the ideas which you have advanced as to the extent of the participating countries, the provisions which have been taken and which you mentioned, as applicable to the troops of the United States and the United Kingdom. As regards deployment and movement they fall essentially under military authorities and it is clear that in certain cases it would be advisable that matters of principle should be submitted to the authority which will be set up under the Brussels pact, but that is a matter which can be considered by the experts.

As regards this question of deployment and movement, it is useful to mention the position of countries which have to maintain forces for the defence of their overseas territories. That is a matter which is well known to us because it was considered previously, within the last few years, and I would take the liberty of mentioning that a particular protocol had been drawn up to complete Article 13 of the Paris Treaty and it would be necessary to consider precautions of the same kind for those countries which have overseas responsibilities so that they are able to deal with these in the proper way.

As regards integration it seems to me that your suggestion, that is, to ask the Supreme Allied Commander to consider the problems and to make definite proposals through NATO, seems to be entirely appropriate. It seems to me entirely a military matter and must be considered by the military experts. We could, however, submit to the Supreme Commander certain general ideas which he could use as a guide. The Army Corps ‒inter-allied Army Corps ‒which should be created should be composed of forces which are attached to SACEUR, those which are necessary for cover, and these should be composed by joining all different divisions of different nationalities into Army Corps so that an Army Corps of divisions of one nationality should only be set up when considered necessary by the Supreme Allied Commander and authorised by the Allied Council, and recognised by the Brussels powers and the integration of command would be at this stage of Army Corps.

There still remains, Mr. Chairman, the matter of control and inspection. It would seem logical to entrust the responsibility of inspection to an Inspector General whose duties would, of course, only be on the European continent for countries under Brussels Treaty. He would act for the Brussels Treaty powers and would receive from the Supreme Allied Command the necessary duties and powers. He would have a double duty to see that the numbers fixed by maximum by the Brussels Treaty are not exceeded, and also see that the methods necessary to develop co-ordination and solidarity between the different countries are brought into being. I am thinking of common courses, common schools and matters on a common basis which have been already considered in EDC and which I think it would be useful to absorb into this new Brussels Treaty. There is also a question of course of the location of these courses. I think it would be indispensable to say that augmentation of the forces of the seven countries belonging to the Brussels Treaty ‒such increases would be submitted to the approval of the Brussels Treaty ‒ which would have to take decision by majority, that is a decision similar to that which existed in the Paris Treaty. In EDC the plan for the constitution of the first echelon force could only be altered by a unanimous resolution, and in these conditions it seems logical to use the same rule for the Brussels Treaty and that decisions to alter the maximum or the minimum should only be taken by the Council by unanimous decision. These are general observations of a general character which I have allowed myself to state.

M. SPAAK (BELGIUM): Mr. Chairman, I admit that all this is very interesting, but it is a little difficult to follow and I am a little afraid that we might say yes before being quite certain that we understand. I think that what you have said, Mr. Chairman, should be inserted in a small paper, and what has been said by the delegate from France should also be put in a small paper so that we could have time to read these ideas and be able to resume our conversation tomorrow, because there is something I did not qui-te see ‒possibly I am not able to clarify my ideas. It is the exact relationship between the Brussels Pact and NATO, and I think it would be useful if we could think about this to see whether we have understood well and to see whether we have really understood the system we are trying to set up. Possibly if we could see on paper what you have said, Mr. Chairman, and what the President of the Council has stated, so that we could read them and then resume our conversation tomorrow ‒I think if we all say yes we must be quite certain that we all say yes about the same thing.

MR. DULLES (UNITED STATES): Could I ask the French Prime Minister to indicate‒perhaps I did not hear him accurately but the Inspector General that he refers to, does he propose that he should be attached to NATO or to Brussels?

M. MENDÈS-FRANCE (FRANCE): Mr. Chairman, indeed I suggested just now that the Inspector General should come under the Brussels Pact, but as mentioned this morning it is not at all a question of setting up under the Inspector General a hierarchy or an organisation which would start from the Brussels Treaty, and which would come right to the basis in all countries and in all units. As I said this morning in our mind the executive agent would be of General Gruenther of SACEUR and it is not a matter of setting up a new organisation duplicating the present existing organisation. The present organisation is set up in order to raise forces and to animate them. It is not conceived for inspection purposes, and that is why the central authority for the inspection, of a political character, should be under the Council of the Brussels Treaty in the spirit of the French proposal.

CHAIRMAN: I suggest that on this topic we adopt M. Spaak’s suggestion which he made usefully I think just now, that is that we study tonight the verbatim record of the suggestion that I ventured to make from the Chair, and also what the Prime Minister of France has said, and one or two others have said, and then try tomorrow to see whether we can draw up sufficiently clear instructions to enable our experts to draft the principles on which we would like to agree if we can at this Conference. Would that be an agreeable procedure? Then we will do that.

The next topic on the list that comes before us is quite a formidable one ‒Chapter 3, Control of armaments production (a)7which deals with strategically exposed areas. Perhaps it would be useful if we could have some preliminary discussion upon that this evening. Any of my colleagues would like to make some observations upon it? This had its origin, of course, from the original EDC proposals dealing with certain special weapons.

M.SPAAK (BELGIUM): I think, Mr. President, there are two fields, and they are very different, one being fairly easy to conceive, and the other raising a large number of questions of all kinds, economic, financial, military and political. What seem to me fairly easy to conceive is the matter of control, and one day possibly eventually the question of the strategically exposed zones. On the other hand what seems to me very difficult to conceive at the moment clearly is the armaments pool, and there I think before beginning our discussion either we should ask the Prime Minister of France to explain more at length the system which he has in mind, or possibly to submit a more detailed text, because looking more carefully at this French proposal I should like to say that in principle I am not against it; in many ways it shows angles which are to me sympathetic and useful. In examining this memorandum I want to make a number of objections, at any rate I want to ask a number of questions, and before objecting to that or before asking questions it might be best if the French Delegation would itself state its position. I myself am prepared to ask questions, but I think it would be making the discussion more difficult. I think it would be better if the French Delegation would state their views, but if the French Prime Minister prefers it I am prepared to ask questions. Very well, the first question I want to ask, it is a kind of preliminary question, does the system which is considered for production of armaments apply to all forces whatsoever, those which are included in the pool or which are integrated within NATO, and to the other forces which one or the other of the countries might have outside that. On the matter of control ‒is it a question of production on one side or the other, does it refer to all the forces of a country? Other question are these: in EDC, there was an armament pool, and for that reason alone I am not opposed to the idea, but that was an armament pool which was surrounded by a large number of guarantees, which are part of the system, and being part of that system there was a technical authority which had a

Supra, nota 2.

certain independence, there was a political control exercised by political organisations, and there was a parliamentary control by Parliament; there was a common budget, and there were safeguarding clauses of an economic character. Other means conceiving an armament pool without all these clauses and all these guarantees, and possibly others which I do not think of at the moment; what on this matter is the position of the French Delegation? I think that is absolutely necessary to know before discussing this matter usefully. I said there were a number of questions ‒ there are probably others as well.

CHAIRMAN: M. Mendès-France?

M. MENDÈS-FRANCE: Mr. President, I feel that I am being questioned, and I shall do my best to answer the questions which have been put to me by M. Spaak. I was very happy to hear him say that in our suggestions there are matters which he is prepared to look at with sympathy, and the solution of which seems to him fairly easy; for instance, the question of control, the question of the strategically exposed zone. On the other hand, on the other matters, he has stated that he sees before him a paper which is not sufficiently detailed, not sufficiently worked out, and I would say that this criticism seems to be perfectly legitimate, because we have not tried to put before you a detailed proposal with definite, precise minutiae. We have tried to put before you some general principles in which we here, first of all, and our experts later on, could try to ascertain the most efficient and best solutions. As regards the general working of this system about which we are thinking, I would refer not only to the memorandum which you have all received but to the explanations which I stated this morning, on the attributions which would be those of the armament organisations which we would like to see set up within the Brussels Treaty. As stated by us this morning ‒and I mention it very quickly ‒the powers of this organisation would be as follows: first of all, this organisation could be asked to distribute the aid which we receive from outside, especially from the United States. That is one matter; there are many others, but that is one on which we based ourselves in the EDC. Even if we had not got that precedent, that first point seems a useful one, for this reason: if this armament agency must have within its responsibility the orders for armament of the different members, it is necessary that it should know what each receives in quantity and in kind, as external aid. The agency would not be able to place any orders without knowing what each member will have received from outside, and it seems logical and good administration that the same authority should distribute the supplies which are received free, and should also allocate armament orders to industry. On this last matter, the idea is that the agency which is to be set up, which M. Spaak called a pool ‒I see no objection to that name, though we deliberately did not use that word ‒this agency which is to be set up would have, it seems, to make a list at regular intervals of the needs of each member, and try to ascertain which is the best way of meeting these needs, by pushing the orders to the necessary parts of industry, with the object of getting the best possible standardisation, and might mean economy and standardisation and correlation of the equipment of the different armies.

In our view this armament agency would be therefore the client, and indeed the only client, of all armament industry on the continent ‒that is in the participating countries. That is to say, the armament factories would not, except for a few matters which are of no mention, would not be able to produce armaments either in quantity or quality except that ordered by the central agency. It would have a monopoly in all industries concerned. To this general principle it is necessary to have a certain number of indispensable exceptions, and here, in reply to one of the questions raised by M. Spaak, there is the matter of export. If a country draws funds in its external balance from the export of military material it is not intended to deprive them so that we could have a system where the countries when they would receive orders from abroad would inform the central agency so that the productivity could be developed but with the knowledge of the central agency which would help in the control and would also be able to check the truth of these orders. So I think, in the matter of exports there does not seem to be any great difficulty.

There is also the matter which has been mentioned, the need of member countries for forces which would not be integrated forces, for instance, the need of member countries for their forces outside Europe, for their overseas territories. There again, we could conceive a similar system. The countries would inform the central agency of the armaments necessary for their overseas forces so that that production could also be under the control of the central agency. It does not seem to me that here again great difficulties would arise.

The central agency would also have, as I have mentioned this morning, another responsibility as regards armaments. It would be a matter of entrusting to the agency an important duty for the setting up of new armament industry. No new armament industry could be set up without having obtained the authority of the agency. In that way the agency would have to take decisions as regards the location and the setting up of such armament undertakings and would obviously try to avoid the setting up of armament undertakings in zones in respect of which the military authority would have some doubts. Besides that and still speaking about armaments, the agency would have the duty of controlling, inspecting, in order to ensure that the decisions which it has taken should be respected. It would have to see that in certain cases prohibited production should not be set up. In other cases it would have to control that in such and such undertaking or such and such country the armament industry has not exceeded the quantity which has been authorised by the central agency. These would be the various duties of the central agency if it is set up.

Just now M. Spaak reminded us that an organisation similar to this or at any rate which could be compared had been thought of in EDC.That is of course correct and we have in fact drawn on that in order to prepare the proposals which we have submitted to you. However, M. Spaak said that in EDC we took a formula of that kind and mentioned certain of the guarantees there mentioned. Nothing seems to us to be against trying to find a similar type of guarantee in the Brussels Treaty. In Brussels there was a technical authority which was independent. In our case we have also an authority or committee of Ministers or deputies which would be under the Ministers’Council that would receive the powers necessary to execute its duties. In the centre there would have to be the cell which would have to be set up, and they would have an international centre which would be subject to international discipline only and which would have to fulfil the duties which would have been entrusted to it. Similarly there were in EDC clauses giving economic safeguards. It seems that a number of sections or matters of a similar kind would have to be included in the present instance, possibly not exactly the same wording ‒you know that we had certain criticism of that ‒but in the general spirit which these particular sections had. There is no reason at all why the same principles should not be inserted in the framework which we are trying to set up now.

All that which we have mentioned may seem at first sight to be a little complicated, but I do not think it is, because on a great number of these points we are referring to a precedent which we all know well, and we are trying to simplify not to complicate it. I would like to say that in order to lighten the system, and in order to avoid unnecessary complication, there would be no inconvenience whatsoever in mentioning that the organisation of which I have spoken would be only applicable to certain armaments, some [of] which are particularly efficient. As I said this morning, I did not foresee an international agency and such a careful control when it is a question of the manufacture of cartridges ‒not the same as in the case of heavy bombers. It is quite clear that the same rules, the same recommendation, is not necessary to the two different kinds of armaments, and we could ask our military experts at which level ought our rules to start to apply. I do not maintain that I have answered all the questions which are in the mind of M. Spaak, but I think I have possibly stated in more detail than I did this morning the general framework in which the French delegation would like to see set up this armament agency under the authority of the Council of Ministers of the Brussels Pact.

M. BEYEN (NETHERLANDS): Mr. Chairman, it will not be possible for me to make anything more than a few preliminary remarks on this very complicated subject. Very likely amongst the various proposals which we will discuss during this conference it is the most complicated of them all, because anything that has to do with the direction and control of production is bound to be complicated. All I want to do today is just make a few preliminary remarks on what has been said and principally on this subject. I do not think that the fact that something of this kind was known in the EDC Treaty necessarily means that something similar can be incorporated in the sort of association we are discussing now. In the EDC Treaty two things were very clear; first of all the objective of the organised control on production was clear, and the responsibility for that control was clear. The responsible organ was the same that was responsible for the Army, and therefore it was quite logical that it would carry the responsibility also for the production of armies. Under the arrangement we are discussing now such a clearly defined responsibility would not be found any more, because under the arrangement we are discussing now the national Governments would remain responsible for production of the Army. Therefore it would not be the same authority any more that would be responsible for the Army, and that would be responsible for the production of arms.

As to the objective I am not quite clear from what I have heard what we really are aiming at in establishing this control. Is it our intention to control so that armaments should be produced as efficiently and cheaply and well as possible, or are we wanting to limit armament production for the sake of limiting armament production. Those are two entirely different aims, and confusion of those aims has a great deal to do with the responsibility of the agency controlling, because it is all very well to say there will be a technical agency consisting of alternates of Ministers, or whatever it is, and therefore ultimately responsible to the Council of Ministers all representing, of course, their Governments, but the one question one has to ask oneself immediately is, in fulfilling its task what should this agency have in mind? Should it have in mind that production should be cheap, efficient, standardised, or should it have in mind that production should be limited? I am afraid ‒I mean I do not intend to go very far into this point, although I think it is of very great importance ‒I think we should not underestimate the difficulties and confusion that might result from this lack of clarity in the objective, and in the responsibility for the control of armament production. It is all very well to talk about some drop of supra nationality which we retain and that might sound very attractive to the ... to think that the future of Europe depends on the creation of supra national organisations, but we would fool ourselves if we were to think that the main fact that a majority would decide about something would establish a supra national organisation. We have various international organisations where in some respects and in some cases, often in many cases, the principal or the majority vote is established. As an example I give you the International Bank and the International Monetary Fund. I do not think any of us present would pretend that those are supra national organisations. Therefore the fact alone that there would be a majority vote deciding on certain things is not in itself establishing a supra national organisation. I do not want to be mistaken. I cannot after all pretend to bring any supra national element into what we are planning now. I think we have made our choice, not quite voluntarily, but we have it, and we are now talking not any more about a community but we are talking about an association. When talking about an association we have to realise that we are talking about a different kind of animal, and that we cannot just say this was in the other set up and it is all accepted and seems to be accepted by everybody and let us take it over because it looks so nice, and why should we not do it in the other organisation we are having. It is not as simple as all that, and one question, of course, arises in connection with this idea right away. We all know that one of the consolations for having made, or having had to make, this choice is that we are now talking about the European organisation which we all hope would be alive and useful in which the United Kingdom will participate, and I want to stress again the fact that the United Kingdom will participate and the fact that the United Kingdom took the very welcome initiative is a great consolation to me for the loss of the late lamented EDC. But how is the United Kingdom to fit in to the responsibility, and the decisions about a control of armament production in which it clearly is not going to participate at all. Therefore, Mr. Chairman, although I am not at this moment able to give you any well defined or definitive judgment on the French proposal, I want to stress already at this moment that I see some very grave objections of principle, and I see some very grave objections of a practical kind. I will not at this particular moment talk about the peculiar position in which smaller nations might find themselves under this set up. There is one thought which I would like to bring up at this moment and which I think we might consider. I think we are all convinced that we should come here to a quick decision, and that therefore we should avoid getting into matters that would ask for long negotiation. Therefore I think we must strive to be quite clear about what we are aiming at, and quite apart from the possibility of later on doing something different, more elaborate, this conference should try to get at the simplest and most effective solution of the problems that pose themselves to us at this moment. I understand the thoughts of our French colleagues work ‒I feel extremely grateful to them‒that they are concerned with the efficiency of armament production, and with the awkward problem of standardisation, but if I am understanding the problem well, what they are concerned with in connection with this specific problem we are dealing with is the control, the limitation of armaments. And one question which I want to bring up this afternoon is whether, if that is the problem we have to solve quickly, it is not a more simple and just as efficient, or more efficient way of dealing with that aspect than a control of armament production. And I think, Mr. Chairman, in discussing this particular proposal, and this particular problem ‒and I am sure we shall have to devote quite some time to it in the days to come ‒I would suggest that we do not forget to ask ourselves whether for the moment, and in the interests of this conference, and in the interests of quick ratification in all our countries and all our Parliaments of the results we hope to attain, it is not wise to ask ourselves as a preliminary question whether the real specific aim we are after cannot be solved in a simpler and maybe as efficient way than it would be solved by the proposal to control the production of armaments.

CHAIRMAN: I think it is clear that this difficult topic of 3(b)8, the arms pool, is one on which we cannot expect at the end of the day’s session to make any very considerable progress. I think on that one we shall have to have more thought, and we shall have to examine the text of today’s discussion and the comments that have been made. On the other hand, I think 3(a), which has had less attention, is perhaps a topic where there is really a fairly wide measure of agreement, which we might take note of. I think it is agreed not to manufacture what I think I called massive armaments in strategically exposed areas ‒that principle was agreed in EDC, and it does not raise the very real difficulties which we have just discussed in connection with the 3(b), the arms pool of conventional weapons. And there was, my colleagues will remember, a list of such massive weapons which should not be made too near the front line, that was attached to Article 107 of EDC. It may need revision today, but it would seem I think that we are agreed that whatever may be desired in the field of conventional arms, we do want to uphold the EDC principle that so-called massive arms should not be made in strategically exposed areas.

My colleagues have no further comments? Perhaps we might resume the discussion of these three tomorrow at our opening session when everybody has had an opportunity to discuss ‒to examine ‒the minutes of tonight’s discussion. Is that agreed?

Then perhaps we could, if you are willing, look at this draft communiqué which we have ventured to circulate. It has no particular merits. If anybody would like to change any part of it, or all of it, perhaps they would say so when they have read it through. Have you all got copies?

I think line 4 should be ‒«Her Majesty’s Government in the United Kingdom» ‒I apologise!

Have my colleagues read the communiqué ‒any comments? It is suggested that in paragraph 4 after the sentence saying that the French Prime Minister made a statement there should be added «Other Ministers, including the Italian Minister of Foreign Affairs and the German Chancellor, also made statements». Would there be any objection to that? Then we will add those words. «Other Ministers, including the Italian Minister of Foreign Affairs and the German Chancellor also made statements». Any other comment on the communiqué?

8 Supra, nota 2.

M. MENDÈS-FRANCE (FRANCE): Mr. President, I would like to suggest two slight changes to the penultimate paragraph. Instead of the formula «for the termination of the Occupation regime in Germany» ‒«measures to take in order to give full authority to the German Federal Republic» in order to avoid the words «occupation regime».

CHAIRMAN: I think in English there really are only two phrases which describe the situation, either what we have got here, or «to restore full sovereignty». Mr. Chancellor?

MR. ADENAUER (GERMANY): I should think it would be sufficient to say «to discuss arrangements for the ending of the occupation regime». The rest follows automatically.

MR. DULLES (US): What is the present proposal?

CHAIRMAN: The present proposal is to amend the phrase «to discuss arrangements for the termination of the occupation regime in Germany» to «in order to give full authority to the German Federal Republic». The Chancellor said he preferred to retain the words in the text as they now are.

MR. DULLES (US): Would it not be more accurate to say «the termination of the occupation regime in the German Federal Republic»?

CHAIRMAN: It would really.

MR. DULLES (US): Because we do not intend to terminate the occupation re

gime in Berlin. CHAIRMAN: And we cannot terminate it elsewhere! Would you agree with that?

M. MENDÈS-FRANCE (FRANCE): Yes. CHAIRMAN: There was one other point I think you had?

M. MENDÈS-FRANCE (FRANCE): The last paragraph of the present draft says that the principle of the adhesion to the Brussels Treaty and to NATO is already accepted, while in fact we are of course discussing that. Would it not be best to say «The nine Ministers met again at 4.30 p.m. and have undertaken the examination of the conditions under which the German Federal Republic and Italy could adhere to the Brussels Treaty and the entry into NATO of the German Federal Republic ‒the examination of the conditions in which ultimately the adhesion of these could take place»?

CHAIRMAN: I wonder whether perhaps this formula would meet M. Mendès-France‒I think it would be more strictly accurate as to where we now are in the paper «began their discussion of the arrangements which would be made in connection with the adherence of» and then as in the text «the German Federal Republic and Italy to the Brussels Treaty and the German Federal Republic to NATO». Would that meet you?

M. MENDÈS-FRANCE (FRANCE): No, Mr. President. That would raise the same objection as the initial draft.

CHAIRMAN: May I try one more suggestion which I think might meet everybody ‒I hope so. « ... and began their discussion of the arrangements» as in the text «which would make it possible for the German Federal Republic and Italy to adhere to the Brussels Treaty and the German Federal Republic to enter NATO».

M. MENDÈS-FRANCE (FRANCE): Is there any objection to the draft which I

suggested, Mr. President? CHAIRMAN: (After a long pause) Can you make us privy to your agreement?

M. MENDÈS-FRANCE: Mr. Chairman, I think, as I understand, that we can put: «...undertakenthe examination of the conditions in which the adhesion of the German Federal Republic and Italy could intervene in the set up».

CHAIRMAN: I think it would run, in English, subject to correction: «Ministers could again begin their discussion of the arrangements under which the German Federal Republic and Italy could adhere to the Brussels Treaty and the German Federal Republic could enter NATO». That is how I think it would run, in English. Is that right? Is that accepted? Has anybody any objection to that? That communiqué is agreed. I have only one other remark to make before we break up. The Brussels Permanent Commission are anxious to meet with their German and Italian representatives tomorrow afternoon, and think it is desirable that that work should go ahead. They would like to meet at 3 p.m. tomorrow, and if that were agreeable to the Conference I suggest then that the Ministers in the plenary meeting should meet at 4 o’clock instead of at

3.30 tomorrow afternoon. That is of course additional to our meeting at 11 o’clock tomorrow morning. Would that be all right? If there are no more points, our meeting is adjourned for the day.

(The proceedings were adjourned accordingly).

3. CONFERENZA DELLE NOVE POTENZE (Londra, 29 settembre 1954, ore 11,10)9

Verbale10.

La seduta si inizia in ritardo essendosi protratto più a lungo del previsto l’incontro tra Adenauer e Mendès-France.

DULLES: Dichiara di essere contrario a verbalizzare le sedute. Ciò rende meno libera la discussione.

EDEN: Si dichiara d’accordo e annuncia che da oggi non si faranno più i verbali delle sedute plenarie.

SPAAK: Egli ritiene opportuna una revisione annuale dei contributi dei sette Paesi nel Quadro del Patto di Bruxelles. È del parere che convenga fissare in sede Bruxelles un contributo da fare successivamente approvare dal NATO. Ogni anno i Paesi partecipanti si metteranno tra loro d’accordo per fissare i limiti massimi delle loro forze e poi presenteranno l’accordo fra loro raggiunto in sede NATO.

MENDÈS-FRANCE: Approva quanto detto da Spaak e si dichiara favorevole a che, in sede del Patto di Bruxelles, intervenga ogni anno una decisione unanime per

9 DGAP, Uff. IV, Versamento CED, 1950-1954, b. 26, fasc. 93.

10 La verbalizzazione ufficiale dellesedute, come risulta dal documento, fu sospesa per consentire maggiore libertà di discussione. Agli atti del Ministero, si conservano una serie di sottofascicoli contenenti, per ciascuna giornata, la verbalizzazione delle sedute verosimilmente redatta dalla delegazione italiana. Essa è costituita dai verbali delle sedute antimeridiane e da appunti manoscritti relativi, per lo più, alle sedute pomeridiane. L’ultima riunione tenutasi il 3 ottobre è documentata soltanto dagli appunti manoscritti.

fissare i livelli massimi. Tale decisione dovrà naturalmente intervenire prima della revisione annuale NATO. Si tratta di armonizzare le due decisioni per i livelli delle forze (livello massimo in sede di Patto di Bruxelles, e livello minimo in sede NATO). I due livelli possono coincidere e potrà anche talvolta esistere un margine tra quello fissato in sede di Bruxelles e quello NATO (livello massimo superiore a quello minimo NATO). Mendès-France preannuncia la distribuzione di un promemoria della Delegazione francese11 (che viene distribuito) sottolineando il fatto che non c’è nessuna contraddizione tra il punto di vista dei francesi e le dichiarazioni di Eden alla seduta precedente.

EDEN: Da un superficiale esame del documento francese eglilo ritiene molto differente di quello inglese12(che viene pure distribuito). Viene deciso che gli esperti esamineranno i due documenti nei loro particolari. Verrà creata un’apposita Commissione di esperti, con due delegati per ogni Paese, che, nell’esame dei documenti francese e inglese, dovranno tenere anche conto delle osservazioni di Spaak.

ADENAUER: Desidera precisare che da parte tedesca ci si accontenta del livello delle forze fissato in sede CED. Tuttavia data l’evoluzione della strategia militare in questi ultimi anni, i tedeschi intendono poter costituire, entro tali livelli, delle unità di tipo diverso di quelle previste a suo tempo dall’accordo speciale CED che risale a oltre tre anni fa.

EDEN: Chiede se ci siano obiezioni. Tutti si dichiarano d’accordo. Si tratta ora di determinare quali sono le zone che dovranno essere definite come strategicamente esposte e che tipi di armamenti non potranno essere fabbricati in tali zone.

MARTINO: La denominazione «zone strategicamente esposte» ha bisogno di qualche spiegazione. Si tratta tuttora delle zone previste dal Trattato CED (art. 107)?

MENDÈS-FRANCE: Da parte francese si sarebbe anche d’accordo a riprendere quanto concordato in sede CED per le zone strategicamente esposte. Se tale formulazione non dovesse essere accettata, si cercherà invece di elaborare un sistema diverso e più agile (souple) basato tuttavia sugli stessi criteri.

EDEN: La Conferenza deve ora pronunciarsi: intendiamo considerare come zone strategicamente esposte quelle previste dal Trattato CED con gli stessi divieti di produzione?

ADENAUER: Propone di passare la questione agli esperti.

SPAAK: Ritiene inutile rinviare la questione agli esperti non essendo ancora decise le linee politiche da seguire. Insiste sulle necessità di prendere delle decisioni politiche prima di affidare il problema agli esperti. Ritiene necessario un controllo sugli armamenti, che c’era già nella CED, ma che non esiste nella NATO. Si tratta di sapere chi deve esercitare tale controllo, NATO o Patto di Bruxelles. Sarebbe stato più logico affidare il controllo al NATO, ma egli dichiara rendersi conto che i motivi di politica parlamentare che [sic] spingono Mendès-France a cercare di presentare la nuova organizzazione del Patto di Bruxelles come un sistema intermediario tra CED

11.

Si fa riferimento al doc. NPC (54) 10, Confidential, 29th September, 1954, Proposals by the French Delegation on Item C. 1 of the Agenda («submitted by the French Delegation for inclusion in the Conference Agenda of the Third Plenary session on 29th September»).

12 Si fa riferimento al doc. NPC (54) 11, Confidential, Working Draft («tabled by the United Kingdom Delegation at the 3rd Plenary Meeting, September 29»): vedi FRUS, 1952-1954, Western European Security, vol. V, Part 2, D. 131.

e NATO. Spaak si rende anche conto dell’impossibilità di far effettuare il controllo da parte del NATO dato che il controllo deve essere limitato ai sette Paesi interessati. Spaak ritiene che il controllo per i livelli delle forze e il rispetto dei divieti di fabbricazione in determinate zone è facilmente attuabile, ma considera di difficile realizzazione il progetto francese per un piano di produzione in comune. Spaak ritiene che ogni Paese si dovrebbe limitarea produrre il materiale necessario ad armare le proprie divisioni e che i controlli dovrebbero essere effettuati in tal senso. Egli perciò insiste sul concetto del controllo e sottolinea le grosse difficoltà pratiche per l’attuazione di un piano comune di produzione.

MENDÈS-FRANCE: I francesi non prevedono un pool della fabbricazione. Si tratta soltanto di creare un’organizzazione che ha per incarico di determinare i bisogni delle forze e di passare le commesse. La ripartizione del materiale dovrebbe poi essere effettuata dalla stessa Organizzazione sempre nel quadro del Patto di Bruxelles. Tale sistema avrebbe per vantaggio di portare alla standardizzazione del materiale bellico (già in corso a causa del materiale americano in dotazione alla maggior parte delle forze dei Paesi partecipanti), alla fabbricazione in serie che permetterebbe di diminuire i costi di produzione e segnerebbe l’inizio di una cooperazione economica europea attraverso le fabbricazioni comuni di mezzi bellici. Sarebbe opportuno dare un mese di tempo agli esperti per esaminare questi problemi e la possibilità di riprendere anche a questo riguardo un certo numero di articoli del Trattato CED, in modo da portare i lavori ad uno stadio che permetta poi di prendere rapidamente delle decisioni politiche.

ADENAUER: Desidera fare una domanda a Mendès-France. La Repubblica Federale non ha attualmente nessuna attrezzatura industriale in grado di fabbricare del materiale bellico ed egli desidera sapere da Mendès-France se i francesi ritengano che anche in avvenire tale situazione dovrà rimanere la stessa. Dato che tra poco ci saranno nuovamente delle forze armate tedesche, si creerà una situazione estremamente difficile anche dal punto di vista psicologico per il soldato tedesco, che non potrà in nessun caso disporre di materiale fabbricato nel proprio Paese.

MENDÈS-FRANCE: Desidera chiarire che la contribuzione tedesca alla difesa è prevista in uomini e mezzi e perciò anche da un contributo tedesco nel campo della produzione di materiale bellico. Le zone considerate strategicamente esposte non coprono tutto il territorio della Repubblica Federale né sono esclusivamente limitate alla Germania. Inoltre la Germania parteciperà a delle fabbricazioni comuni in zone non strategicamente esposte.

EDEN: Si tratta di determinare che tipi di armamento dovranno essere sottoposti ai controlli e la Conferenza ha ormai raggiunto un accordo sul fatto che solo le armi più importanti devono essere sottoposte a controllo. Si tratta ora di determinare come funzionerà tale controllo. È sorta una differenza di opinioni tra Spaak e Mendès-France ed è perciò opportuno che Spaak faccia avere le sue idee in un documento. Noi dobbiamo assolutamente riuscire a prendere una decisione entro questa settimana sul fatto che il controllo abbia luogo attraverso l’Organizzazione di Bruxelles e sul modo come tale controllo verrà attuato.

MENDÈS-FRANCE: Non si tratta di una materia nuova, dato gli studi effettuati per l’applicazione del Trattato di Parigi e occorre vedere oggi quali clausole del Trattato CED possono essere riprese. Spaak ha parlato soltanto del controllo lasciando da parte la questione delle zone strategicamente esposte, della ripartizione degli armamenti e degli aiuti esterni, delle fabbricazioni da effettuare in comune. In tal modo rimarrebbero soltanto i controlli, ma non la parte costruttiva delle proposte francesi. Il progetto francese va al di là di quanto il Trattato CED concedeva ai tedeschi per quanto riguarda la possibilità di produrre del materiale bellico.

SPAAK: Dichiara di non veder chiaro e di non aver capito bene le spiegazioni del Signor Mendès-France soprattutto in materia di produzioni da effettuare in comune.

EDEN: Chiede a Mendès-France di far redigere un documentocon le sue idee per quanto riguarda le produzioni in comune. Così ci saranno due documenti da sottoporre agli esperti: uno belga sul controllo e l’altro francese, nel quale Mendès-France esporrà tutte le sue idee per quanto riguarda la questione della ripartizione degli armamenti e quella delle produzioni in comune.

4. CONFERENZA DELLE NOVE POTENZE (Londra, 29 settembre 1954, pomeriggio)13

Appunti manoscritti14.

EDEN: Introduce item Security Declaration15.

ADENAUER: Dichiara, come già altre volte, che non ha la moindre intention di riunificare con la forza. Le 3 potenze hanno fatto per Berlino dichiarazione del 27/5/52. Terrebbe che fosse ripetuta. Nel Trattato di Bonn è stato detto che le 3 Potenze e Germania hanno scopo politica riunificazione16. Sembra giusto che siano ripetute.

A richiesta Dulles, sarà fatto record dai tedeschi17.

EDEN: Dopo letto torneremo a discutere. Noi tutti «stand by» alle dichiarazioni di Bonn. Considereremo come potremo rifarlo nel quadro della Conferenza. Eden introduce item durata OTAN. Ripete sua posizione di aprile. Forse si potrebbe alla fine Conferenza statuire che nessuno di noi «conceive no moment in which the Treaty could be denounced».

SPAAK: Propone che protocollo di Bruxelles abbia dizione «la stessa durata che NATO».

ROBERTS: Trattato Bruxelles è 50 anni.

SPAAK: Insiste.

DULLES: Forse non così semplicemente come dice Spaak, ma forse può studiarsi formula dal punto di vista giuristi su linee Spaak.

13.

DGAP, Uff. IV, Versamento CED, 1950-1954, b. 26, fasc. 93.

14.

Appunti manoscritti per la preparazione del verbale con il numero “4” sul primo foglio.

15.

Supra, nota 2.

16.

Nell’interlinea è stato aggiunto: «Trattato di Pace».

17.

NPC (54) 21, Confidential, September 30, 1954, Declaration by the Cancellor of Federal Republic Germany («Statement made by the Head of the Delegation of the German federal Republic at the Fourth Plenary Meeting on September 29th»).

SPAAK: La decisione politica è che i due Trattati sono tra loro collegati anche nel tempo. La formula si troverà.

EDEN: Si può rinviare alla Commissione Bruxelles. Così si decide.

EDEN: Introduce l’ultimo item18.

DULLES: Quando sembrava probabile che Parlamento Francese passasse EDC abbiamo fatto dichiarazione. Essenza era che US avrebbe continuato a mantenere … (legge)...fino a «defence of the area». Tale dichiarazione fu fatta dopo consultazione con leaders 2 partiti Congresso ed è il massimo consentito dalla Costituzione. Il Presidente ha il diritto di Comandante in capo e può disporre forze: il Congresso non può intervenire. Ma il Presidente non può legare i suoi successori. Perciò non è possibile costit(uzionalmente) a US impegnarsi con Trattato, legge o altro a mantenere forze qui o là. La dichiarazione fatta è il massimo consentito dalla Costituzione, essendo una dichiarazione di intenzione politica. Piano Marshall, Patto Atlantico ([cambiamento]19 fondamentale di politica) sono state prese in ragione integrazione europea [dimostrata]19 da Trattato di Bruxelles. Nostra politica si basa su amicizia e pace tra Europei: se cambia, nostra politica cambia: «put our troop» in un posto sicuro e pacifico. Come la situazione è oggi il Presidente SU non purinnovare tale dichiarazione. Vi è stata gran disillusione, in parlamento prevale no «long term committal». Spera che questa Conferenza possa permettere che si rinnovi la dichiarazione. Nucleo Bruxelles per Europea unità sarebbe disposto a raccomandarlo al presidente, «genuine and durable unity». Vogliamo fare tutto il possibile per eliminare una situazione che ha portato tante guerre. Lo abbiamo dimostrato dopo la guerra con tante iniziative. Questa disposizione continua, se il movimento per l’unità continua e non ci si avvia verso disunità. Bandiera …

EDEN: È quanto ci potevamo aspettare. Quel che US ha fatto non può essere facilmente dimenticato. Per quanto lo riguarda le parole di Foster Dulles saranno considerate con tutta la simpatia e farà di tutto per andare avanti. Il nostro paese ha una parte da giocare. Storia. Serie di impegni: Trattato, agreement, declaration. Sono pronti a riaffermarli. Alcuni sono inapplicabili per [sparimento]19 CED. Di questi parte saranno riprodotti in questa Conferenza (automaticità, in Trattato Bruxelles, consultazione [su]19 livello etc […]20). Ma vi è un punto su cui ci vorreste più chiari per assistere i lavori di questa Conferenza: livello forze sul continente. UK continuerà a mantenere sul continente, incluso Germania, the effective strenght of UK che sono ora ass(egnate) a Saceur, 4 divisioni e Tactical Force o equivalente (see Saceur). The UK si impegna a [...]20a non [ritirarle]19 contro volontà maggioranza membri Bruxelles. In caso urgente necessità per altre esigenze possono essere obbligati non rispettare; se pesa troppo finanziariamente, possono chiedere a Consiglio Atlantico di rivedere condizioni finanziarie. È un passo passo. Noi lo facciamo nello spirito Dulles per successo Conferenza e ricreare confidenza e dare esempio unità al mondo. Dipende naturalmente da out-come della conferenza: se non riesce Governo non si sentirà committed.

MENDÈS-FRANCE: Quello che abbiamo udito sarà profonda contribuzione ad avviarci su buona strada. Siamo grati a SU e lo saremo ancora per quello che farà, se risolvono i nostri problemi. Quel che ha detto Eden è un elemento essenziale che

18.

Supra, nota 2: «United Kingdom and United States Declaration».

19.

Lettura dubbia.

20.

Parola illeggibile.

giocherà ruolo su svolgimento Conferenza e egli si “réjouit” che oltre la contribuzione politica venga ora la militare. Elemento fondamentale per pace in Europa.

SPAAK: Si associa sottolineando sovrattutto dichiarazione Eden cui è riconoscente.

ADENAUER: Siate convinti che il popolo dalle due parti cortina è con noi per ringraziarvi per [assistenza]19 che ci date. Noi siamo coscienti dei doveri che ora pesano per noi per rispondere al loro gesto. Dichiarazioni in processo verbale – d’accordo.

MARTINO: Point out che Delegazione Italiana apprezza il gran effort UK [is making]19 for contribuzione. Decisivo peso su corso conferenza.

BECH: Si associa.

BEYEN: Si associa.

PEARSON: Si associa su importanza dichiarazione Eden. Per dichiarazione Dulles dice che occorre ponte anche su Atlantico. Canada farà tutto quel che può in tale senso. Siamo qui per trovare alternativa in cui Germania abbia parte che merita, anche in NATO. Collaborazione nel NATO è fondamento politica Canada. Anche militare (dice quello che facciamo). Per Bruxelles sperano che [arrangiamenti]19 non risulteranno in diminuzione potere atlantico. E sono certi che US continueranno a contribuire e Dulles ce ne ha dato hope e spera che lavoro questa settimana lo permetterà.

EDEN: propone lasciare libertàa delegazione comunicare e commentare quel che si è detto oggi. Propone anche breve comunicato21.

T NPC held.

5. CONFERENZA DELLE NOVE POTENZE (Londra, 30 settembre 1954, ore 11,15)22

Verbale23.

[EDEN: Commissione Bruxelles ha fatto buoni progressi. Relazione. Relazione altra commissione: limit(azione) prima, passare poi controllo produzione armamenti.

MASSIGLI: Commissione con rappresentanti Italiani e Tedeschi. Respinti emendamenti. Testo originale. Proposta di Spaak di ridurre a 15 anni. Non è stata accettata. Emendamenti per rafforzare unità e promuovere integrazione. Non si poteva cominciare ridurne durata; ripresa parte CED per collaborare con NATO.

EDEN: Conferenza si deve pronunciare.

21.

I testi delle dichiarazioni fatte da Dulles, da Eden e da Pearson durante la quarta riunione circolarono comedocumenti della Conferenza rispettivamente con i numeri NPC (54) 12, 14 e 17 del 29 settembre e furono inclusi nell’Atto finale (vedi D. 12, Allegati II A, B e C). Il comunicato corrisponde al doc. NPC (54) 13, September 29, 1954, Press Release.

22 DGAP, Uff. IV, Versamento CED, 1950-1954, b. 26, fasc. 93.

23.

Il verbale dattiloscritto sviluppa soltanto una parte degli appunti manoscritti. Le lacune ‒all’inizio e alla fine della seduta ‒sono state pertanto integrate con il testo degli appunti posto fra parentesi quadre.

SPAAK: Non è d’accordo, ma la cosa gli è indifferente.

EDEN: Insert article EDC Treaty. D’accordo. Testo sarà distribuito in mattinata. Papers Spaak e Mendès-France. Production of armaments.

DULLES: Committee to draft the final act of the Conference. Difference of opinion may come out. Accordi su molti punti. Espone i nostri scopi. Designare membri delle delegazioni per dichiarazione finale della Conferenza.

EDEN: D’accordo. Comitato creare stamane, definire gli elementi da mettere nel comunicato. Question contrôle des armements. Spaak faccia qualche commento sul suo documento].

SPAAK: Invitato dal Presidente ad illustrare la nota della Delegazione belga sul controllo degli armamenti24, mette in rilievo che essa contiene due punti fondamentali:

1) divieto di fabbricazione di talune armi; 2) limitazione della fabbricazione di altre armi.

Per quanto concerne il punto 1) sono state riprese le idee essenziali del Trattato CED. Per la nozione di «zone strategicamente esposte» si è fatto riferimento all’art. 107, alle decisioni del Consiglio dei Ministri di Strasburgo del 23 maggio 1952 e alla lettera del Cancelliere Adenauer del 27 maggio 1952. Le armi da vietare in tali zone dovrebbero essere quelle A, B, C.

Per quanto riguarda il punto 2) ritiene che la limitazione della produzione dovrebbe riferirsi soltanto agli armamenti pesanti, cioè aerei, cannoni, carri armati. Il resto dovrebbe essere esente da controlli.

I limiti consentiti per la produzione dell’armamento pesante dovrebbero essere determinati in relazione ai fabbisogni delle forze autorizzate dal NATO o dagli organi del Trattato di Bruxelles (quest’ultimo punto da esaminare dagli esperti). La limitazione comprende, oltre la produzione, anche la costituzione di stock e il rinnovamento dei materiali. Per determinare i fabbisogni delle forze si potrebbero utilizzare gli elementi statistici che ogni anno i Paesi sottopongono al NATO. Un altro criterio sarebbe fornito dalle raccomandazioni di Shape alla Organizzazione del Trattato di Bruxelles. Infine si dovrebbe tener conto anche degli aiuti esterni.

Il controllo non può essere limitato alle forze NATO ma deve essere esercitato sulle forze non integrate nella NATO. Altrimenti il controllo sarebbe del tutto inefficace. Nel sottolineare l’importanza di questo punto propone che gli Stati siano tenuti ad indicare agli organi del Trattato di Bruxelles i fabbisogni per le forze nel NATO. Inoltre occorre segnalare i contratti di importazione ed esportazione di armi.

In vista di ciò, è necessario costituire un’agenzia, organismo amministrativo autonomo, responsabile davanti al Consiglio dei Ministri di Bruxelles. Il Consiglio dovrebbe prendere le sue deliberazioni, nella maggior parte dei casi, a maggioranza. Se l’Agenzia constata una infrazione da parte di qualche Paese, deve segnalarla al Consiglio che, per porre rimedio a tale stato di cose, dovrà decidere a maggioranza e non all’unanimità. Bisogna dunque che i Paesi accettino di sottomettersi all’autorità del Consiglio.

24.

NPC (54) 16, Secret, September 29, 1954, Memorandum on the Control of Armaments («tabledby the Head of the Belgian Delegation for consideration at the Fifth Plenary Session, September 30»): vedi FRUS, 1952-1954, Western European Security, vol. V, Part 2, D. 132.

L’Agenzia dovrebbe fare il rapporto sulla propria attività ad una organizzazione parlamentare ma ciò non è indispensabile, anche se potrebbe dare nuovo vigore al concetto di una Europa organizzata. L’Assemblea parlamentare potrebbe essere quella della CECA integrata dai delegati inglesi oppure una parte del Consiglio di Europa.

MENDÈS-FRANCE: Aderisce in linea generale alla nota belga ed ai commenti di Spaak, ritenendo che non vi sia contraddizione con la posizione francese. Pertanto si limita ad aggiungere qualche considerazione nella stessa direzione.

Per evitare errori di interpretazione ritiene anzitutto che bisogna evitare che ciascun Paese proceda per proprio conto alle produzioni che gli sono necessarie; bisogna invece che la produzione sia orientata in comune da un organismo posto sotto il Consiglio del Trattato di Bruxelles.

Ciò faciliterebbe anche le operazioni di controllo sulla produzione.

Per quanto riguarda il punto 1) del documento belga, relativo al divieto di talune produzioni, Mendès-France si dichiara d’accordo, qualora resti inteso che le armi oggetto del divieto siano quelle dell’annesso 2, art. 107.

Per quanto riguarda il punto 2) del predetto documento, si dichiara d’accordo che il controllo debba esercitarsi sulla produzione di tutte le armi prodotte sul continente per fabbisogni delle forze NATO e non NATO e per l’esportazione. Ritiene tuttavia che non sia il caso di comprendere le produzioni effettuate al di fuori del continente europeo.

Per quanto riguarda i fabbisogni per le forze non NATO e per l’esportazione, ritiene che sia sufficiente la procedura della notificazione agli organi del Trattato di Bruxelles.

Per quanto riguarda la proposta di utilizzare l’Assemblea della CECA oppure il Consiglio di Europa, il Presidente francese sottolinea la delicatezza della questione in rapporto anche alle prospettivefuture. Comunque si dichiara favorevole per la utilizzazione delle Delegazioni nazionali al Consiglio di Europa per diverse ragioni: 1) esiste già la Delegazione britannica; 2) non è escluso che Paesi non appartenenti alla CECA aderiscano al Trattato di Bruxelles; 3) è opportuno valorizzare il Consiglio d’Europa per ragioni di politica generale.

Riferendosi, infine, all’ultima parte della Nota belga Mendès-France precisa che non è l’Agenziache rende conto all’Assemblea ma il Consiglio dei Ministri, in quanto l’Agenzia è un organo amministrativo responsabile solo davanti al Consiglio.

BEYEN: Si dichiara d’accordo con la proposta di Spaak e desidera che venga precisato che ciascun Paese deve produrre per i propri fabbisogni.

Si dichiara favorevole alla proposta di render conto ad un’Assemblea parlamentare; ritiene, infine, accettabile l’idea di Mendès-France di costituire un’Agenzia per la standardizzazione dei materiali.

MARTINO: Esprime la propria soddisfazione nel constatare che tra le idee di Spaak e quelle di Mendès-France si sia raggiunto un accordo. Si dichiara favorevole alle proposte di Spaak con riserva di presentare talune osservazioni in sede tecnica.

Per quanto riguarda la nozione di «zone strategicamente esposte» è d’accordo con l’ipotesi di lavoro suggerita da Spaak e assicura il contributo della Delegazione italiana per trovare una soluzione in sede tecnica.

EDEN: Ringrazia Spaak per aver contribuito a trovare una soluzione dichiarandosi d’accordo con i criteri proposti. E in particolare:

-che il sistema di controllo sia limitato agli armamenti più importanti, sopra-tutto nei primi tempi;

- che il controllo si estenda alle forze non NATO.

Propone che la costituzione di un’Agenzia specializzata venga studiata dagli esperti, tenendo presente che il controllo attraverso il Trattato di Bruxelles non esclude l’aiuto degli organi NATO.

Infine, per quanto riguarda l’Assemblea ritiene che per l’Inghilterra sarebbe più agevole il ricorso al Consiglio d’Europa, ma questa questione deve essere approfondita e perciò propone che nella dichiarazione generale della Conferenza si affermi soltanto il principio, lasciando aperta la questione se si tratta del Consiglio d’Europa o della CECA.

DULLES: Chiede cosa sono le armi A, B, C. SPAAK: Risponde alle osservazioni fatte dai diversi Delegati.

1) La questione della produzione in comune, della standardizzazione e della distribuzione degli armamenti, proposta dalla Francia, è lasciata aperta.

2) Le armi A, B, C si riferiscono all’Annesso II, art. 107, cioè armi atomiche, biologiche e chimiche. Questa lista deve essere riveduta dagli esperti.

3) Bisogna approfondire la questione dei fabbisogni civili che nella CED non era trattata sufficientemente.

4) Per quanto riguarda l’esportazione e l’importazione è sufficiente un atto di notifica salvo controllo dell’avvenuta operazione da parte dell’Agenzia.

5) Per quanto riguarda la proposta di Mendès-France di escludere dal controllo le produzioni effettuate fuori del continente, ritiene che la questione debba essere esaminata dagli esperti.

6) Esprime il suo pieno accordo per quanto riguarda la proposta dell’Assem

blea di Strasburgo.MENDÈS-FRANCE: Desidera precisare i punti seguenti:

1) Secondo la proposta belga il divieto di fabbricazione nelle zone strategicamente esposte, dovrebbe riguardare le armi A, B, C, ritenendo che le altre categorie dell’Annesso II potrebbero essere utilmente comprese. Comunque la questione sarà esaminata dagli esperti.

2)Per quanto riguarda le esportazioni ritiene che non sia sufficiente la notificazione ma occorra una autorizzazione.

3) Circa le produzioni effettuate fuori del continente, rileva che possono essere introdotte nel continente stesso soltanto attraverso una importazione soggetta a controllo. BEYEN: Fa presente che gli aiuti esterni non devono essere considerati come importazione. EDEN: Propone che una commissione di esperti prepari un documento sulla base

del rapporto Spaak.MENDÈS-FRANCE: Illustra i punti fondamentali del documento francese25:

1) Il Bureau dovrebbe procedere ad un intervallo regolare all’esame concernente la standardizzazione e la scelta dei materiali.

25.

NPC (54) 19, Confidential, September 30, 1954, Note from the French Delegation on the Manifacture of Armaments («tabled by the French Delegation at the Fifth Plenary Meeting at September 30»).

2) I programmidevono essere preparati tenendo conto degli aiuti esterni sia in end-items che in commesse off-shore. Bisogna pertanto che il Bureau sia abilitato ad intervenire tanto nella ripartizione degli aiuti in materiali che nella ripartizione delle commesse off-shore.

3) Ciascun Paese pagherà i materiali che gli saranno forniti dall’Agenzia, prodotti in base a commesse passate esclusivamente dall’Agenzia stessa.

4) La creazionedi nuove fabbriche di armamenti deve essere sottoposta ad autorizzazione. Deve considerarsi come creazione di nuovo impianto anche l’avviamento di quelli già esistenti. La nuova creazione pone il problema delle zone strategicamente esposte: per trovare un sistema semplice si potrebbero riprendere i concetti già previsti dall’art. 107 del Trattato di Parigi. Il sistema delle autorizzazioni deve riguardare tutte le fabbriche di armi: private, di Stato, quelle che saranno create dal Bureau centrale del Trattato di Bruxelles e infine quegli stabilimenti che potranno appartenere, sempre nel quadro del Trattato di Bruxelles, a due o tre Stati.

DULLES: Desidera che siano chiariti taluni aspetti sulla responsabilità e autorità dell’organismo che controllerà la ripartizione degli aiuti in end-items e delle commesse off-shore. Attualmente gli end-items vengono forniti su raccomandazione di SACEUR. Se la nuova Agenzia del Trattato di Bruxelles [...]26.

[DULLES: Aiuti in end-item e commesse. End-item delivered in order of recommendation of SACEUR. The Bruxelles Council is a second authority. 2 conflicting authority. We have a right to see what happen with them. Offshore procurements policy of the USA. Agency established by Brussels Treaty cannot establish27 where the end-items shall come and where the offshore procurements will go.

BEYEN: Spaak ha chiarito molte cose. If we want to solve this problem along the line proposed by PMF, heading for serious difficulties the fact that they were settled in EDC reluctantly accepted as price for the community. Appeal to PMF not insist that, insist at this Conference on the question on compulsory allocation. Agreement passed by our Parliament in a shortest time. Standardizzazionenon urgente. Combined production non è attuale. Chiede a PMF non andare oltre, studieremo la questione per convincere di fare qualche cosa costruito e basato comprensione reciproca.

Intervento [...]28.

DULLES: [...]29.

PEARSON: Committee 2 o 3 weeks. Procedure NATO. Very satisfactory. Transferred that procedure we would like it. If in that transferred there should be some modification.

PMF: Ringrazia canadesi per inclusione Trattato di Bruxelles della sistemazione aiuti esterni. Capisco le preoccupazioni di Dulles. È naturale che le decisioni siano raccomandate da SACEUR. Questione di buonsenso. Coordinazione tra le decisioni per l’armamento aiuti esterni e produzione di ogni paese. Riferirsi a quello deciso in sede CED. Note idee, riprendere nella CED quello che era stato accettato da tutti, nessuna critica Parlamento francese. Offshore. Americani liberi di fare quello che voglio

26.

Il testo dattiloscritto termina così.

27.

Il testo reca per errore: «established».

28.

Parola illeggibile.

29.

Lacuna del documento.

no. Siamo andati molto lontano approvando rapporto Spaak. Si tratta delle questioni non coperte dal memorandum Spaak. Standardizzazione, diminuire prezzi. Una buona esperienza di cooperazione economica, cooperazione nel senso dell’espansione. Questo punto aveva la sua adesione. Chiedere agli esperti raggiungere un accordo.

EDEN: 3.30.

Bruxelle[s] document Working Group.

6. CONFERENZA DELLE NOVE POTENZE (Londra, 30 settembre 1954, ore 15,45)30

Appunti manoscritti31.

EDEN: Patto di Bruxelles. Adesione dell’Italia e della Germania. Esame documento32.

DULLES: Modifiche formali.

MASSIGLI: Difficoltà di elaborare un testo quando non si conosce ancora il vero contenuto dell’accordo. I protocolli annessi devono essere ratificati. Formula: invitare Italia e Germania ad un trattato esistente.

SPAAK: Era del parere di rifare il Trattato. Riservare parere definitivo quando si saprà il contenuto. Il trattato diventerà comprensibile soltanto attraverso la consultazione dei protocolli annessi.

EDEN: Ci vuole tempo per fare i protocolli. Possiamo aspettare di completare le disposizioni del trattato che ci siano i protocolli annessi? A questa Conferenza deve essere deciso la partecipazione tedesca e italiana. Documento rimane riservato fino alla fine della Conferenza.

DULLES: Quali saranno i poteri del Consiglio che dovrebbe essere un po’di più che consultativo. Il Consiglio deve essere qualche cosa di più.

SPAAK: La dichiarazione Adenauer sulla riunificazione, la dichiarazione Eden, sono dei protocolli addizionali.

MASSIGLI: Atto finale della Conferenza, ci sarà tutto ciò.

EDEN: Tutto ciò figurerà nella dichiarazione finale. Rivedere il testo. Cercare di rafforzare le funzioni del Consiglio. Groupe de travail. Documento NPC (54) 2333. Esame del rapporto.

SPAAK: Forze iniziali tedesche fissate nel quadro NATO? Quale è l’organizzazione generale del sistema.

WOOD: Precisare annesso prima dell’ingresso della Germania nella NATO. Si tratta di raggiungere un accordo per fissare le forze tedesche, in modo a fare entrare i tedeschi al NATO con una forza iniziale.

30.

DGAP, Uff. IV, Versamento CED, 1950-1954, b. 26, fasc. 93.

31.

Appunti manoscritti per la preparazione del verbale con il numero “6” sul primo foglio.

32.

Si fa verosimilmente riferimento al doc. NPC (54) 22 (Amended), Restricted, September 30, 1954, Draft Protocol to the Brussels Treaty. 33 NPC (54) 23, Confidential, September 30, 1954, Report by Working Party on German Defence Contribution and arrangements to apply to SACEUR’s forces on the Continent.

PMF: Bruxelle[s] fissa i livelli massima, testo dà impressione che NATO fissa minima e massima. 2 autorità incaricate a fissare due cifre, una minima e una massima

– che possono anche coincidere. Non accetta redazione.

SPAAK: Si tratta di conciliare due idee che a prima vista sembrano inconciliabili, «il faut partir d’une situation qui aujourd’hui confide à 12 divisions la contribution allemande, si NATO veut plus il faut demander l’accord de l’organisation de Bruxelles». Accordo soltanto a maggioranza.

ADENAUER: Spaak ha ragione – ma ciò si trova già alla lettera “g”. Le 12 divisioni tedesche non possono essere aumentate senza l’accordo di Bruxelles.

DULLES: Revisione annuale chiede approvazione all’unanimità.

EDEN: NATO preciserà quali forze saranno necessarie. Dopo Bruxelles dirà se il minimo NATO è accettabile come massimo.

PMF: Contributo tedesco 12 divisioni fissato in CED può essere modificato soltanto dall’unanimità. Noi proponiamo di estendere ai membri di Bruxelles quello che prima era fissato per i tedeschi.

SPAAK: Nella CED la Germania non entrava alla NATO. Problema facile fino a quando ci saranno 12 divisioni. Ma se un giorno la NATO dice che ce ne vogliono 14, Bruxelles dovrà precisare il suo punto di vista.

ADENAUER: Il Governo Federale non desidera avere più di 12 divisioni. In sede NATO la Francia si può opporre a ciò, sede NATO dove si decide all’unanimità. PMF: Sistema coerente e che vada per tutti. Autorità per fissare i limiti massima

– può essere soltanto Bruxelles e ciò all’unanimità. SPAAK: Contributo iniziale fissato in sede NATO o a Bruxelles? PMF: Bruxellesdeve fissare contributo iniziale, che può essere quello dell’accor

do speciale. Se ci fosse una revisione, ci vorrà una decisione dell’organizzazione di

Bruxelles – decisione all’unanimità o maggioranza.

EDEN: Per il livello indispensabile bisogna chiederlo al NATO.

SPAAK: Prima di riprendere per Bruxelle[s] l’accordo speciale dopo essersi assicurato che NATO è ancora d’accordo. Decisione maggioranza.

PMF: D’accord ‒circa maggioranza e unanimità difficile tornare indietro, su quel che è già stato accettato.

ADENAUER: Va bene unanimità ma pure per le diminuzioni.

EDEN: Fav(orevole) maggioranza ma accetta quello che gli altri vorranno.

SPAAK: Insiste per sistema voto maggioranza.

DULLES: Paragrafo “g” [si] presta [a] confusione. Bruxelles non può imporre a SACEUR delle forze superiori a quelle che vengono chieste da SACEUR. NATO fissa le cifre e a Bruxelles controllava per la questione dei livelli.

SPAAK: Riprendere il problema dall’inizio. Accordo specialenel quadro Bruxelles, sottoponendo al NATO, se nel corso revisione annuale NATO le forze potranno essere aumentate, se Bruxelles è d’accordo.

ADENAUER: Restituire agli esperti. Francia e gli altri si possono [op]porre in sede NATO alla fissazione del livello. PMF: Esperti devono fare una nuova riduzione. Non posso rinunciare all’unanimità – che già esiste in sede NATO e non perché Trattato Bruxelles.

PEARSON: [...]34.

SPAAK: Presenta un testo nuovo.

ADENAUER: Au lieu de relèvement dire modification.

PMF: D’accordo sul principio scelta del termine di referenza.

SPAAK: Decidere unanimità o maggioranza.

DULLES: Création d’un organisme de supervision de l’OTAN. Double procédure de révision NATO e[t] Bruxelles.

MARTINO: PMF cifre differenti per i livelli massimi e minimi. Massima proposto da PMF al di sopra del minimo fissato dal NATO. Fissare massimo al di sopra minimo.

PMF: Bruxelles fissa il massima, il NATO potrà andare fino al massimo. Le due cifre potranno coincidere. Per il contributo tedesco iniziale cifre CED. Per evitare delle discriminazioni abbiamo fissato la stessa procedura per tutti.

SPAAK: Sistema attuale riarma la Germania senza nessuna limitazione. Grosse difficoltà parlamentari.

ADENAUER: Vede la situazione chiara. Evaluation35 effettivi non deve essere aumentato unanime(mente) dal Consiglio di Bruxelles – rinvio agli esperti.

PEARSON: Controllo del Consiglio di Bruxelles sul massimo. Non interviene nella revisione annuale.

EDEN: Terminiaccordo speciale accettati da tutti. Se la revisione annuale chiede un aumento, occorre l’approvazione Consiglio Bruxelles.

PMF: L’ultima frase mantenuta?

EDEN: [...]36.

SPAAK: Accetta unanimità, ma lo accetteranno gli americani, gli inglesi, i turchi, i greci.

PMF: La stessa cosa nella CED.

DULLES: D’accordo per l’unanimità.

PMF: Desidera unanimità. Questione di presentazione politica.

SPAAK: [...]36.

EDEN: Unanimity approuve through either Bruxelles o NATO.

PMF: Propongo nel § I, 1, mantenere a), c), sopprimendo b) e d), mantenendo il 2, modificando «sous réserve de celle qui l’OTAN n’a déjà reconnu comment en dehors». Per le forze territoriali e la polizia verrà fissato dagli esperti a Parigi ‒anche limiti per forze territoriali e forze di polizia.

DULLES: Acceptable only one change. What NATO recognize should be. Not freeze the actual situation. Has recognize[d] or will recognize[d]. d) integrazione – menzionare che la Delegazionefrancese ha espresso il desiderio che tale integrazione venga spinta al livello della divisione.

MARTINO: Intervento.

EDEN: Experts esamineranno testi.

ADENAUER: Tutta questa questione deve essere esaminata dall’Organizzazione Patto di Bruxelles.

34.

Lacuna nel documento.

35.

Il documento riporta «evaluazion».

36.

Lacuna nel documento.

PMF: Documento francese agli esperti.

ADENAUER: Materia da esaminare nel Patto di Bruxelles. Rinvio agli esperti: anche l’aide-mémoire37 francese per poi rinvio a Conferenza a Bruxelles.

ADENAUER: Chiarire il concetto dell’integrazione.

EDEN: I am of [sic] cheerfully ignorant.

7. CONFERENZA DELLE NOVE POTENZE (Londra, 1° ottobre 1954, ore 16,30)38

Verbale.

Lord WOOD: Quale presidente del gruppo di esperti incaricati di redigere proposte concrete per il controllo degli armamenti, riferisce sui lavori preliminari del gruppo.

Sulla traccia del memorandum Spaak, gli esperti hanno concordato qualche precisazione, ma talune fondamentali questioni di principio sono rimaste aperte, non essendosi raggiunto un accordo unanime tra le Delegazioni.

I punti che hanno formato oggetto di discussione sono i seguenti:

1) Limitazione dei divieti e dei controlli al solo territorio continentale. Tutti d’accordo.

2)Lista delle armi vietate: gli esperti propongono le categorie AB C ed «eventualmente» altre dell’Annesso II. La Delegazione francese auspica invece che l’intero Annesso II sia preso come base.

3) I tedeschi considerano come discriminatoria una definizione delle «zone strategicamente esposte» che si applichi alla sola Germania. Gli esperti dovranno pertanto riesaminare congiuntamente la lista delle armi e la definizione delle zone esposte.

4) Talune delegazioni hanno proposto che i sei Paesi continentali concludano un accordo di non produrre armi A B C, ma la Delegazione francese si è dichiarata contraria.

Un maggior accordo fra gli esperti si è potuto raggiungere per quanto riguarda la seconda parte del documento Spaak e particolarmente: sui criteri pratici di esecuzione dei controlli, sulla limitazione dei controlli stessi alle sole armi pesanti, sulla notificazione all’Agence dei fabbisogni delle forze non NATO.

MENDÈS-FRANCE: Rileva che il documento presentato dagli esperti non corrisponde in alcun modo ai criteriche egli aveva enunciato. L’organizzazione per la produzione costituiva il punto più importante della proposta della Delegazione francese, la qualeaveva aderito a rinviarne l’esame ritenendo che ci fosse un accordo tra le varie Delegazioni sulla parte relativaai controlli. I criteri francesi al riguardo tendono ad un controllo molto stretto per rassicurare l’opinione pubblica. Invece nelle conclusioni

37.

Il documento reca «memoria».

38.

DGAP, Uff. IV, Versamento CED, 1950-1954, b. 26, fasc. 93. Non si conservano appunti o verbali relativi alla settima seduta a proposito della quale si veda il resoconto telegrafico di Martino (D. 134).

degli esperti non rimane assolutamente nulla di quanto era stato proposto dalla Delegazione francese. Egli chiede, pertanto, che il problema dell’armamento sia interamente riesaminato, sia per quanto riguarda il controllo (che dovrà fare oggetto di decisioni immediate) sia per quanto concerne la produzione. Quest’ultimo problema potrà essere rinviato ai Ministri del trattato di Bruxelles, a condizione però che sia chiaro fin d’ora il sentimento che anima le varie Delegazioni a questo proposito.

PEARSON: Nel rilevare che l’armamento pone tre fondamentali problemi (e cioè: zone strategicamente esposte, lista delle armi vietate, costituzione di una Agence), propone di raggiungere su questi tre punti un accordo di principio, rinviando i dettagli ad un Gruppo di lavoro da costituire immediatamente. L’accordo di principio dovrebbe fondarsi sul riconoscimento dei seguenti punti: l’esistenza di zone strategiche, il divieto di produrre determinate armi in queste zone, la necessità di costituire una Agence. Durante gli studi dovrebbero essere presi determinati impegni per permettere la tempestiva organizzazione del patto di Bruxelles.

FOSTER DULLES:Ritiene che sarebbe desiderabile disporre di una Agence con il compito di razionalizzare la produzione di armamenti, ma non è possibile per il momento stabilire i dettagli di una tale organizzazione. Si potrebbe pertanto prevedere un lasso di tempo tra l’entrata in vigore del Trattato che dà sovranità alla Germania ed il funzionamento pratico dell’organizzazione. Propone al Cancelliere Adenauer che in questo periodo intermedio (che potrebbe essere ad esempio di due anni) la Repubblica federale non produca armi corrispondenti a quelle dell’Annesso II, e non produca altri armamenti se non nei quantitativi necessari per i fabbisogni delle dodici Divisioni tedesche. In larga parte questi fabbisogni saranno coperti dagli USA, che hanno già preparato i materiali necessari.

In sostanza la Repubblica federale dovrebbe impegnarsi a non produrre altri armamenti all’infuori di quelli che saranno necessari per colmare le differenze tra i materiali forniti come aiuto e i fabbisogni tedeschi stabiliti da SACEUR. Alla fine dei due anni, il Consiglio dei Ministri del trattato di Bruxelles deciderà a maggioranza dei 2/3 della costituzione della Agence e i relativi compiti.

ADENAUER: Ritiene che la proposta abbia aspetti discriminatori ma è pronto a riflettere sul progetto di Dulles. Tuttavia non vede chiaramente ciò che potrà avvenire alla fine del periodo di due anni.

FOSTER DULLES: Potrebbero essere stabiliti principi generali che rendano la proposta non discriminatoria. Comunque la Repubblica Federale, al pari degli altri Paesi membri, dovrebbe assumersi la sua parte di rischio per ciò che sarà la decisione della maggioranza. Evidentemente l’impegno dovrebbe essere valevole solo per due anni; se al termine di questo periodo l’Agenzia non sarà costituita, anche il controllo non sarà effettuato.

BEYEN: Fa presente che un regolamento internazionale preso a maggioranza sarebbe incostituzionale e, pertanto, non potrebbe essere accettato dal Parlamento olandese.

ADENAUER: Dichiara che la Repubblica Federale non può mettere a disposizione le proprie truppe se non è sicura che il rifornimento delle stesse sia assicurato in permanenza.

SPAAK: Rileva che il sistema proposto da Dulles presenta un grave inconveniente, nel senso che rimette a più tardi la soluzione di un problema importantissimo. La presentazione di un tale sistema sarebbe assai difficile in tutti i Parlamenti.

Ritiene d’altra parte che il pessimismo espresso sul rapporto degli esperti sia eccessivo. Le difficoltà derivano dal fatto che gli esperti non si sono messi d’accordo sulla definizione delle zone strategicamente esposte, la cui esistenza era stata peraltro ammessa unanimemente dai Ministri. Ciò che rende impossibile la soluzione del problema è il continuo riferimentoal Trattato CED, che ormai non ha più alcuna attualità. Propone che i Paesi continentali prendano impegno di non produrre armi AB C (con possibilità di revisione dell’impegno stesso). Per gli altri armamenti nessuno potrà avere più armi di quelle necessarie secondo il Comando Supremo. Propone, in altri termini, che la Europa tutta intera sia considerata zona strategicamente esposta.

MENDÈS-FRANCE: Dichiaral’impossibilità per la Francia di accettare il divieto delle armi A B C. D’altra parte non è ammissibile il rinvio del problema dell’organizzazione, di cui bisogna indicare almeno i principi informatori. Egli segnala che il controllo e la produzione degli armamenti costituiscono la parte più importante degli argomenti all’esame: occorre perciò giungere a delle garanzie serie sul controllo e a dei principi comuni sulla produzione.

EDEN: Dichiarandosi d’accordo con Spaak e Beyen, rileva che la questione essenziale che ha riunito i nove Ministri non è il controllo degli armamenti, ma la possibilità di assicurare la difesa del mondo occidentale. Ciò non si ottiene senza la reciproca fiducia. Se l’Occidente richiede forze tedesche è necessario che queste siano equipaggiate come le altre.

8. CONFERENZA DELLE NOVE POTENZE (Londra, 2 ottobre 1954, mattina)39

Verbale.

SPAAK: Richiamandosi alle dichiarazioni fatte la sera precedente, propone:

1)che l’Europa continentale venga considerata come zona strategicamente esposta;

2) che in questa zona sia vietata la produzione di armi AB C e eventualmente

di altre armi indicate all’annesso II. In eccezione a tali principi si dovrebbe ammettere:

1) il funzionamento delle imprese già esistenti nella zona di cui sopra;

2) la creazione di nuovi impianti su proposta delle autorità militari del NATO, d’intesa con l’Agence di Bruxelles;

3) il soddisfacimento dei fabbisogni civili, chiaramente definiti.

Il controllo dovrebbe esercitarsi sulle armi detenute dai Paesi membri, sia mediante l’esame di dati statistici e di bilancio, sia attraverso ispezioni. I criteri di valutazione dei quantitativi di armi dovrebbero fondarsi sull’Annual Review e sulle raccomandazioni delle autorità militari del NATO.

Per quanto riguarda la questione degli aiuti americani chiede che gli USAsottopongano il piano di ripartizione degli aiuti all’Agence per le osservazioni da parte di quest’ultima.

39.

DGAP, Uff. IV, Versamento CED, 1950-1954, b. 26, fasc. 93.

Infine, per ciò che concerne la produzione in comune degli armamenti, propone che il memorandum francese sia rinviato al Gruppo di Lavoro di Parigi.

MENDÈS-FRANCE: Aderisce in via di massima ai principi esposti da Spaak, proponendo per altro che le armi vietate siano quelle dell’Annesso II, salvo modifica delle definizioni in esso contenute.

Per quanto riguarda il regime dei controlli e le modalità di esecuzione, concorda con le proposte di Spaak.

Accetta, infine, che il problema dell’organizzazione della produzione sia aggiornato e sottoposto al Consiglio dei Ministri di Bruxelles.

ADENAUER: Chiede che siano fatte proposte scritte per poter esprimere un parere.

MARTINO: Segnala la necessità di chiarire il mandato agli esperti. I controlli dovrebbero essere effettuati sia sulle armi detenute, sia sulla produzione. Quest’ultima dovrebbe essere limitata a quella occorrente per gli effettivi stabiliti. Per quanto riguarda il concetto di zone strategicamente esposte, rileva che esso si estende a tutta l’Europa dove esistano impianti di produzione bellica. Perciò bisognerebbe parlare soltanto di zone piesposte, che si trovano in tutti i Paesi membri.

Si esamina il nuovo documento Spaak (NPC-54-48)40.

MENDÈS-FRANCE: Ritiene che considerare tutta l’Europa come zona strategicamente esposta vada al di là degli intendimenti delle varie delegazioni. D’altra parte il concetto vale soltanto se riferito a «zone» e non a tutto il territorio continentale.

FOSTER DULLES: Rileva che l’espressione «zone strategicamente esposte» è imprecisa, perché manca un criterio di riferimento.

SPAAK: Nel Trattato CED vi era una definizione di carattere politico che ora non può più essere ripresa. Chiede nuovamente se le altre delegazioni siano pronte ad impegnarsi a non produrre le armi A B C.

MENDÈS-FRANCE: Fa presente che l’Annesso II è ormai conosciuto dall’opinione pubblica e deve essere conservato, salvo rivederne le definizioni.

SPAAK: Propone di stabilire che tutti i Paesi non possano produrre determinate armi se non dietro raccomandazione del NATO e su autorizzazione dell’Agence.

9. CONFERENZA DELLE NOVE POTENZE (Londra, 2 ottobre 1954, ore 18)41

Appunti manoscritti42.

Approvato testo Bruxelles, Doc. 47 (salvo completamento nelle parti che mancano, a fine conferenza)43.

Security Declaration, Doc. 3944.

40.

NPC (54) 48, Secret, October 2, 1954, Control of Armaments («tabled for consideration at the Ninth Plenary Meeting by the Head of the Belgian Delegation»).41 DGAP, Uff. IV, Versamento CED, 1950-1954, b. 26, fasc. 93.

42.

Appunti manoscritti per la preparazione del verbale con il numero “10” sul primo foglio.

43.

Si fa riferimento al doc. NPC (54) 47: vedi infra D. 12, Allegato I.

44.

Si fa riferimento al doc. NPC (54) 39, Confidential, October 2, 1954, Security Assurances, Report by Working Group, contenente le bozze della dichiarazione tedesca e di quella tripartita.

EDEN: Un documento del genere fu proposto in vista di Berlino. È utile farlo oggi.

1) Dichiarazione Tedesca – è buona – si approva

2) Dichiarazione Tripartita: pag. 1 si approva, pag. 2 bracket accetta con una ri

serva da inserire al processo verbale (presa da N.Y. declaration), pag. 3 – alternativa. DULLES: Spiega perché testo americano [...]45 è più nello spirito del NATO. DE MOUSTIER: Se rallie. Si approva il 2°. Pag. 3, § 7, è spiacevole che si pre

supponga sempre la Germania [riconosciuta]46 come aggressore. Il punto 6 lo [copre]46. Si sopprime. EDEN: Si può pubblicare comedocumento di questa conferenza? Sono importan

ti. No objection. Così si farà. DULLES: Se si pubblica, nell’8 sostituire «they will invite». EDEN: OK.

Final act non prot(ocollato) [ajournement]46.

10. CONFERENZA DELLE NOVE POTENZE (Londra, 2 ottobre 1954, sera)47

Appunti manoscritti48.

(Documento velina)49.

1. DULLES: In primo paragrafo vuole le parole dedicated to peace and freedom.

2.DE MOUSTIER: Chiede [migliore]50redazione e [menzionare]50«Will be submitted to NATO powers for information or decision».

I.Allemagne. Intervento Adenauer. [...]51.

II. Pacte de Bruxelles.

III. Dichiarazioni Canada - Usa - UK. Si cambia ordine a richiesta Pearson.

IV. Già approvato. V. Dichiarazioni [security]50.

VI. EDEN: Propone venerdì 22 ottobre. SPAAK: Solleva questione tempi e [...]51 parlamentari. DE MOUSTIER: Per decisione in occasione ratifica Patto Atlantico non possiamo

accettare membri al NATO senza approvazione parlamentare.

45.

Parola illeggibile.

46.

Lettura dubbia.

47.

DGAP, Uff. IV, Versamento CED, 1950-1954, b. 26, fasc. 93.

48.

Appunti manoscritti per la preparazione del verbale con il numero “11” sul primo foglio.

49.

Si fa verosimilmente riferimento ad una bozza dell’Atto finale.

50.

Lettura dubbia.

51.

Parola illeggibile.

EDEN: [...]51

1) Meeting esperti;

2) Meeting noi nove;

3) NATO;

4) Submission to Parliaments. MARTINO: Chiede [rinvio]50 [...]51 al 22 per budget a nove. Accettato. 20 afternoon in Paris: the 4 power; 21 mattina: 9; 22 NATO.

VII. Final paragraph. [Inserzione]50 Martino.

Domani 11 e 3 p.m. firma.

11. CONFERENZA DELLE NOVE POTENZE (Londra, 3 ottobre 1954, ore 11,30)52

Appunti manoscritti53.

EDEN: Esame del documento NPC (54) 51, rapporto degli esperti54.

MENDÈS-FRANCE: Chiede alcuni minuti per un ulteriore esame del documento.

EDEN: Riprende l’esame. Approvati i paragrafi 1, 2, paragrafo 3

PMF: 3 categorie d’armi con regimi diversi: a) AB C, b) le altre armi dell’annesso II, c) le armi della lista I.

EDEN: Dividere a) in due categorie.

BEYEN: Contrario, le due liste devono essere controllate.

PMF: Le decisioni di ieri hanno stabilito tre regimi diversi. AB C impegni di non produzione. Le altre armi della lista II, impegni che permettono eccezioni. Armi lista I, regime ancora più liberale.

SPAAK: Precisa che tutte le armi subiscono il controllo. Tale distinzione in tre categorie non tocca il controllo.

PMF: Alle tre categorie corrispondono regolamentazioni diverse.

EDEN: a) b) c). Chiede approvazione 4.

PMF: 4. Si applica a, b e c. Suggerisce un nuovo paragrafo: en ce qui concerne les armes visées au § 3/a ci-dessus, le groupe de travail de Paris définira les critères des contrôles à exercer.

SPAAK: Controlli più severi per le armi AB C allora siamo d’accordo. Se non ci opponiamo. Cosa intende effettivamente dire PMF.

52.

DGAP, Uff. IV, Versamento CED, 1950-1954, b. 26, fasc. 93.

53.

Appunti manoscritti per la preparazione del verbale con annotazione marginale “12”.

54.

NPC (54) 51, October 2, 1954, Secret, Control of Armaments. Second Report by the Working Group.

PMF: D’accordo per dire trattandosi di armi pericolose. Controllo più severo ma regolamentazioni diverse. Evitare bombe A per ristabilire l’ordine oltremare.

SPAAK: Quella preoccupazione coperta dall’art. 6. Presentazione parlamentare. Rincresce che altri non seguano il Benelux e Germania. E ciò mi dispiace. Pericoli più d’armi che i loro bisogni. Culture des microbes pour leur besoin.

PMF: Questo va al di là di quello che ci è stato chiesto. Tale controllo non è mai stato chiesto in sede CED ed il resto.

Discussione, Spaak Eden insistono per il controllo.

SPAAK: Vuole discriminazione e rifiuta il controllo. Accetta perché ha fiducia piena libertà fuori della Francia e piene possibilità [...]55 per i propri bisogni.

PMF: Aucune chance de faire accepter quelque chose de ce genre par le Parlement français.

Ministri soli. Interruzione.

EDEN: Accordo per un nuovo § 4.

As regards the weapon referred by § 3/a above, when the country which have not given up the right to produce them, have passed the experimental stage and start effective production,the level of stocks they will be allowed to hold on the continent, shall be determined by the Bruxelles Council by a majority vote.

PMF: Art. [...]56livello minimoe massimo nell’elencazione dei bisogni. Osserv(azioni) al processo verbale.

BEYEN: Osserv(azioni) PMF vale soltanto se il massimo di Bruxelles è sotto il minimo.

PMF: 2 obbligazioni. Non fare meno di quello che NATO ci chiede e non più di quello previsto da Bruxelles.

ADENAUER: Alcune piccole modifiche.

EDEN: Esame final act.

PMF: Parlamento francese 3 Novembre. Prima riunione pomeriggio del 20 a 4, i 9 il 21.

EDEN: Each delegation release the protocol at 5,30, embargoed at 6,30 (only published at this time). 14,30 signature. Next procedure: complete the document on the German sovereignty57in Bonn. [...]55 at the work. German entry to NATO. German and Italy, NATO representatives of the 8 Countries in Paris.

Rapp. Consiglio britannico Consiglio Atlantico. Bruxelles Committee.

Ringrazia tutti. Convinzione che si è costruito bene per il futuro pace.

DULLES: Ringrazia per la presidenza di Eden e di averla ideata. Contributo Governo britannico. Nella storia come una grande conference.

PMF: Responsable [sic] des difficultés. Gratitude58 pour les conditions dans lesquelles vous avez dirigé nos travaux, large part à notre succès commun, prix immense de la contribution anglaise, contribution americaine, gratitude française. Canada. Préoccupation commune. Danger e[t] menace e[n] commun. Tous besoin de travailler

55.

Parola illeggibile.

56.

Due parole illeggibili.

57.

Il testo reca per errore: «soverainety».

58.

Il testo reca per errore: «gratidute».

ensemble. Constitution Europe paix consolidée e[t] prosperité croissante. Volonté d’obtenir accord final assentiment au Parlement. Abouti à des transactions raisonnables. Faire tous l’effort maximum. L’obtenir dans le délai perdu. Rattraper le temps perdu. Cause atlantique e[t] la cause de l’Europe c’est en realité la cause de la Paix.

12. CONFERENZA DELLE NOVE POTENZE (Londra, 3 ottobre 1954)59

Verbale segreto NPC (54) 5960.

THE FINALACT OF THE NINE-POWER CONFERENCE HELD IN LONDON BETWEEN SEPTEMBER TWENTY-EIGTHAND OCTOBER THIRD

The Conference of the Nine Powers, Belgium, Canada, France, German Federal Republic, Italy, Luxembourg, Netherlands, United Kingdom of Great Britain and Northern Ireland and the United States met in London from Tuesday September Twenty-eighth to Sunday October Third. It dealt with the most important issues facing the Western world, security and European integration within the framework of a developing Atlantic community dedicated to peace and freedom. In this connexion the Conference considered how to assure the full association of the German Federal Republic with the West and the German Defence contribution.

Belgium was represented by His Excellency Monsieur P-H. Spaak.

Canada was represented by the Honourable L. B. Pearson.

France was represented by His Excellency Monsieur P. Mendès-France.

The Federal Republic of Germany was represented by His Excellency Dr. K. Adenauer.

Italy was represented by His Excellency Professor G. Martino.

Luxembourg was represented by His Excellency Monsieur J. Bech.

The Netherlands was represented by His Excellency J. W. Beyen.

The United Kingdom of Great Britain and Northern Ireland was represented by the Rt. Hon. A. Eden, MC,MP.

The United States of America was represented by the Honourable J. F. Dulles.

All the decisions of the Conference formed part of one general settlement which is, directly or indirectly, of concern to all the NATO Powers, and which will therefore be submitted to the North Atlantic Council for information or decision.

59.

DGAP, Uff. IV, Versamento CED, 1950-1954, b. 25, fasc. 92.

60.

L’atto finale, restituito unitamente alla traduzione richiesta, è allegato all’Appunto 30/UT00197 del 21 ottobre 1954 indirizzato dall’Ufficio Traduzioni all’Ufficio I della Direzione Generale della Cooperazione Internazionale. Gli allegati sono stati riorganizzati e numerati con un ordine differente rispetto a quello originale che invece viene riproposto nella presente edizione.

I. GERMANY

The Governments of France, the United Kingdom and the United States declare that their policy is to end the Occupation regime in the Federal Republic as soon as possible, to revoke the Occupation Statute and to abolish the Allied High Commission. The Three Governments will continue to discharge certain responsibilities in Germany arising out of the international situation.

It is intended to conclude, and to bring into force as soon as the necessary parliamentary procedures have been completed, the appropriate instruments for these purposes. General agreement has already been reached on the content of these instruments, and representatives of the Four Governments will meet in the very near future to complete the final texts. The agreed arrangements may be put into effect either before or simultaneously with the arrangements for the German defence contribution.

As these arrangements will take a little time to complete, the Three Governments have in the meantime issued the following Declaration of Intent:

«Recognising that a great country can no longer be deprived of the rights properly belonging to a free and democratic people; and

Desiring to associate the Federal Republic of Germany on a footing of equality with their efforts for peace and security:

The Governments of France, the United Kingdom, and the United States of America desire to end the Occupation regime as soon as possible.

The fulfilment of this policy calls for the settlement of problems of detail in order to liquidate the past and to prepare for the future, and requires the completion of appropriate Parliamentary procedures.

In the meantime, the Three Governments are instructing their High Commissioners to act forthwith in accordance with the spirit of the above policy. In particular, the High Commissioners will not use the powers which are to be relinquished unless in agreement with the Federal Government, except in the fields of disarmament and demilitarisation and in cases where the Federal Government has not been able for legal reasons to take the action or assume the obligations contemplated in the agreed arrangement».

II. BRUSSELS TREATY The Brussels Treaty will be strengthened and extended to make it a more effective

focus of European integration. For this purpose the following arrangements have been agreed upon:

- - - - - -

The Brussels Treaty Powers agree to set up, as part of the Brussels Treaty Organisation, an Agency for the control of armaments on the Continent of Europe of the continental members of the Brussels Treaty Organisation. The detailed provisions are as follows:

1.The functions of the Agency shall be:

- - - -

(b)weapons in the other categories listed in Annex II to Article 107 of the EDC Treaty;

(c) a list of major weapons taken from Annex I to the same Article, to be established hereafter by an expert working group.

Measures will be taken to exclude from control materials and products in the above lists for civil use.

3.As regards the weapons referred to under paragraph 2(a) above, when the countries which have not given up the right to produce them have passed the experimental stage and start effective production, the level of stocks that they will be allowed to hold on the Continent shall be decided by the Brussels Treaty Council by a majority vote.

- -

6.For forces remaining under national control, the level of stocks must correspond to the size and mission of those forces. That level shall be notified to the Agency.

- -

9.The basic rules of procedure for the Agency shall be laid down in a Protocol to the Brussels Treaty.

- -

12.The Brussels Council will make an Annual Report on its activities concerning the control of armaments to the Delegates of the Brussels Treaty Powers to the Consultative Assembly of the Council of Europe.

- - -

The Federal Chancellor declares:

that the Federal Republic undertakes not to manufacture in its territory any atomic weapons, chemical weapons or biological weapons, as detailed in paragraphs I, II and III of the attached list;

that it undertakes further not to manufacture in its territory such weapons as those detailed in paragraphs IV, V and VI of the attached list. Any amendment to or cancellation of the substance of paragraphs IV, V and VI can, on the request of the Federal Republic, be carried out by a resolution of the Brussels Council of Ministers by a two-thirds majority, if in accordance with the needs of the armed forces a request is made by the competent supreme Commander of NATO;

that the Federal Republic agrees to supervision by the competent authority of the Brussels Treaty Organisation to ensure that these undertakings are observed.

List Appended to the Declaration by the Federal Chancellor

This list comprises the weapons defined in paragraphs I to VI and the factories earmarked solely for their production. All apparatus, parts, equipment, installations, substances and organisms which are used for civilian purposes or for scientific, medical and industrial research in the fields of pure and applied science shall be excluded from this definition.

I.Atomic Weapons

Text as in Annex II paragraph I to Article 107 of the EDC Treaty with the deletion of (c)61.

61.

(a) An atomic weapon is defined as any weapon which contains, or is designed to contain or utilise, nuclear fuel or radioactive isotopes and which, by explosion or other uncontrolled nuclear transformation of the nuclear fuel, or by radioactivity of the nuclear fuel or radioactive isotopes, is capable of mass destruction, mass injury or mass poisoning. (b) Furthermore, any part, device, assembly or material especially designed for, or primarily useful in, any weapon as set forth under paragraph (a), shall be deemed

II. Chemical Weapons62.

III. Biological Weapons63.

- - - -

(c)All warships which are driven by means other than steam, Diesel or petrol engines or by gas turbines or by jet engines».

VI. Bomber aircraft for strategic purposes. The closest possible co-operation with NATO shall be established in all fields.

III. UNITED STATES, UNITED KINGDOMAND CANADIANASSURANCES

The United States Secretary of State set forth the willingness of the United States to continue its support for European unity, in accordance with the following statement:

«If, using the Brussels Treaty as a nucleus, it is possible to find in this new pattern a continuing hope of unity among the countries of Europe that are represented here, and if the hopes that were tied into the European Defence Community Treaty can reasonably be transferred into the arrangements which will be the outgrowth of this meeting, then I would certainly be disposed to recommend to the President that he

to be an atomic weapon. (c) Nuclear fuel as used in the preceding definition includes plutonium, Uranium 233, Uranium 235 (including Uranium 235 contained in Uranium enriched to over 21 per cent by weight of Uranium 235) and any other material capable of releasing substantial quantities of atomic energy through nuclear fission or fusion or other nuclear reaction of the material. The foregoing materials are considered to be nuclear fuel regardless of the chemical or physical form in which they exist.

62 Frase a margine dei punti II, III e IV: «Text as in Annex II paragraph II, III and IV to Article 107 of the EDC Treaty». Con riferimento al punto II, la descrizione è la seguente: «(a) Achemical weapon is defined as any equipment or apparatus expressly designed to use, for military purposes, the asphyxiating, toxic, irritant, paralysant, growth-regulating, anti-lubricating or catalyzing properties of any chemical substance. (b) Subject to the provisions of paragraph (c), chemical substances, having such properties and capable of being used in the equipment or apparatus referred to in paragraph (a), shall be deemed to be included in this definition. (c) Such equipment or apparatus and such quantities of the chemical substances as are referred to in paragraphs (a) and (b) which do not exceed peaceful civilian requirements shall be deemed to be excluded from this definition».

63 (a) Abiological weapon is defined as any equipment or apparatus expressly designed to use, for military purposes, harmful insects or other living or dead organisms, or their toxic products. (b) Subject to the provisions of paragraph (c), insects, organisms and their toxic products of such nature and in such amounts as to make them capable of being used in the equipment of apparatus referred to in (a) shall be deemed to be included in this definition. (c) Such equipment or apparatus and such quantities of the insects, organisms and their toxic products as are referred to in paragraphs (a) and (b) which do not exceed peaceful civilian requirements shall be deemed to be excluded from the definition of biological weapons.

64 (a) Subject to the provisions of paragraph (d), long-range missiles and guided missiles are defined as missiles such that the velocity or direction of motion can be influenced after the instant of launch by a device or mechanism inside or outside the missile, including V-type weapons developed in the recent war and subsequent modifications thereof. Combustion is considered as mechanism which may influence the velocity. (b) Subject to the provisions of paragraph (d), influence mines are defined as naval mines which can be exploded automatically by influences which emanate solely from external sources, including influence mines developed in the recent war and subsequent modifications thereof. (c) Parts, devices or assemblies specially designed for use in or with the weapons referred to in paragraphs (a) and (b) shall be deemed to be included in these definitions.(d) Proximity fuses, and short-range guided missiles for antiaircraft defence with the following maximum characteristics, are regarded as excluded from this definition: Length, 2 metres; Diameter, 30 centimetres; Velocity, 660 metres per second; Ground range, 32 kilometres; Weight of war-head, 22.5 kilogrammes.

should renew the assurance offered last spring in connection with the European Defence Community Treaty to the effect that the United States will continue to maintain in Europe, including Germany, such units of its armed forces as may be necessary and appropriate to contribute its fair share of the forces needed for the joint defence of the North Atlantic area while a threat to the area exists and will continue to deploy such forces in accordance with agreed North Atlantic strategy for the defence of this area».

The United Kingdom confirmed its active participation in the Brussels Treaty Organisation and gave the following assurance about the maintenance of United Kingdom forces on the continent of Europe:

«The United Kingdom will continue to maintain on the mainland of Europe, including Germany, the effective strength of the United Kingdom forces now assigned to SACEUR, four divisions and the Tactical Air Force, or whatever SACEUR regards as equivalent fighting capacity. The United Kingdom undertakes not to withdraw those forces against the wishes of the majority of the Brussels Treaty Powers, who should take their decision in the knowledge of SACEUR’s views.

This undertaking would be subject to the understanding that an acute overseas emergency might oblige Her Majesty’s Government to omit this procedure.

If the maintenance of United Kingdom forces on the mainland of Europe throws at any time too heavy a strain on the external finances of the United Kingdom, the United Kingdom will invite the North Atlantic Council to review the financial conditions on which the formations are maintained».

Canada reaffirmed in the following statement its resolve to discharge the continuing obligations arising out of its membership in NATO and its support of the objective of European unity:

«As far as we are concerned, the North Atlantic Treaty Organisation remains the focal point of our participation in collective defence and of our hope for the development of closer co-operation with the other peoples of the Atlantic community. As such, it remains a foundation of Canadian foreign policy. While we emphasise, then, our belief in the North Atlantic Treaty Organisation, we welcome the proposed extension of the Brussels Treaty. We shall look forward to a growing relationship, within the framework of NATO, with the new Brussels Treaty Organisation, composed of countries with whom we are already bound by such close ties».

IV. NATO

The powers present at the Conference which are members of NATO agreed to recommend at the next ministerial meeting of the North Atlantic Council that the Federal Republic of Germany should forthwith be invited to become a member.

They further agreed to recommend to NATO that its machinery be reinforced in the following respects:

(a)All forces of NATO countries stationed on the Continent of Europe shall be placed under the authority of SACEUR, with the exception of those which NATO has recognised or will recognise as suitable to remain under national command.

(b)Forces placed under SACEUR on the Continent shall be deployed in accordance with NATO strategy.

(c) The location of such forces shall be determined by SACEUR after consultation and agreement with the national authorities concerned.

(d)Such forces shall not be redeployed on the Continent nor used operationally on the Continent without his consent, subject to appropriate political guidance from the North Atlantic Council.

(e)Forces placed under SACEUR on the Continent shall be integrated as far as possible consistent with military efficiency.

- -

The Conference recorded the view of all the governments represented that the North Atlantic Treaty should be regarded as of indefinite duration.

V. DECLARATION BYTHE GERMAN FEDERALGOVERNMENT

AND JOINT DECLARATION BYTHE GOVERNMENTS OF FRANCE, UNITED KINGDOMAND UNITED STATES OFAMERICA

The following declarations were recorded at the Conference by the German Federal Chancellor and by the Foreign Ministers of France, United Kingdom and United States of America:

Declaration by German Federal Republic

The German Federal Republic has agreed to conduct its policy in accordance with the principles of the Charter of the United Nations and accepts the obligations set forth in Article 2 of the Charter.

Upon her accession to the North Atlantic Treaty and the Brussels Treaty, the German Federal Republic declares that she will refrain from any action inconsistent with the strictly defensive character of the two treaties. In particular the German Federal Republic undertakes never to have recourse to force to achieve the reunification of Germany or the modification of the present boundaries of the German Federal Republic, and to resolve by peaceful means any disputes which may arise between the Federal Republic and other States.

Declaration by the Governments of United States of America, United Kingdom and France

The Governments of the United States of America, the United Kingdom of Great Britain and Northern Ireland and the French Republic,

Being resolved to devote their efforts to the strengthening of peace in accordance with the Charter of the United Nations and in particular with the obligations set forth in Article 2 of the Charter

(i) to settle their international disputes by peaceful means in such a manner that international peace and security and justice are not endangered;

(ii)to refrain in their international relations from the threat or use of force against the territorial integrity or political independence of any State, or in any other manner inconsistent with the purposes of the United Nations;

(iii)to give the United Nations every assistance in any action it takes in accordance with the Charter, and to refrain from giving assistance to any State against which the United Nations take preventive or enforcement action;

(iv) to ensure that States which are not members of the United Nations act in accordance with the principles of the Charter so far as may be necessary for the maintenance of international peace and security,

Having regard to the purely defensive character of the Atlantic Alliance which is manifest in the North Atlantic Treaty, wherein they reaffirm their faith in the purposes and principles of the Charter of the United Nations and their desire to live in peace with all peoples and all Governments, and undertake to settle their international disputes by peaceful means in accordance with the principles of the Charter and to refrain, in accordance with those principles, from the threat or use of force in their international relations,

Take note that the German Federal Republic has by a Declaration dated October 3rd accepted the obligations set forth in Article 2 of the Charter of the United Nations and has undertaken never to have recourse to force to achieve the reunification of Germany or the modification of the present boundaries of the German Federal Republic, and to resolve by peaceful means any disputes which may arise between the Federal Republic and other states:

DECLARE THAT

- -

3.Apeace settlement for the whole of Germany, freely negotiated between Germany and her former enemies, which should lay the foundation of a lasting peace, remains an essential aim of their policy. The final determination of the boundaries of Germany must await such a settlement.

- - - -

VI. FUTURE PROCEDURE

The Conference agreed that representatives of the governments concerned should work out urgently the texts of detailed agreements to give effect to the principles laid down above. These will be submitted where appropriate, to the North Atlantic Council, and to the four Governments directly concerned with the future status of the Federal Republic. The Conference hoped that it would be possible to hold a ministerial meeting of the North Atlantic Council on October 22 to decide on the arrangements affecting NATO. This will be preceded by meetings of the four Foreign Ministers on the question of German sovereignty and of the nine Foreign Ministers.

These agreements and arrangements constitute a notable contribution to world peace. AWestern Europe is now emerging which, resting on the close association of the United Kingdom with the Continent and on the growing friendship between the participating countries, will reinforce the Atlantic community. The system elaborated by the Conference will further the development of European unity and integration.

The following documents are annexed to and form part of the Final Act:

Draft Declaration and Draft Protocol to the Brussels Treaty.

Full text of statements by Mr. Dulles, Mr. Eden and Mr. Pearson at the Fourth Plenary Meeting on September 29.

Conference Paper on German Defence contribution and arrangements to apply to SACEUR’s forces on the Continent.

Allegato I NPC (54) 47 riservato. Londra, 2 ottobre 1954.

That two attached texts have been agreed by the Seven-Power Treaty Working Party.

DRAFT DECLARATION INVITING ITALYAND THE FEDERALREPUBLIC OF GERMANY TOACCEDE TO THE BRUSSELS TREATY

The Governments of Belgium, France, Luxembourg, the Netherlands and the United Kingdom, parties to the Brussels Treaty of 17th March, 1948, for collaboration in economic, social and cultural matters and for legitimate collective self-defence;

Aware that the principles underlying the association created by the Brussels Treaty are also recognised and applied by the Federal Republic of Germany and Italy;

Noting with satisfaction that their devotion to peace and their allegiance to democratic institutions constitute common bonds between the countries of Western Europe;

Convinced that an association with the Federal Republic of Germany and Italy would represent a new and substantial advance in the direction already indicated by the Treaty;

Decide

In application of Article IX of the Treaty, to invite the Federal Republic of Germany and Italy to accede to the Brussels Treaty, as revised and completed by the Protocol and (list of agreements and documents)*of65.

65.

Nota del documento: «These agreements and documents will be specified in the final text».

DRAFT PROTOCOLTO THE BRUSSELS TREATY

H. M. the King of the Belgians, the President of the French Republic, President of the French Union, H. R. H. the Grand Duchess of Luxembourg, H. M. the Queen of the Netherlands and H. M. the Queen of the United Kingdom of Great Britain and Northern Ireland and of her other Realms and Territories, Head of the Commonwealth, Parties to the Treaty of Economic, Social and Cultural Collaboration and Collective Self-defence, signed at Brussels on March 17th, 1948, hereinafter referred to as the Treaty, on the one hand,

and the President of the Federal Republic of Germany and the President of the Italian Republic on the other hand,

inspired by a common will to strengthen peace and security,

desirous to this end of promoting the unity and of encouraging the progressive integration of Europe,

convinced that the accession of the Federal Republic of Germany and the Italian Republic to

the Treaty will represent a new and substantial advance towards these aims: Have appointed etc. ... Have agreed as follows:

ARTICLE I

The Federal Republic of Germany and the Italian Republic hereby accede to the Treaty, as revised and completed by the present Protocol and the (list of agreements and documents)66.

ARTICLE II

(a) The sub-paragraph of the Preamble to the Treaty «to take such steps as maybe held ne

cessary in the event of renewal by Germany of a policy of aggression» shall be modified to read: «promote the unity and to encourage the progressive integration of Europe».

(b) the following new article shall be inserted in the Treaty as Article IV:

«IV. In execution of the Treaty the High Contracting Parties and any organs established by them under the Treaty shall work in close co-operation with the North Atlantic Treaty Organisation».

The present Article IV of the Treaty and the succeeding articles shall be renumbered accordingly.

(c)Article VIII, formerly Article VII, of the Treaty, shall read:

«For the purpose of consulting together on all questions dealt with in the present Treaty and its Protocol and the agreements and other documents set out in Article I above and of strengthening peace and security and of promoting unity and of encouraging the progressive integration of Europeand closer co-operation between member states and with other European organisations, the High Contracting Parties will create a Council, which shall be so organised as to be able to exercise its functions continuously. The Council shall meet at such times as it shall deem fit.

At the request of any of the High Contracting Parties, the Council shall be immediately convened in order to permit the High Contracting Parties to consult with regard to any situation which may constitute a threat to peace, in whatever area this threat should arise, or with regard to any situation constituting a danger to economic stability».

ARTICLE III

The present Protocol and the agreements set out in Article I above shall be ratified and the instruments of ratification shall be deposited as soon as possible with the Belgian Government. They shall enter into force upon the date of deposit of the last instrument of ratification.

66.

Nota del documento: «These agreements and documents will be specified in the final text».

Allegato II A NPC (54) 12. Londra, 29 settembre 1954.

EXTEMPORANEOUS STATEMENT BYTHE UNITED STATES SECRETARY OF STATE (THE HON. JOHN FOSTER DULLES) ATTHE FOURTH PLENARYMEETING

MR. DULLES (UNITED STATES): Mr. Chairman, at the time when we thought that the European Defence Community Treaty would promptly be put to a vote of the French Parliament ‒that was some time last Spring ‒the United States indicated that it would be prepared to make a declaration with respect to its intentions as to the maintenance of armed forces in Europe in the event that the European Defence Community Treaty should come into force. The text of that message was communicated to the six nations that were signatory to the European Defence Community Treaty, and also to the United Kingdom. The essence of that declaration was that the United States would continue to maintain in Europe, including Germany, such units of its armed forces as may be necessary to contribute its fair share of the forces needed for the joint defence of the North Atlantic area while the threat to that area exists, and that we would continue to maintain such forces in accordance with the agreed North Atlantic strategy for the defence of this area.

There were other provisions of that Declaration, in fact there were six, one of which related to treating the North Atlantic Treaty as a treaty of indefinite duration, rather than only for a fixed period of years.

I do not need, I think, to read the full text of that Declaration, because it has, as I say, been communicated to all of the Governments who are represented here. You doubtless are already familiar with, and can readily consult, the text which was sent to you at that time.

That Declaration was made, as I say, in anticipation of the coming into force of the European Defence Community Treaty. The Declaration was made after consultation with the leaders of both parties in the Congress of the United States. It would have been as solemn and definitive an obligation as the United States is constitutionally capable of making in this matter.

I should perhaps explain that under our constitutional system the President of the United States is Commander-in-Chief of the armed forces of the United States, and as such has the right to determine their disposition. That is a right which cannot be impaired by action by the Congress. Also, while Congress has no authority to deprive the President of his right as Commander-in-Chief of the armed forces to make such disposition of those forces as he believes to be in the interest of the security of the United States, it is equally the case that one President of the United States is not constitutionally able to bind his successors in this matter. Each President of the United States comes into office enjoying the right to dispose of the armed forces of the United States as he thinks best serves the interests of the United States in accordance with the advice which he gets from his military advisers. Therefore it is not constitutionally possible for the United States by treaty, by law or any other way to make a legally binding, fixed commitment to maintain any predetermined quota of armed forces in any particular part of the world for any particular period of time.

It is nevertheless possible for the President to define a policy which in his opinion makes it appropriate to maintain certain elements of the armed forces of the United States in certain areas in pursuance of that policy. And if the policy is a basic and fundamental one it is extremely unlikely that that allocation of forces would be altered.

Now, this Declaration that I refer to was designed to involve an exercise, to the fullest degree possible under our constitutional system, of the determination of our Government to support the European Defence Community by contributing armed forces which would be subject to integration with its forces, and that declaration was made with the confidence that the policy that it reflected would be pursued because of the very great interest which the United States has in the creation of unity in Europe, and the fact that our nation has historically shown its willingness to make tremendous contributions if, in its opinion, that will aid in the real unification of Europe.

I might recall that the European Recovery Plan ‒the Marshall Plan as it was called ‒was made pursuant to a Congressional Act which said that the purpose was to promotethe unification of Europe. The North Atlantic Treaty was an engagement which was quite unprecedented for the United States ‒it was quite unprecedented for the United States to make that kind of long range alliance with other countries. That was directly contrary to our earlier policies which had been pursued for over 100 years. That action was taken only after the European countries themselves had first come together under this Brussels Treaty which we are talking about so much to-day. It was the encouragement which came from that which very largely led to our going on and joining in the commitments of the North Atlantic Treaty.

The first action taken to provide military aid to Europe was under the Military Defence Assistance Act of 1949. The language of it was that it was designed to promote the integration of the defence of Europe. I think that the history of our action, both our positive action and negative action, shows that we respond in many ways like a barometerto the climate which exists in Europe. If the climate is one of unity and cohesion, our assistance and aid of every kind goes out. If the climate is one of dissension, disunity, revival of threats of war, perpetuation of the cycle of recurrent war, then our tendency is to withdraw.

The declaration which we felt able to make in support of the European Defence Community was on the assumption that that was a permanent act which would tie together organically the countries of Europe which in the past have been separate and among whom war has been bred. We felt that it tied them together so permanently, so organically, that we could regard that old chapter as a closed chapter and could hopefully commit our strength to Europe in the confidence that our soldiers over here in Europe would be in a structure which was safe and sound; that we were not putting our troops in the midst of what has historically been the world’s worst fire hazard.

Now a committal of that character is not lightly made, and I would say in all frankness that as the situation stands today it would not be possible for the President of the United States to renew that committal. There has been a great wave of disillusionment which has swept over the United States ‒and it is particularly manifest in the Congress ‒a great wave of disillusionment over what has happened, and a feeling that after all the situation in Europe is pretty hopeless and the United States had better not make any long-term committalsto be part of it.

That conclusion is so disastrous in my opinion ‒both for the nations of Europe and for the United States ‒that I hope most ardently that what is done here will make it possible to come to a different conclusion, and that it will change the atmosphere, the feeling, in the United States to a degree which will permit of a renewal of the pledge by the United States to maintain in Europe such elements of its armed forces as may be necessary or appropriate to contribute our fair share of what is needed for the common defence of this North Atlantic area while the threat to that area exists. I cannot say at this moment that a renewal of that commitment is possible. I can say, and must repeat, that as things stand today it is not possible. But if, out of the elements of the situation with which we are dealing, if using the Brussels Treaty as a nucleus, it is possible to find in this new pattern a continuing hope of unity among the countries of Europe that are represented here, and if the hopes that were tied into the European Defence Community Treaty can reasonably be transferred into the arrangements which will be the outgrowth of this meeting, then I would certainly be disposed to recommend to the President that he should renew a pledge comparable to that which was offered in connexion with the European Defence Community Treaty.

Obviously the context of the pledge would have to be changed, because in the form which was given it related distinctively to the European Defence Community Treaty. Just what re-phrasing would be required to give it the «new look» that would be appropriate to the new situation, that is a matter which I have not studied, and which could not usefully be studied until we know whether or not a promise of genuine and durable unity will come out of the deliberations of this gathering and those which may succeed it.

That, Mr. Chairman, is as clear a statement as I can make today of the position of my Government in relation to this matter. We are extremely anxious to contribute all that we can from a material and constitutional standpoint to promote the kind of unification which will above all end a situation which has led to recurrent wars which have weakened and drained the Western nations so that our whole Western civilisation is in jeopardy as never before in a thousand years. In reason you can count on us. I think that what we have done since the end of the war in terms of economic contribution, military contributions, the willingness to contribute our best and ablest brains in terms of both military and economic matters, all of that I think is a proof which cannot be challenged as to what our disposition is in this matter. You can be confident that that disposition will be reflected by genuine support to the extent that is appropriate if there is, on this side, the movement toward unity, if there is a beacon light still ahead, if we do not feel that we have come to a watershed where efforts toward unity finally are ended and we are going down on the other side into the abyss of continued disunity.

I do not think that is going to happen. I know it is within our power here to be sure that it does not happen. If it does not happen, then you can count on the United States acting in support of what the European countries do. I believe that you will find that the American flag, with all it symbolises, will continue to fly alongside of your own here in Europe.

Allegato II B NPC (54) 14. Londra, 29 settembre 1954.

STATEMENT BYTHE UNITED KINGDOM SECRETARYOF STATE (THE RIGHT HON.ANTHONYEDEN, M.P.) ATTHE FOURTH PLENARYMEETING

CHAIRMAN: Gentlemen, I think we all feel that we have just listened to a statement from the United States Secretary of State of rare quality and much valued frankness. What he has said to us, those of us who are European, is I think all that in present conditions we could possibly expect from the United States.

As we survey these post-war years we, I fear, too readily at times take for granted what this generous brother has done for us in Europe at a time when but for his help all must have collapsed in confusion and, perhaps, into Communism also. On behalf of the country I represent here, I would like to assure him that what the United States has done are not «All good deeds past, forgot as soon as done» ‒but will be remembered with thankfulness, and not for our own sakes alone. So I would like to tell Mr. Foster Dulles that the words he has said, so far as our Government are concerned, will be examined with gratitude and with understanding, and that we shall do our best ‒I believe this conference will do its best ‒to prove worthy of that greater confidence the United States will show as we establish our ability to prove our unity and our strength.

Now in all this I am conscious that my own country has a part to play. I do not want to go back over the full history of past declarations and past undertakings, though there are perhaps one or two that I ought to mention if the setting of what I want to say this afternoon is to be understood. We gave, as the United States Government gave, a series of undertakings to the EDC. We gave them by treaty, we gave them by agreement, we gave them by declarations, and as I have already informed my colleagues we stand by those undertakings, and we are ready to reaffirm them. They are not, I think, unimportant, but some of them are, it is true, inapplicable in the absence of EDC. Some of those that have as a result of the disappearance of EDC now disappeared may, and probably will, be covered by the proposals which this conference is now considering. The provision of automatic military assistance for instance which was contained in our treaty with EDC will be reproduced, I trust, by the proposed enlargement of the Brussels Treaty. Co-operation between the armed forces, the deployment and integration of those forces, consultation about the level of forces, will all now take place, though perhaps within a different framework.

I am very conscious, and so are my colleagues, that there is one particular plane on which many of you here would wish us to make our position clearer, and where if we were able to do so it might assist the work of this conference. This relates to the maintenance of British forces on the continent of Europe, and in respect of that I have a new proposal to put to my colleagues. The United Kingdom will continue to maintain on the mainland of Europe, including Germany, the effective strength of the United Kingdom forces which are now assigned to SACEUR ‒four divisions and the tactical Air Force ‒or whatever SACEUR regards as equivalent fighting capacity.

The United Kingdom undertakes not to withdraw those forces against the wishes of the majority of the Brussels Treaty Powers, who should take their decision in the knowledge of SACEUR’s views. This undertaking would be subject to the understanding that an acute overseas emergency might oblige Her Majesty’s Government to omit this procedure. If the maintenance of United Kingdom forces on the mainland of Europe throws at any time too heavy a strain on the external finances of the United Kingdom then we would invite the North Atlantic Council to review the financial conditions on which the formations are maintained.

My colleagues will realise that what I have announced is for us a very formidable step to take. You will know that ours is above all an island story. We are still an island people in thought and tradition, whatever the modern facts of weapons and strategy may compel. And it has been not without considerable reflection that the Government which I represent here has decided that this statement could be made to you this afternoon. I want only to add this: we are making it in just the same spirit as Mr. Dulles spoke just now, because we hope that by doing so we shall make a contribution to enable this conference to succeed, and recreate confidence on this European Continent and make it possible for us to show an example of unity to the world. Of course, you will understand that what we have just said, and the undertaking we are prepared to give, does depend on the outcome of our work. If we succeed here then this undertaking stands; if we do not, H. M. Government could not regard itself as committed to what I have said this afternoon. That applies to the whole of our work, all the work that we are doing here. So I can only conclude by saying I hope the conference will consider that what we have said will be a contribution to bring us at least a stage nearer the successful conclusion of our labours.

Allegato II C [NPC (54) 17. Londra, 29 settembre 1954].

[STATEMENT BYTHE CANADIAN MINISTER FOR EXTERNALAFFAIRS (THE HON. LESTER PEARSON) ATTHE FOURTH PLENARY MEETING]

M. LESTER PEARSON (CANADA): Mr. Chairman, this item on the agenda, which I apologise for returning to, item 5, is headed «United Kingdom and United States Declarations». I assume that under it I would be quite in order in expressing great appreciation for the statements which have been made by you and by Mr. Dulles this afternoon, and I hope I would not be ruled out of order if I make a short declaration on behalf of my own country.

Your statement, Mr. Chairman, if I may say so, was one of historic importance. If it is thought, as it sometimes is, that the United Kingdom looks across the Channel more intensely in war than in peacetime, that feelingcertainly must have been removed by your statement earlier this afternoon. To me it was all the more impressive because I recognise that the source of the power and the glory of this island has been its vision across the seas.

The statement of Mr. Dulles was also important, not only for the development of European unity, but for that larger Atlantic Community development with which we are all concerned. Indeed, as I see it, European unity cannot be effectively secured unless the lines not only across the Channel but across the Atlantic are strong and unbroken. My country has a part to play in this Atlantic aspect of the problem. Therefore, we accept the continuing obligations arising out of our membership of the North Atlantic Treaty Organisation, and we are resolved to continue to do our best to discharge them. The disappearance of EDC does not, we think, affect those obligations, because EDC ‒though we were indeed disappointed in its disappearance ‒because EDC, as we saw it, was a means to an end and not an end in itself. We are here to find an alternative method to accomplish the same purpose. That alternative method, that alternative arrangement, must include the association of Germany not only with the defence of Europe and the West, but ‒and this is, I am sure, equally important ‒with the development of the Atlantic Community; an association to be brought about in such a way that the fears that we have inherited from the unhappy past will be replaced by a new and better hope for the future.

So new methods are being discussed this week and new solutions are being sought. As far as we are concerned, however, the North Atlantic Treaty Organisation remains the focal point of our participation in collective defence and of our hope for the development of closer co-operation with the other peoples of the Atlantic community. As such, it remains a foundation of Canadian foreign policy. Indeed, enduring and whole-hearted support for NATO is for us a policy above politics on which I think our friends can rely.

That support in defence matters is now worked out each year by consultation through the appropriate agencies of our organisation ‒that is, NATO. Apart from mutual aid, it now takes the form of naval forces, an infantry brigade group, and an air division of twelve jetfighter squadrons stationed in Europe. We will continue to assist in the common defence through the existing NATO procedures until better ones are agreed on. The presence of these Canadian forces on the European continent is not only a measure of our military contribution to the common defence, but an evidence of our belief in the future of the North Atlantic Community.

While we emphasise, then, our belief in the North Atlantic Treaty Organisation, we welcome the proposed extension of the Brussels Treaty. We shall look forward to a growing relationship within the framework of NATO to the Brussels Treaty countries with whom we are bound by such close ties.

We are sure, and I hope our confidence will be realised ‒I know it will ‒that these new arrangements through Brussels can be developed without weakening or diminishing NATO in any way in its essential functions, because NATO, with Germany associated with it under agreed arrangements, should, we think, be a stronger force than ever against war, and for the progressive development of the Atlantic Community.

We are also certain, Mr. Chairman, that in this development the United States, which has played such a magnificent, generous and indeed essential part, will continue to be able to do so. Mr. Dulles has given us hope in that regard this afternoon.

We Canadians, being neighbours of the United States, know as well as anybody else, that that country does not fail to accept and to meet, successfully, any great international challenge which faces it. We are certain that in the days ahead it will continue to meet the challenge of assisting in the development of European unity and the Atlantic Community ‒and the two go together.

The work, then, which we are doing this week must, in order to succeed, make possible the continued contribution of the United States to these great objectives. If that is done, and I know it is going to be done, it will also, I assure you, make it much easier for my own country to continue to do its share.

Allegato III NPC (54) 38 confidential. Londra, 1° ottobre 1954.

There is circulated herewith the Report by the Working Party on a «German Defence Contribution and arrangements to apply to SACEUR’s forces on the continent» which was adopted by the Conference at the 8thPlenary Meeting on October 1 (Documents NPC (54) 16, NPC (54) 26 and NPC (54) 30 refer)67.

67.

NPC (54) 16: supra, nota 24; NPC (54) 26, Confidential, September 30, 1954, Second Reportby Working Party on German Defence Contribution and arrangements to apply to SACEUR’s forces on the Continent; NPC (54) 30, Confidential, October 1, 1954, Text of paragraph 2 agreed between French and Italian Delegations.

The nine Governments represented at the London Conference agree to instruct representatives to draw up in Paris, in concertwith the military and civilian agencies of NATO through the Secretary General, detailed proposals, for approval by the North Atlantic Council, for a German defence contribution and arrangements to be applied to SACEUR’s forces on the Continent. These detailed proposals shall be based on the following principles agreed between the nine Governments:

1. (a) The seven Brussels Treaty Powers will conclude a special agreement setting out the forces each of them will place under SACEUR on the Continent.

- - - -

2. All forces of NATO countries stationed on the Continent of Europe shall be placedunder the authority of SACEUR, with the exception of the forces which NATO has recognised or will recognise as suitable to remain under national command. The strength and armaments on the Continent of the internal defence forces and of the police belonging to the members of the Brussels Treaty Organisation shall be fixed by agreements made withinthis Organisation, taking into account the task for which they are intended and on the basis of existing levels and needs.

3.Arrangements to apply to SACEUR’s forces:

- - - - - -

1.

GRUPPO DI LAVORO DI LONDRA (Londra, 7 ottobre 1954)68

Verbale confidenziale WG/1.

PROJET DE RAPPORT DE LAPREMIÈRE RÉUNION DU GROUPE DE TRAVAIL CONSTITUÉ PAR LACOMMISSION PERMANENTE TENUE AU 2 EATON PLACE, LE JEUDI69 7 OCTOBRE 1954

République Fédérale d’Allemagne

Herr O. Schlitter, Conseiller, Mission Diplomatique Allemande Herr H.W. Forster, Deuxième Secrétaire, Mission Diplomatique Allemande

Belgique

S.E. le Marquis du Parc Locmaria C.V.O., Ambassadeur extraordinaire et Ministre Plénipotentiaire

M. E. Champenois, Conseiller

M. J. Borgaux, Deuxième Secrétaire

France

S.E. M. R. Massigli, G.C.V.O., K.B.E., Ambassadeur Extraordinaire et Ministre

Plénipotentiaire Comte de Crouy-Chanel, Ministre Plénipotentiaire, Conseiller d’Ambassade

M.V. Labouret, Deuxième Secrétaire

Italie

S.E. Signor M. Brosio, Ambassadeur extraordinaire et Ministre Plénipotentiaire Signor L. Theodoli, Ministre Conseiller Signor Giacomo di Thiene, Premier Secrétaire.

Luxembourg

- -

Pays-Bas

S.E. M. D.U. Stikker, Ambassadeur Extraordinaire et Plénipotentiaire Mr. A.H. Hasselman, Conseiller Mr. J.L. R. Huydecoper,Deuxième Secrétaire

68.

Ambasciata a Londra, 1951-54, b. 152, fasc. 4.

69.

Il documento reca per errore: «mercredi».

Royaume-Uni

Sir Frank Roberts K.C.M.G., Deputy Under-SecretaryForeign Office

Mr. D.S. Laskey, Foreign Office

Mr. R.F. Stretton, Foreign Office

États-Unis d’Amérique

(Observateur) The Honourable W. Walton Butterworth, Ministre

Secrétariat-General

Baron M. F. de Selys Longchamps, Secrétaire Général

M. M.F. Kenec’hdu Miss J.E. Howe

La réunion se tient sous la présidence de S.E. Monsieur MASSIGLI, Ambassadeur de France, qui au nom des Cinq pays souhaite la bienvenue aux représentante de l’Italie et de la République Fédérale d’Allemagne en exprimant l’espoir que leur présence soit le gage d’une prochaine et totale collaboration.

Le PRÉSIDENT se référant au document de travail établi par la délégation française (joint en annexe) pense qu’il y a lieu pour le Groupe de Travail de Londres d’examiner les questions 2, 3, 9 et 10, les autres étant plus précisément réservées au Groupe de Paris.

Il estime que le Groupe de Travail doit tout d’abord décider si lors de l’étude des amendements à apporter au Traité il y a lieu de rechercher des définitions très précises ou d’adopter des formules plus générales.

Sur la proposition du Dr. STIKKER, la Commission décide que par analogie avec l’Article IX du Pacte Atlantique, chaque fois qu’il sera nécessaire d’amender le texte actuel du Traité, il conviendra de retenir les formules se prêtant le mieux aux adaptations rendues nécessaires à l’expérience.

STRUCTURE DU PACTE ET EN PARTICULIER DU CONSEIL (Cf. Nouvel Article VIII Traité de Bruxelles)

Composition du Conseil

Le Groupe de Travail estime qu’afin de pouvoir faire face aux attributions très variées du Conseil, il n’y a pas lieu de préciser quel Ministre représentera les Gouvernements. Toutefois, il pourra être mentionné dans le rapport du Groupe que normalement ce rôle incombera au Ministre des Affaires Étrangères, accompagné le cas échéant de ses collègues spécialisés.

Organisation du Conseil

Le Groupe du Travail se rallie au point de vue exprimé par l’Ambassadeur de Belgique et le Ministre du Luxembourg qu’il convient à cet égard de se rapprocher autant que possible de l’article IX du Pacte Atlantique.

Comme le remarque Sir Frank ROBERTS, il semble qu’il suffise d’insérer dans le texte du nouvel Article VIII du Traité, que le Conseil pourra suivant les besoins constituer toutes organismes subsidiaires.

Attributions du Conseil

Le Groupe de Travail estime que la rédaction employée dans le Traité de Bruxelles donne toute satisfaction. Il se rallie à l’opinion de Sir Frank ROBERTS que le contrôle exercé sur l’agence ne pourrait être prévue que lorsque celle-ci aura été constituée.

Pouvoirs de décision du Conseil

Le PRÉSIDENT propose d’étudier deux questions:

1) une modification du texte de l’article VII du Traité à propos du membre de phrase: … «se concerter…»;

2) les modalités de vote au sein du Conseil. En ce qui concerne le premier point, il est décidé de reprendreautant que possible le texte de l’Article IX de l’OTAN.

Le PRÉSIDENT estime à propos des modalités de vote qu’il est préférable, afin de permettre toutes les adaptations nécessaires, de marquer que le Conseil se prononcera à l’unanimité sauf les exceptions qui seront prévues dans les accords complémentaires.

L’AMBASSADEUR D’ITALIE déclare que son pays acceptela règle de l’unanimité sous les réserves qui viennent d’être exprimées.

Le Dr. STIKKER pense que l’opinion de son Gouvernement s’oriente également dans ce sens.

Il est décidé que le Comité de rédaction devra exprimer que l’unanimité de vote au sein du Conseil constitue la règle à l’exception des cas prévus par des dispositions particulières.

COMPTE RENDUAUX DÉLÉGUÉS DES SEPT À L’ASSEMBLÉE CONSULTATIVE

LE PRÉSIDENT se demande s’il y a lieu de faire mention du rapport à adresser par le Conseil à l’Assemblée de Strasbourg en divers domaines.

Le Dr. STIKKER rappelle que l’organisation du Traité de Bruxelles adresse déjà chaque année un bilan d’activité en matières sociale et culturelle à l’Assemblée du Conseil de l’Europe par accord entre les Secrétaires Généraux.

Sir Frank ROBERTS pense qu’il y aurait lieu d’adresser dès maintenant, par l’entremise du délégué britannique par exemple, des informations concernant cette question aux Suppléants des Ministres du Conseil de l’Europe qui se réunit le 19 octobre. Certaines difficultés pourraient en effet surgir du fait que les questions militaires sont exclues de la Conférence de Strasbourg. La procédure envisagée permettrait sans doute de les prévenir.

Le Groupe de Travail décide en conclusion que son Comité de Rédaction devra se mettre d’accord sur le texte d’un questionnaire à adresser aux Gouvernements:

1) L’Assemblée à laquelle le Conseil fait rapport est-elle une réunion de certaines délégations au Conseil de l’Europe où une assemblée spéciale qui se trouve composée de délégués au Conseil de l’Europe?

2) En ce cas, où siègera-t-elle?

3)Convient-il de prévoir une clause spécifique reprenant la clause 12 de l’Acte final ou d’adopter une formule plus générale?

CRÉATION D’UN GROUPE DE TRAVAIL EN VUE D’ÉTUDIER LE PROJET FRANÇAIS CONCERNANT LAPRODUCTION ET LASTANDARDISATION DESARMEMENTS

LE PRÉSIDENT signale que l’étude de ce point du document français serait prématurée à ce stade.

COLLABORATIONAVEC L’OTAN LE PRÉSIDENTpense que l’ancien Article IVdu Traité peut être repris tel quel. Le Groupe de Travail se rallie à cet avis.

APPELLATION DU CONSEIL

Sir Frank ROBERTS signale que déjà certains articles se réfèrent à la nouvelle organisation sous le sigle BRUTO que chacun est d’accord pour écarter. Il pense que l’on pourrait revenir à l’appellation «Union Occidentale».

L’Ambassadeur d’ITALIE exprime le point de vue de son Gouvernement qui voit une réelle signification psychologique à l’adoption d’une appellation nouvelle. Il suggère: Union Européenne Occidentale.

Le Groupe de Travail décide de revenir sur cette question lors de sa prochaine réunion après en avoir référé aux Gouvernements et considèrequ’il y a lieu de décourager les désignations par initiales.

EMPLACEMENT DE L’AGENCE,ADMINISTRATION ETC.

Sir Frank ROBERTS estime que s’il est permis de penser que Londres doit continuer d’être le siège de l’Organisation, de solides arguments paraissent militer en faveur de Paris comme emplacement de l’Agence, aussi proche que possible de l’Organisation Militaire Atlantique.

LE PRÉSIDENT estime qu’il y a lieu d’attendre pour en décider d’être mieux informé des besoins et de l’avis des principaux intéressés tout spécialement l’Agence elle-même, des indications pratiques paraissant devoir être déterminantes.

Le Dr. STIKKER soulève la question du Budget de l’Organisation pour lequel une nouvelle répartition des charges s’avérera nécessaire. Le Comité du Budget aura à se réunir à bref délai à cet effet.

Sur la proposition du PRÉSIDENT, le Groupe de Travail prie le Secrétaire Général d’établir une note d’information sur les questions budgétaires du Traité de Bruxelles à l’intention des Gouvernements de l’Italie et de la République Fédérale d’Allemagne.

À la demande du Marquis du PARC, il est spécifié que les conclusions auxquelles est parvenu le Groupe de Travail devront en tout état de cause être confirmées après consultation des Gouvernements.

LE PRÉSIDENT estime qu’il y aurait intérêt à faire une communication à la Presse sur la réunion du Groupe de Travail en mentionnant les participants.

Le Secrétaire Général est chargé d’élaborer un texte et de le soumettre à l’approbation du Président.

Un Comité de Rédaction est constitué qui tiendra sa première réunion jeudi aprèsmidi à 17 heures. Il aura pour tâche d’élaborer un texte à la lumière des directives qui viennent d’être énoncées par le Groupe de Travail. Il devra s’occuper par priorité d’établir un questionnaire à envoyer aux Gouvernements sur les rapports du Conseil avec l’Assemblée.

La prochaine séance plénière du Groupe de Travail est fixée au Lundi 11 Octobre à 11 heures.

Allegato

Confidenziale.

DÉCISION DE LACONFÉRENCE DE LONDRES CONCERNANT L’ORGANISATION DE BRUXELLES

1) Invitation à l’Allemagne et l’Italie.

2) Renforcement de la Structure du Pacte et en particulier du Conseil. Problèmes:

- - - - -

3) Compte-rendu à une Assemblée.

N. B. Ces trois décisions paraissent être du ressort de la Commission Permanente.

Les suivantes sauf les deux dernières paraissent plutôt de la compétence du Groupe de Travail de Paris.

4) Volume et caractéristiques de la contribution allemande.

5) Contribution maximum à la défense commune des membres de l’Organisation.

6) Fixation des forces de défense intérieure et de police des membres de l’Organisation.

7) Création d’une Agence de Contrôle des Armements, fixation des principes de son fonctionnement, de ses attributions etc.

N. B. La collaboration d’une personne connaissant le fonctionnement de l’Organisation, de la Commission Permanente, du Secrétariat Général paraît indispensable.

8) Engagements à prendre par les membres continentaux de l’Organisation dans le cadre de l’Agence des Armements.

9)Création d’un Groupe de Travail en vue d’étudier le projet français concernant la production et la standardisation des armements.

10) Collaboration avec l’OTAN.

2.

GRUPPO DI LAVORO DI LONDRA (Londra, 9 ottobre 1954)70

Verbale confidenziale WG/2.

PROJET DE RAPPORT DE LADEUXIÈME RÉUNION DU GROUPE DE TRAVAIL CONSTITUÉ PAR LACOMMISSION PERMANENTE TENUEAU 2 EATON PLACE, LE SAMEDI 9 OCTOBRE 1954

République Fédérale d’Allemagne

Herr O. Schlitter, Conseiller, Mission Diplomatique Allemande Herr H.W. Forster, Deuxième Secrétaire, Mission Diplomatique Allemande

70.

Ambasciata a Londra, 1951-54, b. 152, fasc. 4.

Belgique

S.E. le Marquis du Parc LocmariaC.V.O., Ambassadeur extraordinaire et Ministre Plénipotentiaire

M. J. de Bassompierre, Premier Secrétaire

M. J. Borgaux, Deuxième Secrétaire

France

S.E. M. R. Massigli, G.C.V.O., K.B.E., Ambassadeur Extraordinaire et Ministre Plénipotentiaire

M. V. Labouret, Deuxième Secrétaire

Italie

Signor L. Theodoli, Ministre Conseiller Signor Giacomo di Thiene, Premier Secrétaire.

Luxembourg

- -

Pays-Bas

S.E. M. D.U. Stikker, Ambassadeur Extraordinaire et Plénipotentiaire Mr. A.H. Hasselman, Conseiller Mr. J.L. R. Huydecoper,Deuxième Secrétaire

Royaume-Uni

Sir Frank Roberts K.C.M.G., Deputy Under-SecretaryForeign Office Mr. D.S. Laskey, Foreign Office Mr. R.F. Stretton, Foreign Office Mr. Bush-Fox, Foreign Office

États-Unis d’Amérique

(Observateur) The Honourable W. Walton Butterworth, Ministre Mr. Chipman

OTAN

(Observateur) M. Cahen Salvador

Secrétariat-General

Baron M. F. de Selys Longchamps, Secrétaire Général

M. M.F. Kenec’hdu Miss J.E. Howe

La réunion se tient sous la présidence de S. E. Monsieur MASSIGLI, Ambassadeur de France, qui, au nom de toutes les délégations, souhaite la bienvenue au représentant du Secrétaire Général de l’OTAN.

Le Groupe de Travail examine les trois projets de documents préparés par son Comité de Rédaction71.

I.ATTRIBUTIONS ET POUVOIRS DU CONSEIL72

Le PRÉSIDENTpropose, compte tenu de quelques modifications de forme, d’adopter le texte soumis par le Comité de Rédaction qui reflète les préoccupations de la Conférence des Neuf.

Le Dr. STIKKER préférerait que le texte énonçât en premier lieu le principe général de l’unanimité plutôt que les exceptions.

Le Groupe de Travail décide en conclusion d’inverser l’ordre des paragraphes, et charge le Comité de Rédaction de mettre au point un nouveau texte. En ce qui concerne la rédaction du paragraphe relative à la majorité des 2/3, il conviendra de se référer aux clauses appropriées de l’Acte Final.

Le Comité estime que ces dispositions devraient faire l’objet d’un 4èmeparagraphe du nouvel article VIII.

II.ARTICLE II (C ) DU PROJET DE PROTOCOLE73 Le PRÉSIDENT propose pour le nouveau Conseil la désignation: «Conseil de l’Union de l’Europe Occidentale».

Sur une suggestion du Marquise du PARC, le texte du projet est ainsi modifié: «Le Conseil de l’Organisation du Traité de Bruxelles sera dénommé: “Conseil de l’Union de l’Europe Occidentale”».

71 I testi elaborati dal Comitato di redazione furono trasmessi da Brosio l’8 ottobre (Telespresso riservato 4259/2171: vedi D. 148) e vengono proposti nelle note seguenti.

72 Attributions et pouvoirs du Conseil. Modalités de vote. Le Groupe de Travail estime qu’ilconvient de rappeler dans un texte qui pourrait constituer le 4ème paragraphede l’Art. VIII nouveau les cas particuliers de vote prévus lors de la Conférence de Londres, le principe de l’unanimité dans les autres cas, enfin la possibilité de trancher ultérieurement par une majorité simple ou qualifiée lorsqu’il en aurait été ainsi convenu en des cas particuliers. Le texte suivant paraît répondre à ces différentes éventualités: «Seront prises à la majorité simple les décisions relatives: a) au niveau des stocks d’armes atomiques, biologiques et chimiques que seront autorisés à détenir sur le continent les pays qui n’ont pas renoncé à les produire; b) aux questions soumises par l’Agence de Contrôle des Armements; c) à l’engagement pris par le Royaume Uni dans la déclaration du 29 septembre 1954. Seront prises à la majorité des 2/3 les décisions concernant la renonciation de la Rép. Féd. d’Allemagne (1) de fabriquer les armes désignées aux paragraphes IV, V et VI de la liste annexée à la Déclaration du Chancelier. Seront prises à l’unanimité: a) les décisions de relever, au-delà des limites fixées par l’accord spécial, le niveau des contributions maximum à la défense commune dans le cadre de l’OTAN des pays membres de l’Union Européenne Occidentale; b) les décisions pour lesquelles une autre procédure de vote n’aura pas été convenue (par les Gouvernements ou dans le Conseil)». N. B. Il y aurait lieu d’ajouter après chaque paragraphe les références aux accords annexes.

73 Texte révisé de l’article ii (c) du projet de protocole établi par le Comité de rédaction, le 7 octobre, à 17 h.: 1. En vue de poursuivre une politique de paix, de renforcer leur sécurité, de promouvoir l’unité, d’encourager l’intégration progressive de l’Europe et une coopération plus étroite entre elles et avec les autres organisations européennes, les Hautes Parties Contractantes créeront un Conseil (pour connaître) des questions relatives à l’application du Traité et de …; 2. Le Conseil sera dénommé «Conseil de l’Union de l’Europe Occidentale» et sera organisé de manière à pouvoir exercer ses fonctions en permanence. Il constituera les organismes subsidiaires qui pourraient être jugées nécessaires: en particulier, il établira immédiatement une Agence pour le contrôle des armements, dont les fonctions sont définies dans …; 3. À la demande de l’une d’entre Elles, le Conseil sera immédiatement convoqué en vue de permettre aux Hautes Parties Contractantes de se concerter sur toute situation pouvant constituer une menace contre la paix, en quelque endroit qu’elle se produise, et sur toute situation mettant en danger la stabilité économique.

L’ensemble du projet est adopté, compte tenu de certaines modifications de texte, le Groupe de Travail considère notamment que les mots: «connaître de ...» et «consider» employés respectivement dans les textes français et anglais peuvent être maintenus.

Il y aura toutefois lieu de souligner le pouvoir de décision qu’implique le terme français, dans le rapport de présentation.

III. COMPTES-RENDUS À UNEASSEMBLÉE74 Au terme de sa discussion, le Groupe de Travail demande au Comité de Rédaction de préparer un nouveau texte, compte tenu de l’accord réalisé sur les points suivants: Il sera proposé aux Gouvernements d’insérer dans le protocole du Traité, le texte même de l’Article 12 de l’Acte Final. Il y aura lieu d’indiquer à la suite que l’application de cet article suscite un certain nombre de questions, de les énumérer, et de souligner qu’elles devront être tranchées ultérieurement.

À ce texte, pourrait être jointe une disposition relative à la procédure à adopter pour la présentation du rapport à une assemblée.

IV. QUESTIONS DIVERSES Sur l’invitation du Président, M. CAHEN SALVADOR, représentant de l’OTAN, fait part du plan de travail du Groupe d’Études de Paris.

Le Secrétaire Général résume les informations transmises par Mr. Fraser. Celui-ci lui a annoncé l’envoi d’un document émanant de lord Ismay, sur les relations à établir entre l’OTAN et l’Organisation du Traité de Bruxelles, lequel sera vraisemblablement discuté mardi prochain à Paris et au sujet duquel le Groupe de Travail de

Paris souhaiterait connaître au plus tôt l’opinion du Groupe de Londres.Le PRÉSIDENT pense qu’il importe de sérier les travaux en hiérarchisant les urgences.

74 Rapport à présenter à une Assemblée (art. 12 de l’Acte Final). Le Groupe de Travail es-time qu’il y a lieu de consulter les Gouvernements sur les diverses questions que soulève le texte du paragraphe 12 de l’Acte Final de la Conférence de Londres tel qu’il est actuellement rédigé. Ce texte peut faire l’objet d’une disposition à insérer: a) dans le protocole qualifiant et complétant le Traité de Bruxelles; b) dans un autre protocole annexe, par exemple celui qui constitue l’Agence de Contrôle. Mais en tout état de cause les problèmes suivants se posent: (i) La réunion des délégués desSept Puissances du Traité de Bruxelles auxquels le Rapport du Conseil sur le contrôle des armements doit être présenté, constitue-t-elle une assemblée distincte de l’Assemblée Consultative du Conseil de l’Europe, ou est-elle un Comité restreint de cette Assemblée? (ii) Cette réunion devrait-elle se tenir au siège du Conseil de l’Europe? (iii) Le Rapport du Conseil aux délégués des Sept Puissances sur le contrôle des armements devrait-il être étendu à d’autres questions militaires? Le Statut mêmedu Conseil de l’Europe exclut les questions de Défense; et des objections, au nom de la neutralité, pourraient être présentées par des pays comme la Suède ou l’Irlande à une association trop étroite du Conseil de l’Europe avec les aspects militaires de l’Organisation de l’Union Européenne Occidentale.Inversement, une interprétation trop étroite du Statut du Conseil serait contraire aux principes du PlanEden et se heurterait vraisemblablement au désir d’être informé des délégués au Conseil de l’Europe appartenant à des pays non signataires du Traité de Bruxelles et Membres de l’OTAN. (Il faut aussi tenir compte du fait que le Conseil devra continuer à transmettre au Conseil de l’Europe le rapport de ses travaux en matière sociale et culturelle). Enfin, pour répondre au point 2, il faut tenir compteégalement des facilités matérielles que présenterait le cadre de Strasbourg. En l’absence d’instruction sur ces points le Groupe de Travail de Londres ne peut que s’en tenir aux solutions évoquées au début de cette note, c’est à dire l’insertion du texte même du paragraphe 12 dans l’un des protocoles actuellement en préparation. La réunion du 19 octobre à Strasbourg des Suppléants des Ministres pourraitfournir l’occasion d’une discussion sur les aspects pratiques des problèmes évoqués ci-dessus.

En premier lieu, le Groupe d’Études de Londres doit mettre au point des textes à soumettre à la Conférence des Neuf Ministres, puis aborder peut-être l’étude de certains aspects financiers. Il semble que l’on puisse ajourner l’examen des rapports entre l’Union de l’Europe Occidentale et l’OTAN.

Le Groupe de Travail acquiesce à ces vues et décide de consacrer ses prochaines réunions à l’examen des textes dont une nouvelle rédaction a été demandée et à l’étude d’un projet de Protocole incorporant les accords figurant à la deuxième section de l’Acte Final, soumis par la délégation britannique.

M. SCHLITTER soulève la question des dispositions relatives à l’arbitrage contenues dans l’ancien article VIII. Le Groupe de Travail charge son Comité de Rédaction de procéder à un échange de vues sur cette question dont l’examen sera repris lors de la prochaine réunion.

Il demande au Secrétaire Général de bien vouloir faire tenir aux délégations toutes informations transmises par son représentant au Groupe d’Études de Paris, qui pourraient faciliter ses travaux.

La prochaine réunion du Comité de Rédaction est fixée au lundi 11 octobre 1954 à 11 heures. Celle du Groupe de Travail l’après-midi du même jour à 16 heures.

3.

GRUPPO DI LAVORO DI LONDRA (Londra, 11 ottobre 1954)75

Verbale confidenziale WG/376.

PROJET DE RAPPORT DE LATROISIÈME RÉUNION DU GROUPE DE TRAVAIL CONSTITUÉ PAR LACOMMISSION PERMANENTE TENUEAU 2 EATON PLACE, LE LUNDI 11 OCTOBRE 1954

République Fédérale d’Allemagne

Herr O. Schlitter, Conseiller, Mission Diplomatique Allemande

Herr H.W. Forster, Deuxième Secrétaire, Mission Diplomatique Allemande

Belgique

S.E. le Marquis du Parc Locmaria C.V.O., Ambassadeur extraordinaire et Ministre Plénipotentiaire

M. J. de Bassompierre, Premier Secrétaire

M. J. Borgaux, Deuxième Secrétaire

France

S.E. M. R. Massigli, G.C.V.O., K.B.E., Ambassadeur Extraordinaire et Ministre Plénipotentiaire

75.

Ambasciata a Londra, 1951-54, b. 152, fasc. 4.

76.

Il verbale reca la data del 12 ottobre.

Comte de Crouy-Chanel, Ministre Plénipotentiaire, Conseiller d’Ambassade

M.V. Labouret, Deuxième Secrétaire

Italie

Signor L. Theodoli, Ministre Conseiller Signor Giacomo di Thiene, Premier Secrétaire.

Luxembourg

- -

Pays-Bas

S.E. M. D.U. Stikker, Ambassadeur Extraordinaire et Plénipotentiaire Mr. A.H. Hasselman, Conseiller Mr. J.L. R. Huydecoper,Deuxième Secrétaire

Royaume-Uni

Sir Frank Roberts K.C.M.G., Deputy Under-SecretaryForeign Office Mr. D.S. Laskey, Foreign Office Mr. R.F. Stretton, Foreign Office Mr. Bush-Fox, Foreign Office

États-Unis d’Amérique

(Observateur) Mr. Dale, Ambassade des États-Unis Mr. Chipman, Ambassade des États-Unis

OTAN

(Observateur) M. Cahen Salvador

Secrétariat-General

Baron M. F. de Selys Longchamps, Secrétaire Général

M. M.F. Kenec’hdu Miss J.E. Howe

La réunion se tient sous la présidence de S. E. Monsieur MASSIGLI, Ambassadeur de France.

I. PROJET DE PROTOCOLE

MODIFIANT ET COMPLÉTANT LE TRAITÉ DE BRUXELLES (Protocole n. 1)

Le PRÉSIDENTnote que le Groupe de Travail est d’accord pour maintenir l’emploi des mots «connaître de» et «consider» respectivement dans les versions française et anglaise. Une note du rapport de présentation pourra faire ressortir que le pouvoir de décision du Conseil résulte clairement de l’ensemble du texte, notamment de la rédaction du paragraphe 4 du nouvel article VIII ainsi que du sens très précis du mot français.

En ce qui concerne la mention au paragraphe 2 du nouvel article VIII de la création d’une Agence de Contrôledes Armements, il pourra être signalé en note que cette partie du texte pourra être modifiée afin d’inclure toute organisme dont la création serait décidée lors de la Conférence de Paris.

Le PRÉSIDENT consulte le Groupe de Travail sur les deux variantes proposées par le Comité de Rédaction eu égard aux modalités de vote au sein du Conseil (Art. IV, para. 4).

Le Groupe de Travail décide de demander au Comité de Rédaction de mettre au point les deux textes actuels qui seront soumis aux Ministres, compte tenu de quelques modifications de forme dans la version la plus courte et de la nouvelle rédaction proposée par Sir Frank ROBERTS pour la 2ème variante.

Sur une question du Président, M. SCHLITTER déclare que son Gouvernement suggère la création d’une Cour Spéciale dont la structure pourrait être définie par une décision unanime du Conseil, afin d’examiner les différends d’ordre mineur, principalement administratif pouvant surgir entre les Puissances signataires sur les questions résultant de l’application du Traité et des documents annexes.

Sir Frank ROBERTS estime que cette proposition, dans la mesure où elle laisse au Conseil le soin de décider par accord général d’une procédure plus simple que le recours à l’arbitrage prévu à l’ancien article VIII, présente un intérêt certain.

Le PRÉSIDENT note que la question de l’arbitrage ainsi soulevée présente deux aspects très clairement distincts, d’une part, la proposition du Gouvernement de la République Fédérale d’instituer une procédure simplifiée pour certaines matières et d’autre part, la question plus générale des clauses de l’ancien article VIII qui impliquent l’adhésion de tous les États signataires au Statut de la Cour Internationale, compte tenu des réserves spécifiées par chaque État qui doivent être communiquées aux autres États membres.

M. THEODOLI et M. SCHLITTER se déclarent prêts à saisir leurs Gouvernements de cette question.

Le Groupe de Travail considère qu’il suffirait qu’au moment de la signature du Traité, le texte de la formule d’adhésion des deux nouveaux États membres mentionnant leurs réserves éventuelles ait été communiqué par lettre aux autres Puissances. Il charge le Comité de Rédaction de procéder à un échange de vues sur la substance de ces lettres qu’une commission juridique pourrait mettre en forme par la suite.

À l’invitation du PRÉSIDENT, le Secrétaire Général souligne l’absence de Statut Juridique de l’Organisation actuelle du Traité de Bruxelles. Il se demande si les nouveaux textes ne devraient pas combler cette lacune et faire état également de clauses financières.

Le Groupe de Travail estime qu’il n’y a pas lieu à cet égard de suppléer au silence du texte actuel; les questions d’organisation interne et les clauses financières, y compris celles se rapportant aux organismes subordonnés, peuvent être laissées à la décision du Conseil; il prie le Secrétaire Général d’informer de ces vues son représentant au sein du Groupe de Paris.

Le Dr. STIKKER suggère que les Gouvernements de l’Italie et de la République Fédérale fassent connaître leur avis sur une nouvelle répartition des dépenses d’administration du Traité qui pourrait avoir lieu sur la base de 5 tranches égales dont l’une ferait l’objet d’une sous-répartition entre les pays du Benelux.

Sur une demande de M. THEODOLI, le PRÉSIDENTprie le Secrétaire Général de faire parvenir, à titre d’information, aux représentants diplomatiques de l’Italie et de la République Fédérale une note sur le financement des dépenses de l’Organisation du Traité de Bruxelles sans préjudice des modifications qui devraient être envisagée par la suite.

II. COMPTES-RENDUSAUX DÉLÉGUÉS DES SEPT À L’ASSEMBLÉE CONSULTATIVE

Le PRÉSIDENTnote que le Groupe de Travail est d’accord pour adopter le texte proposé par le Comité de Rédaction, compte tenue d’une modification de la dernière phrase ayant trait à l’évocation de cette question devant les suppléants lors de leur réunion à Strasbourg le 19 Octobre.

À cette égard, le Group de Travail prie Sir Frank ROBERTS de demander aux représentants du Gouvernement britannique à cette réunion de bien vouloir se faire l’interprète des Sept Puissances pour exposer aux autres membres leurs vues sur cette question, telle que la reflète le texte adopté.

Sir Frank ROBERTS acquiesce à cette demande et communiquera aux délégations le texte des instructions adressées au représentant britannique à Strasbourg.

À la demande du PRÉSIDENT, le Secrétaire Général signale que plusieurs documents adressés par le représentant du Groupe de Travail à Paris ont été distribués aux délégations.

L’un d’eux émanant de Lord Ismay se rapporte aux relations à établir entre l’Union de l’Europe Occidentale et l’OTAN. Cette note a déjà fait officieusement l’objet d’un premier examen par le Groupe d’Études de Paris qui aimerait connaître à ce sujet ainsi que sur l’ensemble de l’Organisation à créer, tant civil que militaire, les vues du Groupe de Londres.

Le PRÉSIDENTestime que les aspects généraux de ces problèmes pourraient être examiné avec plus de fruit après que les Ministres auront eu à nouveau l’occasion de mettre au point les projets actuels. Cependant rien ne s’oppose à ce que le Groupe de Travail de Londres procède à un échange de vues.

Sir Frank ROBERTS se réfère à la note de Lord Ismay dont il note tout l’intérêt, et déclare que sans pouvoir se prononcer dès maintenant sur l’ensemble du problème ainsi soulevé, son Gouvernement apprécie les avantages des suggestions évoquées en a) et b) de calquer autant que possible l’Organisation de l’Union de l’Europe Occidentale sur celle de l’OTAN étant donné la collaboration étroite prévue entre les deux organismes. Il s’ensuit qu’il y aurait intérêt à décider la création d’un Conseil permanent.

Toutefois, le fait d’y nommer les mêmes représentants qu’au Conseil de l’OTAN paraîtrait contraire à l’esprit de la Conférence de Londres qui a entendu marquer l’indépendance et l’étendue des missions propres à l’Organisation du Traité de Bruxelles.

À cet égard, s’il peut sembler opportun, ne fût-ce que pour plus de commodité, de prévoir que l’Agence de Contrôle des Armements ait son siège à Paris, il importe que le contrôle politique puisse être pleinement exercé par l’organe permanent du Conseil demeuré à Londres, ce qui ne semble présenter aucune difficulté sérieuse de liaison, et le Secrétaire d’État au Foreign Office désire vivement pouvoir accueillir ses collègues comme par le passé dans la capitale britannique.

Le Gouvernement du Royaume-Uni aimerait connaître sur ces différents points les vues des autres Gouvernements.

M.CAHEN SALVADOR souligne que Lord Ismay n’a eu en vue en l’occurrence que d’assurer un bon fonctionnement des liaisons nécessaires entre les deux organisations.

Sur proposition du PRÉSIDENT, le Groupe de Travail décide d’examiner à nouveau cette question lors de sa prochaine réunion. Celle-ci est fixée au mercredi 13 octobre à 11 heures.

Le Comité de Rédaction tiendra séance mardi 12 octobre à 11 heures77.

4.

GRUPPO DI LAVORO DI LONDRA (Londra, 13 ottobre 1954)78

Verbale confidenziale WG/4.

PROJET DE RAPPORT DE LAQUATRIÈME RÉUNION DU GROUPE DE TRAVAIL CONSTITUÉ PAR LACOMMISSION PERMANENTE TENUEAU 2 EATON PLACE, LE MERCREDI79 13 OCTOBRE 1954

République Fédérale d’Allemagne

Herr O. Schlitter, Conseiller, Mission Diplomatique Allemande

Herr H.W. Forster, Deuxième Secrétaire, Mission Diplomatique Allemande

Belgique

S.E. le Marquis du Parc Locmaria C.V.O., Ambassadeur extraordinaire et Ministre Plénipotentiaire

M. J. de Bassompierre, Premier Secrétaire

M. J. Borgaux, Deuxième Secrétaire

France

S.E. M. R. Massigli, G.C.V.O., K.B.E., Ambassadeur Extraordinaire et Ministre

Plénipotentiaire Comte de Crouy-Chanel, Ministre Plénipotentiaire, Conseiller d’Ambassade

M.V. Labouret, Deuxième Secrétaire

77.

I documenti approvati nel corso di questa riunione e rielaborati dal Comitato di redazione nella riunione del 12 ottobre furono trasmessi da Theodoli in pari data (Telespr. 4317/2200: vedi D.

152) e nuovamente discussi nella quarta seduta del Gruppo di lavoro del 13 ottobre (vedi infra D. 4,

note 80, 81 e 82).78 Ambasciata a Londra, 1951-54, b. 152, fasc. 4.

79.

Il documento reca per errore: «lundi».

Italie

Signor L. Theodoli, Ministre Conseiller Signor Giacomo di Thiene, Premier Secrétaire.

Luxembourg

- -

Pays-Bas

S.E. M. D.U. Stikker, Ambassadeur Extraordinaire et Plénipotentiaire Mr. A.H. Hasselman, Conseiller Mr. J.L. R. Huydecoper,Deuxième Secrétaire

Royaume-Uni

Sir Frank Roberts K.C.M.G., Deputy Under-SecretaryForeign Office Mr. D.S. Laskey, Foreign Office Mr. R.F. Stretton, Foreign Office Mr. Bush-Fox, Foreign Office

États-Unis d’Amérique

(Observateur) Mr. Butterworth, Ministre, Ambassade des États-Unis Mr. Dale, Ambassade des États-Unis

OTAN

(Observateur) M. Cahen Salvador

Secrétariat-General

Baron M. F. de Selys Longchamps, Secrétaire Général

M. M.F. Kenec’hdu Miss J.E. Howe

La réunion se tient sous la présidence de S.E. Monsieur MASSIGLI, Ambassadeur de France.

I. PROJET DE PROTOCOLE

MODIFIANT ET COMPLÉTANT LE TRAITÉ DE BRUXELLES

(PROTOCOLE N. 1)80 Sur la proposition du PRÉSIDENT, le Groupe de Travail adopte l’ensemble

80.

Si riportano tra parentesi quadre le varianti apportate il 13 ottobre, a seguito di questa riunione, alla redazione del 12 ottobre, segnalandole con la dicitura: [var. 13 ottobre]. PROJET présenté par le Comité de Rédaction, 1. F., 12 Octobre 11 heures, Groupe de travail de Londres, Protocole n. I modifiant et complétant le Traité de Bruxelles. Sa Majesté le Roi des Belges, Monsieur le Président de la République Française, Président de l’Union Française, Son Altesse Royale la Grande-Duchesse de Luxembourg, Sa Majesté la Reine des Pays-Bas et Sa Majesté la Reine du Royaume-Uni de Grande Bretagne, d’Irlandedu Nord et de ses autres Royaumes et Territoires, Chef du Commonwealth, Parties Contractantes au Traité réglant leur collaboration en matière économique, sociale et culturelle, et leur légitime défense collective, signé à Bruxelles, le 17 mars 1948, dénommé ci-après le Traité, d’une part, et Monsieur le Président de laRépublique Fédérale d’Allemagne et Monsieur le Président de la République Italienne, d’autre part, Animésde la commune volonté de poursuivre une politique de paix et de renforcer leur sécurité; Désireux à cet effetde promouvoir l’unité et d’encourager l’intégration progressive de l’Europe; Convaincus que l’adhésion de laRépublique Fédérale d’Allemagne et de la République Italienne au Traité représente un nouvel et substantielprogrès dans cette voie; Prenant en considération les décisions de la Conférence de Londres consignées dansl’Acte Final du 3 octobre 1954 et ses annexes; Ont désigné pour leurs plénipotentiaires: ... qui, après avoir présenté leurs pleins pouvoirs trouvés en bonne et due forme, sont convenus de ce qui suit: ARTICLE I, La République Fédérale d’Allemagne et la République Italienne adhèrent au Traité modifié et complété par leprésent Protocole ainsi que par (le Protocole N. II ci-joint et ses annexes) [Nota del documento: «Ces annexespourront être énumérés dans le texte finale»]. ARTICLE II, a) L’alinéa ci-après du Préambule du Traité: «àprendre les mesures jugées nécessaires en cas de reprise d’une politique d’agression de la part de l’Allemagne» sera modifié comme suit: «à prendre les mesures nécessaires afin de promouvoir l’unité et d’encouragerl’intégration progressive de l’Europe». b) Le début de l’article I, alinéa 2 du Traité se lira comme suit: «La coopération stipulée à l’alinéa précédent et qui s’exercera notamment par le Conseil prévu à l’article VIII ...».ARTICLE III, Un article nouveau sera inséré dans le Traité comme Article IV: «Dans l’exécution du Traité, les Hautes Parties Contractantes et tous organismes créés par Elles dans le cadre du Traité coopèreront étroitement avec l’Organisation du Traité de l’Atlantique Nord». Les articles IV, V, VI et VII du Traité deviendrontrespectivement les articles V, VI, VII et VIII. ARTICLE IV, L’Article VIII du Traité (ancien article VII) estmodifié comme suit: «1. En vue de poursuivre une politique de paix, de renforcer leur sécurité, de promouvoirl’unité, d’encourager l’intégration progressive de l’Europe ainsi qu’une coopération plus étroite entre Elleset avec les autres organisations européennes, les Hautes Parties Contractantes au Traité de Bruxelles créeront un Conseil pour connaître des questions relatives à l’application du Traité, de ses Protocoles et de leurs annexes [Nota del documento: «Ces annexes pourront être énumérés dans le texte finale»]. 2. Ce Conseil sera dénommé: “Conseil de l’Union de l’Europe Occidentale” [var. 13 ottobre:aggiunta della seguente nota: «La délégation allemande propose que le Conseil soit dénommé: “Conseil de l’Union Européenne”»]; il sera organisé de manière à pouvoir exercer ses fonctions en permanence; il constituera tous organismes subsidiairesqui pourraient être jugés utiles: en particulier, il créera immédiatement une Agence pour le Contrôle des Armements dont les fonctions sont définies dans … [Nota del documento: «D’autres organismes pourront êtrementionnés au vu de décisions qui seraient prises à Paris»]. 3. À la demande de l’une d’entre Elles le Conseilsera immédiatement convoqué en vue de permettre aux Hautes Parties Contractantes de se concerter sur toutesituation pouvant constituer une menace contre la paix, en quelque endroit qu’elle se produise ou mettant endanger la stabilité économique. 4. Le Conseil *prend ses décisions à l’unanimité sauf lorsqu’il en est convenuautrement* [var. 13 ottobre: *prend à l’unanimité les décisions pour lesquelles une autre procédure de voten’aura pas été ou ne sera pas convenue*]. Dans les cas prévus au Protocole n. II il suivra les règles de vote *(à l’* [var. 13 ottobre:depennato **] unanimité, *à la* [var. 13 ottobre:depennato **] majorité des deux tiers *, à la* [var. 13 ottobre: *ou*] majorité simple) qui y sont spécifiées». VARIANTE, 4. Le Conseil prend à l’unanimité les décisions pour lesquelles une autre procédure de vote n’aura pas été [var. 13 ottobre:aggiunte leparole «ou ne sera pas»] convenue. En ce qui concerne les questions particulières mentionnées dans le Proto-cole N. II, le Conseil prend: (i) à l’unanimité, les décisions concernant le relèvement, au delà des limites fixéespar l’accord spécial, du niveau des contributions maximum à la défense commune dans le cadre de l’OTAN des pays membres de l’Union de l’Europe Occidentale; (ii) à la majorité des deux tiers, les décisions viséesau (paragraphe 15 de l’Acte Final de la Conférence de Londres) concernant la renonciation de la RépubliqueFédérale d’Allemagne [Nota del documento: «Au cas où d’autres renonciations interviendraient, il y auraitd’y faire référence à l’endroit approprié»] à toute fabrication des armes désignées aux …de la liste annexée à …; (iii) à la majorité simple, les décisions relatives: a) au niveau des stocks d’armes atomiques, biologiques,et chimiques que seront autorisés à détenir sur le continent les pays qui n’ont pas renoncé à les produire; b)aux questions soumises par l’Agence de Contrôle des Armements; c) à l’engagement pris par le Royaume-Unidans la Déclaration en date du 29 septembre 1954. ARTICLE V, Un article nouveau sera inséré dans le Traité comme article IX: «Le Conseil de l’Union de l’Europe Occidentale présentera aux délégués des Puissancesdu Traité de Bruxelles à l’Assemblée Consultative du Conseil de l’Europe un rapport annuel sur ses activitésdans le domaine du contrôle des armements». Les articles VIII, IX, et X du Traité deviendront respectivementles articles X, XI et XII. ARTICLE VI, Le présent Protocole et les accords énumérés à l’article I seront ratifiés,et les instruments de ratification seront déposés aussitôt que faire se pourra auprès du Gouvernement belge. Ilsentreront en vigueur à la date du dépôt du dernier instrument de ratification. Le Gouvernement belge informera les Gouvernements des autres Hautes Parties Contractantes du dépôt de chaque instrument de ratification.

du Protocole *dans le texte*81 soumis par le Comité de Rédaction, compte tenu des observations relatives aux deux points soulevés pendant la discussion:

1. Désignation de la nouvelle organisation du Traité de Bruxelles:

M. SCHLITTER déclare que le Gouvernement de la République Fédérale d’Allemagne préfèrerait voir supprimer le mot «occidentale» de l’appellation proposée qui deviendrait: «L’Union Européenne». Il existe d’ailleurs des précédents: OECE, Communauté «Charbon-acier» où ce mot ne figure pas.

Le Marquis du PARC rappelle que le nom naguère usité couramment pour se référer au Traité de Bruxelles était «l’Union Occidentale».

À la suggestion du PRÉSIDENT, le Groupe de Travail décide de maintenir dans le texte la désignation actuellement projetée. La suggestion allemande sera signalée en note au bas de la page.

2. Rédaction de l’article IV: modalités de vote au sein du Conseil.

Le Marquis du PARC déclare que son Gouvernement désirerait voir cet article ainsi libellé: «Le Conseil prend ses décisions à majorité simple, sauf dans le cas où une majorité des 2/3 ou l’unanimité sont prévues au Protocole et dans ses annexes».

Le PRÉSIDENT s’enquiert de l’avis des délégués sur cette suggestion dont il souligne la portée.

Sir Frank ROBERTS mesure les conséquences de l’adoption du principe de la majorité simple. C’est aller au delà même des dispositions contenues dans l’ancien projet de CED.

Il croit pouvoir affirmer que le Gouvernement britannique hésiterait à s’engager dans cette voie. Le Dr. STIKKER estime qu’il s’agit là d’un principe nouveau dont l’affirmation n’est pas de la compétence du Groupe de Travail.

M. CLASEN pense également que la question ainsi posée ne peut être tranchée que par les Ministres.

Le PRÉSIDENT observe que le Traité de Bruxelles remanié et complété aura un domaine beaucoup plus étendu que celui envisagé pour l’ex-CED, englobant des responsabilités non seulement militaires, mais politiques, sociales, culturelles. Sans doute est-il permis de penser que son efficacité sera largementfonction de son aptitude à surmonter une à une les difficultés; une règle aussi rigoureuse pourrait aller à l’encontre du but envisagé.

Sur la proposition du PRÉSIDENT, le Groupe de Travail décide de soumettre les deux variantes de l’article IVà l’attention des Ministres. L’amendement proposé par le Gouvernement belge sera mentionné dans le rapport général.

II. COMPTES-RENDUSAUX DÉLÉGUÉS DES SEPT À L’ASSEMBLÉE CONSULTATIVE (Document)82

Le Dr. STIKKER estime qu’il y aurait lieu dans une question supplémentaire d’attirer l’attention des Gouvernements sur le fait que suivant la nature de l’assemblée à laquelle le Conseil est appelé à faire rapport, le nombre des membres de celle-ci peut varier dans une mesure considérable.

81.

La frase tra asterischi è stata aggiunta posteriormente a margine.

82.

PROJET présenté par le Comité de Rédaction, 2. F., 12 Octobre 11 heures, Groupe de travail de Londres, Comptes-Rendus aux Délégués des Sept à L’Assemblée Consultative (Paragraphe 12

Le Marquis du PARC signale que son Gouvernement estime qu’il doit s’agir d’une assemblée indépendante du Conseil de l’Europe, encore que des considérations pratiques puissent justifier sa réunion à Strasbourg.

Le PRÉSIDENT souligne que le Groupe de Travail ne peut que signaler le problème ainsi posé à l’attention des Ministres.

Sur sa proposition, le Comité décide, compte tenu de légères modifications de formes, d’adopter le texte proposé par le Comité de Rédaction, en demandant à ce dernier d’insérer une phrase à la fin du point 1) pour donner suite à l’observation du Dr. Stikker.

En outre, le rapport général attirera l’attention sur la nécessité de reprendre l’examen de cette question qui n’exige d’ailleurs pas de solution immédiate.

III.AUTRES QUESTIONS

À la demande du PRÉSIDENT, le Secrétaire Général adjoint qui a assisté aux délibérations du Groupe d’Études de Paris, donne des indications sur l’état actuel des travaux de ce dernier. Il présente trois documents:

-PSG/4-D/1 révisé. Projet d’accord spécial sur les forces des Puissances du Pacte de Bruxelles.

-PSG/2-D/2 Agence de l’Organisation du Traité de Bruxelles pour le contrôle des armements.

-PSG/2-D/1 révisé. Liste des types d’armements soumis au contrôle. Le Groupe de Travail compte soumettre ces textes à un Comité juridique de manière à ce que le projet général soit achevé vendredi soir 15 octobre.

Le Groupe d’Études de Paris estime nécessaire de prévoir une réunion à Paris samedi, dimanche et lundi (16, 17, 18 Octobre), afin de collationner les textes établis dans les deux capitales et d’assembler la version définitive. Il souhaite qu’un rapporteur vienne à cette occasion représenter le Groupe de Travail de Londres.

À la suggestion du PRÉSIDENT, le Groupe de Travail charge le Comte de Crouy Chanel d’être son interprète à ces réunions.

de l’Acte Final). LeGroupe de Travail estime qu’il y a lieu d’insérer dans le Protocole modifiant et complétant le Traité de Bruxelles le texte même du paragraphe 12 de la Section II de l’Acte Final de laConférence de Londres. Il lui paraît cependant opportun d’appeler l’attention des Gouvernements sur les problèmes suivants: i) La réunion des délégués des Sept Puissances du Traité de Bruxelles auxquelsle Rapport du Conseil sur le contrôle des armements doit être présenté, constitue-t-elle une assemblée distincte, ou est-elle un Comité restreint de l’Assemblée Consultative du Conseil de l’Europe? S’il s’agit d’une Assemblée distincte, quelles seront ses relations avec l’Assemblée Consultative du Conseil de l’Europe? ii) Cette réunion devrait-elle se tenir au siège du Conseil de l’Europe? iii) Le Rapport duConseil aux délégués des Sept Puissances sur le contrôle des armements devrait-il être étendu à d’autresquestions militaires? Le Statut même du Conseil de l’Europe exclut les questions de Défense et des objections tirées de leur neutralité pourraient être présentées par des pays comme la Suède ou la République d’Irlande à une association trop étroite du Conseil de l’Europe avec les activités militaires de l’Union de l’Europe Occidentale. Inversement, une interprétation trop étroite du Statut du Conseil serait contraire aux principes de la Résolution n. 35 de 1952 du Comité des Ministres et se heurterait vraisemblablement au désir d’être informé des délégations au Conseil de l’Europe appartenant à des pays non signataires du Traité de Bruxelles et membres de l’OTAN. Il faut aussi tenir compte du fait que l’Organisation du Traité de Bruxelles communique déjà au Conseil de l’Europe le rapport de ses activités dans lesdomaines culturel et social. Enfin, pour répondre au point ii), il faut tenir compte également des facilitésmatérielles que présenterait le cadre de Strasbourg. Le Groupe de Travail estime qu’il serait utile d’informer de ces problèmes les Suppléants des Ministres qui devront se réunir à Strasbourg le 19 octobre.

D’autres part, M. FRASER signale que le Groupe d’Études de Paris souhaiterait avoir l’avis du Groupe de Travail de Londres sur la Section 2 du document PSG/D-2/-, traitant de la constitution de l’Agence, sujet d’ailleurs lié à celui, plus général, de la structure d’ensemble de la nouvelle organisation.

À ce propos, il tient à souligner que Lord Ismay, en mettant en avant certaines suggestions rappelées dans sa note PSG/1/D. 5 n’avait en vue que d’esquisser un schéma pratique et n’entendait pas nullement préjuger les décisions politiques relatives à ce problème. En tout état de cause, quelle que soit la solution finalement retenue, il a marqué sa volonté d’apporter à la nouvelle organisation une collaboration entière.

Sir Frank ROBERTS rappelle que lors de la dernière réunion du Groupe de Travail, il a déjà pu exposer les vues générales du Gouvernement britannique.

En redisant son attachement à voir maintenir à Londres le siège de l’Organisation, il entend marquer le caractère d’organe permanent de contrôle politique du Conseil. Il peut sembler préférable de s’en tenir là pour le moment, sans envisager de nouveaux organes dont le rôle reste fort imprécis.

Le PRÉSIDENT note que si l’on peut admettre la nécessité, au cours d’une période liminaire, de disposer à tout moment des avis techniques propres à faciliter les travaux préparatoires, il ne s’ensuit pas nécessairement qu’il faille en hâte instituer un organisme définitif avant même que de connaître les caractéristiques de fonctionnement en période normale.

Le Dr. STIKKER déclare que son Gouvernement se préoccupe de concilier la nécessité de laisser à l’Organisation du Traité de Bruxelles toute sa cohésion organique et celle d’assurer une étroite collaboration avec l’OTAN. Ses préférences vont à un système souple, qui tienne compte avant tout des besoins révélés par l’expérience.

- -

M. CLASEN déclare partager les vues exprimées par ses collègues.

Le PRÉSIDENTrésume l’avis du Groupe de Travail de Londres qui estime prématuré d’envisager la création d’organismes autres que ceux prévus dans l’Acte Final de la Conférence de Londres, à savoir le Conseil et l’Agence de Contrôle des Armements.

Il importe que rien ne soit incorporé dans les textes qui puisse lier d’avance le Conseil, lequel doit conserver une entière autonomie dans la gestion de ses responsabilités. Ce sera sa tâche au cours des semaines à venir.

Le Groupe de Travail de Londres se réunira une dernière fois en principe le mardi matin 19 octobre. La prochaine réunion du Groupe de Travail est fixée au jeudi 14 octobre à 11 heures. Le Comité de Rédaction tiendra séance le mercredi 13 à 17 heures83.

83.

Il Comitato di redazione rielaborò il 13 ottobre una nuova stesura del progetto di Protocollo n. 1 che,salvo qualche ritocco, era identico a quello pubblicato supra alla nota 80: vedi i commenti di Theodoli al D. 158.

5.

GRUPPO DI LAVORO DI LONDRA (Londra, 14 ottobre 1954)84

Verbale confidenziale WG/5.

PROJET DE RAPPORT DE LACINQUIÈME RÉUNION DU GROUPE DE TRAVAIL CONSTITUÉ PAR LACOMMISSION PERMANENTE TENUEAU 2 EATON PLACE, LE JEUDI 14 OCTOBRE, 1954

République Fédérale d’Allemagne

Herr O. Schlitter, Conseiller, Mission Diplomatique Allemande Herr H.W. Forster, Deuxième Secrétaire, Mission Diplomatique Allemande

Belgique

S.E. le Marquis du Parc LocmariaC.V.O., Ambassadeur extraordinaire et Ministre Plénipotentiaire

M. J. Borgaux, Deuxième Secrétaire

France

S.E. M. R. Massigli, G.C.V.O., K.B.E., Ambassadeur Extraordinaire et Ministre

Plénipotentiaire Comte de Crouy-Chanel, Ministre Plénipotentiaire, Conseiller d’Ambassade

M.V. Labouret, Deuxième Secrétaire

Italie

Signor L. Theodoli, Ministre Conseiller Signor Giacomo di Thiene, Premier Secrétaire.

Luxembourg

- -

Pays-Bas

S.E. M. D.U. Stikker, Ambassadeur Extraordinaire et Plénipotentiaire Mr. J.L. R. Huydecoper,Deuxième Secrétaire

Royaume-Uni

Sir Frank Roberts K.C.M.G., Deputy Under-SecretaryForeign Office Mr. D.S. Laskey, Foreign Office Mr. R.F. Stretton, Foreign Office Mr. Bush-Fox, Foreign Office

84.

Ambasciata a Londra, 1951-54, b. 152, fasc. 4.

États-Unis d’Amérique

(Observateur) Mr. Dale, Ministre, Ambassade des États-Unis

OTAN

(Observateur) M. Cahen Salvador

Secrétariat-General

Baron M. F. de Selys Longchamps, Secrétaire Général

M. M.F. Kenec’hdu Miss J.E. Howe

La réunion se tient sous la présidence de S. E. Monsieur MASSIGLI, Ambassadeur de France.

I. COMPTE RENDUAUX DÉLÉGUÉS DES SEPT PUISSANCES À L’ASSEMBLÉE CONSULTATIVE

Sur la proposition du PRÉSIDENT, le Groupe de Travail adopte le texte de rapport soumis par le Comité de Rédaction, auquel une référence au nombre de délégués a été ajoutée pour donner suite à l’observation du Dr. STIKKER à la séance précédente.

II. PROJET DE PROTOCOLN. II Sur la proposition du PRÉSIDENT, le Groupe de Travail adopte, compte tenu des réserves indiquées ci-après l’ensemble du projet de Protocole dans le texte soumis par le Comité de Rédaction. Le PRÉSIDENT prie au Compte de CROUY-CHANEL, qui participera à Paris aux réunions où les documents élaborés par les deux Groupes de Travail seront collationnés, d’attirer l’attention du Comité juridique sur la forme à donner au Protocole

notamment en ce qui concerne la référence au Protocole n. I à y insérer et l’énumération des Chefs d’État.

III. PROJET DE LETTRES ÀADRESSER RESPECTIVEMENT PAR LES GOUVERNEMENTS DE LARÉPUBLIQUE FÉDÉRALE ET DE L’ITALIE

Sur la proposition du PRÉSIDENT, le Groupe de Travail adopte le texte qui lui est soumis par le Comité de Rédaction, compte tenu de quelques modifications de forme apportées en séance.

Les Représentants de l’ITALIE et de la RÉPUBLIQUE FÉDÉRALE pensent que leurs Gouvernements seront à même de communiquer, lors de la Conférence de Paris la semaine prochaine, les réserves accompagnant leur acceptation des clauses obligatoires de la Cour Internationale de Justice.

Sur une demande de Sir Frank ROBERTS, le Groupe de Travail prie la délégation britannique de bien vouloir préparer un projet de réponse commune aux lettres du Gouvernement de la République Fédérale et de l’Italie.

IV. PROJET DE RAPPORT GÉNÉRAL

DU GROUPE DE TRAVAILDE LONDRES À LACONFÉRENCE DES MINISTRES

Le PRÉSIDENTpropose d’examiner séparément les différentes parties du projet de rapport.

Les parties I e II sont adoptées compte tenu de quelques modifications de forme.

IIIèmepartie: Le Marquis du PARC déclare que son Gouvernement préférerait que lors de la réunion de Suppléants à Strasbourg le 19 octobre, aucun point de vue se rapportant aux relations avec une Assemblée du Conseil de l’Europe ne soit exprimé au nom des Puissances du Traité de Bruxelles. Il suggère qu’en conséquence le dernier paragraphe qui a trait à cette question soit supprimé.

Sir Frank ROBERTS ne voit pas d’inconvénient à la suppression proposée dans le texte du rapport, mais pense qu’il y a lieu néanmoins de se concerter sur les réponses à donner aux questions qui ne manqueront pas d’être posées à cette réunion par certains délégués.

Le Dr. STIKKER partage l’opinion du représentant britannique et pense qu’il est nécessaire de s’entendre sur le ton général à adopter par les délégués des Sept.

M. SCHLITTER remarque que bien que son Gouvernement préfère ne pas entrer à ce stade dans une discussion détaillée des ces problèmes, il est d’accord pour que les représentants des pays du Traité de Bruxelles adoptent une attitude commune, étant entendu qu’aucune opinion particulière ne sera exprimée et qu’ils s’en tiendront à indiquer objectivement les problèmes qui se posent.

Le PRÉSIDENT propose que chaque pays fasse tenir à son représentant à Strasbourg des instructions afin que ses déclarations éventuelles se limitent à souligner les données des problèmes ainsi soulevés, sans exprimer d’avis particulier quant à leur solution.

Le Marquis du PARC déclare qu’il attirera l’attention du Gouvernement belge sur les vues qui ont été exprimées au sein du Group de Travail. Celui-ci adopte la proposition du Président et decide qu’aucune mention relative à cette question ne figurera dans le rapport.

La IVème partie du rapport est adoptée.

VèmePartie: le Dr. STIKKER pense qu’il y aurait lieu, afin de faciliter la tâche des Ministres, d’abréger le Vème partie, en s’en tenant par exemple aux développements relatifs à l’Agence et à la proposition de création d’une Commission d’armements.

Sir Frank ROBERTS est d’accord pour répondre plus brièvement aux questions du Groupe de Paris, non sans toutefois souligner que la nécessité de maintenir la personnalité propre de l’Union de l’Europe Occidentale doit constituer le critère principal lors de l’examen des questions d’organisation.

Le PRÉSIDENTrappelle que l’attention du Groupe de Travail a été attirée sur les questions d’organisation par des documents communiqués officiellement au Secrétaire Général.

M.THEODOLI estime que dans un souci de stricte objectivité, le Groupe de Travail doit indiquer ses préférences sur les points soulevés dans la documentation reçue de Paris. Toutefois, il peut paraître superflu d’entrer dans les détails d’organisation traités au paragraphe b).

Sir Frank ROBERTS déclare que sans prétendre dans chaque cas, exprimer un avis, le Groupe de Travail ne peut passer sous silence l’exposé des divers problèmes ainsi évoqués.

M. SCHLITTER pense qu’il importe de traiter au moins les deux points principaux figurant dans les documents adressés par Paris: la structure générale de l’organisation et la création de la Commission d’Armement.

Le PRÉSIDENT résume les vues exprimées par le Groupe de Travail en proposant de confier au Comité de Rédaction le soin de préparer une nouvelle version de la Vème partie du rapport général, sur les bases suivantes:

compte tenu de la compétence étendue du Conseil, il importe de préserver sa personnalité à l’égard de l’OTAN,

étant entendu qu’il y aura lieu d’assurer la permanence du Conseil, l’Organisation du Traité de Bruxelles possède déjà à cet égard une tradition dont les possibilités d’adaptation à ses nouvelles responsabilités devront être examinées sans qu’il soit nécessaire de se prononcer d’urgence,

les dispositions du Traité de Bruxelles rendent possible la création de tous organismes techniques reconnus nécessaires sans qu’il soit utile de le prévoir dans un protocole.

Les délais qui s’écouleront nécessairement entre la signature du Traité et sa mise en vigueur permettront du reste de reprendre l’étude détaillée de ces questions.

Enfin sans prendre position sur le point de fixer le siège de l’organisation ou de l’agence, il pourrait être indiqué que les Ministres auront à l’examiner.

Le Groupe de Travail donne mission au Comité de Rédaction de préparer un projet

de texte à inclure dans le rapport énoncé, suivant les indications tracées par le Président. Afin de réduire les délais, ce texte sera soumis séparément aux délégations. La VIème partie du rapport général est adopté. Le Group de Travail décide de se réunir mardi 19 octobre à 11 heures. Le Comité de Rédaction tiendra séance jeudi 14 octobre à 15 h. 3085.

6.

GRUPPO DI LAVORO DI LONDRA (Londra, 19 ottobre 1954)86

Verbale confidenziale WG/6.

PROJET DE RAPPORT DE LASIXIÈME RÉUNION DU GROUPE DE TRAVAIL CONSTITUÉ PAR LACOMMISSION PERMANENTE TENUEAU 2 EATON PLACE, LE MARDI 19 OCTOBRE 1954

République Fédérale d’Allemagne

Herr O. Schlitter, Conseiller, Mission Diplomatique Allemande

Herr H.W. Forster, Deuxième Secrétaire, Mission Diplomatique Allemande

85.

I documenti rielaborati dal Comitato di redazione a seguito di questa riunione furono trasmessi il 15 ottobre da Theodoli (Telespr. riservato 4373/2244: vedi D. 158), al quale si rinvia per i commenti sulle principali differenze rispetto alle precedenti redazioni. Per la versione definitiva vedi D. 7.

86 Ambasciata a Londra, 1951-54, b. 152, fasc. 4. Un resoconto telegrafico di questa riunione fu inviato da Brosio in pari data: vedi D. 163.

Belgique

M. E. Champenois, Conseiller

M. J. de Bassompierre, Premier Secrétaire

M. J. Borgaux, Deuxième Secrétaire

France

S.E. M. R. Massigli, G.C.V.O., K.B.E., Ambassadeur Extraordinaire et Ministre

Plénipotentiaire Comte de Crouy-Chanel, Ministre Plénipotentiaire, Conseiller d’Ambassade

M.V. Labouret, Deuxième Secrétaire

Italie

Signor L. Theodoli, Ministre Conseiller

Signor Giacomo di Thiene, Premier Secrétaire.

Luxembourg

- -

Pays-Bas

S.E. M. D.U. Stikker, Ambassadeur Extraordinaire et Plénipotentiaire Mr. J.L. R. Huydecoper,Deuxième Secrétaire

Royaume-Uni

Sir Frank Roberts K.C.M.G., Deputy Under-SecretaryForeign Office

Mr. D.S. Laskey, Foreign Office

Mr. R.F. Stretton, Foreign Office

Mr. Bush-Fox, Foreign Office

États-Unis d’Amérique

His Excellency The Honourable Winthrop Aldrich, G.B.E., Ambassadeur Extraordinaire et Ministre Plénipotentiaire

(Observateur) Mr. Dale, Ministre, Premier Secrétaire, Ambassade des États-Unis

Secrétariat-General

Baron M. F. de Selys Longchamps, Secrétaire Général

M. M.F. Kenec’hdu Miss J.E. Howe

La réunion se tient sous la Présidence de S.E. Monsieur MASSIGLI, Ambassadeur de France.

Le PRÉSIDENT propose de revoir article par article ceux des textes élaborés à Paris qui traitent de matières entrant dans la compétence du Groupe de Travail de Londres.

PROTOCOLE N. I (modifiant et complétant le Traité de Bruxelles – Document PSG/1 – D/14, page 2).

Le Dr. STIKKER signale que le paragraphe 4 de l’article 2, relatif à la création d’un Groupe de Travail pour étudier éventuellement toutes questions relatives à la production et à la standardisation des armements, ne paraît pas avoir sa place dans le texte même du Protocole; cette question pourrait faire l’objet d’un échange de lettres.

LE PRÉSIDENT, tout en reconnaissant que la rédaction de ce paragraphe laisse à désirer, attire l’attention du Groupe de Travail sur la nécessité d’établir clairement la compétence du Conseil de l’Union à traiter de ces problèmes. Aucun texte ne paraît formel à cet égard.

Sir Frank ROBERTS souligne que cette compétence ne saurait être contestée; elle résulte entre autres des dispositions figurant aux paragraphes 1 et 2 du nouvel article VIII qui donnent au Conseil pouvoir de constituer tous organismes subsidiaires pour accomplir utilement les tâches qui lui incombent en conformité avec les buts du Traité.

M. SCHLITTER expose que son Gouvernement préférerait voir supprimer le paragraphe 4 de la rédaction proposée et qu’il y soit pourvu dans un échange de lettres. Le Dr. STIKKER pense que les lettres ainsi échangées pourraient figurer parmi les annexes visées au paragraphe 1 du nouvel article VIII.

LE PRÉSIDENT estime que cette procédure suffirait à éviter toute ambiguïté en ce qui concerne la compétence du Conseil en ce domaine, cet échange de lettres étant considéré comme une annexe au Protocole.

Sur sa proposition, le Groupe de Travail charge le Comité de Rédaction de rédiger un projet de lettres qui seront considérées comme une annexe au Protocole, et comme telles, visées au paragraphe 1 du nouvel article VIII, le paragraphe 4 étant supprimé.

M. SCHLITTER déclare que son Gouvernement souhaiterait voir adopter en ce qui concerne l’échange de lettres sur l’arbitrage, une procédure semblable à celle qui vient d’être convenu pour remplacer le paragraphe 4 de l’article 2 du Projet de Proto-cole.

Le Groupe de Travail adopte cette manière de voir.

Le Comte de CROUY CHANEL explique que la nouvelle rédaction de l’article VI du ProtocoleN. 1 a pour but de synchroniser l’adhésion de la République Fédérale au Traité de Bruxelles et à l’OTAN.

PROTOCOLE N. II (sur les forces de l’Union de l’Europe Occidentale -Document PSG/1 - D/14 page 6).

Le Groupe de Travail estime que le Protocole N. II ne donne lieu à aucune observation, compte tenu de quelques modifications formelles.

PROTOCOLE N. III (relatif au Contrôle des Armements -Document PSG/1 -D/14, page 7).

Le Protocole N. III a été mis au point à Paris et ne donne pas lieu à observation par le Groupe de Travail de Londres.

PROTOCOLE N. IV(relatif à l’Agence de l’Union de l’Europe Occidentale pour le Contrôle des Armements - Documents PSG/1 - D/14, page 18).

LE PRÉSIDENT signale que, bien que ce Protocole ait trait à la constitution de l’Agence d’Armements et, à ce titre, soit l’œuvre du Groupe de Paris, certaines de ces dispositions, notamment celles qui figurent aux articles II, IV e V, se rapportant aux relations à établir entre l’Agence et le Conseil, mériteraient d’être précisées.

Sir Frank ROBERTS pense qu’il y a lieu de faire ressortir nettement le contrôle du Secrétaire Général à l’égard de l’Agence.

Sur la proposition du PRÉSIDENT, le Groupe de Travail décide de modifier en conséquence le texte des articles IV et V.

M. THEODOLI croit savoir que dans le texte de l’article I, le mot «équitable» a été adopté afin de marquer que, dans toute la mesure du possible, l’importance des emplois attribués à chaque nationalité au sein de l’Agence comme d’ailleurs des divers organes de l’Union, devrait correspondre au prorata des contributions financières envisagées pour les différents États signataires.

LE PRÉSIDENTnote que ce problème devra de toute manièreêtre ultérieurement repris dans son ensemble.

En ce qui concerne la présentation à la Conférence des Neuf du rapport établi à Londres, le Groupe de Travail prie le Président d’être son interprète pour en commenter et compléter oralement certains aspects, compte tenu des vues échangées précédemment et à la présente réunion, en attirant l’attention notamment sur les points suivants:

-Échange de lettres sur la compétence du Conseil en toutes matières relatives à la production et à la standardisation des armements.

- Désignation de la nouvelle organisation.

-Modalités de vote au sein du Conseil.

- Compte rendu à adresser à une Assemblée du Conseil de l’Europe.

-Échange de lettres relatives à l’arbitrage.

Le Groupe de Travail estime qu’il y aura lieu également d’envisager la constitution d’une Commission intérimaire habilitée à accomplir les tâches qui se présenteront entre la signature et la ratification.

Sur proposition du PRÉSIDENT, il est convenu que le Comité de Rédaction se réunira mardi 19 octobre à 15 heures, les textes alors élaborés pouvant être ensuite transmis à Paris sans nouvel examen par le Groupe de Travail87.

7.

GRUPPO DI LAVORO DI LONDRA DOCUMENTI FINALI88

20.E. REPORT OF THE LONDON WORKING GROUP TO THE CONFERENCE OF MINISTERS

In accordance with the wishes expressed at the London Conference, the diplomatic representatives of the Federal Republic of Germany and Italy in London were invited to attend the Permanent Commission with a view to forming a Working Group, as from Thursday 7th October.

87.

Vedi D. 7.

88.

Ambasciata a Londra, 1951-54, b. 152, fasc. 4. I documenti sono riuniti con una fascetta con la seguente annotazione: «Documenti finali del Gruppo di lavoro di Londra, 20/10/54» e sono presenti sia nella versione inglese che in quella francese. Si pubblicano i testi soltanto nella versione inglese.

In conjunction with the Paris Steering Group the Working Group has prepared or revised the following documents for submission to the Conference of Nine Ministers, in Paris on the 21st October:

1. Invitation to the Governments of the Federal Republic of Germany and of Italy to accede to the Brussels Treaty, as modified and completed89.

- - -

5.Protocol N. IVon the Agency of the Western European Union for the Control of Armaments.

6. Exchange of letters concerning the application of the former Article VIII of the Brussels Treaty to Germany and Italy92.

7.Exchange of letters on the study of proposals concerning the production and standardisation of armaments93.

I.The Working Group has inserted the necessary references in the declaration inviting the Federal Republic of Germany and Italy to accede to the Brussels Treaty, whose terms were approved by the London Conference. This Declaration will be presented for the signature at the same time as the other documents agreed at the Paris Conference.

II. The first Protocol has been entitled «Protocol N. I modifying and completing the Brussels Treaty». It has been drafted on the basis of the Final Act of the London Conference.

The purposes of the document are as follows:

a) it provides for the accession of the Federal Republic of Germany and Italy to the Brussels Treaty;

b)it defines and extends the powers of the Council, which ceases to be a purely consultative body.

In this connection, discussions within the Working Group have revealed a possible difference of interpretation between the French version, which lays down that the Council shall be created «pour connaître des questions relatives à l’application du Traité», and the English version which states that the Council shall be created «to consider matters concerning the execution of this Treaty». It was agreed that the English term «to consider» confers upon the Council powers as wide as those implied by the French term «pour connaître de», and in particular that the Council is thereby authorised to take decisions; this is moreover specifically provided in the new Article VIII, paragraph 4. Experience gained in connection with the Atlantic Treaty, in which the

89.

Vedi infra Allegato, documento 22.E. Questo documento – insieme agli altri atti sottoscritti a Parigi e noti come «Accordi di Parigi» – è pubblicato nei FRUS, 1952-1954, Western European Security, vol. V, Part 2, DD. 192-198.

90 Per il testo del Protocollo 1 vedi supra D. 4, note 80 e 83. La versione finale dei Protocolli 1-4 di modifica del Trattato di Bruxelles, approvata dalla Conferenza di Parigi, è edita nei FRUS, cit., D. 197.

91 Nota del documento relativa ai punti 3, 4 e 5: «This report does not deal with this document which will be submitted by the Paris Steering Group». Sui risultati delle riunioni del Gruppo di lavoro di Parigi vedi l’ampio resoconto di Alessandrini del 19 ottobre a chiusura dei lavori (D. 164).

92 Vedi infra Allegato, documenti 23-24.E.

93.

Vedi infra Allegato, documenti 25-26.E.

same difference exists between the French and English versions, has shown that the terminological divergency has not resulted in any difficulties in practice. In the opinion of the Working Group, however, their agreement as to the interpretation of this passage should be brought to the attention of the Conference of Ministers.

c) The Council will be known as the «Council of Western European Union». The representative of the Federal Republic of Germany conveyed his Government’s view that the word «Western» should be left out of the title in question. This would make it «Council of European Union». The Working Group considered that although precedents existed (EDC, ECSC, OEEC) there would be a risk of confusion with the Council of Europe. It should also be borne in mind that European countries which did not belong to the Western Europe might want to join the Organisation. The Working Group felt unable to resolve this question.

The Council will be so constituted as to be able to exercise its functions continuously. The extension of its function will no doubt necessitate reorganisation, for which the structure of NATO might usefully to taken as a guide.

d)Anew Articlein the Treaty lays down that the Western European Union shall act in close cooperation with NATO at all levels.

e)As regards voting procedure in the Council, the Belgian representative suggested that instead of laying down the principle of unanimity and allowing for exceptions, the first sentence of paragraph 4 of Article VIII should read as follows:

«The Council will take decisions by a simple majority, save in those exceptional cases where a two-thirds majority, or a unanimous vote, are provided for in the Protocols and their Annexes». The other members of the Working Group considered that this formula went beyond the terms of reference as defined by the London Conference, and that it raised a major problem on which it was not for the Working Party to pronounce.

III.The Working Group considered that the ruling in paragraph 12 of Section II of the Final Act of the London Conference should be inserted as it stands in Protocol N. I.

Nevertheless, there remains outstanding a series of important questions regarding the relations between the Western European Union and the Council of Europe which require consideration by Governments. These questions form the subject of the annexed memorandum.

IV. The discussions of the Working Group brought to light certain difficulties arising from the application to Germany and Italy of the present Article VIII of the Brussels Treaty, concerning the compulsory jurisdiction of the International Court of Justice at the Hague. If the Federal Republic and Italian Government are each willing to accept this principle, it would be advisable for the other Powers to be informed at an early date of any accompanying reservations.

Further, the representative of the Federal Republic has proposed the creation of a new body whose function would be to resolve, as speedily as possible, such difficulties as might arise from the application of the Treaty as completed and amended, or of its Protocols, with particular reference to the provisions governing the functioning of the Agency for the Control of Armaments. The Working Group could not propose any final solution for this problem.

An exchange of letters was therefore prepared between the Federal Republic, Italy and the other Powers by which the two former undertake to accept the compulsory jurisdiction of the International Court of Justice before the ratification of the Treaty, after making known their accompanying reservations. This exchange of letters will be considered as an Annex to Protocol N. I.

The Working Group considered that the question raised by the Federal Republic might be referred for study to a Committee of Experts immediately after the Ministers’ Conference. A reference to the German proposal has been made in the exchange of letters between the Government of the Federal Republic and the other Powers.

V. The Working Group considered that the documents prepared both in London and in Paris would be incomplete if the question raised in paragraph 14, Section II of the Final Act of the London Conference was not recorded in one of them. An exchange of letters was therefore prepared between the French Government and the other Governments signatory to Protocol N. I, according to which the Governments agree to give the necessary interpretation to the provisions of the Protocol. This exchange of letters will also be considered as an Annex to Protocol N. I.

VI. The Working group considered certain questions raised by the Paris Working Group and by Lord Ismay concerning the relationship between the Western European Union and NATO. Although several members of the Working Group reserved the position of their Government, the following views were expressed on these problems:

- -

3.As regards the Agency for the Control of Armaments, there are two main points to be considered: a) the practical arrangements for its smooth running; b) the need for political control.

It is obvious that this is a matter for the Council itself. Experience alone will show whether, after a transition period during which some temporary arrangements may be required, it will be necessary to set up an Armaments Commission. In this connection, since the Council has the power to set up subsidiary organisations, it would appear superfluous to provide, by means of a Protocol, for an intermediary body between the Council and the Agency.

VII. As a result of the accession of the Federal Republic of Germany and Italy, a new distribution of the expenditure of Western European Union would have to be considered.

The Working Group suggests that the Governments concerned should study the possibility of replacing the present division of financial responsibilities into one-third shares (the three Benelux countries accounting for one-third between them) by a division into fifths (the three Benelux countries sharing one-fifth of the expenditure).

Allegato

21.E. MEMORANDUM OF THE LONDON WORKING GROUP ON QUESTIONS ARISING FROM PARAGRAPH 12 OF SECTION II OF THE FINALACT

(Report to the Delegates of the Seven Powers to the Consultative Assembly of the Council of Europe)

The Working Party considers that the text of paragraph 12 of Section II of the Final Act of the London Conference should be inserted in the Protocol modifying and completing the Brussels Treaty.

It would seem advisable to draw the attention of the Governments to certain of the problems which arise:

(i) As regards the meeting of delegates of the Seven Powers of the Brussels Treaty, to whom the Report of the Council on the control of armaments is to be presented, should this constitute a separate assembly or should it form a restricted Committee of the Consultative Assembly of the Council of Europe? If it is to be a separate Assembly, what should its relations be with the Consultative Assembly and what should be the number of delegates (and alternates) from each country?

(ii) Should the meeting take place at the headquarters of the Council of Europe?

(iii) Should the Report of the Council to delegates of the Seven Powers on the control of armaments be extended to cover other military matters?

The Statute of the Council of Europe excludes questions of Defence and objections could be made on grounds of their neutrality by such countries as Sweden or the Irish Republic, to a too close association of the Council of Europe with the military activities of Western European Union.

On the other hand, a too narrow interpretation of the Statute of the Council would be contrary to the principles of the Committee of Ministers’ Resolution N. 35 of 1952 and would probably run counter to the desire to be kept informed of delegations to the Council of Europe who belong to countries not signatory to the Brussels Treaty but who are members of NATO.

Account should also be taken of the fact that the the Brussels Treaty Organisation already sends to the Council of Europe a report on its social and cultural activities. Finally, in replying to questions (ii), account should be taken also of the material facilities offered by Strasbourg.

22.E. DRAFT INVITATION TO THE FEDERAL REPUBLIC OF GERMANYAND ITALY

The Governments of Belgium, France, Luxembourg, the Netherlands and the United Kingdom, Parties to the Brussels Treaty of March the 17st1948, for collaboration in economic, social and cultural matters and for legitimate collective self-defence;

Aware that the principles underlying the association created by the Brussels Treaty are also recognised and applied by the Federal Republic of Germany and Italy; Noting with satisfaction that their devotion to peace and their allegiance to democratic institutions constitute common bonds between the countries of Western Europe;

Convinced that an association with the Federal Republic of Germany and Italy would represent a new and substantial advance in the direction already indicated by the Treaty; DECIDE,

in application of Article IX of the Treaty, to invite the Federal Republic of Germany and Italy to accede to this Treaty, as modified and completed in accordance with the decisions of the Conference held in London from September the 28thto October the 3rd1954, which are recorded in its Final Act.

23.E. DRAFT LETTERS FROM, RESPECTIVELY, THE FEDERALAND ITALIAN GOVERNMENTS TO THE OTHER GOVERNMENTS SIGNATORYTO PROTOCOL N. I

I have the honour to make the following communication to Your Excellency in order to place on record the undertaking of the Federal/Italian Government regarding the application and Interpretation of Article X (formerly Article VIII), of the Brussels Treaty.

The Federal/Italian Governments undertake before the Protocols ... and their Annexes are ratified by the High Contracting Parties, to declare their acceptance of the compulsory jurisdiction of the International Court of Justice in accordance with Article X (formerly Article

VIII) of the Treaty, having made known to the Parties the reservations accompanying their acceptance.

The Federal/Italian Government understand that, in the view of the other High Contracting Parties, paragraph 5 of Article X (formerly Article VIII) of the Treaty leaves the way open for concluding agreements on other means of settling disputes between Them, and that the undertaking in question shall in no way prejudice the possibility of opening discussions immediately with a view to establishing other methods of settling possible disputes in the application or interpretation of the Treaty.

(In the Federal Government’s letter only) Moreover, in the opinion of the Federal Government, the widening of the Brussels Treaty may give rise to a number of doubts and disputes as to the interpretation and application of the Treaty, the Protocols ... and their Annexes, which may not be of fundamental importance but mainly of a technical nature. The Federal Government consider that it is desirable to establish another, simpler procedure for the settlement of such matters. The Federal Government therefore propose that the High Contracting Parties should discuss the problems set out above at once, with a view to reaching agreement on an appropriate procedure.

(In letters from both Federal and Italian Governments) I should be grateful if Your Excellency would confirm that (the Government concerned) agree with this letter. The exchange of letters thus effected will be considered as an Annex to Protocol N. I modifying and completing the Brussels Treaty, within the meaning of Article I, second paragraph and of Article IV, paragraph 1, of the said Protocol.

24.E. DRAFT REPLY TO THE LETTERS FROM THE FEDERALAND ITALIAN GOVERNMENTS TO THE OTHER GOVERNMENTS SIGNATORYTO PROTOCOL NO. I

I have the honour to acknowledge receipt of Your Excellency’s communication of ... (date) ... and to state that (the Government concerned) have noted with satisfaction that the Government of the Federal Republic of Germany/the Italian Government undertake acceptance of the compulsory jurisdiction of the International Court of Justice in accordance with the Article X (formerly Article VIII) of the Brussels Treaty, having made known to the High Contracting Parties the reservations accompanying their acceptance.

I confirm that (the Government concerned) interprets paragraph 5 of Article X (formerly Article VIII) of the Treaty as stated in the third paragraph of Your Excellency’s communication.

(IN THE REPLYTO THE FEDERALGOVERNMENT’S LETTER ONLY)

With regard to the fourth and fifth paragraphs of Your Excellency’s communication, (the Governments concerned) are in agreement with the proposal of the Federal Government that the High Contracting Parties should discuss at once the question of establishing an appropriate procedure for the settlement of the possible disputes to which the Federal Government draw attention.

(In the reply to both Governments) They also agree to consider this exchange of letters as an Annex to Protocol N. I modifying and completing the Brussels Treaty within the meaning of Article I, second paragraph and of Article IV, paragraph 1 of the said Protocol.

25.E. DRAFT LETTER FROM THE FRENCH GOVERNMENT TO THE OTHER GOVERNMENTS SIGNATORYTO PROTOCOL N. I

I have the honour to inform Your Excellency that the French Government interprets paragraphs 1 and 2 of the new Article VIII of the Brussels Treaty as empowering the Council of Western European Union to establish a Working Group for the study of the draft directive presented by the French Government and any other papers which may be submitted on the subject of armaments production and standardisation and to consider what effect should be given to the results of this study.

I should be grateful if Your Excellency would confirm the agreement of your Government with this interpretation and would inform me whether they also agree to consider this exchange of letters as an Annex to the Protocol modifying and completing the Brussels Treaty within the meaning of Article I, second paragraph and of Article IV, paragraph 1 of the said Protocol.

26.E. DRAFT REPLY TO THE LETTER FROM THE FRENCH GOVERNMENT TO THE OTHER GOVERNMENTS SIGNATORYTO PROTOCOL N. I I have the honour to acknowledge receipt of Your Excellency’s communication dated ... as follows:

«I have the honour to inform Your Excellency that the French Government interprets paragraphs 1 and 2 of the new Article VIII of the Brussels Treaty as empowering the Council of Western European Union to establish a Working Group for the study of the draft directive presented by the French Government and any other papers which may be submitted on the subject of armaments production and standardisation and to consider what effect should be given to the results of this study.

I should be grateful if Your Excellency would confirm the agreement of your Government with this interpretation and would inform me whether they also agree to consider this exchange of letters as an Annex to the Protocol modifying and completing the Brussels Treatywithin the meaning of Article I, second paragraph and of Article IV, paragraph 1 of the said Protocol».

I confirm that (The Government concerned) agree with the interpretation given to the paragraphs in question by the French Government and that this exchange of letters shall be considered as an Annex to the Protocol modifying and completing the Brussels Treaty within the meaning of Article I, second paragraph and Article IV, paragraph 1 of the said Protocol.

INDICE DEI NOMI(1)

1 I numeri rinviano ai documenti.

Indice dei nomi

Acheson, Dean, 56.

Açikalin, Mehmet Cevat, 166.

Adenauer, Konrad, 1, 9, 12, 13, 15, 16, 17, 21, 22, 25, 31, 32, 34, 40, 41, 46, 47, 49, 50, 55, 56, 61, 63, 66, 68, 78, 83, 86, 91, 97, 102, 109, 126, 127, 129, 131, 135, 138, 139, 142, 143, 146, 147, 149, 159, 162, 164, 169, 171, 189, 190, 203, 210, 213, 224, 227, 233, 248, 260, 265, 266, 271, 282, 284, 288, 289, 291, 299, 300, 303, 304, 306, 318, 319.

Ailly, Arnold Jan d’, 227.

Alessandrini, Adolfo, 33, 40, 66, 73, 74, 89, 138, 148, 162, 164, 171, 235, 252, 263, 264, 272, 274, 275, 277, 279, 285, 294, 301, 308, 313, 314, 316.

Alexander, Harold Rupert Leofric George, 56.

Alphand, Hervé, 312.

Attlee, Clement Richard, 25, 56, 136.

Aumeran, Adolphe, 16, 71.

Auriol, Vincent, 25.

Babuscio Rizzo, Francesco, 1, 14, 15, 18, 21, 22, 32, 38, 43, 44, 67, 78, 89, 97, 101, 112, 129, 138, 147, 169, 171, 188, 190, 194, 210, 245, 248, 266, 272.

Badini Confalonieri, Vittorio, 77, 79, 162.

Bakker, A. R. Tammenons, 72, 240.

Baldoni, Corrado, 21, 94, 105, 138, 171. Baldwin, Hanson Weightman, 249. Battista, Emilio, 157, 176, 220. Beaumont, vedi Guérin, Jean Michel du Boscq de Beaumont.

Bech, Joseph, 6, 138, 139, 142, 183, 204, 213, 231, 243, 288, 309, 322. Bedell Smith, Walter, 34, 97, 110. Beneš, Edvard, 104. Benvenuti, Lodovico, 20, 39, 53, 65, 71, 83, 119, 129, 136, 154, 233, 237, 293, 296. Benzoni di Balsamo, Giorgio, 23, 94, 128, 138, 150, 171, 181, 227, 251, 261, 292. Bérard, Armand Max Jean, 18, 169. Bevan, Aneurin, 136. Bevin, Ernest, 56, 234. Beyen, Johan Willem, 102, 127, 132, 138, 142, 164, 183, 227, 240, 244, 250, 251, 261, 288, 292, 309. Bidault, Georges, 56, 61, 257. Billotte, Pierre, 25, 56, 203. Blank, Theodor Anton, 142. Blankenhorn, Herbert, 32, 38, 78, 97, 142, 169, 210, 245. Blücher, Franz, 224, 234, 250, 269.

Blum, Léon, 25. Bobba, Franco, 6. Bohy, Georges Ghislain, 53. Bombassei Frascani de Vettor, Giorgio, 131, 138, 171, 252, 315. Bonnet, Henri, 144. Boon, Hendrik Nicolaas, 4, 72, 110. Bounous, Franco, 212, 259. Bourgès-Maunoury, Maurice, 176. Brentano, Heinrich von, 15, 109, 129, 143, 159, 183, 233, 235, 293, 296. Bromley, Thomas Eardley, 300. Brosio, Manlio, 9, 12, 21, 31, 34, 41, 46, 55, 56, 63, 83, 86, 91, 93, 102, 110, 113, 123, 124, 125, 136, 138, 140, 142, 148, 163, 171, 174, 179, 182, 193, 213, 214, 224. Bruce, David Kirkpatrick Este, 49,

11.

Brüning, Heinrich, 109. Burckardt, Carl Jacob, 247. Butler, Richard Austen, 269. Caccia, Sir Harold Anthony, 9, 31, 213, 224, 257, 271, 299. Callaghan, Leonard James, 118. Calmes, Christian, 288. Canali, Paolo, 138, 187, 171, 298, 299, 303. Capponi, Ferrante, 251, 290.

Caruso, Casto, 138, 171.

Casardi, Alberico, 50, 162.

Cattani, Attilio, 138, 171, 192, 231, 269.

Cavalletti di Oliveto Sabino, Francesco, 138, 139, 151, 153, 157, 171, 183, 220, 221, 228, 243, 262, 288, 291, 296, 309, 322.

Chapdelaine, J. A., 105.

Chruščëv, Nikita Sergeevič, 36.

Churchill, Sir Winston, 25, 32, 47, 53, 56, 65, 68, 95, 136, 156, 178, 189, 210, 298, 299, 302.

Cittadini Cesi, Gian Gaspare, 118, 138, 157, 171, 192, 222, 250, 270. mendès

Clarke, Ashley, 63, 84, 85, 90, 92, 98, 102, 178, 271, 299.

Conant, James Bryant, 67, 147, 169.

Coppé, Albert, 204, 280, 293, 296.

Cornaggia Medici Castiglioni della Castellanza, Gherardo, 50, 162.

Corrias, Angelino, 117, 176, 177, 197, 280.

Costa, Angelo, 191.

Coulson, John, 300.

Couve de Murville, Maurice, 164.

Cox, Oscar, 52.

Crossmann, Richard Howard Stafford, 83.

Crouy-Chanel, Étienne de, 158.

Daladier, Édouard, 71.

Daum, Léon, 291.

De Gasperi, Alcide, 56, 60, 65, 149, 157, 269.

Dehler, Thomas, 169, 190.

Dehousse, Fernand Louis Jean, 118.

Del Balzo di Presenzano, Giorgio, 5, 39, 50, 54, 63, 70, 75, 102, 109, 124, 125, 162, 176.

Delbos, Yvon, 53.

De Schryver, Auguste Édmond, 60.

De Staercke, André, 275.

De Vera d’Aragona d’Alvito, Carlo Alberto, 138, 171.

Dick, Roger M., 227, 244, 245, 246, 258.

Di Stefano, Mario, 36, 48, 62, 138, 171.

Dixon, Sir Pierson John, 56.

Dominedò, Francesco maria, 60, 165, 171, 176, 212.

Dowling, Walter Cecil, 18.

Drees, Willem, 181.

Dulles, John Foster, 19, 21, 25, 32, 34, 37, 41, 46, 51, 55, 61, 63, 65, 66, 67, 68, 69, 70, 74, 76, 78, 80, 83, 86, 90, 91, 92, 93, 95, 96, 99, 102, 105, 121, 123, 124, 126, 130, 132, 134, 136, 137, 138, 142, 144, 164, 168, 169, 170, 171, 173, 199, 203, 209, 215, 225, 249, 307, 320.

Durbrow, Elbridge, 70.

Eckardt, Felix von, 14.

Eden, Anthony, 12, 36, 39, 41, 42, 43, 46, 47, 50, 53, 54, 55, 59, 60, 61, 63, 64, 65, 66, 67, 68, 69, 70, 72, 73, 74, 76, 78, 80, 81, 83, 84, 85, 90, 92, 93, 94, 96, 97, 98, 99, 100, 101, 105, 110, 111, 120, 121, 123, 124, 126, 127, 130, 134, 136, 137, 138, 140, 141, 142, 155, 164, 171, 202, 213, 231, 234, 235, 240, 244, 246, 250, 258, 271, 282, 298, 299, 300, 302.

Eisenhower, Dwight David, 34, 56, 68, 75, 142, 170, 199, 203, 209, 249, 320.

Ély, Paul Henri Romuald, 199.

Erhard, Ludwig, 191, 265, 266, 272, 275, 284, 285, 294.

Etzel, Franz, 280, 293.

Falchi, Silvio, 252, 294, 307, 315.

Faure, Edgar, 86, 269, 288, 303, 304, 306, 312.

Fens, J.J., 53.

Fermi, Enrico, 217.

Ferrari Aggradi, Mario, 138, 171, 264.

Ferreri, Emilio, 138, 171, 290.

Figl, Leopold, 269.

Fohrmann, Jean, 157.

Fonlupt-Espéraber, Jacques, 257.

Fornara, Domingo, 54.

Fouques-Duparc,Jacques, 81, 145, 195.

François-Poncet, André, 44, 210, 248.

Frenay Sandoval, Henri, 65, 154.

Gardini, Walter, 219.

Gaulle, Charles de, 218, 247.

Gerstenmaier, Eugen Karl Albrecht, 118, 129.

Giuriati, Ernesto, 162, 264, 285.

Giustiniani, Raimondo, 50, 114, 162, 299, 300.

Goes van Naters, Marinus van der, 227.

Goislard de Monsabert, Joseph de, 257.

Grandval, Gilbert, 304, 306.

Grazzi, Umberto, 2, 11, 16, 21, 28, 29, 49, 55, 58, 59, 65, 94, 100, 104, 129, 138, 141, 149, 160, 171, 172, 184, 185, 188, 200, 202, 204, 211, 219, 223, 229, 251, 253.

Grillo, Remigio Danilo, 50, 61, 247, 299, 300, 314.

Gruenther, Alfred Maximilian, 52, 56, 84, 91, 231.

Guastone Belcredi, Enrico, 162, 321.

Guérin, Jean Michel Du Boscq De Beaumont, 10, 21.

Guidotti, Gastone, 138, 171.

Hallstein, Walter Peter, 32, 49, 55. Hammarskjld, Dag, 192. Hannaford, Guy G., 300. Hansen, Hans Christian Svane, 234. Harrison, Geoffrey Wedgwood, 102, 299. Hensel, Herman Struve, 45, 57, 96. Herriot, Édouard, 16, 71. Heusinger, Adolf, 18. Heuss, Theodor, 318. Hirsch, Étienne, 262. Hitler, Adolf, 83. Hoffmann, Johannes, 304, 306. Hood, Samuel, 258. Hope, Lord John 234. Hughes, John Chambers, 33. Ismay, Lord Hastings Lionel, 33, 84, 155, 158, 161, 164, 186, 201, 214, 231. Jebb, Sir Gladwyn Hubert Miles, 9. Joss, vedi Joxe, Louis. Joxe, Louis, 36. Kardelj, Edvard, 187. Khrusciov, vedi Chruščëv, Nikita Sergeevič.

Kindelberger, James Howard, 52. Kirkbride, Alec Seath, 299.

Kirkpatrick, Sir Ivone Augustine, 12, 21, 31, 56, 91, 93, 123, 182, 210, 271, 299, 300.

Knowland, William Fife, 91.

Köprülü, Mehmet Fuat, 187.

La Gorce, François Marie de, 315.

Landriscina, Giovanni, 264.

Lange, Halvard Manthey, 73, 234, 250.

Laniel, Joseph, 71, 131.

Lapie, Pierre-Olivier, 25, 53, 71.

Larock, Victor Joseph Léonard, 269.

Lecourt, Robert, 60.

Léger, Jules, 94, 105.

Lippmann, Walter, 52.

Lombardo, Ivan Matteo, 232, 235, 239, 240, 245, 251, 260, 290.

Lorscheider, Leonhard, 234.

Luce, Clare Boothe, 17, 51, 52, 57, 65, 70, 75, 90, 119, 122, 307, 320.

Lucifero, Roberto, 118.

Luciolli, Mario, 170, 171, 173, 198, 199, 208.

Maclay, John, 53, 65, 118, 214, 227.

Magistrati, Massimo, 5, 18, 24, 39, 50, 52, 54, 61, 63, 70, 72, 75, 76, 77, 102, 109, 138, 162, 171, 180, 191, 195, 201, 206, 219, 221, 223, 229, 231, 233, 234, 235, 241, 247, 264, 299, 300, 303, 310, 315.

Malagodi, Giovanni, 77.

Malenkov, Georgij Maksimilianovič, 36.

Malfatti, Franco Maria, 50.

Maltzan, Vollrath Freiherr von, 313.

Mancinelli, Giuseppe, 57, 138, 162, 231.

Mao Tse-tung, 68, 298.

Margerie, Roland Jacquin de, 74, 109, 239.

Marjolin, Robert, 192.

Martinelli, Mario, 191, 286.

Martino, Gaetano, 90, 92, 93, 94, 98, 102, 103, 104, 106, 109, 119, 120, 121, 122, 123, 124, 125, 126, 127, 130, 132, 134, 135, 137, 138, 140, 141, 142, 143, 144, 145, 146, 151, 153, 156, 159, 161, 162, 164, 166, 167, 168, 171, 173, 176, 177, 178, 179, 180, 182, 185, 189, 190, 191, 193, 195, 198, 199, 202, 203, 207, 209, 210, 217, 218, 220, 228, 231, 232, 233, 234, 242, 247, 249, 250, 251, 254, 256, 260, 263, 264, 267, 271, 273, 278, 280, 282, 283, 287, 288, 289, 290, 291, 293, 295, 296, 298, 299, 300, 302, 320.

Massigli, René, 93, 163, 164, 236.

Mattei, Franco, 264.

Maudling, Reginald, 270.

Mayer, René, 86, 210, 283, 312.

Mazio, Aldo Maria, 51, 72, 162.

Menderes, Adnan, 187.

Mendès France, Pierre, 2, 5, 6, 10, 12, 14, 15, 16, 17, 21, 22, 24, 25, 28, 29, 32, 34, 36, 39, 44, 46, 47, 49, 50, 51, 55, 53, 56, 59, 63, 64, 65, 71, 73, 74, 75, 79, 80, 81, 83, 84, 85, 86, 87, 91, 92, 93, 94, 95, 97, 99, 100, 102, 104, 107, 109, 110, 113, 115, 118, 119, 120, 121, 123, 124, 126, 127, 128, 131, 132, 136, 138, 139, 141, 142, 144, 145, 147, 149, 151, 153, 154, 156, 164, 168, 169, 171, 173, 180, 181, 185, 189, 191, 192, 195, 198, 199, 203, 204, 209, 210, 211, 215, 216, 217, 218, 224, 227, 230, 231, 234, 235, 240, 242, 244, 246, 247, 248, 250, 251, 254, 255, 256, 257, 260, 261, 263, 264, 265, 266, 267, 271, 277, 278, 280, 281, 283, 285, 289, 292, 294, 297, 301, 308, 312.

Menichella, Donato, 254.

Menthon, François de, 53, 118, 131.

Merchant, Livingston Tallmadge, 45, 68, 95, 124.

Migone, Bartolomeo, 299.

Milesi Ferretti, Gianluigi, 75, 109, 140, 145, 159, 166, 178.

Millar, Frederick Robert Hoyer, 9, 12, 32, 102.

Moch, Jules, 25, 71, 119.

Mollet, Guy, 25, 87, 119.

Molotov, Vjačeslav Michajlovič, 36, 147, 149, 169, 199.

Mondello, Mario, 247.

Monnet, Jean, 151, 157, 162, 176, 192, 220, 237, 247, 256, 260, 262, 270, 273, 278, 280, 281, 283, 288, 289, 291, 293, 295, 296, 306, 309, 312, 322.

Monsabert, vedi Goislard de Monsabert, Joseph de.

Mosca, Bernardo, 138, 171. Moustier, Roland François Roger de, 47, 55, 74, 76, 203, 234. Murphy, Robert Daniel, 19, 26, 57,

69, 70, 72, 75, 102. Nasser, Gamal Abdel, 299. Naters, vedi Goes van Naters, Marinus

van der.

Nehru, Pandit Jawaharlal, 166, 299. Nenni, Pietro, 46, 60, 126. Nūri Pasha al-Said, 299. Nutting, Anthony Harold, 41, 46,

50, 56, 79, 118, 237, 299, 300. Ockrent, Roger, 40. Ollenhauer, Erich, 97, 147, 319. Orlandi Contucci, Corrado, 50, 99. Pacciardi, Randolfo, 154. Papaligouras, Panayiotis, 269, 270. Parodi, Alexandre, 32, 80, 195, 217,

218, 272, 275, 277, 279, 284, 285, 294, 301, 313. Pavicević, Miso, 187. Pearson, Leaster Bowles, 94, 105, 121, 125, 134, 138, 142.

Pella, Giuseppe, 129, 157, 260, 262, 278, 280, 281, 283, 289, 293, 296, 322.

Perassi, Tomaso,162.

Piccioni, Attilio, 4, 6, 11, 16, 17, 25, 26, 27, 28, 30, 37, 39, 42, 44, 45, 46, 56, 57, 60, 63, 64, 66, 70, 75, 77, 84, 85, 86, 102, 124, 143.

Pietromarchi, Luca, 138, 171, 187.

Pinay, Antoine, 210, 257, 296, 305, 306, 308, 312.

Pini, Augusto, 269.

Pinna Caboni, Mario, 318, 319.

Pirelli, Alberto, 191.

Plaja, Eugenio, 21, 82, 140, 162, 276.

Pleven, René, 25, 56, 257, 312.

Prato, Eugenio, 30, 42, 50, 80, 162.

Pnder, Hermann, 129.

Quaroni, Pietro, 10, 25, 47, 55, 61, 76, 80, 86, 90, 99, 138, 154, 156, 185, 188, 189, 191, 195, 203, 216, 217, 218, 226, 239, 251, 252, 254, 255, 256, 257, 281, 283, 289, 300, 303, 304, 305, 306, 312.

Raab, Julius, 320.

Radford, Arthur William, 70.

Ramadier, Paul, 280, 281, 283, 289, 292, 293, 312.

Rasquin, Michel, 176.

Reading, Lord Gerald Rufus Isaacs, 300.

Reston, James Barrett, 249.

Reynaud, Paul, 47, 257.

Robens, Alfred, 237.

Roberts, Sir Frank Kenyon, 34, 42, 50, 56, 63, 84, 155, 158.

Rolin, Henri Marthe Sylvie, 211.

Ross, Archibald David Manisty, 30, 39, 42, 63.

Rossi Longhi, Alberto, 138, 171, 211, 214, 220, 225, 230, 231, 233, 238, 240, 242, 251, 256, 268, 271, 282, 290, 294, 301, 308.

Rumbold, Horace Claude Anthony, 63, 74, 123.

Sandys, Duncan Edwin, 53, 237.

Santero, Natale, 53.

Saragat, Giuseppe, 126.

Sassen, Emmanuel Marie Joseph Antony, 60, 129.

Scelba, Mario, 52, 64, 65, 81, 114, 120, 121, 122, 126, 130, 132, 134, 135, 168, 178, 260, 298, 299, 300, 307, 320.

Scheyven, Raymond Albert Marie, 97.

Schiavi, Alessandro, 157.

Schmid, Carlo, 319.

Schneiter, François Charles Pierre, 234.

Schuman, Robert, 25, 56, 192, 203, 278, 280, 281, 283, 289, 292, 293, 296, 312.

Scott, Richard, 56.

Sebastiani, Lucio, 244.

Sébilleau, Pierre, 5, 81.

Selby, Sir Walford Harmood Montague, 300.

Selys Longchamps, François de, 163.

Sforza, Carlo, 56.

Shuckburgh, Charles Arthur Evelyn, 299, 300.

Snoy et d’Oppuers, Jean-Charles, 202.

Soardi, Carlo, 138, 171.

Soustelle, Jacques, 260.

Soutou, Jean-Marie, 142, 169, 210, 218, 248.

Spaak, Paul-Henri, 2, 11, 16, 21, 28, 29, 32, 39, 49, 53, 55, 59, 61, 71, 100, 102, 104, 106, 118, 119, 127, 138, 141, 142, 149, 155, 156, 157, 158, 161, 164, 172, 183, 200, 201, 202, 204, 229, 234, 244, 250, 251, 253, 265, 280, 288, 292, 309, 312, 317, 322.

Speaight, Richard Langford, 300.

Spierenburg, Dirk Pieter, 176, 270.

Stabler, Wells, 51.

Stalin, Iosef Vissarionovič Džugašvili, 36, 299.

Starkenborgh, vedi Tjarda van Starkenborgh Stachouwer, Alidius Warmoldus Lambertus.

Stassen, Harold Edward, 180, 231, 269.

Steel, Sir Christofer E., 155, 164, 275, 285, 294.

Stephanopoulos, Stephanos, 231, 234, 250.

Stikker, Dirk Uipko, 110, 155, 201, 227, 244.

Straneo, Carlo Alberto, 13, 50, 77, 240, 311, 321.

Struye, Paul, 53, 129, 211.

Tarchiani, Alberto, 17, 19, 26, 45, 52, 57, 65, 68, 69, 90, 95, 96, 103, 107, 108, 122, 133, 138, 144, 215, 242, 249.

Tassoni Estense di Castelvecchio, Alessandro, 171, 218.

Taviani, Paolo Emilio, 41, 46, 50, 55, 56, 63, 138, 162, 171, 231, 264, 315.

Teitgen, Pierre-Henri, 71, 118.

Theodoli, Livio, 56, 152, 155, 158, 163, 201, 206, 221, 229, 235, 236, 237, 246, 258, 299, 300.

Thomson, George Morgan, 102.

Titulescu, Nicolae, 104.

Tito (Broz Josip), 69, 70, 102, 124, 173, 187, 299.

Tjarda van Starkenborgh Stachouwer, Alidius Warmoldus Lambertus, 110, 244, 275.

Togliatti, Palmiro, 46.

Toscano, Mario, 50, 115, 247.

Ulver, Henri George, 176.

Urbani, Aldo, 138, 171.

Valletta, Giuseppe Vittorio,52, 191.

Vanoni, Ezio, 96, 138, 171, 231, 263, 264, 269.

Vedovato, Giuseppe, 53.

Velebit, Vladimir, 102.

Venturini, Antonio, 138, 171.

Villabruna, Bruno, 315.

Vyshinsky, Andrey (Vyšinskij, Andrej Januar’evič), 149.

Wapler, Arnaud, 315.

Ward, John G., 271, 299, 300.

Wede, 237.

Weicker, Lowell Palmer senior, 279, 285.

Westman, Karl Ivan, 234, 250, 270.

Westrick, Ludger, 280.

Weygand, Maxime, 25, 56.

Wigny, Pierre, 129, 211.

Zeeland, Paul van, 40, 149, 219.

Zoppi, Vittorio, 1, 3, 4, 7, 8, 39, 57, 70, 75, 92, 102, 103, 109, 115, 129, 133, 138, 142, 144, 148, 149, 150, 153, 156, 158, 160, 164, 173, 181, 182, 188, 190, 194, 195, 196, 205, 206, 220, 271, 282, 299, 300, 303.